GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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POLITICA - page 14

Iran, stop sanzioni: i riflessi geopolitici ed economici

Con il sì del Consiglio di Sicurezza Onu, finisce l’embargo imposto a Teheran. Per il governo statunitense è “l’unica chance per fermare il piano nucleare”, mentre per l’Europa e l’Italia si apre un’importante opzione commerciale.

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Grazie alla risoluzione Onu del 20 luglio, il Consiglio di Sicurezza ha detto sì all’accordo e alla fine delle sanzioni contro l’Iran decise dalla stessa assemblea nel 2006. Via libera dunque al patto siglato tra il 5+1 e Teheran a Vienna il 14 luglio scorso. Il documento entrerà in vigore non prima di 90 giorni.

Un accordo storico per l’Occidente dal punto di vista geopolitico ed economico. Geopolitico in particolar modo per gli Stati Uniti, come ricordato il 23 luglio dal segretario di Stato Kerry: “Non potevamo di certo aspettarci la capitolazione dell’Iran – ha riferito al Congresso -. Ma era l’opzione migliore. Spero che il Congresso (rivolgendosi al Partito Repubblicano, ndr) approvi perché questa è l’unica chance per fermare il piano nucleare ed evitare il rischio di uno scontro militare”, ha poi concluso.

Ma oltre agli aspetti geopolitici e strategici nel mondo arabo, gli sbocchi sono anche commerciali. Il vicepresidente esecutivo e direttore generale di Saras (azienda italiana di raffinazione del petrolio) Dario Scaffardi, in un summit su business e finanza, oltre a sottolineare i benefici che il calo del prezzo del petrolio ha già portato sul mercato internazionale, ha riferito che, a seguito della fine dell’embargo, il proprio gruppo è stato contattato dall’Iran, tornatoad essere attore protagonista del mercato di greggio internazionale. Come già prospettato dopo l’accordo di Vienna, il ritorno alla produzione di greggio da parte di Teheran “potrà portare un milione di barili di greggio al giorno sul mercato una volta tolte le sanzioni. Con la possibilità di aggiungere altri 0,5-1 milione di barili abbastanza velocemente”, ha affermato il manager dell’industria della famiglia Moratti.

Sul fronte italiano, inoltre, i prossimi 4 e 5 agosto, il ministro degli Affari Esteri Gentiloni e il titolare dello Sviluppo Economico Federica Guidi si recheranno in Iran assieme ai rappresentati dei più grandi gruppi industriali italiani. Il fine è quello di mettere nero su bianco un interscambio commerciale significativo con Teheran. Infatti, prima della rivoluzione del 1979, l’Europa era il primo partner in termini di import-export dell’ex Persia. Primato che, al momento, dagli anni’90 appartiene alla Russia, la quale, oltre ai rapporti geopolitici di amicizia, ha effettuato importanti investimenti nei settori petrolifero e gasifero del Paese mediante la società Gazprom.

 

Giacomo Pratali

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Srebrenica: un massacro che compie vent’anni

EUROPA/POLITICA/Varie di

I Balcani sono più di un’espressione geografica, molto di più. Lingue, religioni, simpatie, tradimenti, massacri, contaminazioni e scambi culturali; gli autoctoni e gli arrivati da lontano; il latino, il cirillico e l’ellenico.Un ventennio, al giudizio di popolazioni che si rinfacciano ancora oggi l’epoca bizantina e i 500 anni di dominazione ottomana, quanta peso storico porta? Un peso inquietante, un macigno se si chiama Srebrenica.

Il premier serbo Vucic è stato contestato con rabbia determinata, lancio di pietre e altri oggetti alla celebrazione dei vent’anni dal massacro. A poco servono le annotazioni bosniache su”disturbatori venuti da fuori”. A che servono, se non a mettere una pezza a un sentore incontrollabile, all’odio che trova a tutt’oggi terreno fertile nell’oblio, nell’impunità, nella latitanza pluriennale dei responsabili, dell’una e dell’altra parte, di quei giorni feroci?

“Sono passati 20 anni dal terribile crimine commesso e non ci sono parole per esprimere rimorso e dolore per le vittime, così come rabbia e rancore verso coloro che hanno commesso questo crimine mostruoso. La Serbia condanna in modo chiaro e senza ambiguità questo crimine orribile” ha scritto Vucic in una nota “ed è disgustata da quanti vi hanno preso parte e continuerà a portarli davanti alla giustizia. La mia mano resta tesa verso la riconciliazione”.

Apprezzabile la partecipazione conciliatoria e l’esperienza diplomatica a 360° del premier serbo da quando è stato eletto, ma manca la definizione di “genocidio” ne dizionario politico serbo di quanto accadde nella guerra di Bosnia. Lo dice Obama, lo dice anche il Presidente Mattarella : “fu genocidio”, dichiarano.

“ Per genocidio s’intendono gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”, secondo la definizione adottata dall’ONU.

