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Vertice tra UE e Giappone per una risposta congiunta al Covid-19

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Il 26 maggio, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen e il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, hanno tenuto una videoconferenza con il Primo ministro giapponese Shinzō Abe. I leader hanno affrontato la questione della risposta alla pandemia da Covid-19 evidenziando l’importanza della solidarietà globale, della cooperazione e del multilateralismo e hanno convenuto sulla necessità di trarre insegnamenti dall’attuale situazione globale al fine di prevenire future pandemie nonché i loro effetti. “Il nostro incontro invia due messaggi importanti: in primo luogo il partenariato UE-Giappone è molto forte e vivace. E in secondo luogo, stiamo lavorando molto duramente insieme per affrontare questa crisi COVID-19” queste le parole del Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.

L’impegno congiunto

Il Giappone è uno dei partner più affini dell’Unione europea. Il partenariato strategico UE-Giappone si basa su una cooperazione di lunga durata, valori e principi condivisi come la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani, il buon governo, il multilateralismo e le economie di mercato aperte. Ai sensi dell’accordo di partenariato strategico, l’UE e il Giappone stanno rafforzando le loro relazioni in una vasta gamma di settori, dalla cooperazione politica rafforzata al commercio e agli investimenti, dallo sviluppo alla trasformazione digitale, dall’azione per il clima alla ricerca e innovazione, e dalla cooperazione in materia di sicurezza alla crescita sostenibile.

Il 26 maggio, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel ed il Primo Ministro giapponese Shinzō Abe, in videoconferenza, facendo leva sull’iniziativa dell’Unione europea che recentemente ha riscosso molto successo, quella della “Risposta globale al coronavirus” avviata il 4 maggio, hanno ribadito il loro impegno per la collaborazione globale nell’ambito dell’emergenza attuale, sostenendo finanziamenti per lo sviluppo e l’implementazione di efficaci medicinali antivirali, strumenti per la diagnostica, trattamenti e vaccini, al fine di renderli disponibili a tutti ad un prezzo accessibile. I leader hanno confermato che sia il Giappone che l’UE sono impegnati per frenare la diffusione della pandemia da Covid-19, proteggere le vite e mitigare le conseguenze sociali ed economiche, in linea con i loro principi e valori democratici, i diritti umani, lo stato di diritto e il principio di non discriminazione. Al fine di prevenire future pandemie, i leader hanno sottolineato l’importanza di rafforzare le capacità di preparazione e risposta, di condividere le informazioni in modo libero, trasparente e rapido e di migliorare la risposta internazionale anche attraverso organizzazioni internazionali pertinenti, come l’OMS, attingendo insegnamenti tratti dalle attuali risposte globali. Durante la videoconferenza è stato ribadito il ruolo dell’OMS nel coordinare la lotta contro la pandemia di Covid-19 ed è stato accolta con favore la risoluzione recentemente adottata in occasione della 73a Assemblea mondiale dell’Organizzazione che ha richiesto al Direttore generale di avviare, al più presto, un processo graduale di valutazione imparziale, indipendente e completa per rivedere l’esperienza acquisita e le lezioni apprese nell’ambito della risposta sanitaria coordinata ed internazionale al COVID-19.

Cooperazione e multilateralismo

Illustrando l’impegno congiunto dell’UE e del Giappone per accelerare la cooperazione in materia di ricerca, il Commissario europeo per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel e il Ministro dello giapponese per la politica scientifica e tecnologica, Naokazu Takemoto, hanno firmato a margine della videoconferenza, una lettera di intenti sul rafforzamento della cooperazione scientifica, tecnologica e innovativa. L’intesa include la collaborazione tra il programma giapponese di ricerca e sviluppo “Moonshot” e il programma “Horizon Europe” dell’UE. Giappone e Unione europea stanno promuovendo il coordinamento globale in vari consessi internazionali come il G7, il G20 e il sistema delle Nazioni Unite e sono impegnati ad assistere i paesi vulnerabili e le comunità bisognose.

I Presidenti von der Leyen e Michel e il Primo Ministro giapponese Abe hanno sottolineato altresì la loro determinazione a garantire una solida ripresa economica ed a ricostruire economie più sostenibili, inclusive e resilienti, in linea con l’Agenda 2030, gli obiettivi di sviluppo sostenibile e l’accordo di Parigi. I leader hanno poi sottolineato la necessità di assistere i paesi in via di sviluppo nella loro risposta al coronavirus, ad esempio attraverso il pacchetto di sostegno “Team Europe” di oltre 20 miliardi di euro. Al centro delle discussioni vi sono state anche le conseguenze geopolitiche della pandemia da coronavirus ed è stato ribadito l’impegno a sostenere l’ordine internazionale basato sul diritto e a rafforzare la cooperazione in settori quali la sicurezza informatica, la lotta alle minacce ibride e l’antiterrorismo. I leader hanno poi condiviso la preoccupazione che la diffusione del virus possa intensificare alcuni conflitti regionali e rendere più difficile la protezione della popolazione civile. Pertanto, hanno sostenuto la richiesta del Segretario Generale delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco globale nell’ambito della pandemia di COVID-19 e hanno insistito sul rispetto dei principi umanitari. Leggi Tutto

Il piano di Francia e Germania per la ripresa dell’economia europea

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Il 18 maggio, i governi di Francia e Germania hanno presentato un ambizioso piano congiunto per la condivisione in Europa dei costi della crisi dovuta alla diffusione del Covid-19. In una videoconferenza la Cancelliera tedesca, Angela Merkel ed il Presidente francese, Emmanuel Macron, hanno annunciato varie proposte per aiutare l’UE ad uscire dalla crisi attuale, la più importante delle quali è la creazione di un “fondo per la ripresa” europeo-Recovery fund- dal valore di 500 miliardi di euro, finanziato da emissioni di debito comune. Dopo mesi di negoziazioni difficili in cui la posizione del blocco di paesi dell’Europa settentrionale, guidati dalla Germania, si opponeva a quella dei Paesi dell’Europa meridionale, guidati dalla Francia, si aprono nuovi scenari.

Un compromesso concreto

Quello raggiunto da Francia e Germania è il primo compromesso concreto per la condivisione del debito europeo, dopo le varie proposte circolate nelle ultime settimane e parzialmente discusse in seno all’ultimo Consiglio europeo, l’organo dell’Unione Europea che comprende i capi di stato e di governo degli Stati membri. Si tratta di un passo importante per la tanto discussa creazione degli eurobond, nonché del tentativo più significativo di affrontare la crisi economica congiuntamente a livello europeo e non unilateralmente da parte dei singoli stati.

La Cancelliera tedesca, Angela Merkel ed il Presidente francese, Emmanuel Macron hanno presentato il piano in una videoconferenza in cui hanno sottolineato la necessità di aiutare i paesi ed i settori economici maggiormente colpiti dalla crisi e l’importanza di farlo rafforzando l’Unione europea, creando un’unione più forte e coesa. Le proposte riguardano la creazione di un fondo per la ripresa europeo, una maggiore cooperazione tra i Paesi dell’UE in ambito sanitario, al fine di avere strategie comuni in caso di emergenza e una maggiore collaborazione nella ricerca e nella produzione di vaccini, maggiori investimenti per la digitalizzazione e per il rilancio del Green Deal europeo, nonché uno sforzo congiunto per rafforzare il mercato unico europeo e la libera circolazione tra i Paesi membri.

