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La Corea del Nord lancia un avvertimento a Trump e Xi Jinping

Asia di

 

A poche ore dall’incontro al vertice tra il presidente USA Donald Trump e il suo corrispettivo cinese Xi Jinping , in Florida, il leader nordcoreano ha ordinato il lancio di un missile a medio raggio KN-15 che ha concluso la sua traiettoria nelle acque del Mar del Giappone, dopo un breve volo di circa 60 chilometri.

La Corea del Sud ha condannato fermamente l’ennesima provocazione di Pyongyang, mentre il Segretario alla Difesa americano, Rex Tillerson, ha commentato freddamente l’episodio: “Gli Stati Uniti hanno già parlato abbastanza della Corea del Nord. Non abbiamo ulteriori commenti”. La risposta più decisa è arrivata invece da Tokio, per bocca del Capo di Gabinetto Yoshihide Suga: “Il Giappone non potrà mai tollerare le ripetute azioni di provocazione della Corea del Nord. Il governo protesta con forza e le condanna risolutamente”.

Dopo cinque test nucleari, due dei quali condotti nel 2016, il lancio odierno ha rinnovato i timori della comunità internazionale sul programma missilistico nordcoreano. Pyongynag è ancora lontana dall’obiettivo di realizzare una testata a lungo raggio che possa recapitare un ordigno nucleare fin sul territorio americano, ma gli analisti hanno ipotizzato che il missile KN-15 sia stato sospinto da un propellente solido, facile da trattare e trasportare, che aumenterebbe le capacità di attacco rapido del regime asiatico.

La dimostrazione di forza avviene all’indomani di due avvenimenti che Pyongyang ha interpretato come serie minacce. Nei giorni scorsi Trump ha lanciato il suo avvertimento: se la Cina deciderà di non cooperare nel contenimento dello scomodo alleato regionale, gli USA sono disposti ad agire da soli contro il nemico. Nel contempo, si è conclusa una esercitazione militare congiunta tra USA, Giappone e Corea del Sud, che Pyongyang considera come la prova generale di una possibile invasione.

Secondo un portavoce del Ministero degli Esteri nordcoreano le azioni delle potenze nemiche stanno portando la Penisola asiatica sull “orlo della guerra”.

La crisi odierna, che senza dubbio sarà al centro dei colloqui tra Trump e Jinping, è stata preceduta, nello scorso febbraio, dal lancio di 4 missili balistici nordcoreani che sono caduti in prossimità delle coste nipponiche e dal test di un sistema di lancio SLBM (Submarine-Launched Ballistic Missile) che permetterebbe a Pyongyang di avvicinare le sue testate alle acque del nemico e di disporre di una inedita capacità di contrattacco (second-strike), nell’ipotesi di distruzione del proprio arsenale terrestre. Questa ipotesi, secondo gli analisti, è però attualmente solo teorica e serviranno ancora anni prima che Kim Jong Un possa fare reale affidamento su una tale capacità offensiva.

In uno scenario sempre più surriscaldato, il governo cinese prova a gettare acqua sul fuoco. Alla vigilia dell’incontro tra Jinping e Trump, presso il resort Mar-a-Lago, A Palm Beach in Florida, di proprietà del presidente statunitense, un portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino ha negato ogni legame tra il lancio missilistico nordcoreano e il meeting al vertice tra le due potenze, sollecitando tutte le parti coinvolte ad evitare ogni ulteriore escalation.

La Cina, in questo momento, sembra l’unica forza in grado di porre un freno al conflitto fra Pyongyang e i suoi tanti nemici.

Il Congresso rafforza il potere di Kim Jong-Un

Asia/BreakingNews di

Il Congresso Generale del Partito dei Lavoratori della Corea del Nord, iniziato venerdì scorso a 36 anni di distanza dal precedente, prosegue secondo programma, consolidando ulteriormente il potere del presidente Kim Jong-Un, succeduto nel 2011 al padre Kim Jong-Il.

