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Stato Islamico - page 2

Parigi sotto assedio: l’11 settembre europeo

BreakingNews/Varie di

Almeno 127 e 197 feriti, di cui almeno 80 in condizioni gravi. Sono questi i drammatici numeri, destinati a salire di ora in ora, della serie di attentanti al grido di “questo è per la Siria” o “Allahu Akbar” che hanno sconvolto Parigi venerdì 13 novembre. 7 le azioni compiute nel cuore della capitale francese rivendicate dallo Stato Islamico.
Il più importante al teatro Bataclan, dove circa 1500 persone stavano assistendo ad un concerto rock. Qui, tre terroristi sono entrati in azione, prendendo inizialmente in ostaggio un centinaio di persone, mentre 30 sono riuscite a scappare subito. Gli attentatori hanno poi fatto fuoco sulla folla. Il blitz della polizia a tarda notte ha portato alla loro uccisione, ma anche al drammatico ritrovamento di 118 cadaveri.

Questo l’episodio più grave. Ma il terrore è durato per molte ore, nel corso delle quali si sono temute ulteriori azioni. E lo stato d’allerta, a cui ha fatto seguito la mobilitazione di oltre 1500 unità dell’esercito francese, ha riguardato molti punti del centro parigino. E di conseguenza il sangue e il numero di vittime è salito. 18 al bar La Belle Equipe, 15 a bar Le Carillon e al ristorante Le Petit Cambodge, 5 alla pizzeria La Casa Nostra, 3 all’esterno dello Stade France, dal cui interno, nel corso della partita amichevole Francia-Germania, sono stati uditi tre forti boati causati da altrettante esplosioni. Sull’altro fronte, oltre ai tre terroristi uccisi al Bataclan, sette si sono fatti esplodere.

Il presidente francese Francoise Hollande, presente alla partita, è stato fatto subito uscire per motivi di sicurezza e ha convocato un Consiglio dei Ministri straordinario. Nel discorso a rete unificate, il Capo di Stato ha chiesto ai parigini di aprire le loro case e di non fare mancare la solidarietà verso chi è stato coinvolto in questa serie di attentati. Ha dichiarato lo stato d’allerta alfa e annunciato la parziale chiusura e l’intensificazione dei controlli alle frontiere (nella mattinata è stato chiuso il valico del Monte Bianco che collega Italia e Francia).

“Nel momento in cui vi parlo sono in corso attacchi terroristici senza precedenti nella zona di Parigi. E’ una terribile prova che ancora una volta ci colpisce. Dobbiamo dare prova di sangue freddo. La Francia di fronte al terrore deve essere forte e grande. Rinforzi militari convergono sulla regione di Parigi per evitare nuovi attentati” , ha dichiarato Hollande.

 

Giacomo Pratali

Egitto: elezioni di facciata

Medio oriente – Africa di

Dopo il primo turno delle elezioni legislative che hanno sancito una netta e prevedibile vittoria del partito “Per amore dell’Egitto” del presidente Fattah al Sisi e, al contempo, un’affluenza ferma a meno del 25%, martedì 27 ottobre gli egiziani sono tornati alle urne per il ballottaggio riservato agli oltre 200 candidati non eletti il 17 e 18 ottobre.

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Secondo gli analisti locali ed internazionali, la popolarità di al Sisi andrebbe misurata in base all’affluenza elettorale: pertanto, la misura del consenso per l’ex generale è palese. Dopo la rivoluzione e le elezioni del 2012, sancite dalla vittoria del candidato dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi, l’Egitto è tornato a rieleggere il proprio parlamento. La sete di libertà della maggioranza del popolo egiziano, testimoniata dalla rivoluzione del 2011, è stata però fermata dall’attuale regime.