Il fondo per la ripresa

Il fondo per la ripresa, con un valore di 500 miliardi di euro, finanziato da emissioni di debito comune, rappresenta la proposta più rilevante del piano Merkel-Macron. Il fondo permetterebbe all’UE di avere uno strumento da poter impiegare a breve termine per sostenere la ripresa dall’attuale crisi dovuta al coronavirus ed al contempo pone al centro il bilancio settennale dell’UE per il 2021-2027.

A differenza del MES, il fondo proposto dalla Francia e dalla Germania, non prevederebbe prestiti da parte dell’Unione ai paesi in maggiore difficoltà, bensì sussidi a fondo perduto, da impiegare direttamente per sollevare l’economia europea. Affidato alla Commissione europea e finanziato a partire dai mercati finanziari a nome dell’Unione europea-costituendo dunque un debito pubblico comune- il fondo sarebbe ripagato equamente da tutti gli Stati membri negli anni successivi. Il meccanismo di finanziamento sarebbe così simile a quello discusso per i cosiddetti eurobond-i “titoli di stato europei” invocati dai paesi dell’Europa meridionale per aiutare le economie dei paesi più colpiti dalla pandemia- che aveva trovato, tuttavia, l’opposizione da parte dei paesi dell’Europa settentrionale, Germania compresa. Si tratta, infatti, della prima volta in cui la Germania sostiene la possibilità di creare debito pubblico comunitario. Infine, rileva che il fondo proposto da Merkel e Macron avrebbe un valore minore rispetto a quanto chiesto in passato- si era, infatti, parlato di 2.000 miliardi di euro- e nella nuova proposta la gestione spetterebbe alla Commissione europea e non direttamente agli stati membri, come ipotizzato inizialmente.

La Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha accolto con interesse la proposta: “Accolgo con favore la proposta costruttiva fatta da Francia e Germania. Riconosce la portata e le dimensioni della sfida economica che l’Europa deve affrontare e giustamente pone l’accento sulla necessità di lavorare su una soluzione con il bilancio europeo al centro” ha dichiarato.

La controproposta dei “frugal four”

I due leader hanno dichiarato di essere giunti alla proposta dopo aver discusso a lungo sia con i Paesi dell’Europa meridionale che con quelli dell’Europa settentrionale. In tale ottica, il fondo si pone come un compromesso da cui partire per trovare un accordo tra tutti gli Stati membri dell’UE: il passaggio dal meccanismo di prestiti a quello dei sussidi dovrebbe trovare l’approvazione di paesi come Italia e Spagna, mentre le dimensioni ridotte del fondo per la ripresa e la gestione da parte della Commissione europea rappresenteranno una garanzia per i paesi scettici agli eurobond come Olanda ed Austria. Tuttavia, dopo la proposta franco-tedesca, proprio l’Austria si è posta come leader dell’opposizione dei “frugal four”- Austria, Danimarca, Olanda e Svezia- mostrando ostilità al piano di Merkel e Macron e con l’obiettivo di tornare all’originaria proposta del meccanismo di prestiti e scongiurare l’allargamento del budget europeo 2021-2027. Il Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, ha, così, annunciato che lavorerà ad una controproposta rispetto al piano franco-tedesco insieme agli altri paesi del “club dei frugali”. La proposta dovrebbe essere presentata in tempi stretti e comunque prima del 27 maggio, la data di presentazione del “vero” fondo per la ripresa da parte della Commissione, l’istituzione incaricata di fare sintesi fra le posizioni dei vari paesi in un’unica proposta.

La posizione dell’Italia e dell’Europa meridionale

All’estremo opposto dei “frugal four” vi sono i Paesi che invocano proprio la misura più avversata dal gruppo guidato da Kurz: uno sforzo comune per l’Unione europea, che si concretizza nel sostegno alla mutualizzazione del debito sotto forma di bond emessi a livello comunitario. Tra questi, l’Italia, tramite il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha ricordato di aver inviato una lettera al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in favore dei cosiddetti coronabond e di aver ottenuto l’adesione di otto paesi: Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna. Conte ha invitato la Commissione europea a dar vita ad un piano ancora più ambizioso di quello prospettato da Merkel e Macron, in quanto la loro proposta non esplicita la dimensione attesa per il recovery fund. Quanto alla modalità di erogazione degli aiuti, il Presidente del Consiglio italiano ha insistito sul ricorso ai “grants”, le sovvenzioni, criticando gli stereotipi sulla spaccatura Nord-Sud Europa ed evidenziando come la caduta verticale dell’economia Ue richieda una risposta congiunta ed immediata dei 27.

 

 

 

 

 

 

Turismo e trasporti: il pacchetto della Commissione europea per il rilancio del settore

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Il 13 maggio la Commissione europea ha presentato un pacchetto di orientamenti e raccomandazioni per aiutare gli Stati membri dell’UE, dopo mesi di lockdown, ad eliminare gradualmente le restrizioni ai viaggi, consentire la riapertura delle imprese turistiche e rilanciare il settore turistico europeo, nel rispetto delle precauzioni sanitarie. L’obiettivo è garantire che l’Europa continui ad essere la prima destinazione dei turisti. “L’Europa sta riaprendo, passo dopo passo. Oggi la Commissione europea fornisce indicazioni su come riprendere a viaggiare in modo sicuro e responsabile e rimettere in piedi il turismo europeo” ha scritto su Twitter la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

Misure per turisti e viaggiatori

La libera circolazione e gli spostamenti transfrontalieri sono fondamentali per il turismo e rappresentano un pilastro fondamentale dell’Unione europea. Man mano che gli Stati membri riusciranno a limitare la diffusione del Covid-19, le restrizioni generalizzate alla libera circolazione dovrebbero essere sostituite da misure più mirate. Qualora la situazione sanitaria non giustifichi un’eliminazione generalizzata delle restrizioni, la Commissione europea propone un approccio graduale e coordinato che inizi con l’eliminazione delle restrizioni tra zone o Stati membri che presentano situazioni epidemiologiche sufficientemente simili. L’approccio deve, inoltre, essere flessibile e comprendere la possibilità di reintrodurre determinate misure restrittive qualora la situazione epidemiologica lo richieda. Nel dettaglio, gli Stati membri dovrebbero agire sulla base di tre criteri: epidemiologico, focalizzandosi nelle zone in cui la situazione sanitaria è in miglioramento, in virtù degli orientamenti del Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie nonché con l’ausilio della relativa mappa regionale; capacità di applicazione di misure di contenimento durante i viaggi, ivi comprese cautele e misure ulteriori nei casi in cui sia difficile garantire il distanziamento sociale; considerazioni di natura economica e sociale, dando priorità in un primo momento agli spostamenti transfrontalieri nelle principali zone di attività.

Di particolare importanza è il principio di non discriminazione: uno Stato membro che decida di consentire i viaggi nel proprio territorio o in regioni e zone specifiche all’interno del proprio territorio dovrebbe farlo in modo non discriminatorio e consentendo i viaggi da ogni zona, regione o paese dell’UE che presenti condizioni epidemiologiche simili. Le restrizioni devono, dunque, essere eliminate senza discriminazioni, per tutti i cittadini dell’UE e per tutti i residenti dello Stato membro interessato, indipendentemente dalla cittadinanza.