Domenica 8 maggio la televisione di stato ha trasmesso un lungo discorso con il quale leader supremo, di fronte a 3400 delegati giunti da ogni angolo del paese, ha annunciato un nuovo piano quinquennale per restituire slancio alla sofferente economia nazionale. Nonostante l’enfasi con il quale è stato presentato, il nuovo piano non fa intravedere cambiamenti profondi né a livello politico né sul piano economico.

In effetti, il presidente nord-coreano è stato avaro di dettagli, riferendosi vagamente alla necessità di una maggiore automazione dell’industria e del settore agricolo e ad un incremento della produzione di carbone nel corso del prossimo lustro. Gran parte del discorso si è focalizzato sulla celebrazione degli sforzi e dei progressi fatti dal paese negli ultimi 36 anni, con frequenti riferimenti all’ideologia della Juche, centrata sui concetti di autonomia e autosufficienza. Al contempo, il leader ha auspicato un incremento del commercio estero, mostrando scarsa considerazione per l’irrigidimento delle sanzioni economiche voluto dall’ONU dopo i test nucleari condotti nel gennaio scorso.

In un paese che, nonostante tutto, cresce di circa un punto percentuale di PIL ogni anno, Jong-Un ha sottolineato il bisogno di individuare nuove risorse energetiche che possano generare elettricità a sufficienza per sostenere lo sviluppo, in un paese da sempre alle prese con frequenti black-out, che interessano anche la capitale PJongyang. A tale scopo, la Corea del Nord intende puntare sul nucleare e sull’incremento di fonti energetiche rinnovabili.

Il presidente ha fatto anche riferimento all’arsenale nucleare, sul cui sviluppo si stanno concentrando gli sforzi maggiori del regime. In una dichiarazione dal sapore distensivo, Kim ha assicurato che la Corea del Nord non intende fare ricorso alle armi atomiche, a meno che “la sua sovranità non sia messa in pericolo dall’aggressione di altre potenze nucleari”.

Un approccio insolitamente diplomatico ha caratterizzato anche i riferimenti alla Corea del Sud, con la quale il regime vorrebbe tornare a dialogare per abbassare il livello di tensione. Un’offerta aspramente respinta, a stretto giro di boa, dal Ministro per l’Unificazione del Sud: “mentre parla di dialogo inter-coreano continua a sviluppare il suo arsenale nucleare”, ha affermato, bollando le dichiarazioni di Kim Jong-Un come mera propaganda.

Il giorno successivo, quasi a confermare le diffidenze sud-coreane, il Partito dei Lavoratori ha deciso formalmente, durante il congresso, di rafforzare ulteriormente l’arsenale nucleare del paese “a scopo di auto-difesa”, sfidando nuovamente l’Onu e il suo sistema di sanzioni.

Benché non sia stata ancora ufficializzata una data di chiusura, il congresso dovrebbe proseguire ancora per alcuni giorni. I media stranieri sono stati invitatati a presenziare allo storico evento ma, fino ad oggi, i giornalisti non hanno potuto varcare le porte del grande Palazzo della Cultura, la cui platea si estende su una superficie pari a due campi da calcio. I cronisti hanno preso parte ad alcune visite guidate, sotto lo sguardo attento dei funzionari del partito ma, di fatto, non hanno ancora potuto svolgere il lavoro per il quale erano stati accreditati.

Il clima, per la stampa, non è comunque facile. Lo scorso venerdì i membri di un team della BBC, inviato a coprire il congresso, sono stati posti in stato di arresto e successivamente espulsi. Secondo quanto riportato da un’agenzia di stampa cinese, i britannici sono stati accusati di aver “attaccato il sistema della DPRK (Repubblica Democratica Popolare di Corea) e di aver riportato i fatti in modo non-obiettivo”.

Mentre la stampa straniera fa i conti con l’idea nord-coreana di obiettività, il leader supremo del paese rafforza ulteriormente il suo potere. Lunedì, infatti,i delegati hanno insignito Kim Jong-Un di un nuovo titolo: Presidente del Partito dei Lavoratori, carica che si affianca a quella di primo segretario.