Allora, mettiamo insieme quello che di significativo abbiamo per accettare o meno una definizione che poco cambia nel bilancio della storia, ma tanto disturba nella presa delle responsabilità: “Uccidere 50mila musulmani in più non porterebbe a niente. Recupereremo in seguito. La nostra vera priorità è sbarazzarci della popolazione musulmana”, scriveva Ratko Mladic, il boia di Srebrenica nei suoi diari segreti. “I musulmani sono il nemico comune nostro e dei croati, dobbiamo cacciarli in un angolo dal quale non possano più muoversi”.

Le 3500 pagine raccolte in 18 quaderni sono la prova più schiacciante degli intenti sciovinisti di quella elite militare e paramilitare serba che pretese di fornire una sorta di “soluzione finale” adoperandosi in una pulizia etnica bella e buona nel triennio 1992-1995.

Nella cittadina bosniaca di Srebrenica, oltre 8 mila uomini , bambini, giovani e anziani musulmani , venivano uccisi a colpi di mitraglia e poi nascosti in fosse comuni scavate dalle milizie serbo-bosniache del generale Ratko Mladić quel 11 luglio 1995. Un massacro passato alla storia come la più grave carneficina in Europa dai tempi della Seconda Guerra mondiale.Secondo i dati ufficiali, i morti fuorono 8372, secondo altre fonti si tratterebbe di circa 10mila persone.

Cosa significa un ventennio dal massacro di Srebrenica? Significa l’identificazione in corso di morti ancora senza nome.

Libia: ad un passo dal governo di unità nazionale

Tobruk e gli altri gruppi del Paese firmano l’intesa. Adesso, c’è attesa presso le Nazioni Unite per decisione di Tripoli, attesa lunedì 6 luglio.

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Alle prime luci dell’alba di venerdì 3 luglio, Tobruk, Zintan, Misurata e i rappresentanti di altre fazioni hanno firmato l’accordo politico per “la creazione di un governo di unità nazionale libico”, riportano le Nazioni Unite. Dopo mesi di trattative, minacce di sanzioni da parte della comunità internazionale e l’incombere dello Stato Islamico e di una bancarotta finanziaria ormai annunciata, il delegato Onu Bernardino Leon raccoglie i primi frutti di questi colloqui di pace grazie alla quarta bozza messo sul tavolo delle trattative. Ora, l’attesa è tutta rivolta verso il Congresso Nazionale di Tripoli, il quale, lunedì 6 luglio, deciderà o meno di prendere parte a questo esecutivo di emergenza.

“La Libia ha bisogno di una larga intesa per avviare la ricostruzione nella sicurezza”. ha affermato il ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni. “Sottrarsi a questa responsabilità sarebbe grave. Nelle prossime ore l’Italia moltiplicherà gli sforzi per giungere rapidamente ad un approdo unitario sul testo dell’accordo politico presentato dalle Nazioni Unite”, ha concluso il rappresentante del governo italiano.

 

Giacomo Pratali

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Vertice Ue, immigrazione: accordo a metà

EUROPA/POLITICA di

Dopo una nottata di trattative serrata, l’Europa approva la redistribuzione di 40mila migranti nei prossimi due anni. Le quote sono “obbligatorie” a parole ma “volontarie” fatti: ogni Paese potrà decidere il numero di persone da accogliere.

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Bicchiere mezzo pieno. O mezzo vuoto. Si può riassumere così il vertice europeo di Parigi sull’immigrazione tenutosi tra il 25 e il 26 giugno. Il Consiglio Europeo dice sì alla redistribuzione tra gli Stati membri dei 40mila migranti richiedenti asilo sbarcati in Italia e Grecia dal 15 aprile. Questa ricollocazione sarà effettuata nei prossimi due anni. Tuttavia, saranno prima la Commissione e poi lo stesso Consiglio Ue a stabilire, a luglio, le quote per ogni singolo Paese, i quali avranno il diritto di stabilire il numero delle persone da accogliere.

Una bozza o, sarebbe meglio dire, un compromesso, quello messo sul tavolo dai leader del Vecchio Continente. Un accordo frutto di accesi scontri verbali avvenuti nella notte. Due i fronti. Il primo, con l’Italia in testa e a seguire il presidente della Commissione Juncker, l’alto rappresentante Mogherini, e i leader di Germania e Francia, Merkel e Hollande. Il secondo, il blocco dei Paesi dell’Est Europa, capitanato dalla Polonia e composto anche da Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Scontri che hanno poi riguardato lo stesso capo della Commissione Europea e Tusk, reo di avere abbandonato la sua posizione di neutralità e di avere appoggiato le posizioni di Varsavia.

Già la giornata di giovedì preannunciava le difficoltà di un possibile accordo: “Non c’è consenso sulle quote obbligatorie”, affermava Tusk. Mentre Juncker e Mogherini ritenevano necessario andare oltre il Trattato di Dublino e “rivoluzionare il concetto di accoglienza dei profughi”.

