Studenti in piazza contro… da sempre

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Anno 2018  Con maschere di Anonymous sul volto, fumogeni, slogan e dando alle fiamme due pupazzi con il volto di Salvini e Di Maio, gli studenti hanno invaso le piazze per protestare contro il governo Lega Cinque Stelle.

Tra gli slogan, citando a caso, spiccano quelli per ribaltare il governo del cambiamento e quelli contro il programma che sarebbe di sfruttamento.

Anno 2017 – Governo Gentiloni e gli studenti scendono in piazza “contro l‘Alternanza Scuola Lavoro e contro l’attacco costante che subisce il diritto allo studio 

Anni 2014 – 2016 – Giustamente, con coerenza, gli studenti che hanno protestato contro il Governo Gentiloni, fotocopia del precedente Governo Renzi, non possono che essere gli stessi che erano scesi in piazza contro il progetto della buona scuola proposto dal premier toscano, quando gli striscioni, più o meno, recitavano Stop buona scuola, un passo indietro’. A Roma la ‘generazione che non si arrende’.

Anno 2013  Neppure il breve governo Letta è rimasto immune dalle proteste studentesche: venne contestata una conferenza sulla Green Economy alla Sapienza di Roma con bombe carta e vennero presi di mira il Premier e l’allora presidente della Repubblica Napolitano. In altre occasioni le proteste riguardavano la legge di stabilità.

Anno 2012 – Impossibile che gli studenti non protestassero contro il Governo Monti. Gli slogan principali che facevano da colonna sonora alle solite immagini di cortei in parte festanti e in parte spiccatamente violenti tuonavano contro l’establishment economico e finanziario: “No al ddl Profumo, fuori banche e aziende dalle scuole, sapere per tutti, privilegi per nessuno”

Anni 1994 – 2011 Governi Berlusconi. È quasi impossibile ricordare tutte le proteste studentesche contro il Cavaliere e tutti i ministri che si sono succeduti nei suoi quattro governi. Particolarmente vibrate quelle contro Letizia Moratti e Mariastella Gelmini. 

Non sono stati immuni neppure governi di diverse maggioranze e colore: nel 2007, primo Governo Prodi, “ha avuto grande successo e partecipazione di oltre 300.000 studenti la manifestazione contro la Finanziaria, il decreto Fioroni che reintroduce gli esami di riparazione, la legge 264/99 che ha istituito il numero chiuso nelle Università, l’odiosa politica scolastica del governo Prodi e contro le false promesse del “centro-sinistra” che non ha cancellato la controriforma Moratti.” Anche i Governi di Amato e D’Alema assistettero alle proteste studentesche; anche Luigi Berlinguer non è stato immune dalle contestazioni.

Insomma da oltre venti anni, puntualmente, l’inizio dell’anno scolastico è caratterizzato da proteste, cortei, manifestazioni di piazza che, organizzati da sigle più o meno ricorrenti e più o meno presenti, che trascinano gli studenti fuori dalle scuole a gridare slogan decisamente demagogici, dove si va sempre e comunque “contro” quello che è il governo del momento, le proposte che vengono fatte e, tra fumogeni, striscioni, bombe carta e qualche scontro con le forze dell’ordine, si vuole abbattere qualcosa e non si vede, da parte di chi manifesta, una proposta costruttiva e propositiva. Non possono infatti essere considerati tali le solite frasi trite e ritrite quali le richieste di più fondi, più investimenti, più borse di studio, mense e edifici migliori. 

È fin troppo facile adesso ipotizzare che seguiranno, a breve, occupazioni di edifici scolastici e autogestioni che, almeno, speriamo non finiscano come accaduto in passato in colossale rave a base di birra e distruzioni di edifici che meriterebbero invece una manutenzione adeguata.

Pane al popolo, può essere parafrasato e sintetizzato il succo delle proteste studentesche, ma non viene portata alcuna proposta su come avere questo pane; non riusciamo a ravvisare idee costruttive da parte dei manifestanti. Paragonando la scuola ad un ospedale, gli studenti sono malati che protestano contro i medici e chiedono cure migliori sfasciando le strutture. È probabilmente vero che le scuole (ed anche gli ospedali) necessitano di una profonda operazione di restyling, ma limitarsi ad andare contro vorrebbe dire finire di distruggere quel poco di buono che è rimasto.

Ma corre l’obbligo di un’osservazione tanto banale quanto triste. Non è generazionalmente possibile che gli studenti del 1994 siano gli stessi del 2018, anche se in Italia quello del fuoricorso di lungo termine è ormai una figura professionale, ma allo stesso modo da anni, il copione si ripete come uno spettacolo teatrale di successo che viene puntualmente replicato. Ricordiamo gli anni 90 e il movimento della Pantera? Stesso autore e stesse scene. Sembra si voglia continuare a portare avanti lo sbaglio del 68 che portò ad identificare il diritto allo studio nella pretesa al pezzo di carta finale. E ogni strumento per averlo diventava valido, in applicazione di quella che Robert Hughes definì la “cultura del piagnisteo”.

Non sono più gli anni di piombo quando la contestazione, onda lunga del 68, caratterizzava una protesta che avrebbe voluto vedere insieme studenti e operai. Ma questi ultimi, quando si resero conto di avere problemi familiari e di bilancio da far quadrare, si ritirarono dai movimenti, e la marcia dei quarantamila segnò un importante punto fermo. Gli operai, a differenza degli studenti, non possono contare sulle finanze dei genitori che li mantengono e, di solito, non nascondevano il loro volto dietro a maschere o, all’epoca nei passamontagna. Chissà se non sia giunto il momento di ricordare che le vere rivoluzioni e i veri cambiamenti, come quelle che chi va in piazza dice vorrebbe, si fanno con idee positive e propositive; costruendo e non limitarsi a chiedere la distruzione. Se ciò accadesse i vincitori si troverebbero a governare solo sui cumuli di quelle macerie che hanno loro stessi voluto. Ma non ci ricorda un’altra situazione che stiamo proprio oggi vivendo? 

 

 

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