Il 26 luglio 1943, all’indomani della caduta del fascismo, una folla inferocita entra nello stadio Littoriale di Bologna — oggi stadio Renato Dall’Ara — e abbatte la colossale statua equestre di Benito Mussolini. Il busto viene trascinato per la città, la testa si stacca… e scompare. Da quel momento nasce il mistero del “Testone”, una vicenda a metà tra storia e leggenda che attraversa l’Italia del dopoguerra fino a oggi. A raccontarla è Beppe Boni, editorialista ed ex condirettore di QN – il Resto del Carlino, nel suo nuovo libro “La testa del Duce”, edito da Minerva e in libreria dal 18 giugno.
Il volume si legge come un romanzo giallo, ma è in realtà una solida inchiesta storica, fondata su documenti, testimonianze e ricostruzioni accurate. Un’indagine appassionata che prende le mosse da un episodio apparentemente secondario, ma capace di aprire interrogativi ben più profondi: che fine ha fatto quella testa? Chi la trafugò? Perché ancora oggi la sua sorte divide, accende passioni e risveglia fantasmi?
Seguendo le tracce del “Testone”, Boni racconta anche l’epopea dello stadio Littoriale, simbolo dell’Italia fascista moderna e muscolare, costruito da Leandro Arpinati — figura ambigua, fascista sui generis, sportivo e riformista, poi caduto in disgrazia e assassinato dai partigiani nel 1945. Al centro del racconto, l’architettura del potere, lo sport come strumento di consenso, il culto dell’immagine che il regime edificò anche con il bronzo fuso dei cannoni austriaci, trasformato dal maestro Giuseppe Graziosi nella statua del Duce.
Il libro si muove tra aneddoti, testimonianze, interviste e cronache che illuminano momenti cruciali della storia italiana del Novecento: dall’inaugurazione dello stadio nel 1927, segnato dall’attentato (mai chiarito) ad Anteo Zamboni, al Dopoguerra, fino agli anni del boom e alle recenti riflessioni sul senso della memoria. In tempi in cui si discute di cancel culture, revisionismi e rimozione dei simboli, Boni offre una prospettiva ironica e intelligente su come la storia non sia mai davvero alle nostre spalle, ma una costruzione dinamica, spesso contesa e raramente neutrale.
Con uno stile accessibile ma documentato, “La testa del Duce” non è solo il resoconto di una scomparsa misteriosa: è una riflessione sulla potenza simbolica delle immagini, sulla fragilità della memoria collettiva e sull’eterna ambivalenza del rapporto tra passato e presente. Un libro che invita a guardare con lucidità – e senza retorica – alle ombre della nostra storia.