GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Granatieri al comando del contingente italiano in Libano

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Shama (Libano) 27 aprile 2017 – Avvenuto oggi il passaggio di responsabilità del comando del contingente italiano che opera nell’ambito della missione UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon), la forza di interposizione delle Nazioni Unite nel Sud del Libano.

Il Comando dell’ operazione “Leonte” passa alla Brigata “Granatieri di Sardegna”, subentrata questa notte alla Brigata “Pozzuolo del Friuli”.

La cerimonia del TOA (Transfer of Authority) si è svolta presso la “Millevoi” di Shama alla presenza del Comandante del COI (Comando Operativo di Vertice Interforze), Ammiraglio di Squadra Giuseppe Cavo Dragone, del Comandante della Missione UNIFIL, il generale dell’esercito irlandese Micheal Beary, nonché di numerose autorità politiche e locali del Libano del Sud.

Nel corso della cerimonia, il generale Micheal Beary ha ringraziato il personale della Brigata “Pozzuolo del Friuli” per il prezioso contributo fornito in questi sei mesi e per l’importante ruolo ricoperto nell’ambito delle attività previste della Risoluzione delle Nazioni Unite n°1701.

La Brigata “Granatieri di Sardegna”, la più antica dell’Esercito Italiano, ha già condotto l’operazione nella terra dei cedri nel 2014 con “Leonte XV”, rilevando, come allora, il Comando della Joint Task Force dalla Brigata di cavalleria “Pozzuolo del Friuli” che in sei mesi, tra l’altro ha svolto oltre 37.500 attività operative diurne e notturne, 4 mila attività operative congiunte con le Forze Armate Libanesi e completato 58 progetti di cooperazione civile e militare.

Kommando Cyber- und Informationsraum, Berlino attiva il Cyber Comando

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E’ operativo dal 1 Gennaio 2017 il Comando per le operazioni Cyber della Bundeswehr, le forze armate della Repubblica Federale.

La rilevanza della Germania nello scacchiere europeo ed internazionale, il suo peso nell’economia globalizzata, i molteplici fronti caldi in cui e’ impegnata in campo diplomatico e anche militare, ne fanno un bersaglio privilegiato per gli hacker di tutto il mondo.

Solo nelle prime nove settimane dell’anno, stando a quanto riporta Deutsche Welle, la rete delle forze armate tedesche ha subito ben 284.000,00 attacchi.

Per far fronte a questa crescente minaccia e adeguarsi agli standard di altri paesi, e’ nato il Cyber and Information Space Command” (CIR), che costituisce la sesta branca delle forze armate accanto ad esercito, marina, aeronautica, servizio medico e supporti interforze.

Comandato dal Maggior Generale dell’Aeronautica, Ludwig Leinhos, classe 1956, con alle spalle una lunga carriera in ambito NATO, il CIR ha un fabbisogno stimato di 13500 risorse, che conta di reclutare dal mercato con un’aggressiva e convincente campagna pubblicitaria.

Il primo step di questa campagna prevede l’inserimento di specialisti IT per costruire e migliorare la backbone infrastrutturale rispetto alla quale implementare e sviluppare le best practice necessarie a mantenere un adeguato livello di combat readiness.

Il fronte cyber rimane uno dei più “caldi” anche in Europa, dove si fonti americani attestano ingerenze russe nelle elezioni francesi e tedesche.

Sia la campagna di uno dei due candidati all’Eliseo, Emmanuel Macron, che due think tank legati alla CDU, il partito di Angela Merkel, sarebbero stati oggetto di attacco tramite malware, spybot e phishing da parte di un gruppo conosciuto con le denominazioni di Fancy Bear o APT 28.

La strategia nazionale tedesca in ambito di cyber security, aggiornata nel novembre del 2016, si basa su due pilastri: “sicurezza tramite crittografia” e “sicurezza nonostante la crittografia”.

Questo approccio bifocale nasce dalla necessita’ di garantire il minimo di accesso possibili a soggetti esterni alla rete dei dati sensibili e strategici e allo stesso tempo garantire alle agenzie di pubblica sicurezza civili e militari la capacita’ di proteggere gli asset del paese dalla minaccia terroristica.

 

FM Kahlon: New plan aims to give Israel's middle class much-needed boost

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Finance Minister Moshe Kahlon on Tuesday unveiled a new financial plan to give Israel’s middle class a much-needed boost.The plan, expected to cost some 4 billion shekels ($1 billion), includes a series of tax breaks and child care subsidies, as well as increased employment incentives. Among the measures are reduced taxes on mobile phones and on children’s clothing and footwear.”The State of Israel is telling working Israelis loud and clear that it knows how to give, not just take from them”, Kahlon said.”This plan encourages participation in the workforce, it increases equal opportunity, and above all it sees people, not numbers. We’re putting the working family in the center and want to strengthen the middle class, which is the backbone of Israeli society. We’re going to pull working parents out of the cycle of poverty. Reducing the taxes on children’s clothing and footwear,

Trump contro tutti: tensione alle stelle con la Russia e minaccia la Corea del Nord

Asia/Difesa/Varie di

Come era prevedibile, dopo l’attacco USA del 7 aprile 2017 ad una base militare di Assad a Damasco in Siria, si stanno innescando una serie di reazioni a catena a livello geopolitico che non fanno sperare ad un futuro di pace. Riepilogando le puntate precedenti: la condanna della Russia al bombardamento voluto dall’amministrazione Trump come ritorsione nei confronti dell’attacco con armi chimiche dovuto proprio al regime siriano si è attuata con l’avvicinamento di una fregata russa a quelle statunitensi e a tutta una serie di dichiarazioni date da vari esponenti russi in pubblico. A partire dal vice rappresentante permanente alle Nazioni Unite di Mosca, Vladimir Safronkov, che sostiene con forza il fatto che a prescindere da Assad “l’aggressione degli Stati Uniti favorisce solo il terrorismo”.