Ma con la cena e l’avvicinarsi della notte, l’impasse si è fatta sempre più evidente. Testimonianze dirette raccontano di un intervento violento, dal punto di vista verbale, del premier italiano Renzi: “Se non siete d’accordo sulla distribuzione dei 40 mila migranti, non siete degni di chiamarvi Europa. Se volete la volontarietà, tenetevela”.

Accantonata ormai la prima bozza, figlia del precedente Consiglio Europeo di aprile, ma che andava incontro alle richieste spagnole in merito alle modalità di redistribuzione dei migranti, alle prime luci dell’alba i leader europei giungono all’accordo sulle 40mila persone richiedenti asilo da ripartire nei prossimi due anni, con la definizione delle quote da definire.

Quote che vengono definite “obbligatorie”, ma che si richiamano, nella pratica, al principio di volontarietà. A questi 40mila, infine, si aggiungeranno gli altri 20mila presenti nei campi profughi dei Paesi da cui provengono i migranti. Tutti, tranne Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, defilatesi già in precedenza.
Giacomo Pratali

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Libia: buona la quarta?

Tripoli dice sì con riserva alla bozza proposta da Leon. Daesh, questione migratoria e crisi finanziaria rendono sempre più necessario un accordo tra i due governi. La stampa internazionale, tuttavia, sottolinea l’incapacità del mediatore Onu e dei Paesi occidentali di individuare quale dei due esecutivi sia quello più adatto ad arginare l’avanzata dello Stato Islamico e arrestare l’imponente flusso di persone dirette verso l’Europa.

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Un timido passo in avanti. L’accordo tra le due parti in causa sembra essere più vicino. Questo ci dice la risposta affermativa, seppure con la “necessità di apportare alcune modifiche”, fatta pervenire al mediatore Onu il 17 giugno dal governo di Tripoli. Un’apertura ad un “Governo di Accordo Nazionale” assieme ai rappresentanti di Tobruk, come recita il documento contenente 69 articoli, che è già una notizia visti i continui contrasti tra i due esecutivi.

La paura dell’avanzata dello Stato Islamico, le pressioni dell’Unione Europea sulla questione migratoria, la ormai più che probabile bancarotta finanziaria della Libia, pongono i due governi ad una sola scelta possibile: l’accordo.

La quarta bozza, presentata ad Algeri da Leon ad inizio giugno, parte dalla precedente, ma cerca di dare più spazio alle istanze del governo filomusulmano di Tripoli. Permane la formazione di un’unica assemblea legislativa a Tobruk, ma si fa spazio una Presidenza del Consiglio tripartita, composta da un presidente e da due vice: un check and balance a favore della giusta rappresentanza delle due parti in causa.

Se comunque i due governi continuano a tirare la giacca a Leon per arrivare ad una soluzione favorevole per uno piuttosto che per l’altro, il nodo da sciogliere gira attorno alla figura del generale Haftar. Vero leader della fazione riconosciuta a livello internazionale e sostenuto dal presidente egiziano Al Sisi, viste le accuse di crimini contro i civili a suo carico, suscita non poco imbarazzo in Occidente.

E se è vero che è necessario trovare un interlocutore unico in Libia per arginare l’avanzata dello Stato Islamico e per regolamentare i flussi migratori diretti in Europa, il vero dubbio è se non solo su Haftar, ma sul governo stesso di Tobruk, sulla sua reale capacità di incidere sulla popolazione (è stato votato dal solo 25% degli aventi diritto).

Come rilanciato di recente dal Financial Times, finora Leon, nel corso di questi quasi infruttuosi negoziati, Unione Europea e Paesi occidentali non hanno capito che il vero epicentro della crisi della Libia ruota attorno a Tripoli e alla Tripolitania, la regione dove si concentrano la maggior parte degli scontri tra le milizie del Daesh e le truppe filoislamiche legate ai Fratelli Musulmani, sostenitori del governo della capitale.

In questa ottica, i governi di Tripoli e Tobruk dovrebbero avere pari riconoscimento presso il consesso internazionale. Questo perché se Tobruk viene considerato legittimo, Tripoli, da parte sua, ha in mano quello che è il reale polso del Paese. È quindi in questo direzione che la quarta bozza proposta da Leon deve andare.

In questo scenario, è assordante il silenzio dell’Unione Europea. Incapace di portare avanti una reale politica dell’accoglienza dei rifugiati e della regolamentazione dei migranti in arrivo da Africa e Medio Oriente, stenta a fare sentire la propria voce nel contesto libico. E riesce a porsi come arbitro della necessaria pace nel Paese che, alla fine dei conti, altro non è che un accordo tra Stati: Arabia Saudita, Egitto e Russia (pro Tobruk) e Turchia e Qatar (pro Tripoli).
Giacomo Pratali

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Foreign Fighters: l’Europa ce la sta mettendo tutta contro il terrorismo.