 

Gli orientamenti, presentanti dalla Commissione europea il 13 maggio, illustrano principi generali per il ripristino sicuro e graduale del trasporto dei passeggeri per via aerea, ferroviaria, stradale e per vie navigabili. A tal proposito la Commissione ha formulato una serie di raccomandazioni, quali ad esempio la necessità di limitare il contatto tra i lavoratori del settore e i passeggeri, nonché tra i passeggeri stessi, e la riduzione, qualora possibile, della densità dei passeggeri. Inoltre, è stato stabilito un quadro comune che fissa i criteri per la ripresa graduale e in sicurezza delle attività turistiche e sviluppa protocolli sanitari per gli alberghi e gli altri tipi di strutture ricettive con l’obiettivo di proteggere la salute degli ospiti e dei dipendenti.

Gli Stati membri, con il sostegno della Commissione, hanno altresì concordato gli orientamenti per garantire l’interoperabilità transfrontaliera delle applicazioni di tracciamento, in modo che i cittadini possano essere allertati in caso di potenziale contagio da coronavirus anche quando viaggiano nell’UE. I requisiti di queste applicazioni sono volontarietà, trasparenza, carattere temporaneo, cibersicurezza, uso di dati anonimizzati e della tecnologia Bluetooth, interoperabilità transfrontaliera e tra sistemi operativi.

Ai sensi della normativa UE, in caso di annullamento di titoli di trasporto o di pacchetti turistici, i viaggiatori hanno il diritto di scegliere tra ricevere dei buoni o il rimborso in denaro. Confermando questo diritto, la raccomandazione della Commissione mira al tempo stesso a garantire che i buoni diventino un’alternativa valida e più attraente rispetto al rimborso per i viaggi annullati nel contesto dell’attuale pandemia, che ha comportato un grave onere finanziario anche per gli operatori turistici. I buoni dovrebbero essere protetti in caso di insolvenza di chi li ha emessi, avere un periodo minimo di validità di 12 mesi ed essere rimborsabili dopo al massimo un anno, se non utilizzati. Dovrebbero inoltre offrire flessibilità sufficiente, consentire ai passeggeri di viaggiare sulla stessa tratta alle stesse condizioni di servizio, permettere ai viaggiatori di concludere un contratto per un pacchetto turistico con servizi dello stesso tipo o di qualità equivalente e dovrebbero anche essere trasferibili a un altro viaggiatore.

Misure per le imprese turistiche

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La commissione europea lancia la Riposta globale al coronavirus: 7,4 miliardi di euro raccolti

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Il 4 maggio la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha lanciato la “Riposta globale al coronavirus” una campagna di fundraising per garantire lo sviluppo collaborativo e la disponibilità universale di vaccini e di strumenti diagnostici e terapeutici nella lotta al Covid-19. La Commissione ha registrato impegni di finanziamento da tutto il mondo per un valore di 7,4 miliardi di € (8 miliardi di $). Il risultato sfiora l’obiettivo iniziale di 7,5 miliardi di € e costituisce un ottimo punto di partenza per la maratona mondiale di raccolta fondi che proseguirà fino a giugno. Un tentativo di leadership globale da parte dell’Unione europea nonché un tentativo di rilanciare la cooperazione e il multilateralismo nel contesto di una crisi economica e di un confinamento generalizzato.

 La Risposta globale al coronavirus

La campagna di fundraising per la “Risposta globale al coronavirus” è stata organizzata congiuntamente da Unione europea, Arabia Saudita-che detiene la presidenza di turno del G20-Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia-presidenza entrante del G20-Norvegia, Regno Unito e Spagna. L’iniziativa concretizza un impegno assunto dai leader del G20 il 26 marzo e fa seguito all’appello dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e di un gruppo di iniziatori operanti nel campo della salute che, dopo aver dato vita all’iniziativa ACT-Accelerator, hanno esortato ad instaurare una collaborazione planetaria per accelerare lo sviluppo, la produzione nonché un accesso equo nel mondo alle nuove tecnologie sanitarie essenziali per la lotta al coronavirus. La Risposta globale al coronavirus dovrà contribuire all’ACT-Accelerator ed allinearsi al relativo quadro. Nel dettaglio, la campagna è costituita da tre partenariati, basati sulle tre priorità della Risposta globale al coronavirus, che riuniscono il mondo dell’industria e della ricerca, fondazioni, autorità di regolamentazione e organizzazioni internazionali, secondo un’impostazione orientata alla catena del valore nel suo insieme: dalla ricerca alla produzione fino alla distribuzione. I tre partenariati opereranno quanto più autonomamente possibile, con un asse di lavoro trasversale dedicato al potenziamento della capacità dei sistemi sanitari e alla condivisione delle conoscenze e dei dati. Inoltre, il quadro collaborativo sarà limitato nel tempo-2 anni-ma sarà rinnovabile e farà leva sulle organizzazioni esistenti, senza creare nuove strutture.

La Commissione europea registrerà e terrà traccia degli impegni di finanziamento fino alla fine di maggio, ma non incasserà alcun pagamento. I fondi andranno direttamente ai destinatari, che non potranno però decidere da soli come impiegarli: il loro uso sarà stabilito di concerto con il partenariato. Nel rispetto degli impegni assunti, tutti i nuovi vaccini e strumenti diagnostici e terapeutici contro il coronavirus dovranno essere resi disponibili a livello mondiale a prezzi accessibili, indipendentemente dal luogo in cui sono stati sviluppati.

La Risposta globale dovrà coinvolgere anche la società civile ed i cittadini di tutto il mondo, motivo per cui la Commissione europea intende collaborare con ONG come Global Citizen e altri partner.

Risultati e prospettive future

L’evento di mobilitazione collettiva si è aperto con una videoconferenza di donatori che ha visto la partecipazione di oltre 40 paesi con le assenze significative, che non sono passate inosservate, di Stati Uniti e Russia. Gli Stati Uniti, infatti, lavorano da soli per trovare un vaccino entro la fine dell’anno. Ottenere il vaccino per primi ed in esclusiva: questo è l’obiettivo statunitense, reso evidente a partire da gennaio, quando il governo tedesco ha rivelato che l’amministrazione USA aveva provato ad acquisire un’azienda tedesca, la CureVac, proprio per conseguire tale obiettivo. Più volte nell’attuale crisi, così come in passato, l’attuale Casa Bianca ha dimostrato di non apprezzare il multilateralismo e nelle scorse settimane, Washington ha persino sospeso i suoi contributi all’OMS. L’altro grande assente, la Russia, ha disertato l’incontro sollevando ulteriori dubbi sulla sua gestione dell’emergenza sanitaria in corso. La Cina si è, invece, limitata ad aderire all’evento con la partecipazione del suo ambasciatore in Europa.

 

I leader del mondo presenti alla videoconferenza hanno pronunciato un breve discorso e hanno annunciato il proprio contributo alla raccolta. La Commissione europea ha registrato impegni di finanziamento da tutto il mondo per un valore di 7,4 miliardi di €. Si tratta dell’inizio di un processo che punta a mobilitare risorse ancora maggiori. L’obiettivo iniziale di 7,5 miliardi di € non sarà, infatti, sufficiente a garantire la distribuzione in tutto il mondo di tecnologie sanitarie contro il coronavirus, che comportano costi ingenti in termini di produzione, approvvigionamento e distribuzione. Il vertice mondiale sui vaccini organizzato da Gavi Alliance, in programma per il 4 giugno, mobiliterà ulteriori risorse affinché le generazioni future possano essere protette grazie ai vaccini. I donatori sono invitati a continuare ad assumere impegni di finanziamento a favore della campagna e hanno la possibilità di scegliere la priorità che desiderano sostenere – test, cure o prevenzione – ma anche fare una donazione a sostegno dell’asse di lavoro trasversale dell’iniziativa, che si prefigge di aiutare i sistemi sanitari di tutto il mondo ad affrontare la pandemia.