In seguito al lancio dei missili da crociera la Russia ha sospeso il memorandum di collaborazione con gli Stati Uniti per scongiurare incidenti e garantire la sicurezza dei voli militari in Siria. Proprio in virtù di questo accordo non è stata attivata la difesa antimissilistica a Damasco. Le parole del vicepresidente della Commissione Difesa della Duma Yury Shvytkin sono ben chiare “… Ora, ritirandosi [gli USA ndr. ] dal memorandum potremo reagire alle varie minacce per la difesa delle nostre basi e del nostro contingente”.

 

Trump bombarda la Siria: 59 missili su una base militare di Assad

Difesa/Varie di

Gli Stati Uniti hanno dato il via ad una pesante offensiva nei confronti del regime di Assad. Sono stati ben cinquantanove i missili Tomahawk lanciati su una base militare siriana a Damasco, secondo le fonti siriane sarebbero circa 15 le vittime tra cui alcuni civili.  La dichiarazione di intenti da parte del Governo Trump secondo le fonti più accreditate è quello di una ritorsione e di una risposta violenta all’attacco con le armi chimiche di martedì a Idrib dove sono morti in atroci sofferenze molte persone e bambini. Gli Stati Uniti hanno agito da soli, l’Alleanza Atlantica in una nota stampa rende noto l’intento da parte degli americani quello di rispondere con un duro colpo al regime siriano a causa del ripetuto utilizzo di armi chimiche. Questa situazione però crea un quadro complesso che in parte potrebbe compromettere le relazioni della Casa Bianca con il Kremlino.

Come è noto Putin è un sostenitore di Assad di conseguenza ha definito l’attacco USA un vero e proprio attacco alla Siria e questo procedimento sta andando a creare delle frizioni molto importanti tra le due potenze. Ci sarebbe infatti una fregata russa che avrebbe già oltrepassato lo stretto del Bosforo in direzione delle navi a stelle e strisce che hanno lanciato i missili nelle prime ore del mattino di questo 7 aprile 2017. Per quanto riguarda le posizioni dell’Unione Europea, così come l’Italia, si schiera  con l’atteggiamento offensivo degli Stati Uniti perché “risposta a crimini di guerra”, ma purché resti una tantum.
Molte sono le critiche che invece sono rivolte alle Nazioni Unite, non sta risultando un organo al momento incisivo al fine della risoluzione del conflitto, tanto che ci sono degli attori di questo panorama geopolitico che lo definiscono “inutile”.


La situazione al momento è quella, ancora una volta di una polveriera che sembra pronta ad esplodere da un momento all’altro con degli equilibri che non sono ben chiari. I rischi che questa manovra di indebolimento di Assad possa agevolare lo Stato Islamico nel conflitto siriano non sono ancora quantificabili, al momento non sembra che ci si debbano aspettare nuove azioni offensive da parte degli Stati Uniti, quello che resta poco chiaro è se questa azione è veramente solo una reazione di “pancia” del presidente Trump e dei suoi generali, o parte di una strategia più complessa. Quello che possiamo immaginare è innanzitutto una dimostrazione di forza, di una linea  dura e ben precisa, in rottura con la precedente linea più prudente di Obama. Per The Donald questo attacco è una dichiarazione della potenza degli Stati Uniti che ovviamente non piace molto alla Russia. Stanno seguendo delle ore molto delicate in cui ci sono dei meccanismi precari che potrebbero incrinarsi, un aspetto molto importante però, che può rassicurare il panorama internazionale, è quella che le vie diplomatiche di Russia e USA sono ancora aperte, è stata confermata infatti la visita del Segretario di Stato americano Rex Tillerson a Mosca previsto tra pochi giorni.

Reporter Day, una giornata per premiare i progetti di giovani reporter

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In Italia sempre più spesso si sente parlare di un giornalismo afflitto da perenni problemi di budget, di testate che sopravvivono a stento e di difficoltà d’accesso alla professione.

In questo panorama sempre più difficile, l’associazione “ Gli Occhi della guerra” lancia una iniziativa di grande interesse, il “ Reporter Day ” con l’obiettivo di selezionare e indirizzare giovani talenti della comunicazione ad intraprendere la professione di inviato di guerra.

“Sono tempi difficili per il mondo e per l’editoria- spiega Andrea Pontini, amministratore delegato de ilGiornale.it- tra guerre, fake news, reali o presunte, propaganda e pochi soldi in circolazione…eppure, ci sono moltissimi giovani che sognano di raccontare il mondo in presa diretta. In tanti si rivolgono a noi. Abbiamo deciso di rendere visibile a tutti questa ricchezza perché è una speranza per l’informazione e per questo bellissimo mestiere.”