BreakingNews/Difesa/EUROPA/POLITICA di

BRUXELLES: – Per avanzare nell’attuazione delle sue priorità di prevenzione e lotta al terrorismo, nell’ambito dell’Agenda europea sulla sicurezza, la Commissione europea ha recentemente chiesto al Consiglio di autorizzarla a firmare, a nome dell’Unione, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione del terrorismo, e il suo protocollo aggiuntivo.

consiglio-dei-ministri-dellunione-europea   Facciamo subito una precisazione per i non addetti ai lavori: Consiglio      europeo, Consiglio dell’Unione Europea e Consiglio d’Europa sono cose    totalmente differenti. Il Consiglio europeo è un organo squisitamente        politico e non decisionale, che non detiene alcun potere di legiferazione.    È composto da Capi di Stato o di governo, che vi partecipano a seconda      dell’importanza rivestita dalla carica da essi ricoperta nell’ambito delle      legislazioni nazionali ed adotta un’agenda politica dell’Unione.

Il Consiglio dell’Unione europea, assieme al Parlamento Europeo, è invece l’organo deputato alla legiferazione nell’ambito della procedura di co-decisione delle norme che regolano l’unione. È composto dai singoli ministri nazionali, che si ritrovano in determinate “formazioni” in base alla materia da trattare, e legiferano anche sulla base dei Gruppi e sottogruppi in seno al Consiglio stesso, che sono formati da funzionari e dirigenti dei singoli dicasteri nazionali, competenti per materie da trattare.

Il Consiglio d’Europa è un organizzazione internazionale del tutto estraneo all’Unione Europea, il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti dell’uomo, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa.è composto da 47 Stati Membri ed è nato nel 1949.

Questa digressione obbligatoria, ci è utile per farci comprendere che  l’adozione del protocollo aggiuntivo alla OLYMPUS DIGITAL CAMERAConvenzione è un importante passo avanti nell’ottica di una più decisa risposta europea al terrorismo, in particolare alla minaccia rappresentata dagli ormai tristemente noti “foreign fighters”. Il protocollo implementa alcune disposizioni della risoluzione 2178 (2014) del Consiglio di  sicurezza dell’ONU sui terroristi combattenti stranieri, come la criminalizzazione di attività quali il recarsi in paesi terzi a fini terroristici (ad esempio per ricevere addestramento) o la partecipazione ad attività   di gruppi terroristici o a formazione a scopi di terrorismo. La Convenzione prevede che tutte le parti firmatarie designino punti di contatto permanenti per agevolare un rapido scambio di informazioni su persone sospettate di viaggi all’estero a scopi terroristici.

Consiglio-dEuropaFinora l’Unione Europea non ha firmato la Convenzione, né il suo protocollo aggiuntivo, ma ha attuato alcune delle loro disposizioni nella decisione quadro del 2008 sul terrorismo, che verrà aggiornata nel 2016. Poiché il protocollo costituisce un’aggiunta alla Convenzione, la Commissione intende firmare entrambi contemporaneamente, per aprire la strada per l’attuazione delle loro disposizioni. Attendiamo fiduciosi che il Consiglio dell’Unione Europea, nella sua formazione “Justice and home affairs”, dia il via libera alla firma di un documento che ostacolerà ancora di più la crescita e l’alimentazione delle reti eversive terroristiche nel vecchio continente.

 

L’Europa apre gli occhi sul Mediterraneo

BreakingNews/Difesa/EUROPA/POLITICA di

La Commissione Europea ha stilato e approvato l’agenda europea sull’immigrazione. Nel documento vengono delineate le misure previste nell’immediato per rispondere alla situazione di crisi nel Mediterraneo e le iniziative da varare negli anni a venire per gestire meglio la migrazione in ogni suo aspetto.

Triton e Poseidon, pur mantenendo la loro missione di controllo delle frontiere via mare dell’UE, vedono le loro funzioni ampliate nelle operazioni di soccorso, con molte similitudini con Mare Nostrum. Si prospetta un sistema di emergenza di quote, per ripartire fra tutti i paesi dell’Unione i profughi che riusciranno a sbarcare sulle nostre coste. Sarà obbligatorio per tutti, eccezion fatta per Italia e Grecia, alle quali viene riconosciuto di “aver fatto già abbastanza” e considerando il fatto che i due paesi rimangono impegnati nelle fasi di soccorso e prima accoglienza.

L’Europa si trova costretta a guardare negli occhi la gravità della situazione creatasi nelle sue frontiere sud. Il primo Vicepresidente Frans Timmermans ha dichiarato: “La tragica perdita di vite umane nel Mediterraneo ha sconvolto tutti gli europei. I nostri cittadini si aspettano che gli Stati membri e le istituzioni dell’UE agiscano per impedire il ripetersi di simili tragedie. Il Consiglio europeo ha dichiarato esplicitamente che occorrono soluzioni europee, basate sulla solidarietà interna e sulla consapevolezza che abbiamo una comune responsabilità nel creare una politica migratoria efficace.” Nel presentare il documento, ha aggiunto -” Per questo la Commissione propone oggi un’agenda che rispecchia i comuni valori europei e dà una risposta ai timori che nutrono i nostri cittadini sia difronte a una sofferenza umana inaccettabile che rispetto all’applicazione inadeguata delle nostre norme comuni e condivise in materia di asilo. Le misure che proponiamo contribuiranno a gestire meglio la migrazione e a rispondere alle legittime aspettative dei nostri cittadini”.