Quasi l’80% dei 55 milioni aventi diritto, infatti, è rimasto a casa nella prima tornata per le azioni illiberali di al Sisi. Salito al potere nel 2014 dopo il golpe in cui è stato destituito Morsi, l’attuale leader dell’Egitto ha bollato i Fratelli Musulmani come organizzazione terroristica, facendo arrestare e condannare a morte l’ex presidente stesso e i leader di questo movimento.

A questo, si aggiunge l’entrata in vigore della nuova costituzione. Se a prima vista contiene alcuni principi liberali, come la eleggibilità per massimo due mandati consecutivi e l’apertura alle minoranze pur mantenendo l’Islam come religione di Stato, un’analisi in profondità mette a nudo la subalternità dell’assemblea legislativa rispetto al presidente, chiamata ad approvare i decreti del capo dello Stato.

In più, le grandi opere, l’apertura ai capitali esteri e l’interventismo in Libia per accattivarsi i consensi presso la comunità internazionale, tre motivi del paragone con Nasser, contrastano con la totale mancanza di welfare e la vicinanza de facto all’ex presidente Hosni Mubarak.

In attesa dell’affluenza e dell’esito del ballottaggio, il primo turno fornisce ulteriori indicazioni sullo stato di salute dell’Egitto. Oltre alla già citata scarsa partecipazione degli elettori, la tornata del 17 e 18 ottobre scorso ha consentito al partito di al Sisi di portare a casa 60 seggi su 60. Mentre, il “Partito degli egiziani liberi” del magnate delle telecomunicazioni Naguib Sawiris e di presunto stampo laico e liberale, che ospita, assieme all’alleato “Per amore dell’Egitto”, alcuni esponenti dell’ex regime di Mubarak, ha eletto subito 5 candidati, mentre 65 sono andati al secondo turno.

“Non è stato facile creare un partito forte senza l’ingerenza del governo. Per noi la coalizione non ha alcuna importanza, sono loro che ci hanno chiesto di entrare per avere più credibilità”, ha affermato Sawiris a Le Monde.

Ottimi risultati, poi, di “Per il futuro della nazione”, formazione politica composta da giovani collegati al golpe del 2013, per i liberali del WAFD. Sconfitta, invece, per “Al Nour”, unico partito in gioco dichiaratamente islamista dopo l’uscita di scena dei “Fratelli Musulmani”, che ha minacciato più volte di ritirarsi a causa di presunti brogli.

Dopo il ballottaggio, l’altra tornata elettorale si terrà il 22 e 23 novembre. Mentre i risultati saranno resi pubblici a dicembre. Tuttavia, l’esito certo è che, dopo la Primavera Araba e la presidenza Morsi, l’Egitto è tornato ad un regime simile a quello di Mubarak, tormentato però dalla presenza ormai stabile di organizzazioni islamiste affiliate al Califfato e operanti soprattutto nella regione del Sinai.
Giacomo Pratali

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Libia: sì al governo di unità nazionale

Il governo di unità nazionale libico si farà. L’accordo, raggiunto nella tarda serata di giovedì 8 ottobre, è stato firmato da tutte le fazioni in gioco, compreso l’esecutivo di Tripoli, il quale, dopo molte reticenze, ha detto sì alla bozza del 21 settembre scorso avallata dalle altre parti in gioco. Il ruolo di Primo Ministro, secondo quanto annunciato dal delegato Onu Bernardino Leon, dovrebbe spettare a Fayez Serray, ex Ministro della Casa in uno degli esecutivi del dopo Gheddafi.

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“Esprimiamo la nostra gioia perché c’è almeno una chance – ha affermato Leon -. Secondo le agenzie Onu, 2,4 milioni di persone sono in una grave condizione umanitaria. A tutti loro vanno le nostre scuse per non essere stati capaci di proporre prima questo governo”.