Con queste parole Andrea Pontini ha voluto sottolineare l’importanza dell’iniziativa che ha il supporto dell’importante testata on line. Una prima edizione questa del 2017 dedicata alla selezione di fotografi, videomaker e giornalisti senza un limiti di età e di inventiva.

“Gli Occhi della Guerra”, è un progetto de ilGiornale.it nato nel 2013 per rilanciare i reportage attraverso il crowdfunding, è alla ricerca di giovani che abbiano un punto di vista interessante e vogliano fare i reporter.

Sono questi i fondamenti alla base di questa prima edizione che annovera tra i giudici importanti professionisti  come Fausto Biloslavo ed altri professionisti  del mondo della comunicazione forti della loro  esperienza sui fronti caldi  delle aree di crisi nel mondo.

Gli aspiranti reporter potranno presentare un progetto di reportage che vogliono realizzare in Italia o all’estero, ovunque ci sia una storia da raccontare. I progetti verranno valutati da una commissione e i due che saranno giudicati i migliori verranno realizzati con copertura totale delle spese, quindi pubblicati su www.ilgiornale.it e www.gliocchidellaguerra.it

Per partecipare all’iniziativa sarà sufficiente inviare la propria candidatura compilando il form on line sul sito www.occhidellaguerra.it e aspirare ad essere uno dei due progetti che saranno selezionati dalla giuria.

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Focus sull’Estonia: Capitolo 3

EUROPA/POLITICA/Varie di

Le celebrazioni del 60° anniversario della fondazione dell’UE ci danno l’oportunità di parlare nuovamente dell’Estonia – come abbiamo promesso in precedenza – da un punto di vista europeo.

Come abbiamo già detto, l’Estonia deterrà la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea nella seconda metà del 2017, a partire da luglio, ereditando qesto compito da Malta. Questo significa che l’Estonia sarà responsabile della definizione delle posizioni del Consiglio, dovendo tenere contestualmente conto degli interessi degli Stati membri e rimanendo neutrale.

L’Estonia agirà in qualità di primo Stato del suo “trio” , in partnership nel 2018, con la Bulgaria e con l’Austria. Abbiamo descritto il “trio” in altre occasioni. Questo compito europeo dell’Estonia terminerà mentre la nazione starà per festeggiare il centesimo anniversario dalla sua fondazione (in effetti, gli Estoni considerano il periodo di appartenenza all’Unione Sovietica come un’occupazione militare; e una buona parte della comunità internazionale riconosce che la loro storia, in qualità di Stato indipendente, non si è mai interrotta durante quel periodo).

c-justus lipsius ilustracka_mensiaMentre l’attività legislativa è normalmente avviata dalla Commissione europea, essa viene negoziata ed adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’UE, che rappresenta i governi degli Stati Membri: i singoli ministri nazionali di ciascun paese si incontrano presso il Consiglio per prendere decisioni a livello politico. La regola più importante è che gli incontri sono presieduti dal Ministro appartenente allo Stato che detiene la Presidenza, e che tale procedura funziona anche a livello di gruppi strategici e di sottogruppi tecnici (i così detti “corpi preparatori“).

Durante la Presidenza, l’Estonia sarà responsabile della conduzione di circa 200 gruppi di lavoro che si riuniranno sia a Bruxelles che a Tallinn, dovendo contestualmente organizzare il lavoro del Consiglio e dei suoi corpi preparatori, sviluppando gli ordini del giorno degli incontri, tentando di raggiungere posizioni condivise tra le differenti opinioni dei delegati, e presiedendo meeting e negoziati. In quanto Stato a capo del Consiglio, inoltre, l’Estonia dovrà difendere la posizione dello stesso Consiglio dinnanzi al Parlamento ed alla Commissione durante appositi negoziati.

Tutte le questioni su cui si focalizza una Presidenza  vengono sempre dal passato; tuttavia ciascuna Presidenza prova generalmente ad aggiungere qualcosa in più, qualcosa di specifico che possa essere ricordato a livello politico e legislativo.

Da fonti ufficiali, apprendiamo che la repubblica baltica si focalizzerà sui singoli mercati digitali, sull’energia, e su una più stretta integrazione con i partner dell’Est Europa. Vorrebbero anche proporre e diffondere soluzioni digitali lungo l’Unione e supportare l’IT nelle differenti politiche dell’UE (come abbiamo detto nel nostro primo intervento, l’Estonia è il paese più evoluto in Europa dal punto di vista dell’information technology).

E’ stato previsto che circa 20 incontri di altro livello si terranno in Estonia, durante il semestre (compresi quelli relativi alla gisutizia, gli affari interni, la sicurezza e la difesa). Inoltre, mentre la maggioranza degli incontri e le riunioni dei gruppi di lavoro avranno luogo a Bruxelles, l’Estonia ospiterà almeno 200 eventi diversi, di differente livello, con un numero atteso di visitatori che si aggira tra le 20mila e le 30mila unità. Così, è un fatto che questo futuro e temporaneo leader dell’Europa incrementerà la sua visibilità nei campi della cultura, dell’economia, dell’information technology, del turismo, della education e della ricerca, sostenendo nel contempo tutte le questioni di interesse, che sono importanti per il popolo estone.The Estonian Permanent Representation to EU

Organizzare la Presidenza significa anche incrementare la capcità dello Stato di dire la sua e di far affermare i propri interessi ed obiettivi in Europa e dovunque nel mondo. Il Governo ha già dichiarato che il semestre non costituirà uno sforzo valido per un’unica occasione, auspicando che il lavoro fatto, ed i relativi investimenti, possano apportare benefici a lungo termine per il Paese.