Il ruolo dell’UE

Quanto all’UE, per contribuire agli obiettivi della Risposta globale al coronavirus, ha stanziato 1 miliardo di € sotto forma di sovvenzioni e 400 milioni di € a garanzia dei prestiti, mediante la ridefinizione delle priorità di Orizzonte 2020 (1 miliardo di €), RescEU (80 milioni di €), dello strumento per il sostegno di emergenza (150 milioni di €) e degli strumenti esterni (170 milioni di €). 100 milioni di € saranno donati alla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI) e 158 milioni di € all’OMS. Gli inviti a presentare proposte finanziati dall’UE e i progetti che ne scaturiranno nel quadro di Orizzonte 2020 saranno in linea con gli obiettivi dei tre partenariati e dovranno assicurare il libero accesso ai dati. I finanziamenti nell’ambito di RescEU saranno, invece, finalizzati all’approvvigionamento, alla costituzione di scorte e alla distribuzione di vaccini e di strumenti terapeutici e diagnostici.

La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato: “Oggi il mondo ha dato prova di un’unità straordinaria in nome del bene comune. Governi e organizzazioni sanitarie mondiali hanno unito le forze contro il coronavirus. Con un impegno del genere siamo sulla buona strada per sviluppare, produrre e distribuire un vaccino per tutti, ma questo è solo l’inizio”.

Stato di diritto, la Commissione europea avvia una nuova procedura di infrazione contro la Polonia

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La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti della Polonia: nel mirino la nuova Legge, entrata in vigore il 14 febbraio, che apporta modifiche al funzionamento del sistema giudiziario. Dopo aver analizzato la legislazione in questione, la Commissione ha concluso che diversi elementi della nuova legge violano il diritto dell’Unione europea. Il governo polacco dovrà rispondere alla lettera di messa in mora entro due mesi.

Background

Lo stato di diritto è uno dei principi e dei valori fondamentali su cui si fonda l’Unione europea, sancito dall’Articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE), il cui rispetto è garantito dalla Commissione europea, insieme ad altre istituzioni e agli Stati membri. Il rispetto dello stato di diritto è essenziale per il funzionamento dell’Unione nel suo insieme, in particolare per il mercato interno e per la cooperazione in materia di giustizia, libertà e sicurezza. Inoltre, permette ai giudici nazionali-che sono al contempo anche “giudici dell’UE” – di svolgere il proprio ruolo nel garantire l’applicazione del diritto dell’UE ed interagire correttamente con la Corte di giustizia nel contesto delle procedure pregiudiziali.

Nel 2016 gli eventi in Polonia hanno indotto la Commissione ad aprire un dialogo con il governo polacco sul rispetto dello stato di diritto. Si tratta di un dialogo continuo tra lo Stato membro interessato e la Commissione, che informa regolarmente il Parlamento europeo e il Consiglio.

A causa della mancanza di progressi nel quadro dello Stato di diritto, il 20 dicembre 2017 la Commissione ha avviato per la prima volta la procedura di infrazione prevista dall’Articolo 7 del TUE, presentando una decisione del Consiglio relativa alla determinazione del chiaro rischio di una grave violazione dello stato di diritto da parte della Polonia. Il 2 luglio 2018, la Commissione ha avviato un’altra procedura di infrazione: nel mirino la legge polacca relativa alla Corte suprema, le sue disposizioni in materia di pensionamento ed il loro impatto sull’indipendenza della Corte suprema. Il caso è stato poi deferito alla Corte di giustizia dell’UE, la quale ha emanato un ordine definitivo che impone misure provvisorie per sospendere l’attuazione della legge polacca sulla Corte suprema, confermando integralmente la posizione della Commissione. Il 3 aprile 2019, la Commissione ha avviato un’ulteriore procedura di infrazione basata sulla violazione del principio di indipendenza giudiziaria dei giudici polacchi e la mancanza di garanzie necessarie per proteggere i giudici dal controllo politico. La Commissione ha deferito nuovamente la causa alla Corte di giustizia dell’UE, che ha imposto la sospensione dell’applicazione delle disposizioni nazionali sui poteri della Camera disciplinare della Corte suprema, confermando integralmente la posizione della Commissione come accaduto un anno prima. Questo ordine della Corte si applicherà fino a quando la Corte non avrà pronunciato la sua sentenza definitiva nell’ambito della una nuova procedura di infrazione.

La nuova procedura di infrazione

Lo scorso 20 dicembre in Polonia è emersa una nuova legge che modifica una serie di atti legislativi relativi al funzionamento del sistema giudiziario polacco, entrata in vigore il 14 febbraio.

Il 30 aprile la Commissione europea ha inviato alla Polonia una lettera di messa in mora relativa a questa nuova legge sulla magistratura. Questa risulta, infatti, incompatibile con i requisiti di indipendenza giudiziaria stabiliti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. La Commissione ha osservato che la nuova legislazione amplia la nozione di reato disciplinare e quindi aumenta il numero di casi in cui il contenuto delle decisioni giudiziarie può essere qualificato come reato disciplinare. Di conseguenza, il regime disciplinare può essere utilizzato come sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie. La legge in questione viola l’Articolo 19, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione europea (TUE) nonché l’Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che stabilisce il diritto ad un ricorso effettivo dinanzi ad un tribunale indipendente ed imparziale.

La legge polacca risulta altresì incompatibile con il principio del primato del diritto dell’UE e con il funzionamento del meccanismo di pronuncia pregiudiziale. A tal proposito, la Commissione ha constatato che la nuova legge garantisce alla nuova Camera di controllo straordinario e agli affari pubblici della Corte suprema la competenza esclusiva di pronunciarsi su questioni relative all’indipendenza giudiziaria, pertanto, è precluso ai tribunali polacchi di valutare, nel contesto delle cause pendenti, il potere di richiedere una pronuncia pregiudiziale. Ciò impedisce ai tribunali polacchi di adempiere al loro obbligo di applicare il diritto dell’UE.

Infine, la Commissione ha sottolineato che con la nuova legge sono state introdotte disposizioni che impongono ai giudici di divulgare informazioni specifiche sulle loro attività non professionali. Ciò è incompatibile con il diritto al rispetto della vita privata nonché con il diritto alla protezione dei dati personali, sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dal Regolamento generale sulla protezione dei dati.

“Il virus non può uccidere la democrazia”, ha affermato Vera Jurova, Commissaria UE alla giustizia, invitando Varsavia ad “affrontare le preoccupazioni” sullo stato di diritto della Commissione Ue. La Polonia ha, infatti, due mesi per rispondere alla lettera di messa in mora. Jurova ha, inoltre, spiegato che sta “monitorando la situazione con attenzione in tutti gli stati membri” ed in particolare in Ungheria. “Sono 20 quelli che hanno adottato lo stato d’emergenza per affrontare la crisi. Riconosciamo che una situazione eccezionale richiede soluzioni eccezionali, ma questo non significa che la costituzione ed il Parlamento debbano essere spenti ed i giornalisti silenziati” ha concluso

Il Consiglio europeo del 23 aprile: risultati e nodi da sciogliere

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Il 23 aprile, il tanto atteso Consiglio europeo- l’organo dell’Unione europea che riunisce i capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi membri- ha accettato le proposte studiate dall’Eurogruppo, cioè dai ministri dell’economia e delle finanze dei Paesi che aderiscono all’Eurozona. L’Eurogruppo aveva studiato quattro tipi di strumenti per contrastare le conseguenze dovute dalla pandemia da coronavirus e tutti sono stati accettati dal Consiglio europeo riunito virtualmente. Il quarto strumento, il più importante data la portata dei finanziamenti coinvolti, è il cosiddetto Recovery Fund, di cui è stata delineata la cornice, ma il 6 maggio spetterà alla Commissione europea presentare una proposta per dettagliarlo, avviando il negoziato vero e proprio. L’accordo definitivo è stato dunque rimandato a giugno e restano vari punti in sospeso.

