Dopo una pausa di cinque anni, il Roma Burlesque Festival ritorna con una nuova edizione completamente rinnovata, proponendo un format diffuso che abbraccia uno dei quartieri più eclettici della capitale: il Pigneto. Questa scelta non è casuale ma nasce dalla volontà di integrare il burlesque in un contesto urbano e culturale più ampio, esplorando le potenzialità di uno spazio che da sempre accoglie e promuove l’espressione artistica.
In questa intervista, Vera Dragone, direttrice artistica del festival, ci racconta le novità dell’evento, l’importanza di portare il burlesque oltre i confini del palcoscenico e i significativi traguardi raggiunti da questa forma d’arte in Italia negli ultimi diciotto anni. Un festival che non si limita a celebrare la bellezza del corpo e la seduzione del gesto, ma che si impegna a diffondere messaggi di autodeterminazione e inclusività, proponendo una riflessione profonda sul ruolo del burlesque nella contemporaneità.
Attraverso talk, mostre e l’incontro con performer internazionali di spicco, il Roma Burlesque Festival 2024 promette di essere un evento unico e inclusivo, capace di coinvolgere e affascinare tanto gli spettatori abituali quanto chi si avvicina per la prima volta a questa forma d’arte, riscoprendone i significati sociali e culturali oltre la superficie scintillante del palcoscenico.
Dopo una pausa di cinque anni, il Roma Burlesque Festival torna in una nuova location e con un programma diffuso nel quartiere del Pigneto. Cosa ha ispirato questa scelta e quali nuove opportunità offre al pubblico e ai performer rispetto alle edizioni precedenti?
È stato il quartiere stesso a darci l’ispirazione per creare un festival diffuso e quindi non solo di spettacolo ma anche di altro. Il Pigneto proprio per la sua conformazione e per la popolazione artistica che lo abita è perfetto per ospitare una rassegna come la nostra. Ai Performer offre la possibilità di farsi conoscere anche al di fuori del palco, succederà nei talk organizzati da Fabrizia Ferrazzoli e entreranno a contatto con persone comuni in spazi urbani come le librerie o negozi vintage.
L’opportunità è anche per il pubblico che potrà scoprire gli artisti anche come persone oltre che come Performer.
Il festival di quest’anno include, oltre agli spettacoli, numerosi eventi collaterali come talk e mostre che esplorano l’aspetto sociale e culturale del burlesque. Quanto è importante per voi portare il burlesque fuori dai confini del palcoscenico e quali messaggi volete comunicare con queste iniziative?
Il burlesque è un genere di spettacolo che ha cambiato le nostre vite, abbiamo visto nascere tante delle Performer oggi attive in Italia, anche per loro il burlesque ha rappresentato un cambiamento radicale nelle loro vite. Volevamo raccontare questa cosa, quello che c’è al di là delle luci e dei costumi sfarzosi, sempre nell’ottica del burlesque come fenomeno artistico della cultura pop contemporanea.
Si celebra l’anniversario dei 18 anni di burlesque in Italia. Guardando indietro, quali sono stati i principali traguardi raggiunti dal movimento burlesque nel nostro paese e quali sfide rimangono ancora da affrontare?
Sicuramente negli anni il burlesque è stato sdoganato come forma d’arte vera e propria e si è allontanato dal concetto di strip-tease nell’accezione più maschilista del termine. È una forma di intrattenimento che piace moltissimo alle donne, aiutandole attraverso gli spettacoli e attraverso i corsi a riappropriarsi della propria femminilità e di celebrare la femminilità altrui. Manca ancora un riconoscimento in termini legali e sindacali di questo genere di spettacolo. Mancano le tutele e la possibilità di accedere a fondi statali proprio come accade per gli spettacoli di teatro. Sarebbe utile nel tempo raggruppare le varie entità italiane che operano nel settore e costituire ad esempio un sindacato che difenda i nostri diritti. Fino ad ora siamo unità singole che operano ognuna nel proprio spazio e spesso ci si dedica solo a coltivare quello, ma è una visione limitata per il lungo periodo: tutelare questa forma d’arte insieme porterebbe vantaggi a tutti. Si potrebbe partire ad esempio dal costituire un Albo degli operatori del settore, con delle regole che creino una differenza tra chi è amatoriale e chi professionista anche relativamente ai luoghi in cui viene messo in scena lo spettacolo. Sempre più spesso assistiamo a una moltiplicazione incontrollata di show che portano il nome burlesque, spesso però si tratta di spettacoli amatoriali in luoghi non idonei, magari senza luci o senza palco e per i quali non è previsto un biglietto d’ingresso. Questo impoverisce il settore perché rende fruibile a costo zero un’arte che è invece molto costosa, a partire proprio dalle Performer stesse che spesso investono migliaia di euro nei propri costumi. Proporre uno spettacolo a costo zero significa impattare inevitabilmente su chi invece propone un biglietto d’ingresso congruo, in luoghi adatti e in spettacoli degni di questo nome, perché per chi si affaccia per la prima volta come spettatore sarà certamente più allettante andare a vedere qualcosa a costo zero piuttosto che spendere.
Il tema dell’autodeterminazione del corpo e del potere politico delle performance è centrale nel festival. Come si esprime questo tema nel contesto del burlesque e come rispondete a chi ancora percepisce questa forma d’arte in modo stereotipato o limitante?
Il potere di quest’arte è di rendere chi la fa totalmente padrone della sua performance: sia nella scelta delle musiche, che dei costumi ,che della parte performativa vera e propria. Ci si spoglia è vero e apparentemente potrebbe sembrare un gioco di seduzione. In parte lo è, non c’è dubbio, ma il gioco è sempre condotto dalla Performer. Lei decide cosa mostrare e quando, in che tempi e a chi. Inoltre è una forma d’arte in cui la bellezza dei corpi non è stereotipata e oggettificata. C’è posto per tutte e tutti, perché tutti i corpi sono degni portatori di bellezza e seduzione. È uno spazio libero, uno dei pochi rimasti, almeno in Italia, in cui chi decide del proprio corpo è solo il/la Performer.
La partecipazione di performer internazionali come Miss Ruby Monroe e Aleksei Von Wosylius arricchisce il programma del festival. In che modo la presenza di artisti di fama mondiale contribuisce a promuovere e far crescere la scena burlesque italiana?
Ci piace pensare di appartenere ad un’unica grande community mondiale. All’Ellington sono passate performer da ogni parte del mondo e non c’è una sola sera in cui a cena prima dello spettacolo si parli solo in italiano. È sorprendente e bellissimo scoprire come il burlesque possa unire sotto lo stesso tetto persone con esperienze, lingue, paesi d’origine diversissimi. Ospitare artisti di altri luoghi permette a noi di arricchirci e di affacciarci anche alle loro realtà e viceversa, alimentando uno scambio continuo.