La Commissione ha elencato le azioni immediate da intraprendere subito:

– Triplicare le capacità e i mezzi delle operazioni congiunte di Frontex, Triton e Poseidon, nel 2015 e nel 2016. È stato adottato un bilancio rettificativo per il 2015 che assicura i fondi necessari: un totale di 89 milioni di EUR, comprensivo di 57 milioni per il Fondo Asilo, migrazione e integrazione e 5 milioni per il Fondo Sicurezza interna in finanziamenti di emergenza destinati agli Stati membri in prima linea, mentre entro fine maggio sarà presentato il nuovo piano operativo Triton;

– Proporre per la prima volta l’attivazione del sistema di emergenza previsto all’articolo 78, paragrafo 3, del TFUE per aiutare gli Stati membri interessati da un afflusso improvviso di migranti. Entro la fine di maggio la Commissione proporrà un meccanismo temporaneo di distribuzione nell’UE delle persone con evidente bisogno di protezione internazionale. Entro la fine del 2015 seguirà una proposta di sistema permanente UE di ricollocazione in situazioni emergenziali di afflusso massiccio;

Proporre entro fine maggio un programma di reinsediamento UE per offrire ai rifugiati con evidente bisogno di protezione internazionale in Europa 20 000 posti distribuiti su tutti gli Stati membri, grazie a un finanziamento supplementare di 50 milioni di EUR per il 2015 e il 2016;

Varare un’operazione di politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) nel Mediterraneo volta a smantellare le reti di trafficanti e contrastare il traffico di migranti, nel rispetto del diritto internazionale.

I quattro pilastri della nuova agenda, in linea con la politica sullìimmigrazione auspicata da J.C. Juncker, Presidente della Commissione Europea, sono i seguenti:

  • Ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare, in particolare distaccando funzionari di collegamento europei per la migrazione presso le delegazioni dell’UE nei paesi terzi strategici; modificando la base giuridica di Frontex per potenziarne il ruolo in materia di rimpatrio; varando un nuovo piano d’azione con misure volte a trasformare il traffico di migranti in un’attività ad alto rischio e basso rendimento e affrontando le cause profonde nell’ambito della cooperazione allo sviluppo e dell’assistenza umanitaria.
  • Gestire le frontiere: salvare vite umane e rendere sicure le frontiere esterne, soprattutto rafforzando il ruolo e le capacità di Frontex; contribuendo al consolidamento delle capacità dei paesi terzi di gestire le loro frontiere; intensificando, se e quando necessario, la messa in comune di alcune funzioni di guardia costiera a livello UE.
  • Onorare il dovere morale di proteggere: una politica comune europea di asilo forte. La priorità è garantire l’attuazione piena e coerente del sistema europeo comune di asilo, promuovendo su base sistematica l’identificazione e il rilevamento delle impronte digitali, con tanto di sforzi per ridurne gli abusi rafforzando le disposizioni sul paese di origine sicuro della direttiva procedure; valutando ed eventualmente riesaminando il regolamento Dublino nel 2016.
  • Una nuova politica di migrazione legale: l’obiettivo è che l’Europa, nel suo declino demografico, resti una destinazione allettante per i migranti; bisognerà quindi rimodernare e ristrutturare il sistema Carta blu, ridefinire le priorità delle nostre politiche di integrazione, aumentare al massimo i vantaggi della politica migratoria per le persone e i paesi di origine, anche rendendo meno costosi, più rapidi e più sicuri i trasferimenti delle rimesse.

Subito dopo l’esposizione delle misure previste dall’agenda sull’immigrazione, paesi come Regno Unito, Irlanda e Danimarca, noti nelle loro politiche migratorie molto rigide, si sono chiamati fuori dal quadro concreto degli aiuti e delle quote da ripartire, creando un contesto parallelo nel cuore dell’Unione. Sarà il summit dei leader europei di giugno che deciderà sulle quote e in quell’occasione verrà discussa e definita la poszione di tutti.

A richiamare alle loro responsabilità i governi dell’Unione è stata anche l’Alta rappresentante/Vicepresidente Federica Mogherini la quale ha dichiarato: “È un’agenda audace quella con cui l’Unione europea ha voluto dimostrare di essere pronta ad affrontare la situazione disperata di coloro che fuggono guerre, persecuzioni e povertà. La migrazione è responsabilità condivisa di tutti gli Stati membri e tutti gli Stati membri sono chiamati ora a raccogliere questa sfida storica. Una sfida che non è solo europea, è globale: con l’agenda confermiamo e ampliamo la cooperazione con i paesi di origine e transito per salvare vite umane, combattere le reti di trafficanti e proteggere coloro che sono nel bisogno” e ha aggiunto ” Sappiamo tutti che una risposta reale, a lungo termine sarà possibile soltanto se affrontiamo le cause profonde, che vanno dalla povertà all’instabilità dovute alle guerre, fino alla crisi in Libano e in Siria. Come Unione europea, siamo impegnati e determinati a cooperare con la comunità internazionale”.