I risultati del vertice

Il Consiglio europeo ha, dunque, dato il via libera alle proposte elaborate dall’Eurogruppo, vale a dire la linea di credito agevolata del MES per le spese sanitarie, la cassa di integrazione europea (100 miliardi del Fondo Sure per integrare le casse integrazioni nazionali) ed un ampio intervento della Banca europea degli investimenti (BEI). Il pacchetto iniziale ha un valore di 540 miliardi di euro- ivi compresi i 240 miliardi del nuovo MES, calcolati come se tutti i Paesi membri ne facessero richiesta- e l’intenzione espressa dal Consiglio è di garantirne l’operatività a partire da giugno.

I Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri dell’UE, inoltre, hanno discusso della creazione di un Fondo europeo per la ripresa, affidando alla Commissione europea il compito di presentare una proposta scritta ed elaborata circa i fondi da utilizzare per coprire le spese del Recovery Fund. Si tratta di un fondo considerato quasi un Piano Marshall, in quanto, oltre alle misure adottate nelle scorse settimane dalla Banca Centrale Europea (BCE), rappresenterà una delle principali misure europee di sostegno agli stati membri per mitigare gli effetti economici provocati dalla crisi sanitaria.

 

Già alla vigilia del vertice era chiaro che il Consiglio europeo si sarebbe posto solo come un punto di partenza da cui iniziare a costruire il fondo della ripresa. Non è stato diffuso un documento finale con le conclusioni raggiunte- come accade spesso- e l’accordo tra i leader è stato sintetizzato in una dichiarazione del Presidente del Consiglio europeo. Nella sua dichiarazione finale, Charles Michel, ha spiegato che gli Stati membri hanno convenuto di lavorare per la creazione del Recovery Fund, descritto come “necessario ed urgente”, due aggettivi inseriti con la sollecitazione del Presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte.

Dal suo canto, la Presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha incalzato i leader, avvertendo che il PIL europeo sta calando del 15%, dunque urge avere un piano, un Recovery Fund immediato, forte e flessibile. A fronte di questa caduta libera del PIL europeo, ogni governo dovrà riaggiornare i propri dati di finanza pubblica, mutati a causa della pandemia da coronavirus: in particolare diminuirà il PIL ed il deficit invece aumenterà così come il debito.

I nodi da sciogliere

Chi privilegia una visione ottimistica, considera i risultati conseguiti dal Consiglio europeo molto positivi, dato che fino a poche settimane fa regnava la frattura tra i Paesi dell’Europa meridionale e quelli dell’Europa settentrionale e questi ultimi si opponevano alla creazione di un Fondo di ripresa europeo. A tal proposito, occorre sottolineare che la frattura non è stata superata del tutto e gli Stati dell’Europa meridionale, Italia in primis, hanno fretta nel trovare una soluzione comune concreta, avendo un minor margine fiscale e necessitando di un aiuto immediato. Chi, viceversa, è più critico, si concentra invece sull’assenza di dettagli e sulla presenza di incognite nel compromesso trovato dai leader europei in seno al Consiglio. In particolare, non è stato trovato un accordo su come finanziare il fondo, sulla sua entità, sullo strumento per versare i soldi agli stati – prestiti o sussidi – e sui relativi tempi e modalità. Su questi punti dovrà rispondere la Commissione Europea, che presenterà il proprio piano il 6 maggio.

Con riguardo alla modalità di finanziamento del Fondo, la soluzione che attualmente risulta più probabile è l’aumento significativo del contributo di ciascuno stato al bilancio pluriennale dell’UE. La stessa Presidente della Commissione europea ha parlato della necessità di raddoppiare il contributo degli Stati membri per alcuni anni, fino ad arrivare al 2% del PIL nazionale, a partire dall’1,16% attuale. L’entità del fondo dipenderà oltre che da un compromesso sul bilancio dell’UE, altresì sulla possibilità di usare i soldi come garanzia per emettere titoli di stato. L’approvazione di quest’ultima proposta al Consiglio sembrava certa, ma nella dichiarazione di Michel e nelle interviste ai 27 leader non ve ne è alcuna traccia.

La trattativa più cruciale ruota e ruoterà sulla modalità di versamento agli Stati: Francia, Italia, Spagna e Portogallo spingono affinché il Fondo comprenda sussidi senza l’obbligo di restituzione; i Paesi del Nord preferiscono invece che il Fondo emetta dei prestiti, per evitare che l’Unione Europea sia costretta a fare debito. La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, senza indicare con precisione quale sarà l’ammontare del Recovery Fund, ha suggerito di ripartire il Fondo sia in prestiti (che, pertanto, dovranno essere restituiti) che in aiuti (a fondo perduto), aggiungendo che gli stati dovranno accordarsi su quale equilibrio trovare tra le due misure.

Con riguardo all’ammontare probabile del fondo, nelle interviste successive al Consiglio europeo, la Von der Leyen ha spiegato che questo avrà una capacità in “migliaia di miliardi”, e non in “miliardi”. Il timore di alcuni è che le “migliaia di miliardi” evocati dalla Presidente della Commissione si riferiscano a qualche centinaio di miliardi prelevati dal budget europeo, che arrivano a qualche migliaia soltanto grazie agli ulteriori contributi degli stati membri. Probabilmente il Presidente francese, Emmanuel Macron, si riferiva a questo meccanismo, quando durante il Consiglio ha chiesto agli altri leader di non stanziare soldi “finti”, e nella conferenza stampa dopo la riunione ha auspicato il versamento di sussidi “veri”.

Molte questioni rimangono dunque aperte e nei prossimi giorni spetterà alla Commissione cercare di trovare un accordo negoziando con i Governi degli Stati membri.

 

 

 

Flussi migratori e Covid-19: la Commissione europea presenta linee guida per gli Stati membri

EUROPA di

Nel pieno dell’emergenza dovuta alla pandemia da Covid-19, le pressioni alle frontiere esterne dell’Unione non sono scomparse. I flussi migratori non si fermeranno in questa nuova crisi e l’Unione dovrà certamente occuparsene ora ed in futuro.

Il 16 aprile la Commissione europea ha presentato le linee guida per l’attuazione delle pertinenti norme dell’UE in materia di asilo, procedure di rimpatrio dei migranti e reinsediamenti dei profughi durante l’emergenza del coronavirus. Ciò risponde alla richiesta di consulenza invocata dagli Stati membri su come garantire la continuità delle procedure ed il rispetto dei diritti fondamentali.

I flussi migratori al tempo del Covid-19

Nel giro di pochi mesi si è passati dal timore di una nuova stagione di sbarchi, alla tensione in prossimità della frontiera greco-turca, fino a giungere all’emergenza dovuta al coronavirus, durante la quale i riflettori sul tema dei flussi migratori sembrano apparentemente spenti.