Questo lavoro strategico parte da lontano. Dal 2012, il Governo di questo paese smart e high tech ha istituito una commissione preparatoria per la Presidenza, presieduta dal Segretario di Stato, cominciando ad assumere e ad addestrare il personale necessario, ed organizzando i citati incontri ministeriali informali e gli altri eventi di alto livello.

Unitamente al Comitato per il Centenario, evento che non è formalmente connesso con la Presidenza, gli estoni hanno preparato il semestre con l’intento di risparmiare tempo, denaro e sforzi, per implementare congiuntamente un programma internazionale per far consocere l’Estonia e la cultura estone nei Paesi stranieri.

Approssimativamente 100 funzionari supporteranno lo staff già insistente presso la Rappresentanza Permanente dell’Estonia presso l’UE a Bruxelles.

Questo dimostra che questo paese altamente tecnologico e specializzato, precedentemente appartenente all’Unione Sovietica, sta giocando adesso un ruolo importante nella sua stessa storia e nelle questioni europee.

Quello che abbiamo tentato di dimostrare con questi articoli di approfondimento è che l’Estonia rappresenta un paese ormai moderno, disponibile ad ospitare istituzioni ed organizzazioni internazionali, aperto ad esperienze politche fondamentali come la Presidenza del Consiglio dell’UE e le celebrazioni del suo centenario dalla fondazione.

Nel prossimo articolo ci concentreremo sulla NATO in Estonia e sulla “NATO estone” vista dalla Russia.

La Minaccia della Radicalizzazione jihadista nei Balcani

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La storia dei Paesi Balcanici è inestricabilmente legata ad un conflitto etnico e religioso, che ha accompagnato la formazione delle identità nazionali fin dal Medioevo. Da circa vent’anni si ha una rappresentazione geografica dei Balcani divisa politicamente e territorialmente. Eppure, analizzando in profondità la composizione, ci si rendere conto di come ancora oggi la società slava-balcanica sia difficilmente identificabile come omogenea o stabile.

Oltre alla storica segmentazione e confusione etnica, che ha causato nello scorso secolo tragedie tristemente note, negli ultimi anni si sta assistendo ad un ulteriore frammentazione legata alla dimensione religiosa. Nella penisola balcanica ci sono paesi a maggioranza cattolica-ortodossa (la Serbia), e paesi a maggioranza musulmana (la Bosnia, l’Albania, il Kosovo). Ma è proprio in questi ultimi che si sta verificando ormai da tempo (ma della quale solo oggi se ne vedono i risultati) una frattura tra un tipo di Islam moderato-tradizionale, ed un nuovo tipo di Islam radicale, legato alla influenza diretta dai Paesi del Golfo Arabo: il Qatar, il Kuwait, l’Arabia Saudita. Ovvero: la scuola salafita e wahabita dell’Islam.

Le monarchie del Golfo arabico hanno ampliato costantemente la loro influenza nei Paesi balcanici, sfruttando ed estendendo la comune corrente sunnita. Essi hanno finanziato la ricostruzione dei paesi dopo le guerre civili, hanno costruito moschee ed educato i giovani studenti alla religione coranica e investito miliardi di dollari nelle rispettive economie.

Sebbene i Balcani siano territorialmente più vicini all’Europa (quindi all’Occidente), l’ombra e l’influenza islamica salafita si è progressivamente insinuata nelle crepe della società slava, sfruttando la poca attenzione posta dalle potenze occidentali. Per questo, oggi, i Paesi slavi tornano ad assumere una rilevanza strategica e essenziale per l’Occidente; la Serbia, la Bosnia, l’Albania e il Kosovo sono diventati non solo dei safe heaven per i terroristi, ma anche un importante hub di radicalizzazione e reclutamento di nuovi militanti.

Il caso Serbo:

Questa progressiva estensione delle monarchie arabe sulla penisola balcanica, ha fatto in modo che le correnti dell’islam radicale salafita e wahabita (e l’organizzazione terroristica al-Takfīr wa l-Hijra), si infiltrassero anche in un paese a maggioranza cattolica-ortodossa come la Serbia.

Già nel 1939 venne fondato il gruppo dei Mladi Muslimani (I Giovani Musulmani), e ad oggi risultano operanti dozzine di gruppi islamici radicali collegati alla cellula di al-Qaeda o di Jabath al-Nusra, per un totale di almeno 1500 persone appartenenti alla corrente wahabita e salafita. Nella Serbia centrale e nella regione di Belgrado il 90% dei serbi si dichiara cattolico ortodosso, ma le stime cambiano nella regione a Sud-ovest del Paese, ovvero nel Sangiaccato e al confine con il Kosovo. Qui infatti la religione prevalente è l’islam, grazie alla presenza dei Bosgnacchi e di albanesi. Ed è qui, nella cittadina di Novi Pazar, che si trova la moschea di Altun-Alem, da tutti considerato centro islamico sunnita del Sangiaccato, e spesso accusato di proselitismo e radicalizzazione della popolazione musulmana locale.