 

Luca Marchesini

La Corea del Nord testa un nuovo missile balistico

Asia di

La Corea del Nord ha fatto un altro passo verso uno dei suoi obiettivi prioritari: realizzare un missile inter-continentale che sia in grado di trasportare una testata nucleare e colpire in modo accurato il nemico, anche a migliaia di chilometri di distanza.

Nelle ultime ore infatti i media statali hanno diffuso la notizia che Pyongyang ha testato con successo un nuovo motore a combustibile solido in grado di aumentare considerevolmente la potenza del suo arsenale missilistico. Il test fa parte di un più ampio progetto, volto allo sviluppo di un missile balistico a lunga gittata (ICBM, InterContinental Ballistic Missile), che sembra progredire rapidamente nonostante le sanzioni dell’ONU e i numerosi allarmi lanciati dalla Corea del Sud.

Dopo i recenti test nucleari di gennaio, la Corea del Nord continua dunque a muoversi in modo spericolato sul crinale che divide la retorica bellicista contro i nemici del sud e degli Stati Uniti e gli effettivi sviluppi sul fronte della tecnologia militare.

L’agenzia di stampa nazionale, la KCNA, ha salutato con orgoglio il successo del nuovo test, che “ha contribuito ad incrementare la potenza dei missili balistici”, aggiungendo che presto gli ingegneri nordcoreani saranno in grado di testare nuovi ordigni “capaci di colpire senza pietà le forze ostili”.

Anche il presidente Kim Yong-Un ha assistito al lancio dimostrativo, celebrandone immediatamente la riuscita. “Questo è un giorno storico ed indimenticabile”, avrebbe dichiarato davanti ai microfoni e ai taccuini dell’informazione di regime.

Il test rafforza di fatto la posizione di Pyongyang, dopo che la scorsa settimana, stando a quanto riportato dai media locali, era stato sperimentato con esito positivo il lancio ed il rientro in atmosfera di un  missile balistico che potrebbe presto o tardi essere attrezzato per trasportare una testata nucleare miniaturizzata.

Ai test militari, ancora una volta, si è alternata la retorica della provocazione. Mercoledì scorso il Nord ha minacciato di colpire l’ufficio presidenziale del Sud con una batteria di missili di grande calibro, aggiungendo che le unità speciali dell’esercito sono pronte ad entrare in azione. Il presidente sudcoreano Park Geun-hye ha deciso di replicare al tentativo di intimidazione, ordinando di aumentare lo stato di allerta e chiedendo all’esercito di essere pronto a rispondere alle “incoscienti provocazioni” di Pyongyang.

La tensione nella penisola coreana torna dunque a salire pericolosamente, in un momento in cui il regime del nord si sente stretto tra le nuove sanzioni decise dall’ONU, dopo gli ultimi test nucleari, e le esercitazioni militari congiunte che il Sud e gli USA stanno conducendo, come ogni anno, a poca distanza.

Esercitazioni che ovviamente hanno messo in allarme Pyongyang, che le considera come “prove di guerra nucleare” alle quali è necessario rispondere in modo deciso.

Nonostante i progressi sul fronte dei motori a combustibile solido, gli esperti ritengono che la Corea del Nord non sarà in grado, ancora per molti anni, di minacciare gli Stati Uniti con missili ICBM. Probabilmente parte dell’escalation verbale e propagandistica di Pyongyang va fatta risalire a motivazioni interne. Tra poco infatti dovrebbe tenersi il primo congresso del Partito dei Lavoratori nordcoreano dopo 35 anni e l’attuale leadership, rappresentata dal presidente Kim Yong-Un, ultimo della dinastia dei Kim, ha bisogno di portare sul tavolo qualche importante successo sul piano militare per riaffermare la propria legittimità come guida suprema.

Si allarga black list anti-Corea del Nord

In data odierna, il Consiglio dell’Unione Europea – che, lo ricordiamo è di fatto l’organo esecutivo dell’Unione – ha aggiunto 16 persone e 12 enti alla sua “black list” di soggetti e società colpiti dalle misure restrittive europee intraprese contro le condotte della Repubblica popolare democratica di Corea.

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La decisione recepisce le nuove prescrizioni imposte dalla risoluzione 2270 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata il 2 marzo 2016 in risposta ai lanci di prova di razzo nucleari da parte della Corea del Nord, avvenuti il 6 gennaio  ed  il 7 febbraio scorsi.

Gli atti formali di tale iniziativa diplomatica saranno pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue domani.

La misure restrittive dell’UE nei confronti della Corea del Nord sono state introdotte per la prima volta il ​​22 dicembre 2006. Le misure attuali adempiono a tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU adottate dopo i test nucleari ed i lanci eseguiti dalla Corea del Nord utilizzando la tecnologia dei missili balistici ed includono anche  ulteriori misure autonomamente adottate dall’UE. Tali decisione intendono colpire la politica  nucleare ed i programmi di lancio nordcoreani

Le misure più importanti comprendono divieti di esportazione ed importazione di armi, e di ogni oggetto o tecnologia che possa contribuire a tali attività. Sia l’ONU che l’UE, in modo autonomo, hanno anche istituito misure restrittive di natura finanziaria, commerciale e nel campo dei trasporti.

Con quella odierna, L’Unione europea ha così rafforzato le sue ultime misure, che furono decise il 22 aprile 2013, recependo la risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU n. 2094.

 

Domenico Martinelli

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Corea del Nord, e ora?

Asia di

All’indomani dell’annuncio trionfale di Pyongyang, che ha dichiarato di aver testato con successo la prima bomba all’idrogeno realizzata negli impianti nucleari della Corea del Nord, una domanda rimbalza tra le Nazioni Unite e le cancellerie delle principali potenze globali: cosa fare ora?

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Per adesso, va detto, prevale lo scetticismo, sulla reale portata della detonazione nucleare ottenuta dai tecnici di Pyongyang. L’esplosione, avvenuta nel nord del paese, non distante dal confine con la Cina, è stata registrata dai sismografi con una potenza compresa tra 4.8 e  5.1 sulla scala Richter. Secondo gli esperti sudcoreani, una simile risposta sismica potrebbe equivalere ad una potenza di sei kilotoni, circa un terzo di quella sprigionata della bomba sganciata su Hiroshima nel 1945 e sostanzialmente incompatibile con quella che sarebbe stata prodotta da un ordigno termonucleare, la cui potenza si calcola generalmente in centinaia di kilotoni. Per fare un raffronto, il test termonucleare condotto dagli Stati uniti, nel 1971, sull’isola di Amchitka in Alaska, produsse un terremoto di magnitudo 6.8, esponenzialmente superiore a quello registrato nella giornata di ieri.

Si è forse trattato di una bomba atomica dunque, e non all’idrogeno, per la quale è richiesta una tecnologia di cui il regime del presidente Kim Yong-Un probabilmente ancora non dispone. Ad ogni modo, quello di ieri è il quarto test nordcoreano, dopo quelli del 2006, 2009 e 2013; una provocazione esplicita nei confronti nel nemico americano, della Corea del Sud, del Giappone, dell’alleato cinese, sempre più frustrato dalle iniziative del regime e, in generale, della comunità internazionale. Una risposta appare inevitabile, mentre si studiano nuove strategie per contenere la minaccia coreana nel medio termine.

Il Concilio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso immediatamente la sua ferma condanna, dichiarando che “continua ad esistere una chiara minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionali” ed ha annunciato nuove misure contro Pyongyang per le quali si attende, a breve, una risoluzione.

Tra i più decisi, l’ambasciatore giapponese all’ONU, Motohide Yoshikawa, che ha invocato una risoluzione rapida e vigorosa. “L’autorità e la credibilità del Consiglio – ha detto – sarebbero messe in discussione se non prendesse queste misure”. Non è però ancora chiaro quale tipo di sanzioni dovrebbero essere adottate ed in quali tempi, mentre la Russia tira il freno, per bocca del suo ambasciatore, non garantendo al momento il sostegno di Mosca all’adozione di ulteriori sanzioni. In effetti Pyongyang sembra determinata ad andare avanti sulla strada del nucleare, nonostante le condanne internazionali e le sanzioni innescate dai precedenti test atomici. Perché dovrebbe essere diverso questa volta?

Un dubbio che non viene coltivato dagli avversari storici del regime. Stati uniti, Corea del Sud e Giappone  hanno dichiarato di essere pronti ad una risposta unitaria nei confronti di Pyongyang. Il presidente Obama ha parlato sia con il premier Sudcoreano Park Geun-Hye che con il primo ministro giapponese Shinzo Abe ed ha poi dichiarato che tre leader hanno deciso di “lavorare insieme per forgiare una risposta forte e internazionale all’incosciente comportamento della Corea del Nord”. Gli ha fatto eco il Presidente Abe: “siamo d’accordo che la provocazione della Corea del Nord è inaccettabile… ci occuperemo della situazione in modo fermo, cooperando con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU”, aggiungendo però che il Giappone è intenzionato, se lo riterrà necessario, ad intraprendere misure unilaterali. Seul ha infine rilasciato un comunicato ufficiale, chiedendo alla comunità internazionale di “assicurare che la Corea del Nord paghi un prezzo adeguato” per i suoi test nucleari. Parallelamente, ha ristretto gli accessi al parco industriale di Kaesong, gestito congiuntamente dal Nord e dal Sud ed ha annunciato il ripristino delle trasmissioni propagandistiche verso il territorio nordcoreano, interrotte nel 2015 per allentare la tensione con il vicino.

Superata la fase delle reazioni a caldo, organizzato un nuovo pacchetto di sanzioni, resterà da capire cosa fare con un paese che dispone di un arsenale nucleare composto da una ventina di ordigni (atomici o all’idrogeno che siano) e che potrebbe essere in grado oggi, o nel breve termine, di montare una testata nucleare su un missile a medio raggio, capace di minacciare il Sud, il Giappone, le truppe americane stanziate nell’area e, forse, anche le coste occidentali degli Stati Uniti.

Le sanzioni Onu non hanno mai avuto effetti apprezzabili e la strategia della “pazienza strategica”, adottata dall’amministrazione americana, potrebbe essere venata di eccessivo ottimismo. L’idea cioè che bastino le sanzioni a far intraprendere al regime nordcoreano la strada della resa e del disarmo nucleare appare sempre meno convincente. Fino ad oggi, gli USA hanno rifiutato di negoziare, se non alle loro condizioni, con la Corea del Nord, scegliendo dunque una strategia diversa da quella adottata per l’Iran, che ha portato ad i recenti negoziati e al successivo accordo con Theran.

Come sostenuto recentemente da Stephen W. Bosworth, il primo inviato speciale di Obama per la Corea del Nord, “quali che siano i rischi associati a nuovi colloqui, saranno sempre minori di quelli provocati dal non fare nulla”. Poiché nessuna potenza sembra realmente intenzionata a sfidare sul piano militare un nemico temibile con la Corea del Nord, la partita dovrà necessariamente essere giocata sul campo della diplomazia, prima che l’arsenale di Pyongyang si rafforzi ulteriormente e la tecnologia di puntamento dei suoi missili sia portata ad un livello superiore.

La strategia di Kim Yong–Un è chiara: l’ arsenale nucleare è un assicurazione sulla vita del paese e i suoi nemici hanno solo da perdere, di fronte alla prospettiva drammatica di un conflitto. Che lo vogliano o meno, dovranno accettare di sedere al tavolo delle trattative riconoscendo alla Repubblica Democratica Popolare di Corea lo status di potenza nucleare. E’ presto per dire se i fatti gli daranno ragione ma il vento provocato dall’esplosione, per ora, sembra soffiare a suo favore.

 

Luca Marchesini

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Luca Marchesini
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