L’Unione europea si è materializzata fisicamente e simbolicamente il 4 marzo al confine tra Grecia e Turchia, quando la tensione fra le forze dell’ordine greche ed i profughi siriani, che tentavano di entrare in Grecia e dunque in Europa, era arrivata all’apice. La Presidente della Commissione europea, il Presidente del Consiglio e quello dell’Europarlamento, si sono dunque recati al confine per testimoniare solidarietà alla Grecia. Ursula von der Leyen, in quell’occasione, ha promesso 700 milioni ad Atene e ha parlato della Grecia come uno scudo per l’Europa, mostrando il volto di un’Unione europea molto diversa da quella del 2015, quando, in qualità di patria dei diritti umani, accoglieva i profughi in fuga dal conflitto. Oggi, l’Europa sembra difendersi dagli stessi.

In linea con questo atteggiamento di chiusura, nella gestione dell’emergenza sanitaria, il 17 marzo i 27 stati membri dell’UE hanno deciso di prendere tutte le misure necessarie per impedire qualsiasi ingresso non essenziale in Europa proveniente da Paesi terzi, per un periodo iniziale di 30 giorni, poi prorogato fino al 15 maggio. Da allora tutti gli Stati membri dell’UE-eccetto l’Irlanda-e i paesi Schengen non appartenenti all’UE, hanno assunto decisioni nazionali per attuare questa misura restrittiva. Le restrizioni ai viaggi si estendono anche alle persone bisognose di protezione internazionale o per altri motivi umanitari, nel rispetto del principio di non respingimento.

Al contempo, il coronavirus sembra bloccare le intenzioni di approdare in Europa: gli sbarchi si sono ridotti di circa l’80% in pochi giorni. Ciò vale per chi parte dai Paesi in cui le condizioni di vita possono essere definite “accettabili”. Mentre dalla Libia si continua ancora a partire: qui però i migranti spesso vengono intercettati dalla Guardia costiera libica e riportati indietro. La situazione è così più complessa di quello che appare. Malgrado il crollo degli sbarchi e l’attenzione focalizzata sull’emergenza sanitaria attuale, il tema dei migranti resta dunque centrale.

Le linee guida della Commissione europea

Il 16 aprile la Commissione europea, in collaborazione con l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) e l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), nonché delle autorità nazionali, ha presentato delle linee guida l’attuazione delle pertinenti norme dell’UE in materia di asilo, procedure di rimpatrio dei migranti e reinsediamenti dei profughi durante l’emergenza del coronavirus.

In merito alle procedure di asilo è stato sottolineato come le misure sanitarie adottate per limitare l’interazione sociale tra il personale ed i richiedenti abbiano un impatto notevole sui processi di asilo, pertanto, si raccomanda l’applicazione della flessibilità prevista dalle norme dell’UE. In particolare, la massima flessibilità dovrebbe essere consentita in relazione alle scadenze ed alla durata del trattamento e dell’esame delle richieste d’asilo. Per quanto riguarda le interviste personali, necessarie all’espletazione del processo di richiesta d’asilo, queste possono essere condotte mediante accordi specifici, da remoto tramite videoconferenza o addirittura omesse se necessario.

Una stretta cooperazione tra gli Stati membri è di fondamentale importanza per il buon funzionamento del sistema di Dublino. La Commissione incoraggia tutti gli Stati membri a riprendere i trasferimenti dei richiedenti il prima possibile, alla luce delle circostanze in evoluzione. Prima di effettuare qualsiasi trasferimento, inoltre, è necessario considerare la situazione relativa al coronavirus, compresa quella risultante dalla forte pressione sul sistema sanitario, nello Stato membro responsabile. Laddove i trasferimenti verso lo Stato membro normalmente responsabile non possano aver luogo entro il termine applicabile, gli Stati membri possono concordare bilateralmente il trasferimento in una data successiva, la quale deve essere incoraggiata ad esempio per i minori non accompagnati e nei casi di ricongiungimento familiare.

Con riguardo alle condizioni di accoglienza, le misure di quarantena e di isolamento devono essere ragionevoli, proporzionate e non discriminatorie. I richiedenti asilo devono ricevere l’assistenza sanitaria necessaria. Coloro che sono in detenzione devono continuare ad avere accesso all’aria aperta e qualsiasi restrizione, come la limitazione dei visitatori, deve essere spiegata con attenzione.

In linea con il regolamento Eurodac- European Dactyloscopie- laddove non sia possibile prendere le impronte digitali di un richiedente a causa delle misure adottate per proteggere la salute pubblica, gli Stati membri dovrebbero provvedere il prima possibile e comunque entro 48 ore dal cessare di tali motivi di salute.

 

Gli Stati membri dell’UE, nonché l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) hanno temporaneamente sospeso le operazioni di reinsediamento e rimpatrio. Le attività preparatorie, tuttavia, dovrebbero continuare nella misura del possibile, affinché tali operazioni possano riprendere una volta cessate le misure restrittive. Oggi più che mai è opportuno dare priorità ai rimpatri volontari, nell’ottica secondo cui esse rappresentano un rischio inferiore per la salute e la sicurezza. A tal proposito, l’agenzia europea Frontex è pronta ad assistere gli Stati membri nell’organizzazione delle operazioni aeree.

Nel ribadire il sostegno agli Stati membri nell’attuazione di tali linee guida, la Commissione europea ha annunciato che le stesse saranno integrate da incontri tematici organizzati dalle agenzie dell’UE, al fine di fornire consigli pratici e facilitare la condivisione delle migliori pratiche.

La Commissione europea lancia il fondo SURE: 100 miliardi di euro contro la disoccupazione

EUROPA di

La Commissione europea ha lanciato il fondo SURE- Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency- stanziando 100 miliardi di euro per mitigare i rischi di disoccupazione dovuti all’emergenza del Covid-19. Il fondo è progettato per aiutare gli Stati membri a proteggere i lavori ed i lavoratori e servirà a finanziare le casse integrazioni nazionali o schemi simili di protezione.

 Il fondo “SURE”

Il Covid-19 sta mettendo alla prova l’Unione europea. La profondità e l’ampiezza dell’attuale crisi richiede una risposta senza precedenti.

Nelle scorse settimane la Commissione ha agito per fornire agli Stati membri flessibilità, al fine di sostenere finanziariamente i sistemi sanitari, le imprese ed i lavoratori, mobilitando le sue risorse per proteggere i cittadini europei. Salvare vite umane e sostenere i mezzi di sussistenza in questi tempi di crisi acuta risulta essere fondamentale.

La risposta al Covid-19 è stata incrementata attraverso l’istituzione di uno strumento di solidarietà da 100 miliardi di euro, finalizzato ad aiutare i lavoratori e le imprese. Si tratta del fondo SURE – Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency- il quale fornirà assistenza finanziaria, sotto forma di prestiti concessi, a condizioni favorevoli, dall’UE agli Stati membri, fino a un totale di 100 miliardi di euro. I prestiti saranno sostenuti da un sistema di garanzie volontarie degli Stati membri impegnati nell’UE. Tutti gli Stati membri potranno farne uso, ma sarà di particolare importanza per i più colpiti dalla pandemia.

 Questi prestiti aiuteranno gli Stati membri ad affrontare gli improvvisi aumenti della spesa pubblica, per preservare l’occupazione. Nello specifico, questi prestiti aiuteranno a coprire i costi direttamente collegati alla creazione o all’estensione di programmi nazionali di lavoro a tempo ridotto ed altre misure analoghe messe in atto per i lavoratori autonomi in risposta all’attuale pandemia di coronavirus.

I regimi di lavoro a breve termine sono programmi che, in determinate circostanze, consentono alle imprese in difficoltà economiche di ridurre temporaneamente le ore di lavoro dei propri dipendenti, i quali ricevono un sostegno al reddito pubblico per le ore non lavorate. Schemi simili si applicano per la sostituzione del reddito per i lavoratori autonomi.

Molte aziende in difficoltà sono costrette, infatti, a sospendere temporaneamente o ridurre sostanzialmente le loro attività e l’orario di lavoro dei loro dipendenti. Evitando inutili licenziamenti, i programmi di lavoro a breve termine possono far sì che uno shock temporaneo non abbia conseguenze negative più gravi e di lunga durata sull’economia e sul mercato del lavoro negli Stati membri. Ciò aiuta a sostenere i redditi delle famiglie, a preservare la capacità produttiva, il capitale umano delle imprese e l’economia nel suo insieme.

 L’iter da seguire

A seguito di una richiesta di assistenza finanziaria da parte di uno Stato membro, la Commissione consulterà lo Stato interessato per verificare l’entità dell’aumento della spesa pubblica direttamente correlata alla creazione o all’estensione di regimi di lavoro a breve termine e misure simili. Questa consultazione aiuterà la Commissione a valutare correttamente le condizioni del prestito, compresi l’importo, la durata media massima, i prezzi e le modalità tecniche di attuazione. Sulla base della consultazione, la Commissione presenterà una proposta di decisione al Consiglio per fornire assistenza finanziaria. Una volta approvato, l’assistenza finanziaria assumerà la forma di un prestito dell’Unione europea allo Stato membro che richiede il sostegno.

Il fondo SURE è di natura temporanea: la sua durata e portata sono limitate ad affrontare le conseguenze della pandemia di coronavirus, non è preclusa in alcun modo l’istituzione di un futuro regime permanente.

 Le dichiarazioni di Ursula von der Leyen

Il prossimo bilancio UE 2021-2027 “dovrebbe essere il nostro piano Marshall perchè la Ue possa avere un ruolo cruciale per la ripresa economica” ha dichiarato la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. In questa crisi, ha aggiunto, “faranno la differenza solo le risposte più forti”.

La Presidente dell’esecutivo europeo ha, inoltre, indirizzato una lettera agli italiani, pubblicata dal quotidiano Repubblica: “L’Italia è stata colpita dal coronavirus più di ogni altro Paese europeo. Siamo testimoni dell’inimmaginabile. Migliaia di persone sottratte all’amore dei loro cari. Medici in lacrime nelle corsie degli ospedali, col volto affondato nelle mani. Un Paese intero – e quasi un intero continente – chiuso per quarantena. Ma il Paese colpito più duramente, l’Italia, è diventato anche la più grande fonte di ispirazione per noi tutti. Migliaia di italiani – personale medico e volontari – hanno risposto alla chiamata del governo e sono accorsi ad aiutare le regioni più colpite”- ha dichiarato- “Oggi l’Europa si sta mobilitando al fianco dell’Italia. Purtroppo non è stato sempre così. Bisogna riconoscere che nei primi giorni della crisi, di fronte al bisogno di una risposta comune europea, in troppi hanno pensato solo ai problemi di casa propria”.

“Preferiremmo tutti vivere tempi più facili. Ma oggi quello che possiamo decidere è come reagire. Ho in mente un’Europa fondata sulla solidarietà – la nostra più grande speranza e il nostro investimento in un futuro comune” ha concluso la von der Leyen.

Coronavirus, la risposta dell’Unione europea: tra criticità e tentativi di coordinamento

EUROPA di

L’Unione europea si trova a fronteggiare l’emergenza sanitaria non in condizioni di gioventù e con varie patologie pregresse. La pandemia mette, così, a dura prova la capacità di coordinamento tra gli esecutivi europei, che, soprattutto nella prima fase della crisi, hanno risposto con tempi e modalità differenti.

Conseguenze pesanti in termini di vite umane e forti ripercussioni economiche, nella stessa misura in tutti gli Stati membri, come avvenuto nel dopoguerra, potrebbero più facilmente condurre ad una riflessione volta ad un avanzamento dell’UE. Ma se ciò non dovesse accadere l’UE potrebbe diventare un’altra vittima del coronavirus.

È giunto il momento di rispondere all’emergenza sanitaria in modo efficace e coordinato: stante la difficoltà, la Commissione europea ha messo in campo una serie di iniziative per affrontare la crisi economica e sanitaria legata alla diffusione del coronavirus.

Sanità

Al fine di espletare la funzione di coordinamento con le autorità nazionali, la Commissione europea interagisce quotidianamente, tramite videoconferenza, con i 27 Ministri nazionali della Salute e degli Interni: nel corso delle riunioni, i leader dell’UE discutono le misure da attuare per contenere la pandemia. L’agenzia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), dal canto suo, fornisce alle autorità nazionali linee guida, dati, analisi del rischio e raccomandazioni.

Con riguardo ai dispositivi di protezione individuale, la Commissione europea ha stimolato un aumento della produzione di mascherine, respiratori ed altri dispositivi e ha avviato una procedura di appalto, accelerata e congiunta, per l’acquisto di nuove forniture. Al fine di poter disporre a pieno dei prodotti presenti in Europa, ha, inoltre, bloccato le esportazioni di dispositivi medici al di fuori dell’UE. Le uniche eccezioni devono essere esplicitamente approvate dai governi nazionali. Gli Stati membri sono, così, tenuti a rimuovere le barriere alla circolazione di tali dispositivi all’interno dell’Unione.

Tuttavia, nei giorni precedenti, diversi paesi avevano trattenuto i carichi, rendendosi, così, necessario un intervento della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Nel suo messaggio quest’ultima ha affermato che “bisogna aiutarsi a vicenda: nessun paese può produrre da solo quello di cui ha bisogno”.

Nell’ambito sanitario la Commissione ha deciso, altresì, il finanziamento e la costituzione di una scorta strategica – come parte dello strumento rescEU, il Meccanismo di protezione civile dell’Unione rafforzato – di attrezzature mediche per aiutare i Paesi europei.

Con l’obiettivo di ridurre la diffusione del virus è stato, infine, deciso di ridurre temporaneamente i viaggi non essenziali da Paesi terzi verso l’Unione europea. A tal proposito la Commissione ha pubblicato una serie di orientamenti- che si applicano al trasporto aereo, ferroviario, stradale e marittimo- volti a garantire coerentemente i diritti dei passeggeri in tutta l’UE e contenere i costi per il settore dei trasporti.

Economia

A seguito della proposta della Commissione europea di attivare la clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita, i Ministri delle finanze dell’UE hanno convenuto di sospendere i limiti di spesa per i bilanci nazionali, per dare agli Stati membri spazio sufficiente per combattere la pandemia. È pertanto sospesa la regola che prevede che il disavanzo di bilancio di un paese rimanga entro il 3% del PIL. In aggiunta, la Commissione propone di sospendere l’aggiustamento di bilancio in caso di grave recessione economica nella zona euro o nell’UE nel suo complesso.

Nella notte tra il 18 e il 19 marzo, la Banca Centrale Europea ha stanziato un pacchetto di emergenza da 750 miliardi di euro per alleviare l’impatto dell’emergenza. Nella riunione del 17 marzo, l’Eurogruppo aveva dichiarato, infatti, di essere pronto a prendere tutte le misure necessarie – “whatever it takes”- per dar vita ad azioni coordinate a sostegno dell’economia.

Nell’ambito degli interventi economici, è stata, inoltre, garantita maggiore flessibilità per la disciplina degli aiuti di Stato. Massima flessibilità altresì per le spese eccezionali che i Paesi UE sosterranno per contenere l’epidemia, ad esempio nel settore sanitario per misure di soccorso mirate ad imprese e lavoratori.

Tra le proposte vi è anche quella di destinare 37 miliardi di euro all’ambito della politica di coesione per la lotta contro il coronavirus. 1 miliardo di euro sarà riorientato dal bilancio dell’UE come garanzia per il Fondo europeo per gli investimenti, al fine di incentivare le banche a fornire liquidità a PMI ed imprese a media capitalizzazione. I finanziamenti così mobilitati, per un totale di circa 8 miliardi di euro, permetteranno di aiutare almeno 100 mila PMI europee ed imprese a media capitalizzazione.

In più, su richiesta delle autorità italiane, verrà prorogato di un mese il termine per la presentazione delle domande degli agricoltori italiani che hanno diritto a un sostegno al reddito nel quadro della cruciale Politica Agricola Comune (PAC).

Con riguardo al fondo di solidarietà si propone l’estensione del suo ambito di applicazione, includendo la crisi della sanità pubblica, al fine di mobilitarlo in caso di necessità per gli Stati membri più duramente colpiti. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione potrebbe anch’esso essere mobilitato per sostenere i lavoratori autonomi e chi ha perso il lavoro.

Ricerca

Relativamente all’importante ambito della ricerca, il 17 marzo la Commissione ha informato che sosterrà il lavoro della società CureVac, con sede a Tubingen, in Germania, impegnata nello sviluppo e nella produzione di vaccini anti-Coronavirus, con un sostegno fino a 80 milioni di €.

Inoltre, un budget di 164 milioni è messo a disposizione di Start Up ed imprese tecnologiche che progettino idee innovative per rispondere all’emergenza Covid-19.

Infine, 47,5 milioni di euro sono stati attribuiti ai cambi della ricerca, diagnosi e trattamenti, sostenendo 17 progetti focalizzati sul coronavirus che coinvolgono 136 gruppi di ricerca in tutta Europa. Altri 90 milioni di € sono stati stanziati per l’iniziativa di innovazione medica (IMI) con l’industria farmaceutica.

 

 

 

 

 

 

 

 

Covid-19, l’UE dispone la chiusura delle frontiere Schengen

EUROPA di

Sospensione per 30 giorni dei viaggi non essenziali nell’area Schengen con l’impegno di mantenere la libera circolazione delle merci: è questa la posizione emersa il 17 marzo in seno al vertice straordinario, in videoconferenza, tra i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell’UE, il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, quella della Bce, Christine Lagarde, e quello dell’Eurogruppo, Mario Centeno.

La decisione

I leader degli Stati membri dell’UE hanno, così, dato il loro “political endorsement” alla proposta della Commissione europea circa la sospensione del Trattato Schengen. “Con i governi europei abbiamo deciso una restrizione temporanea dei viaggi non essenziali nell’Unione. Lo facciamo per non far ulteriormente diffondere il virus dentro e fuori il continente e per non avere potenziali ulteriori pazienti che pesano sul sistema sanitario Ue” ha affermato la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Previste eccezioni per gli europei che rientrano nell’UE, nonché per medici e scienziati che portano avanti la ricerca contro il Covid-19.

La decisione trae origine da una telefonata tra Ursula von der Leyen, la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, il Presidente francese, Emmanuel Macron ed il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in seguito alla quale è stato fissato il vertice in videoconferenza del 17 marzo.

Già prima del vertice, alcuni Stati membri avevano adottato delle misure autonome, reintroducendo controlli alle frontiere interne, come Estonia, Norvegia, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Danimarca, Polonia, Lituania, Germania e Svizzera. Francia e Spagna avevano reintrodotto i controlli, ma le notifiche non sono arrivate a Bruxelles. Per l’Italia, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha posto l’accento sulla necessità di coordinare le misure a livello europeo relative a viaggi, trasporto delle merci ed individuazione di misure eccezionali.

I precedenti del Trattato Schengen

Il Trattato di Schengen per la libera circolazione delle persone è stato firmato nell’omonima cittadina lussemburghese il 19 giugno 1990, da Belgio, Olanda, Lussemburgo, Germania e Francia, in applicazione di un accordo dell’85. Anche l’Italia firmò lo stesso anno, la Spagna e Portogallo nel 1991, la Grecia nel ‘92, l’Austria nel ‘95, Danimarca, Finlandia e Svezia nel ’96. Con riguardo al caso dell’Italia, pur avendo ratificato il Trattato dal 1993 con la Legge 30 settembre 1993 n.388, non poteva ancora far parte, a livello operativo, del sistema di Schengen – entrato poi in vigore il 26 marzo 1995- a causa di una serie di problemi di natura politica ed organizzativa, a partire dalla difficoltà di separare i varchi Schengen nell’aeroporto di Roma-Fiumicino.

Prima del Covid-19, il Trattato è stato sospeso solo unilateralmente da alcuni Stati membri a seguito di emergenze dovute all’ordine pubblico, come il caso del G8 di Genova nel 2011 per l’Italia e del G8 di Schloss Elamu nel 2015 per la Germania.

“Finora – ha raccontato l’Ambasciatore Raniero Vanni d’Archirafi, già Commissario europeo al mercato interno tra il ’93 e il ’95 – l’Europa ha preso soltanto misure a livello di autorità nazionali dando un messaggio di grande disunione, ma ora la sospensione decisa da tutti gli Stati membri offre l’immagine di un’Unione che ha ripreso in mano il ruolo di iniziativa che deve avere per gestore questo tipo di emergenze”.

Tutelare i flussi commerciali e il mercato unico

Al netto dell’emergenza del Covid-19, a rischio vi è il futuro del mercato unico. La Commissione europea, pertanto, ha sottolineato l’intenzione di tutelare i flussi commerciali.

Secondo il Commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni, il mercato interno non può soccombere in questa emergenza. Gentiloni afferma che non è possibile rassegnarsi “all’idea che il mercato unico, che è una delle grandi forze dell’Ue, sia una vittima di questa emergenza sanitaria”. Certamente, ha aggiunto, “ci sono sospensioni di Schengen legalmente autorizzate ma che la Commissione sta cercando di scoraggiare perché il virus non si ferma chiedendo un passaporto al confine di un Paese”. Per le relazioni economiche, per i trasferimenti di materiale sanitario e per il personale medico “è assolutamente inaccettabile che ci siano blocchi” ha concluso Gentiloni, dichiarandosi soddisfatto per il lavoro della Commissione che ha portato a rimuovere blocchi che erano presenti la scorsa settimana.

Ursula von der Leyen ha spiegato che “abbiamo bisogno di restaurare la fiducia economica globale. È il momento di sostenere la nostra economia con determinazione. È quello che stiamo facendo con tutti gli strumenti che abbiamo”. Proseguendo, ha poi affermato che l’UE deve “investire tutto quello che è necessario per far andare avanti l’economia”. La libera circolazione delle merci, infatti, è cruciale per le forniture alimentari, di medicinali e di protezioni. Inoltre, evita gravi interruzioni delle catene di approvvigionamento il cui stop danneggerebbe ulteriormente l’economia.

Francesca Scalpelli
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