Dopo circa un anno di trattative pronte a naufragare da un momento all’altro, Leon, a fine incarico in Libia, è riuscito a portare a termine l’accordo tanto atteso. Pur con i distinguo da parte delle ali estreme dei due esecutivi, i governi di Tobruk e Tripoli si sono impegnati a scegliere il futuro Consiglio dei Ministri. Mentre le Nazioni Unite hanno già nominato i tre vicepresidenti che comporranno, assieme al premier, il Consiglio di Presidenza.

Moussa Kony, indipendente e proveniente da Fezzan. Ahmed Maemq, membro del Congresso Generale Nazionale di Tripoli. Fatj Majbari, proveniente dalla Cirenaica ma non fedele al generale Khalifa Haftar.

La comunità internazionale ha accolto con soddisfazione l’accordo. Adesso, si apre la fase della formazione del governo e del possibile intervento militare, sotto l’egida delle Nazioni Unite e a possibile guida italiana, contro lo Stato Islamico: “Ora i partiti libici sostengano l’intesa che va incontro alle aspettative del popolo libico, nel cammino verso la pace e la prosperità. L’Ue -ha annunciato- è pronta a offrire un immediato e concreto sostegno finanziario di 100 milioni di euro al nuovo governo”, ha annunciato l’alto rappresentante Ue Federica Mogherini.

Mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon auspica che “non venga sprecata questa opportunità per mettere il Paese sulla strada della costruzione di uno stato che rifletta lo spirito e le ambizioni della rivoluzione 2011″.

Sulla stessa lunghezza d’onda, il ministro degli Affari Esteri italiano Paolo Gentiloni, il quale ha espresso “soddisfazione per il risultato conseguito  nella notte dalle delegazioni delle formazioni libiche. Si tratta di un’importante tappa del percorso verso l’auspicabile creazione di un governo di unità nazionale. Ora è fondamentale che  tutte le parti approvino l’intesa raggiunta questa notte e procedano alla firma dell’accordo”.  – ha detto  il Ministro –  “L’Italia, nel riconoscere l’incessante sforzo compiuto dall’inviato delle Nazioni Unite, Bernardino Leon –  ha concluso Gentiloni –  continuerà a dare il suo sostegno alle prossime tappe verso la pace e la stabilità della Libia”.

Giacomo Pratali

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Nigeria-Libia: viaggio di sola andata

Medio oriente – Africa di

La Multi National Joint Task Force ha annunciato il dispiegamento di quasi 9000 unità contro Boko Haram, dopo le 200 vittime nelle ultime due settimane. Lo stesso Boko Haram è pronto a supportare i miliziani del Daesh a Sirte.

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8700 soldati dispiegati contro Boko Haram. È quanto annunciato lo scorso 26 agosto dalla coalizione africana Multi National Joint Task Force, composta Nigeria, Camerun, Ciad, Niger e Benin. Soprattutto i primi tre Paesi, sono sempre più il bersaglio dell’organizzazione islamista affiliata all’Isis.

Un provvedimento che potrebbe essere tardivo. Nello Stato di Borno, tornato ad essere l’epicentro degli scontri tra milizie regolari e truppe islamiste, sono state oltre 200 le vittime civili nelle ultime due settimane. Una risposta alle altrettante persone liberate dall’esercito nigeriano nello stesso arco di tempo.

Ma c’è un altro fronte. Oltre ai profughi in fuga da questi continui massacri e diretti verso la Libia, c’è un’altra rotta che porta allo Stato nordafricano: quella dei combattenti di Boko Haram, arrivati a Sirte per dare manforte ai miliziani del Daesh. Come riportato da molti media internazionali, le fonti libiche hanno stimato che “200 combattenti nigeriani sarebbero pronti ad unirsi alle truppe dell’Isis”.