Se generalmente in Serbia le organizzazioni islamiche sono di piccole dimensioni, esse sono ben organizzate e legate a gruppi separatisti o nazionalisti albanesi e macedoni. Quest’ ultime sono attive particolarmente nel campo del traffico della droga e delle armi, in cooperazione con gruppi terroristici provenienti dal Medio Oriente.

In Siria ed Iraq sono stati individuati solamente 28 foreign fighters provenienti dalla Serbia, le cui partenze sono avvenute tra il 2013 e 2014, tra cui anche 2 donne. Di questi risulta che 11 siano rimasti uccisi sul fronte, mentre altri 10 sono sotto la stretta sorveglianza della polizia serba. Al 2016 non si sono contati altri casi di serbi partiti per arruolarsi nell’ISIS, fatta esclusione per 5 albanesi provenienti dalla regione del Sangiaccato.

 

Bosnia-Erzegovina:

La situazione cambia radicalmente nello stato storicamente più legato al mondo musulmano della regione balcanica, ovvero la Bosnia. Secondo l’ultimo censimento effettuato nel 1991, nel paese il 44% della popolazione si dichiarava musulmana (i cosiddetti Bosgnacchi); facendo riferimento alle stime ONU del 2005, gli abitanti dello Stato di Sarajevo erano circa 3.890.972, di questi almeno la metà di religione islamica sunnita: circa 1.900.000 persone. In relazione all’ultimo censimento del 2013, la popolazione musulmana risulta essere il 54% del totale.

Già da questi numeri si coglie la grande differenza rispetto alla Serbia. Tali dati sono spiegati dallo storico radicamento dell’Impero Ottomano nella regione, le conversioni religiose legate ai vantaggi fiscali (chi si fosse convertito all’Islam non avrebbe infatti pagato le tasse all’Impero), e l’aiuto che la popolazione bosniaca-musulmana ricevette durante la guerra civile dai numerosi Mujaheddin provenienti dai paesi della Penisola arabica. Molti di loro dopo l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina sono tornati nei loro paesi d’origine; mentre molti altri sono rimasti a Sarajevo e hanno aperto Moschee e scuole coraniche, finanziate dalle monarchie del Golfo, da organizzazioni “umanitarie” e ONG legate al mondo islamico. Hanno importato così un nuovo tipo di Islam, intollerante ed estremista, legato alla corrente wahabita, salafita e anche a quella ancor più radicale di al-Takfir ; il quale si scontrava con l’islam moderato e tollerante, storicamente presente nel paese.

Se è errato fare di tutta l’erba un fascio e identificare il Salafismo come una corrente di per sé violenta e radicale, la stessa cosa non si può dire dell’organizzazione di al-Takfir. Il Salafismo sfida le deboli istituzioni statuali, il concetto di famiglia, l’uguaglianza dei generi, il diritto all’educazione, e tutti i valori portanti per la società occidentale. I Takfiri, seppur minoritari nel paese, sono tuttavia intrinsecamente legati al Jihad, alla guerra religiosa, alla lotta contro gli infedeli e all’apostasia. Che non solo è indirizzata contro i cristiani, bensì anche contro l’islam pacifico presente in Bosnia da secoli. La già etnicamente segmentata società bosniaca viene quindi a frammentarsi ulteriormente, nel momento in cui le rivendicazioni politiche dei vari gruppi etnici vengono sostenute e giustificate da un elemento religioso radicale.

Si contano in Bosnia almeno 300 salafiti considerati pericolosi, la maggior parte legata alla famosa moschea del Re Fahd, completamente finanziata dall’Arabia Saudita, che è la più grande della penisola balcanica. Tuttavia molti sono i villaggi periferici che rischiano di diventare, o sono già diventati, dei veri “villaggi della Sharia”. In particolare l’area di Velika Kladusa, nel cuore dell’Europa, è diventata un vero e proprio hotspot per jihadisti. Secondo le stime però del Ministero della Sicurezza bosniaco, sarebbero all’incirca 64 le realtà islamiche sospettate di radicalismo.

Albania e Kosovo:

Il Kosovo e l’Albania sono, insieme alla Bosnia, la vera base logistica nei Balcani per i gruppi estremisti islamici che si avvicinano all’Europa. In Kosovo la popolazione è al 95% musulmana, in Albania al 60%. Da qui passano la maggior parte dei migranti provenienti dai paesi medio orientali e africani, e lungo la rotta balcanica hanno la possibilità di ottenere aiuti di ogni genere: sia di finanze che di armi. La condizione socioeconomica dei due paesi è molto simile: hanno entrambi una popolazione mediamente molto giovane e molto povera. Mentre il tasso di disoccupazione è al 14,50%, la disoccupazione giovanile è al 28%. Nel 2014 circa 46.000 persone hanno lasciato il paese, e 16.000 cittadini hanno chiesto asilo in altri paesi europei. Se questo è possibile, la situazione è perfino peggiore in Kosovo. Il paese ha una delle economie meno sviluppate d’Europa: il tasso di disoccupazione è al 32%, quella giovanile addirittura al 60%.