Alla eventualità di intervenire in Libia, cuore dell’instabilità e del traffico dei migranti nel Mediterraneo, la Mogherini ha dichiarato che non ci saranno boots on the ground, ma ci si affiderà a operazioni mirate di intelligence che i governi degli stati membri dovranno condividere il più possibile.

Sabiena Stefanaj

 

Elezioni UK: vincitori, vinti e affari futuri

ECONOMIA/EUROPA/POLITICA/Varie di

“Hanging on in quite desperation is the english way – Sopravvivere in una quieta disperazione è il modo all’inglese”, così cantavano i mitici Pink Floyd nel lontano 1972, versi che descrivono alla lettera l’attuale situazione emotiva dei laburisti inglesi nel post voto popolare del 7 maggio scorso. Il Regno Unito rimane decisamente conservatore e spiazza ogni previsione di “sfida all’ultimo voto”. Hanno vinto i Tories.

Circa 11 milioni e 300 mila voti per 331 seggi su 650, ovvero 24 in più rispetto al 2010, sono una conferma piena al mandato di Cameron. Quelli che hanno determinato la vittoria dei Tories e la disfatta dei Lab sono stati i cosiddetti swing voters, ovvero coloro che cambiano schieramento politico e che decidono per temi, argomenti o vantaggi volta per volta. Nel sistema elettorale inglese uninominale questo atteggiamento è decisivo alla conta finale. In definitiva, i conservatori sono cresciuti del 0,7% e i laburisti del 1,5% rispetto al 2010, quindi chi ha deciso vincitori e sconfitti sono stati i voti raccolti dalle altre formazioni politiche “secondarie” quali UKIP con il 12,6% e soprattutto l’ SNP di Nicola Sturgeon con il loro 4,6%. I scozzessi hanno spazzato via i laburisti guadagnando 56 seggi su 59 previsti per loro in Parlamento. Il linguaggio empatico, indipendentista e molto più di sinistra dei laburisti ha premiato. Non pervenuti i lib-dem di Nick Clegg fermi a soli 8 seggi, 49 in meno rispetto al 2010, crollo clamoroso.

Come funziona il sistema elettorale inglese del “first-past-the post”?

I parlamentari britannici vengono eletti attraverso il sistema dell’uninominale maggioritario secco. I partiti si contendono 650 collegi su tutto il territorio ed in ognuno di essi a vincere, ovvero a guadagnarsi un seggio in Parlamento è il candidato che prende più voti. Gli elettori possono esprimere una sola preferenza e a governare è il partito che si è aggiudicato il maggior numero di parlamentari. Sistema imperfetto : Il candidato deve assicurarsi solo la maggioranza semplice ed è possibile quindi che la maggioranza di persone in quel collegio abbia in realtà votato anche per altri candidati. Succede che un partito che in molti collegi non arrivi primo, possa aggiudicarsi, sì un gran numero di voti, ma conquistare pochi seggi. E’ successo a UKIP proprio in questa tornata elettorale. Allo stesso modo, il partito che alla fine forma il governo potrebbe in realtà aver ricevuto meno voti del suo rivale. Ogni collegio, inoltre, è diverso, a cominciare dal numero di elettori che lo compongono: un candidato che vince in un piccolo collegio può quindi aver ottenuto molti meno voti di uno che ha invece perso in un collegio molto imponente, ad esempio i grandi centri urbani, le città. Esattamente quello che è successo ai laburisti, vincenti nelle città più importanti, ma perdendo nei centri non urbani.

I britannici votano la promessa dell’economia e il ridimensionamento del tasso di disoccupazione, mentre penalizzano la “speranza”, l’equità e l’attenzione alle classe lavoratrici, tanto proclamata dai candidati del Partito Laburista in campagna elettorale. Votano un Cameron pragmatico e penalizzano un timido Miliband, troppo impacciato, troppo serioso, troppo “senza polso”, almeno nell’immaginario mediatico rappresentato.

Votano anche un probabile futuro fuori dall’Europa?

David Cameron ha dichiarato all’indomani del voto, “Possiamo fare della Gran Bretagna un luogo dove il buon vivere è alla portata di chiunque abbia voglia di lavorare e fare le cose in modo giusto”,- e ha aggiunto, “ però, si, ci sarà un referendum sul nostro futuro in Europa”. Il Brexit, questa volontà degli inglesi di ufficializzare le distanze dal continente politico, potrebbe prendere forma nel 2017, probabile anno del referendum. Jean-Claude Juncker ha definito “non negoziabili i fondamenti dell’Unione, come la libera circolazione di persone”, punto debole fisso dei rapporti con Londra. Centro nevralgico della finanza europea, la City significa troppo per l’UE e di certo non sarà una passeggiata affrontare un eventuale ricorso per separazione. I negoziati in corso per il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partenership) che vedono il Regno Unito protagonista saranno decisivi in questo di mediazioni tra USA e UE.

