Mostra transdisciplinare ‘iosonovulnerabile’ all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi

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Intervista a Sergio Mario Illuminato, curatore della mostra transdisciplinare ‘iosonovulnerabile’ all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi

 

Dal 3 ottobre al 29 novembre, l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi ospita iosonovulnerabile, una mostra transdisciplinare curata da Sergio Mario Illuminato. Un evento che non solo intreccia discipline differenti, ma esplora idee, emozioni e frammenti di realtà, stimolando una riflessione profonda sul ruolo dell’arte contemporanea. Illuminato ci guida dentro il suo processo creativo, offrendo una prospettiva unica sul fare arte oggi.

 

D: Sergio, il concetto di transdisciplinarità è centrale nel tuo approccio curatoriale. Come hai strutturato il percorso creativo di questa mostra e quali sono stati i punti di partenza del tuo processo?

Sergio Mario Illuminato: Il processo creativo di questa mostra è nato da un’urgenza profonda, dalla necessità di far dialogare linguaggi e discipline diverse, non per il semplice gusto di mescolarle, ma per evidenziare ciò che accade nei momenti di attrito o fusione. Mi sono lasciato guidare da ciò che definisco “e-mozioni”: energie emotive che spingono l’arte a interrogarsi su sé stessa e sul mondo. Creare è un fluire costante, a tratti violento e caotico, a tratti intimo e delicato.

Il concetto cardine è la vulnerabilità. Non solo quella dei corpi o degli oggetti, ma anche delle idee e delle strutture che diamo per solide. Fare arte per me significa accettare l’incertezza, spingersi oltre le convenzioni, un atteggiamento che si riflette nel percorso espositivo della mostra.

 

D: Hai parlato di “e-mozioni”. Come influenzano il tuo processo creativo e come si riflettono nelle opere in mostra?

Sergio Mario Illuminato: Le “e-mozioni” sono il cuore della mia visione artistica. Non si tratta solo di emozioni nel senso classico, ma di forze che si muovono dentro e fuori di noi, creando connessioni inaspettate tra ciò che percepiamo e ciò che vediamo. Quando curo una mostra, non parto da una struttura fissa, ma mi lascio guidare da queste energie, come se l’arte fosse una risposta a domande ancora inesplorate.

Nella mostra di Parigi, questa dinamica è evidente. Ogni opera è frutto di un incontro emotivo tra me, l’artista e lo spazio espositivo. Anche l’allestimento stesso riflette questa apertura all’imprevisto. Un esempio significativo è stato l’uso di strutture sospese nell’aria: opere leggere, fluttuanti nello spazio neoclassico dell’Istituto, che creano una tensione tra fragilità e solidità, tra passato e presente. Poi, queste stesse strutture “cadono” simbolicamente, conficcandosi nel terreno, in un gesto che evoca la caducità. L’obiettivo è far vivere al pubblico un vero campo di tensioni emotive.

 

D: L’idea della destabilizzazione ricorre spesso nel tuo lavoro. Qual è il collegamento tra questo concetto e il modo in cui descrivi l’arte contemporanea?

Sergio Mario Illuminato: L’arte contemporanea, per me, ha il compito di rompere le abitudini percettive. Immagina di dormire profondamente, quando all’improvviso una citofonata terribile e incessante ti scuote. Continua per mezz’ora, accompagnata da una voce disperata che grida “Aprite!”. L’arte contemporanea è questa citofonata: disturbante, traumatica, ma necessaria. Ci costringe a risvegliarci, a riconsiderare ciò che diamo per scontato. E la domanda è: apriremo quella porta? Avremo il coraggio di confrontarci con l’ignoto o preferiremo restare nel nostro torpore?

In questa mostra ho voluto creare proprio un’esperienza di questo tipo. Le opere non rassicurano, non possono essere “consumate” facilmente. Sono lì per provocare una reazione, scuotere le certezze dello spettatore e metterlo in una condizione di vulnerabilità.

 

D: Mi colpisce il tuo riferimento alla vulnerabilità. Come si esprime questo concetto in questa mostra?

Sergio Mario Illuminato: La vulnerabilità è il fulcro del mio lavoro, perché riflette la condizione umana nella sua forma più autentica. La esploro in varie forme: dal corpo, luogo della fragilità, alle rovine, testimoni di ciò che un tempo era solido ma che ora è crollato. La mostra è concepita come un viaggio attraverso questi frammenti di vulnerabilità. L’arte qui non è solo da osservare, ma da vivere. Lo spazio stesso mette in discussione i confini: ci sono momenti in cui ci si sente esposti, quasi parte dell’opera, e altri in cui si ristabilisce una distanza. È un gioco continuo tra prossimità e distacco, che riflette proprio la dinamica della vulnerabilità: siamo sempre esposti, ma cerchiamo costantemente di proteggerci.

 

D: Hai parlato di un processo creativo non lineare, fatto di collisioni. Quali sono stati i momenti più critici durante la preparazione della mostra?

Sergio Mario Illuminato: Ogni progetto ha i suoi momenti di crisi, ma per me sono opportunità. Durante la preparazione, ci sono stati molti momenti in cui ho dovuto riconsiderare le mie scelte e cambiare direzione. È parte del processo creativo: non si tratta solo di pianificare, ma di lasciarsi sorprendere. Spesso, nuove idee emergono da conflitti o intuizioni improvvise.

 

D: La mostra si svolge a Parigi, una città storicamente legata all’arte. Cosa significa per te esporre qui?

Sergio Mario Illuminato: Parigi ha sempre affascinato gli artisti di tutto il mondo. È un luogo di incontro e scambio, uno spirito che si riflette perfettamente in questa mostra. Portare qui il mio lavoro è come entrare in una conversazione che ha radici profonde nella storia dell’arte, ma che guarda al futuro. L’Istituto Italiano di Cultura è un luogo simbolico, rappresenta un ponte tra due culture, due visioni del mondo, e credo che iosonovulnerabile incarni proprio questo dialogo tra differenze.

Photo credits: Sergio Mario Illuminato

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