Questa situazione socioeconomica rende ovviamente i giovani albanesi e kosovari di fede musulmana, fortemente attratti e spinti ad avvicinarsi a gruppi estremisti, che promettono loro soldi e prospettive di vita migliori legate al jihadismo, ma l’insediamento delle comunità islamiche è avvenuto a partire dal crollo del comunismo. Molteplici ONG e fondazioni legate ai paesi arabi si sono avvicinate ed hanno investito milioni di dollari nella ricostruzione dei due Paesi, ed in aiuti umanitari alle popolazioni albanese e kosovara. Importanti aiuti sono arrivati anche dai Fratelli Musulmani e da gruppi economici vicini all’Iran. Riguardo a questi finanziamenti ed investimenti da parte di ONG e Stati nazionali, non è mai stato effettuato un controllo approfondito.

Se già nel 1992 l’Albania entrò a far parte della Conferenza Islamica, e ad oggi si contano circa 700 moschee, di cui almeno una dozzina sono considerate fuori il controllo dello Stato, in Kosovo il fenomeno di insediamento salafita e wahabita è ovviamente più recente. Dopo il conflitto nel 1999, numerose Organizzazioni umanitarie provenienti da Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi, hanno partecipato alla ricostruzione del paese che nel 2008 ha dichiarato la sua indipendenza. La Turchia ha costruito 20 nuove moschee, ristrutturandone 13 appartenenti all’Impero Ottomano.

Anche qui le correnti salafita e wahabita non sono le uniche presenti; si ripresenta infatti la corrente dei Takfiri, tra le più radicali ed estremiste del panorama sunnita. Ovviamente le organizzazioni terroristiche trovano terreno fertile nei due paesi balcanici, a causa della drammatica condizione economica e sociale. In Medio Oriente si contano circa 115 foreign fighters provenienti dall’Albania, di cui 30 ancora attivi in Siria. Le cifre date dal Ministero dell’Interno del Kosovo sono ancora più impressionanti: su una popolazione di 1,8 milioni di abitanti sono 360 le persone che si sono spostate in Siria ed Iraq, di cui 60 sono donne.

Conclusioni:

Storicamente i Balcani hanno sempre giocato un ruolo centrale nello scacchiere geopolitico, ponendosi a metà strada tra Europa ed Asia. In questi ultimi anni l’attenzione occidentale si è spostata su altre regioni, e le conseguenze stanno risultando drammaticamente evidenti. La Bosnia, l’Albania ed il Kosovo sono i casi più pericolosi, ma in generale tutta la penisola balcanica è diventata una base logistica per numerosi gruppi terroristici, che stanno rafforzando la loro presenza, grazie ai finanziamenti e i rifornimenti di armi; ciò può interessare però anche i cd. lone wolves, individui non formalmente collegabili ad organizzazioni, ma soggetti al pensiero fondamentalista islamico. Non può essere un caso che dalla Rotta Balcanica siano passati armi e persone ricollegabili agli attentati in Europa.

Per anni l’Unione Europea e l’Occidente hanno erroneamente dimenticato l’importanza strategica della penisola balcanica, lasciando che interessi contrapposti penetrassero e si rinforzassero nella regione. Non più solo la storica influenza russa sulla Serbia, ma anche l’aumento della presenza araba (Arabia, Qatar, Kuwait e Turchia), pericolosa per l’instabilità della regione e per l’Europa intera. Solo dal 2014 l’UE ha adottato un piano di collaborazione con i paesi balcanici per la difesa e la sicurezza di quest’ultimi. Bisogna tuttavia ricordare che il Kosovo, oggi il più pericoloso hub per organizzazioni terroristiche nei Balcani, non è parte dell’Interpol: ciò ostacola fortemente la nascita di una collaborazione di intelligence e polizia.

Dalla analisi dei diversi Paesi risulta determinante un minimo fattore comune: la drammatica situazione socio-economica. In queste società già storicamente frastagliate, il crollo delle condizioni economiche, l’aumento esponenziale della disoccupazione soprattutto giovanile, la debolezza intrinseca delle istituzioni politiche sono fattori di attrazione e acceleramento della penetrazione islamica nei Paesi.

Solo nel dicembre 2015 è stato firmato dall’UE il piano d’azione coordinata con i governi dei Paesi balcanici, il Western Balkan counter-terrorism initiative 2015-2017, a cui farà seguito la Integrative Plan of Action 2018-2020. Attraverso queste iniziative l’Unione sta cercando di riavvicinare la regione al mondo europeo, collaborando nella ricerca, nell’attività di intelligence e nella repressione delle organizzazioni terroristiche. Correntemente è passato troppo poco tempo per avere prova soddisfacente dei risultati ottenuti (la stessa UE non ha ancora pubblicato un report ufficiale di valutazione dell’impatto dell’iniziativa); tuttavia è palese la mancanza di indicatori del successo del programma. Non è ben chiaro quale vuole e deve essere il risultato di questi programmi, e come fare a valutare il suo successo.

Ciò che comunque dovrà fare l’Europa in futuro per aumentare la prevenzione sarà iniziare il dialogo, non più solo con i rappresentanti del governo, ma soprattutto con i rappresentanti della società civile. È fuori discussione che per avere un efficace programma di prevenzione del terrorismo, sia necessario includere tutti gli attori sociali all’interno del dibattito. Bisognerà capire chi sono i veri alleati all’interno di questo processo, ed escludere quindi i false friends; sarà fondamentale non limitare il procedimento alla semplice repressione, implementazione e adozione di leggi repressive, ma allargarlo bensì all’inclusione economica e politica dei Balcani nell’influenza dell’Europa.