Ue: nuove proposte sulla sicurezza

EUROPA/POLITICA di

Al vaglio misure per aiutare gli Stati partner nella lotta al terrorismo e alla criminalità. All’orizzonte anche alcune manovre di bilancio per favorire i processi di pace in Africa.

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La Commissione Europea e l’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Ue hanno recentemente diramato un comunicato in materia di sicurezza. Non è una novità: ma l’obiettivo stavolta è quello di aiutare i paesi partner e le organizzazioni regionali a prevenire crisi in materia di sicurezza utilizzando gli strumenti di cui l’Unione ed i singoli Stati Membri dispongono, sulla scorta delle lezioni apprese nei paesi terzi come le missioni di formazione in Mali o in Somalia o, più indietro nel tempo, in Bosnia e Congo (si pensi alle missioni sotto egida UE denominate “EUFOR Althea” ed “EUFOR RD Congo”, a cui hanno partecipato negli anni folti contingenti di militari e non provenienti dal nostro Paese).

La “comunicazione” congiunta, che suona come un’importante dichiarazione di intenti, svela quali siano ad oggi le criticità del sistema Europa in materia sicurezza e difesa ed illustra una serie di proposte anche economico – finanziarie per fronteggiare le minacce del terrorismo e della criminalità organizzata emergenti dentro i confini dell’Unione. Il tutto manifesta l’evidente intento di Junker e di Mogherini di attribuire una missione ancora più globale dell’Europa. Il documento è da ritenersi quale un vero e proprio libro bianco di livello strategico in materia di sicurezza; la stessa Mogherini ha dichiarato: “Con queste nuove proposte intendiamo aiutare i nostri partner ad affrontare le sfide connesse al terrorismo, ai conflitti, alla tratta di esseri umani e all’estremismo. Permettere ai partner di garantire la sicurezza e la stabilizzazione sul loro territorio non serve solo a favorire il loro sviluppo, ma è anche nell’interesse della stabilità internazionale, comprese la pace e la sicurezza in Europa”.

Alcuni manovre di bilancio illustrate nel documento per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato dalle Istituzioni UE sono:
– adattare il Fondo per la pace in Africa per ovviare alle sue limitazioni;
– creare un nuovo fondo che colleghi pace, sicurezza e sviluppo nell’ambito di uno o più strumenti già esistenti;
– creare un nuovo strumento finanziario destinato specificamente a sviluppare la capacità dei paesi partner in materia di sicurezza.

Materialmente, il supporto che la Commissione vorrebbe fornire potrebbe consistere nella fornitura di ambulanze e materiale di protezione o mezzi di comunicazione alle forze militari nei paesi in cui le missioni della politica di sicurezza e di difesa comune stanno già assicurando formazione e consulenza, ma dove la loro efficacia risente della mancanza dei mezzi essenziali.

Il tutto assume una maggiore rilevanza se si pensa che proprio domani, 7 maggio, un’importante Comitato del Consiglio dell’Unione Europea, il COSI – Standing Committee on Internal Security, si riunirà in maniera informale a Riga, in Lettonia (che è il paese attualmente reggente la Presidenza del Consiglio): in quella sede si discuterà principalmente di terrorismo, di foreign fighters, di confini, di immigrazione e dell’operato delle numerose agenzie europee operanti nel settore JHA (Justice and Home Affairs).

Questi eventi, questi “atteggiamenti”, devono indurci a pensare che l’Europa, e le sue numerose Istituzioni, con uno sguardo all’interno ed all’esterno dei suoi confini stanno cercando di assumere un ruolo di sempre maggior rilievo nella gestione civile delle crisi e dei risvolti ad esse interconnessi. L’Europa, in sintesi, pur non abbandonando i suoi primigeni obbiettivi strategici di natura politico-economica, sta operando finalmente in maniera sempre più incisiva anche negli equilibri e negli assetti internazionali, valicando – e anche di molto – i suoi confini geografici ed assurgendo ad organizzazione internazionale sempre più “completa”.

Domenico Martinelli

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Tories o Lab? Il Regno Unito all’ultimo dilemma

EUROPA/POLITICA di

Due giorni al voto per i cittadini del Regno Unito e il mistero s’infittisce. Mai come a questo giro di elezioni generali si è raggiunto tale grado di imprevedibilità. Votare o non votare Tory? Votare o non votare Labour? A proposito, ci risiamo con i testardi scozzesi!

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Quinta potenza economica mondiale, il Regno si interroga sulle priorità che la politica dovrà inserire e affrontare nella prossima agenda quinquiennale. Al civico 10 di Downing Street continuerà ad avere le chiavi il conservatore Cameron o il laburista Miliband? Una cosa è certa, sta per finire l’era del monopolio di governo anche a Londra. I due leader dovranno provvedere ad alleanze estese per poter garantire la governabilità. Quasi una “normalità” per il resto d’Europa, Germania in primis con un modello di alleanze che “funziona” e Italia con qualche “problemino” in più, ma totalmente una novità per i britannici i quali si vedono alternare i governi laburisti o conservatori dal lontano 1922. Una simile situazione era venuta a crearsi già nel 2010 con i Lib Dem di Nick Clegg, con i quali Cameron mise su la coalizione.

Sistema elettorale e composizione del Parlamento

First past the post- così è chiamato il sistema maggioritario uninominale a norma del quale il territorio del Regno Unito è diviso in 650 circoscrizioni elettorali. La suddivisione delle circoscrizioni è divisa in questo modo: 523 in Inghilterra; 59 in Scozia; 40 in Galles; 18 in Irlanda del Nord. Da ciascuna circoscrizione verrà espresso un rappresentante da mandare alla Camera dei Comuni che assieme alla Camera dei Lord, composta da membri nominati, andrà a comporre il futuro Parlamento. La maggioranza assoluta è quantificata in 326 seggi. Un numero però improbabile da raggiungere da entrambi i partiti.

David Cameron ha dalla sua il cosiddetto” establishment” anche e soprattutto per la ripresa veloce del Regno Unito nell’economia dopo il fermo imposto dalla crisi globale. Culla del capitalismo liberale, il Regno Unito ha dato un forte segnale di rilancio, ma i frutti di questa ripresa, ad oggi, si segnalano a livello macro, la classe media deve ancora attendere le future buste paga per poterla verificare su di se.

Ed Miliband, dopo aver vinto al fratello David la leadership del Partito Laburista, Ed “il nerd” o Ed “il rosso” per i conservatori, sta guadagnando punti nei sondaggi in maniera decisiva e costante. Partito sfavorito all’inizio della campagna elettorale, ha saputo giocare molto sull’immagine, puntando all’autoironia, valore aggiunto come sempre nell’animo inglese.

I Lib Dem di Nick Clegg, voto di protesta nel 2010, oggi hanno perso la loro genuinità e vengono visti come parte del sistema. Lo Ukip di Nigel Farage, dopo l’exploit delle elezioni europee di un anno fa rimane l’anima indomata del panorama politico britanico, ma la sua portata antieuropeista e populista non si prevede possa essere determinante il 7 maggio prossimo. Infine troviamo  verdi che, con l’aiuto delle spinte da sinistra, puntano a qualche seggio.

Chi confonde le acque di tories e lab è l’SNP, il Partito Nazionale Scozzese con a capo il Primo Ministro donna, Nicola Sturgeon. Dopo aver perso il referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito a settembre 2014 la popolarità della Sturgeon non è che aumentata. Una ventata di parole “di sinistra” e di grinta che fanno  la differenza. Escludendo ogni punto d’incontro con Cameron, si presume che l’SNP possa coalizzarsi con i laburisti di Miliband in caso di vittoria di questi, ma solo due giorni fa, lo stesso Miliband ha negato questa possibilità. Partendo dal presupposto che nessuno dei leader ha mai parlato o reso esplicite le possibili alleanze, pare inverosimile la chiusura totale della possibilità di alleanze tra questi due partiti.

Battaglia di seggi, battaglia di news. Lo schieramento dei grandi quotidiani, The Guardian e Financial Times in testa, rispettivamente per i laburisti e i conservatori è altrettanto un aspetto fondamentale. Il potere mediatico anglosassone determina più di una manciata di voti e si svolge ad altissimi livelli. Una copertura invidiabile dell’argomento su tutti i fronti, la City della finanza, le città operaie, le periferie del Regno vengono battute come in un trekking mainstream delle intenzioni di voto.

In sintonia con le ventate dal basso nel mondo occidentale, anche nel Regno Unito si continua ad auspicare una politica inclusiva con pressioni dal basso e sopratutto dai “giovani disillusi”, vedendo in questi il veicolo tramite il quale attingere a una nuova politica, più vera, più reale, più tangibile, fuori dall’establishment.

Europa: Should I stay or should I go?

Pochissima Europa in questa campagna elettorale da tutte le forze politiche coinvolte. David Cameron, in caso di vittoria indirà un referendum se rimanere o meno nell’UE. Miliband non lo farà. Stranota la posizione dell’UKIP, altre invece sono le priorità del SNP. Non è un mistero lo scetticismo britannico nei confronti dell’Europa unita, ma in caso di vittoria di Cameron e di eventuale uscita del Regno Unito dall’UE a indebolirsi sarà quest’ultima,  in caso contrario con presumibile rafforzamento del SNP a dover fare i conti con l’indebolimento interno sarà lo stesso Regno Unito.

Appuntamento, il 7 maggio dalle 7.00, Greenwich Mean Time.

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Sabiena Stefanaj

Sabiena Stefanaj
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