Dallo Stato di Borno, passando per il Lago Ciad e il sud del Camerun, fino ad arrivare a Sirte. La rete del Califfato si sta allargando a macchia d’olio e non appare più sporadica sulle carte geografiche. E la modalità del terrore, già testimoniata nei villaggi nigeriani, ciadiani e camerunensi, è la medesima a Sirte. Solo pochi giorni fa, il leader spirituale dello Stato Islamico Hassan al Karami aveva fatto il seguente annuncio choc nel corso di un sermone nella moschea di Rabat: “Decapiteremo i ribelli dell’opposizione dopo la preghiera del venerdì, gli abitanti di Sirte consegnino le loro figlie ai combattenti che le sposeranno”.

Parole dure. Parole che sono la testimonianza di quanto l’organizzazione di al Baghdadi si sia radicata nella città di Sirte da giugno ad oggi. Moschee, istituzioni e media sono nelle loro mani. E le vittime, esponenti di Fajr Libia, delle Brigate di Misurata e di altri gruppi libici, testimoniano quanto la mancanza di unione nazionale alla Libia faccia il giorno dello Stato Islamico.
Giacomo Pratali

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Accademia della Crusca: cyberattacco a ritmo di rap

Difesa/EUROPA di

Attacco informatico alla storica istituzione per la salvaguardia della lingua italiana, nata nel ‘500. Le indagini della Digos non hanno ancora chiarito se sia stato opera di simpatizzanti dello Stato Islamico.

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“Quando America e Iran uccidono i musulmani, in Iraq, Palestina, Afganistan e Vietnam nessuno sente il latrato dei media. Ma quando lo Stato Islamico arriva per difenderci… Tu incontri le alleanze. E ti troverai di fronte i kamikaze. Io difendo la mia religione, i miei fratelli e le mie sorelle. Perché i nostri governi sono i veri terroristi. Con il suo supporto o il suo silenzio. Questa guerra è appena cominciata e noi vinceremo a Dio piacendo.”

Con questo rap intitolato “Are you human ?”, sabato 8 Agosto è stato attaccato il sito dell’Accademia della Crusca. Il Presidente dell’antica istituzione, Claudio Marazzini, ha dichiarato di essere venuto a conoscenza dell’attacco grazie ad una telefonata di un giornalista de La Nazione, che lo ha avvisato. Dopo aver ripristinato il sito, l’attacco è stato reiterato e la pagina è riapparsa la domenica.

Il manifesto, con le classiche immagini che richiamano allo Stato Islamico, era a firma di Phenomen DZ, riportando due link: il primo ad una pagina Facebook che risultava però irraggiungibile. Il secondo ad un account twitter @phenodz. Altre firme di gruppi hacker erano riportate.

Phenomen DZ risulta aver condotto una lunga serie di attacchi informatici in diversi paesi, fra cui Francia Belgio e Russia. Questi i fatti di cronaca, fra i quali si registrano anche le indagini a cura della Digos. Non è ancora chiaro se l’attacco sia veramente opera di soggetti isolati o gruppi che supportano lo Stato Islamico oppure no.

Un altro interrogativo concerne l’obiettivo in sé: la Crusca è una delle più antiche istituzioni europee, nata in Toscana nel 1538, dunque in pieno Rinascimento, per salvaguardare la lingua. Il nome rimanda proprio all’obiettivo di discernere la crusca dalla farina, garantendo la purezza della lingua. Dopo alterne vicende, con l’Unità d’Italia diviene depositaria del compito di stabilire una sorta di “canone” linguistico per l’italiano moderno.

Composta da accademici di varia estrazione e provenienza, svolge un prezioso ruolo culturale di interesse pubblico. Tuttavia (purtroppo), non sembra avere un ruolo simbolico così forte, come potrebbe essere per l’Academie Francaise, tale da giustificare un attacco teso a colpire il governo e al paese.

Questa considerazione apre la strada ad altri filoni di indagine, non necessariamente collegati al terrorismo e all’Isis, che potrebbe essere stato utilizzato come paravento. Di sicuro non è un fenomeno da sottovalutare, rappresentando una goccia nel mare agli attacchi informatici che quotidianamente assediano i siti delle istituzioni, con lo scopo di screditare e colpire l’Italia.

Toccherà agli inquirenti stabilire la gravità di questo attacco.
Leonardo Pizzuti

 

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Libia: pronto il piano d’intervento

Appello dei governi di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Stati Uniti dopo le stragi di Sirte per mano dei miliziani. In attesa dell’auspicata adesione di Tripoli al governo di unità nazionale, emergono alcuni dettagli sul piano d’azione a guida italiana in Libia: costruzione e protezione delle infrastrutture, missione di peace-keeping dei caschi blu, addestramento delle truppe regolari.

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Oltre 200 morti e almeno 500 feriti a seguito degli scontri avvenuti nell’ultima settimana a Sirte. Il susseguirsi delle stragi per mano dei miliziani affiliati all’Isis ha lasciato dietro di sé una scia di sangue e orrore. Crimini, come la crocifissione di 12 miliziani salafiti o i 22 pazienti di un ospedale morti a seguito di un incendio appiccato dai jihadisti, che hanno fatto gridare al “genocidio” il governo di Tobruk.

“Siamo profondamente preoccupati dalle notizie che parlano di bombardamenti indiscriminati su quartieri della città densamente popolati e atti di violenza commessi al fine di terrorizzare gli abitanti – afferma il comunicato congiunto dei governi di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Stati Uniti -. Facciamo appello a tutte le fazioni libiche che desiderano un Paese unificato e in pace affinché uniscano le proprie forze per combattere la minaccia posta da gruppi terroristici transnazionali che sfruttano la Libia per i loro scopi”, conclude la nota.

La necessità del governo di unità nazionale, auspicata dalla comunità internazionale, è quanto mai di attualità. Le Nazioni Unite attendono con ansia la decisione di Tripoli, dopo l’accordo tra le restanti fazioni del Paese. C’è un piano da attuare per frenare l’avanzata dell’Isis in Libia.

Già da mesi, si mormora di un intervento militare a guida italiana e sotto l’egida dell’Onu. Un piano d’azione già redatto dalla Farnesina e su cui sta lavorando alacremente lo stesso Bernardino Leon, ancora più indispensabile dopo la conquista di Sirte, le stragi a ripetizione e l’emergenza migratoria.

Come emerso nelle ultime ore, questo piano d’azione riguarda la fase successiva alla costituzione del governo di unità nazionale. In primis, tale esecutivo dovrebbe fare richiesta ufficiale di aiuti internazionale. Così, potrebbe scaturire il sostegno finanziario, ma soprattutto militare, indispensabile per stabilizzare la Libia e contrastare lo Stato Islamico.

Oltre che ai sussidi per la costruzione di infrastrutture come strade e aeroporti, oltre alla protezione degli impianti petroliferi e gasiferi, il clou di questo piano sarebbe l’intervento sul campo dei caschi blu Onu come forza di peace-keeping e l’addestramento delle truppe dell’esercito regolare libico.

L’abbattimento dei flussi migratori verso Italia e Grecia e la sconfitta dell’Isis passano, perciò, attraverso una stabilizzazione istituzionale, politica ed economica della Libia, come spiegato dal ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni: “L’accordo per un governo nazionale in Libia resta la sola possibilità affinché con il supporto della comunità internazionale si possa far fronte alla violenza estremista e al peggioramento quotidiano della situazione umanitaria ed economica del Paese”. Tripoli, dunque, deve sbrigarsi. Il tempo, oramai, stringe.

Giacomo Pratali

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Libia: l’accordo è monco

Primo passo nelle trattative per la costituzione di un esecutivo di unità nazionale, dirette dal mediatore Onu Leon. Il governo di Tobruk e i rappresentanti delle altre fazioni hanno ufficializzato il proprio consenso dopo mesi di trattative. Ma manca ancora l’adesione indispensabile di Tripoli.

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Domenica 12 luglio, è stato messo nero su bianco l’accordo per il governo di unità nazionale libico. A Skhirat (Marocco) il governo di Tobruk e i rappresentanti di Zintan, Misurata e di altre fazioni hanno sottoscritto il patto già nell’aria dal 3 luglio scorso. Un passo in avanti, visto il lungo lavoro del mediatore Onu Bernardino Leon. Ma un’intesa monca, visto che manca il consenso dell’esecutivo di Tripoli.

Le reazioni, tuttavia, sono state positive. Per Leon e e per i rappresentanti di Tobruk si tratta di “un primo ed importante passo verso la pace”. Mentre il governo italiano, attraverso il ministro degli Affari Esteri Gentiloni, saluta l’accordo come “un motivo di speranza e ci incoraggia a proseguire nell’impegno negoziale. Tocca adesso a Tripoli compiere un gesto importante e responsabile, aderendo all’accordo proposto dal Rappresentante Speciale ONU Bernardino Leon, con il pieno sostegno anche dell’Italia”, conclude il titolare della Farnesina.

Intanto, sul fronte interno, Derna, città portuale della Cirenaica, è ormai stata “persa dallo Stato Islamico”, come ha ammesso un miliziano dal volto coperto in un video diffuso sul web. Mentre gli Stati Uniti stessi, consapevoli dell’impasse politico-istituzionale del Paese, hanno deciso di rompere gli indugi e, in accordo con altri Stati africani, sarebbero pronti ad impiegare droni contro le roccaforti del Daesh in Libia. Sia il presidente Obama sia il premier della Gran Bretagna Cameron hanno evidenziato, nelle uscite pubbliche di questi giorni, che l’Isis si può sconfiggere. Ma, al tempo stesso, hanno entrambi escluso l’impiego di forze militari tradizionali a vantaggio di tecnologie che non implichino l’utilizzo diretto di truppe.
Giacomo Pratali

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Nigeria: 150 trucidati durante Ramadan

Boko Haram torna a colpire nello Stato di Borno. I fedeli sono stati massacrati perché ritenuti moderati. La coalizione africana arranca di fronte all’avanzata del Califfato, malgrado l’arresto di uno dei leader dell’organizzazione jihadista.

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150 morti a seguito di due attacchi dei miliziani di Boko Haram presso i villaggi di Mussaram e Kukawa, situati nello Stato di Borno, nel nord della Nigeria. I jihadisti hanno fatto fuoco contro i fedeli, impegnate nelle preghiere nei pressi delle due moschee dei due paesi. Così come sono stati massacrati donne e bambini, rimasti a casa a preparare il pasto serale della festa.

Già, festa. Perché questo è il mese del Ramadan. E la scelta degli uomini del Califfato di colpire in questo periodo così carico di significato per l’Islam non è casuale. Così come avvenuto in Kuwait, i jihadisti hanno massacrato questi fedeli perché ritenuti troppo moderati rispetto alla loro concezione dell’Islam.

Dal mese di giugno in poi, gli uomini di Boko Haram sono tornati alla carica e hanno riconquistato molti villaggi nel nord della Nigeria, oltre ad avere colpito anche a N’Djamena, capitale del Ciad. I successi iniziali della coalizione militare africana sembrano essere stati vanificati. E, nonostante pochi giorni fa sia stato arrestato Bahna Fanaye, uno dei leader della cellula terroristica e a capo di un imponente traffico d’armi, l’ombra del Califfato incombe su buona parte dell’Africa Occidentale.
Giacomo Pratali

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Egitto, Sinai: 70 soldati uccisi dall’Isis

Attaccati i check point dell’esercito. Almeno 30 miliziani sono rimasti uccisi. Guerriglieri e veicoli-bomba utilizzati nell’attentato. Il Cairo dichiara lo stato di guerra. L’azione terroristica è avvenuta a pochi giorni dall’uccisione del Procuratore Generale.

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“L’Egitto è in guerra”. Queste le parole del governo egiziano dopo gli attentati, verificatisi all’alba di mercoledì 1° luglio, presso la cittadina Sheikh Zuweld, nel Sinai. Il bilancio provvisorio parla di 70 soldati morti e almeno 30 perdite tra i terroristi. L’offensiva del gruppo “Provincia del Sinai”, affiliato allo Stato Islamico dal novembre 2014, ha visto i miliziani condurre un attacco combinato guerriglieri più autobombe contro le cinque postazioni delle truppe regolari.

Non è la prima volta che nella regione orientale dell’Egitto si verificano attacchi di questo genere. Ma stavolta i jihadisti sembrano avere affinato la propria tecnica. Mentre l’esercito, fermo anche in questo caso nelle proprie postazioni fisse, non sembra avere adottato nessuna contromisura negli ultimi mesi.

Il governo del Cairo ha risposto bombardando i guerriglieri con i propri cacciabombardieri F16. Tuttavia, sembra una risposta tardiva ad un attacco prevedibile. Soprattutto alla luce di quello che è accaduto pochi giorni fa, quando il Hisham Barakat, Procuratore Generale dell’Egitto, è rimasto ucciso dopo un attacco bomba mentre era a bordo del proprio veicolo nel centro della Capitale.

Le dichiarazioni e soprattutto i processi contro i nemici di Al Sisi, a cominciare dal presidente deposto Morsi, hanno scatenato una guerra su più fronti all’interno dell’Egitto. Dentro le città, a partire da Il Cairo, dove cellule terroristiche operano. Nel Sinai, luogo storicamente instabile (vedi le misure governative contro l’etnia dei Beduini a cavallo tra gli anni ’90 e i 2000), dove i miliziani della Provincia del Sinai hanno messo su un’organizzazione militare e strategica ispirata a quella dei mujahideen: taglio delle comunicazioni, attacchi combinati, manovre diversive. Vista l’instabilità di questa regione, Israele ha deciso di chiudere le frontiere.

Infine, il governo italiano ha emesso un comunicato in cui esprime la propria vicinanza “al popolo e al governo egiziano di fronte ai gravissimi attacchi terroristici che hanno provocato decine di vittime. L’Egitto è un pilastro di stabilità nella regione e l’escalation della minaccia terroristica non riuscirà a piegare la determinazione del popolo e del governo”.
Giacomo Pratali

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Francia, Valls: “Impariamo a convivere col terrorismo”

BreakingNews/EUROPA di

Un intero Paese sotto choc. Il presidente Hollande conferma che il responsabile dell’attentato alla fabbrica vicino a Lione è stato arrestato. Si tratta di Yassin Salhi, uomo di origine marocchina. Il colpevole si è scattato una foto assieme al cadavere dell’imprenditore decapitato.

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“Non abbiamo dubbi che volessero far saltare l’intero complesso industriale ma non dobbiamo cedere alla paura”. Queste le parole del presidente francese Hollande all’indomani dell’attentato presso una fabbrica a pochi chilometri da Lione, in cui l’imprenditore è stato decapitato. “Dobbiamo imparare a convivere con il terrorismo”, ha invece denunciato il primo ministro Valls.

Intanto, il responsabile dell’azione terroristica, Yassin Salhi, è stato arrestato e ha confessato di avere ucciso il proprio capo, Hervè Cornara. Mentre sul cellulare dell’uomo di origine marocchina è stata ritrovata una foto scattata assieme al cadavere decapitato e le insegne del Daesh accanto. In stato di fermo anche la moglie dell’uomo. Ancora caccia, invece, all’altro presunto responsabile, forse di nazionalità siriana.

Salhi è stato poi trasferito nella sede dell’antiterrorismo a Parigi. Pur senza precedenti penali, l’attentatore era comunque stato schedato nel 2006 perché sospettato di essere vicino ad un movimento di matrice salafita.

Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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