La sfida della prevenzione e della stabilizzazione della regione balcanica sarà cruciale per la credibilità dell’Unione, e forse, della sua stessa esistenza. Avere una simile base logistica alle porte dell’Europa per i terroristi, è qualcosa che non può più essere ignorato. L’Italia, per la sua vicinanza geografica e storica alla regione, deve farsi capo di questo programma di lotta al terrorismo e di cooperazione economica coi Paesi balcanici. Questo obiettivo però potrà essere raggiunto solo se a questa azione collaborino tutti gli attori rilevanti nell’area: gli Stati balcanici, l’Unione Europa e la NATO.

 Adriano Cerquetti

Focus sull’Estonia: capitolo 2

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Come abbiamo anticipato nel nostro primo articolo sull’argomento, ci concentreremo adesso sull’evoluzione del ruolo di questo paese nelle istituzioni europee. Cominciamo dalla cosa più facile. Meglio: comminiciamo da una cosa difficilissima e molto tecnica, ma molto facile da essere spiegata ai lettori. Parliamo di eu-Lisa. L’abbiamo menzionata in qualche nostro articolo precedente, parlando della specularità tra alcune agenzie ONU ed Europee. eu-Lisa è speciale, è non ha “gemelli” nel contesto ONU.

Il suo acronimo si riferisce letteralmente all’Agenzia (A), all’Europa (eu), alla Libertà (L), alla Giustizia (la “I” o la “J” di Justitia), ed alla Sicurezza (S). Il suo nome per esteso è Agenzia Europea per i sistmi IT di larga scala nelle aree di libertà, sicurezza e giustizia.

L’agenzia ha sede in Tallinn, la graziosa capitale dell’Estonia, sin dal 2012 e fornisce supporto tecnico per gli Stati Membri e le Istitutzioni dell’UE, gestendo i sistemi IT di larga scala integrati, il cui scopo è quello di mantenere la sicurezza interna nei paesi dell’area Schengen, facilitare la materia dei visti per l’ingresso in tali paesi, e determinare quale Stato Membro debba esaminare le richieste di asilo, secondo quanto stabilito dal ben noto sistema Dublino.

L’Agenzia ha anche il compito di testare le nuove tecnologie e di realizzare un moderno e sicuro sistema di gestione delle frontiere esterne europee. Per esempio, le è stato chiesto di testare e realizzare la fase pilota (con le relative risultanze) del progetto “Frontiere intelligenti“, che è la traduzione operativa del “pacchetto Frontiere Intelligenti“: un pacchetto legislativo delineato dalla commissione e discusso dal  Consiglio dell’Unione Europea, nella sua versione Giustizia e Affari Interni. Questo “pacchetto” istituira – solo dopo una condivisa e ben condivisa procedura di co-decisione – un Sistema di Entrate e Uscite (SEU) ed un Sistema Europeo di Informazione ed Autorizzazione al Viaggio (ETIAS, secondo l’acronimo inglese European Travel Information and Authorization System). Si suppone che entrambi possano essere operativi nel 2020. Il primo dovrà assicurare la sicurezza delle frontiere tracciando tutti i movimenti dei cittadini di Stati extra-UE attraverso le frontiere esterne dell’Unione in entrambe le direzioni. Ovviamente, monitorando turisti e viaggiatori il sistema dovrebbe controllare visti, passaporti e documenti d’identità, verificando se qualcuno dei soggetti controllati è un criminale, un terrorista o sia coinvolto in qualche modo nell’immmigrazione illegale o, peggio, nel traffico di migranti. Il SEU dovrebbe effettivamente prevenire e deterrere il compimento di crimini collegati all’immigrazione, al terrorismo ed alla tratta di esseri umani. Inoltre, dovrebbe automaticamente avvisare le forze di polizia dela presenza di “overstayers“, ossia di persone che hanno superato il loro periodo massimo di permanenza nel territorio dell’Unione in base al visto precedentemente concessogli.

L’ETIAs sarà invece molto simile all’americano ESTA e dovrebbe istitutire una sorta di prenotazione per ottenere il permesso a viaggiare verso l’europa. L’entrata in funzione di tale sistema comporterà la necessità di modificare il vigente Codice Frontiere Schengen. Ma, ovviamente, determinerà un incremento della prevenzione e del perseguimento dei reati sempre connessi alle frontiere ed alla sicurezza interna. Di sicuro coloro che saranno sospettati di essere riminali o terroristi non verranno autorizzati ad entrare nell’UE.

Riteniamo che la presenza di eu-Lisa in Estonia sia motivo di orgoglio per questa nazione evoluta, smart, e risoluta.

L’Agenzia è dotata di un Consiglio di Amministrazione che si riunisce due volte all’anno ed in cui tutto gli Stati Memembri sono egualamente rappresentati, e si avvale di alcuni gruppi di consulenza, costituiti da esperti sia nelle materie IT che in quele relative al settore Giustizia e Affari Interni (GAI). Essa gestisce i tre principali sistemi (o banche dati) GAI: il Sistema di Informazione Schengen, Il Sistema di Informazione sui Visti ed il sistema Eurodac (il ci principale obiettivo è quello di raccogliere ed analizzare le impronte digitali dei richiedenti asilo nell’UE).

Ovviamente l’Agenzia studia il modo di rendere l’Europa più sicura, da un punto di vista meramente tecnico, ma non ha poteri legislativi o cogenti. Coopera con i singoli Stati membri e con le Istituzioni europei – nel settore GAI – agendo come un consulente ed un consigliere altamente specalizzato e molto qualificato.

L’Agenzia è anche parte della rete delle Agenzie europee GAI che, una volta all’anno, organizzanoun incontro congiunto tra i loro leader per scambiare infromazioni metodologiche, buone prassi ed addestramento. Il Presidente del network è scelto a rotazione tra i Direttori delle singole agenzie e la sua carica dura un anno. L’Agenzia che detiene la presidenza ha il compito di organizzare presso la citta in cui ha sede il meeting. Tutte le Agenzie, dopo l’incontro, approvano e distribuiscono un documento congiunto recante le loro conclusioni, il cui scopo è sempre quello di rendere le loro policy e le loro azioni più coerenti, sempre meno accavallate e meglio collegate.

eu-Lisa e Tallinn hanno avuto il compito di organizzare questo incontro nel 2015. Un’altra ragione per guardare all’Estonia come un partner ed un attore chiave nell’UE, che sta incrementando anche il suo ruolo nell’assetto generale della sicurezza in Europa.     

Focus sull’Estonia

Varie di

Non tutti conoscono approfonditamente un’amabile e piccola nazione posta nell’angolo più a nordest d’Europa, molto vicina al confine russo: l’Estonia. Un ex repubblica baltica e sovietica, che nulla ha a che vedere con la rivoluzione marxista e leninista. Un nazione che parla una lingua molto poetica, di matrice ugro-finnica e con vocali equilibrate nelle parole. Un piccolo paese, come detto, ma con una grande ed avanzata infrastruttura IT, dove è nato Skype e dove – anche secondo Wikipedia – è molto facile trovare ovunque hotspost Wi-Fi gratuiti, ed anche le persone anziane sono abituate  a comprare, a votare (hanno iniziato a votare in rete per i loro politici già dal 2005) ed a vivere una vita migliore e più confortevole usando PC e cellulari. Qualcuno la chiama e-Stonia.

L’Estonia, che ora sta celebrando il suo 99° anniversario dall’indipendenza (dalla Russia). In realtà, sappiamo che i russi occuparono il territorio estone anche dopo la seconda guerra mondiale, dopo un breve periodo di occupazione militare nazista. Ma hanno sempre festeggiato dal 1918, perché non si sono mai sentiti parte dell’URSS. Un piccolo Stato con un forte orgoglio patriottico – più grande di altri – che difendono anche dai vicini finlandesi: le loro lingue sono molto simili, ma non gli piace davvero se un finlandese, camminando per Tallinn, vuole parlare in finlandese e non in estone. Devi parlare estone. Se non sei capace, è obbligatorio esprimersi in inglese.

Finlandia ed Estonia, in realtà, sono buoni amici: distano 30 minuti di aereo e c’è ogni singolo giorno un traghetto che collega continuamente Tallinn a Helsinki, attraversando il Mar di Finlandia.

Ma questo Stato europeo non rappresenta solo un paradiso della tecnologia. E’ anche lo Stato membro dell’Unione che deterrà la presidenza del Consiglio dell’UE dopo l’attuale presidenza maltese. Come abbiamo scritto in qualche altra occasione su questa rivista, le Presidenze sono collegate tra loro in gruppi di tre: è questo il “trio” di Presidenza; il Trio dovrebbe seguire una politica uniforme nella maggior parte dei campi di azione delle procedure legislative. Il 1° luglio 2017, l’Estonia inizierà la sua avventura, alla guida del ramo esecutivo dell’istituzioni europee, e sarà il primo paese del suo trio (seguito nel 2018 da Bulgaria e Austria).

L’Estonia è entrate nel sistema della moneta comune, l’Euro, nel 2011, L’assetto economico-finanziario generale sembra molto buono ed il Paese è aperto agli investimenti stranieri.

L’Estonia ospita una delle più importanti agenzie europee nel settore Giustizia ed Affari Interni, chiamata eu-Lisa, fondata nel 2014. Dieci anni prima, era entrata nella NATO e, successivamente, i suoi militari hanno lavorato al fianco dei loro colleghi NATO nelle più recenti missioni internazionali di mantenimento della pace (me li ricordo in Kosovo, nel Reggimento MSU).

Last but not least, a Tartu (la seconda città dopo la Capitale), il governo sta ospitando il NATO Baltic College, il cui motto è “Ad Securitatem Patriarum” (“Per la sicurezza delle Patrie”): non è un po’ troppo per la vicinissima Russia?

Europeanaffairs.media comincerà nei prossimi giorni a focalizzarsi sull’Estonia, le sue istituzioni, le sue politiche in vista del semestre di presidenza del Consiglio dell’UE. Ci concentreremo anche sulla presenza delle organizzazioni internazionali e la modernità di questa nazione, che in realtà annovera anche una storia millenaria.

Stay tuned….

 

Domenico Martinelli
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