Abbiamo avuto la fortuna di assistere ieri sera all’Angelo Mai a una delle mistiche esibizioni degli I Hate My Village, una delle realtà più interessanti degli ultimi anni, e di immergerci nel loro mondo unico, storto e distorto, visionario e magico, improbabile e allucinato, che nei concerti trova pieno compimento ed esplode con straordinaria energia.
Fondato da Adriano Viterbini (BSBE) e Fabio Rondanini (Afterhours, Calibro 35), con la preziosa collaborazione di Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari (Verdena), il gruppo ha pubblicato il suo album d’esordio, omonimo, nel 2019 per La Tempesta. Il disco, che ha visto più ristampe, doveva originariamente essere accompagnato da un breve tour, ma è presto diventato un lungo viaggio che ha attraversato tutta l’Italia, prolungandosi fino all’autunno.
Dopo la fine dei live, la voglia di creare nuova musica è rimasta forte. Gli I Hate My Village si sono ritrovati in studio, dove hanno iniziato a registrare usando un vecchio registratore a cassette degli anni ’90. Approfittando dei limiti di questo strumento obsoleto, ma sorprendentemente moderno, il gruppo ha scoperto un grande potenziale creativo. Il registratore è diventato parte integrante del processo, dando vita a un suono caratterizzato da una forte compressione e distorsione armonica. Le tracce, registrate su solo quattro tracce, sono state catturate al volo, senza possibilità di modificarle o rielaborarle. Il risultato è un’esperienza immediata e cruda, che trasporta l’ascoltatore direttamente nel momento della scrittura. Questa attitudine “plug & play” ha dato vita a brani come quelli presenti nell’EP Gibbone, uscito nell’agosto 2021.
“Yellowblack” è uno dei primi brani nati da queste sessioni: un pezzo energico che incorpora gli elementi distintivi del sound del gruppo, come ritmi africani, psichedelia e accenti pop. Il risultato è un mix affascinante che continua a esplorare nuovi territori creativi, arricchito da arpeggiatori sintetici, riff afro-futuristi, groove irresistibili e un basso pulsante. Il suono che emerge è coinvolgente e suggestivo, capace di unire mondi apparentemente distanti, che nel contesto degli I Hate My Village sembrano fondersi perfettamente.
A marzo 2024 la band ha rilasciato il singolo Water Tanks, seguito da Artiminime e Jim. Questi brani annunciavano Nevermind The Tempo, il nuovo album uscito il 17 maggio per Locomotiv Records, l’etichetta bolognese che prende vita dalle vivaci atmosfere del Locomotiv Club.
Nevermind The Tempo è un disco che celebra l’errore. Un album sgrammaticato che non si preoccupa di seguire regole musicali o strutture predefinite. È un inno all’imperfezione come risposta alla continua ricerca di perfezione della nostra epoca.
Un lavoro capace di creare un universo nuovo e in continua evoluzione, dove la fusione di quattro artisti diversi, ma perfettamente complementari, dà vita a un mosaico sonoro che gioca con l’imprecisione, le intuizioni sorprendenti e le contaminazioni, distruggendo ogni regola preconcetta.
La dimensione live è quella che rende maggiormente giustizia a questo progetto unico nel suo genere. Ogni concerto è una carezza forte come uno schiaffo. La voce inconfondibile di Ferrari si mescola magicamente al potente dialogo tra le chitarre e i ritmi incessanti e ipnotici del basso e della batteria. Ci si perde in questo viaggio sonoro che tinge l’atmosfera del bellissimo locale romano di mille colori e temperature.
Un Adriano Viterbini in stato di grazia e un Alberto Ferrari in forma splendente e più sorridente e divertito del solito, hanno dato vita a un’esibizione, scandita dalla precisione sovrannaturale di Rondanini, che resterà nella storia.
A fine spettacolo il pubblico è salito sul palco per gli ultimi due brani, in un’atmosfera tribale e catartica di profonda condivisione.
In prima parte la musica minimale e sperimentale del duo italo brasiliano Hate Moss.
La galleria immagini: