GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Nigeria: l’esercito libera 178 ostaggi

Blitz contro le postazioni di Boko Haram. Già nei giorni scorsi erano state liberate 71 donne. Il Benin, intanto, annuncia di mettere 800 soldati a disposizione della coalizione africana per sconfiggere l’organizzazione jihadista.

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Sono 178 gli ostaggi liberati dall’esercito nigeriano a seguito di un’offensiva contro le postazioni di Boko Haram avvenuta domenica 2 agosto. Tra i sequestrati, 67 erano donne e 101 i bambini. L’aviazione di Lagos ha poi comunicato di aver compiuto diversi raid nei pressi della città di Maiduguri, uccidendo un nutrito numero di miliziani. Già il 31 luglio, altre 71 donne erano state liberate.

Poche ore prima, il Benin ha comunicato di mettere a disposizione circa 800 soldati per sconfiggere Boko Haram. Uomini che si aggiungeranno alla zoppicante (per scarsità di fondi) coalizione africana composta da Nigeria, Niger, Ciad e Camerun. Un contingente chiamato a fare fronte alla pesante controffensiva dei jihadisti degli ultimi mesi, responsabile di oltre 800 uccisioni dall’insediamento del presidente Buhari a febbraio.

Non solo i musulmani, ma anche i cittadini di fede cristiana sono entrati nel mirino dell’organizzazione jihadista affiliata all’Isis. Non più tardi di giovedì 30 luglio, infatti, 20 pescatori, originari del Ciad, sono stati decapitati in Nigeria: “Era un drappello di quattro uomini, ma armato di mitragliatori e machete. Hanno spiegato che i pescatori sono emuli di Issa (il nome di Gesù nelle pagine del Corano), un profeta che con le sue parole ha attirato tante persone stolte, tentando di corrompere il mondo”, ha spiegato un 16enne sopravvissuto alla strage.
Giacomo Pratali

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Nigeria, storia di un orrore messo nero su bianco

Medio oriente – Africa di

La crudeltà delle stragi di Boko Haram visto attraverso gli occhi dei bambini. L’appello dell’Unhcr affinché i rifugiati abbiano la necessaria assistenza. L’avanzata di Boko Haram sta mettendo in ginocchio un intero Paese.

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Un’emergenza umanitaria senza fine. È quella raccontata, attraverso i disegni, dai bambini del villaggio di Baga Sola dopo che l’Unicef ha chiesto loro di rappresentare il dramma vissuto negli ultimi mesi. Essi, assieme alle loro famiglie, sono stati testimoni diretti delle ripetute stragi di cui si sono resi protagonisti i miliziani di Boko Haram nell’agosto 2014. Ed è un nero su bianco che certifica ancora di più i numeri drammatici causati dalle ripetute stragi islamiste nel Borno in Nigeria.

L’Unhcr, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati, ha lanciato il Regional Refugee Response Plan, ovvero un piano che consenta di trovare i circa 175 milioni di dollari per l’assistenza ai 192mila nigeriani che hanno lasciato il Paese. Camerun, Ciad e Niger hanno accolto migliaia di persone che necessitano di assistenza materiale e psicologica, nonché dell’educazione scolastica per quanto riguarda i bambini. Lo stesso tipo di assistenza di cui hanno bisogno gli sfollati rimasti nel nord-est della stessa Nigeria.

Intanto, dopo le elezioni che hanno portato il musulmano Buhari al trionfo, gli scontri proseguono all’interno dello Stato africano. All’indomani della tornata elettorale, gli eserciti ciadiani e nigerini hanno sconfitto le truppe di Boko Haram al confine tra Nigeria e Niger: i miliziani morti sarebbero circa 300. Di contro, un paio di giorni dopo, alcuni jihadisti, travestiti da predicatori, hanno ucciso quasi 30 persone nel villaggio di Kwajafa, sempre nello Stato di Borno.

Giacomo Pratali

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Yemen: la coalizione saudita prende di mira i civili

Medio oriente – Africa di

I morti dall’inizio dei bombardamenti sunniti sono in constante crescita. Nonostante questo, gli sciiti Houti tentano a tutti i costi di conquistare Aden. Un intervento della comunità internazionale, in special modo degli Usa, è necessario affinché questa strage, che sta prendendo di mira anche i campi profughi, cessi.

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Si fa sempre più cruento il conflitto nello Yemen. Da una parte, i ribelli Houti continuano la loro avanzata verso il centro di Aden. Dall’altra, la coalizione sunnita, guidata dall’Arabia Saudita e supportata dagli Stati Uniti, ha preso di mira Sanaa, roccaforte sciita.

I numeri sono impietosi. Oltre 200 morti (74 bambini) e almeno 1300 feriti dall’inizio del conflitto due settimane fa. Cifre di uno scontro recente tra ribelli locali ed aviazione saudita, cifre che diventano drammatiche se pensiamo che la guerra civile tra sciiti ed esercito regolare degli anni Duemila ha portato quasi 13mila persone a vivere nei campi profughi. Gli stessi campi profughi colpiti dai bombardamenti aerei dei sunniti.

Mentre sono in corso le consultazioni presso il Consiglio di Sicurezza Onu, è necessario una ricomposizione del conflitto a livello internazionale. Nel giorno di Pasqua, i dirigenti Houti si sono detti pronti a trattare la pace se la coalizione sunnita cesserà il forcing via terra e via mare. Di contro, il re saudita Salman ha aperto, a parole, al cessate il fuoco. Frasi subito smentite dai fatti.

Il ministro della Difesa del Pakistan Asif ha riferito, ai media internazionali, che l’Arabia Saudita ha fatto esplicita richiesta di aiuti militari. Mentre è Riyad stessa ad appoggiare l’esercito regolare yemenita nel tentativo di frenare l’avanzata sciita presso Aden.

Il ruolo decisivo è ancora una volta degli Stati Uniti. Lo Yemen è sì incontrollabile e simile al caso Afghanistan. Tuttavia, questa guerra, non più solo civile, potrebbe rilanciare le ambizioni sunnite su tutta l’area mediorientale e dare benzina all’offensiva dello Stato Islamico in Siria, Iraq, Libia e Nigeria. Infine, non è accettabile che questa palese “violazione dei diritti internazionali e delle leggi di guerra”, citando il rappresentante Ue Mogherini e il segretario generale Ban-Ki Moon, sia in atto con il rumoroso silenzio-consenso di Washington.

Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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