Evoluzione della crisi libica
In Libia la bocciatura dell’intesa tra il governo italiano e il GNA a guida Serraj da parte di un tribunale di Tripoli pochi giorni fa, conferma la fase di completo stallo per quanto riguarda la possibile risoluzione della crisi in atto.
Uno stallo a livello istituzionale, economico e internazionale che si traduce in una situazione di crescente anarchia e instabilità del Paese.Il mancato incontro in Egitto tra il presidente Serraj e il generale Haftar a febbraio ha cancellato nuovamente le speranze di una reale unificazione di un Paese lacerato da anni di lotta contro il Califfato da una parte e di guerra civile dall’altra.
Dopo la presa dei pozzi petroliferi di Ras Lanuf e Sidra da parte delle milizie di Bengazi avvenuta il 3 marzo scorso, il 14 dello stesso mese 1300 uomini di LNA hanno ripreso il controllo di questi due importanti siti strategici. Un’azione militare in piena regola coadiuvata non solo dall’alleato egiziano, ma, secondo fonti statunitensi, anche dalla Russia, ormai entrata quasi a pieno titolo nello scenario libico dal quale, fino a poco tempo fa, si era chiamata fuori.
Nonostante la produzione di greggio sia tornata ai livelli precedenti al 3 marzo, ovvero di 800mila barili al giorno, è chiaro che questa situazione di instabilità si ripercuota sia a livello economico, con la “crescente preoccupazione” di Italia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti per le ostilità crescenti attorno alle aree petrolifere libiche, sia a livello di stabilità interna poiché “le infrastrutture, la produzione e i guadagni appartengono al popolo libico e devono rimanere sotto il controllo della Noc”, si legge nel comunicato congiunto di questi quattro paesi diramato il 14 marzo scorso.
A questo si aggiunge l’insicurezza diffusa presso tutta la Libia, a cominciare dalla capitale Tripoli dove, il 17 marzo scorso, viene dichiarato il cessate il fuoco dopo 4 giorni di scontri tra le milizie delle fazioni locali. Per continuare con la denuncia di Human Right Watch nei confronti di Haftar e del Libyan National Army, rei di crimini di guerra perpetrati a Bengasi soprattutto nell’ultima battaglia del 18 marzo, quando viene sconfitta l’ultima roccaforte islamista presente in città.
E la Russia? Attorno a Mosca si è aperto definitivamente un nuovo scenario. La denuncia partita da Reuters di aiuti militari effettivi a Tobruk, attraverso il dispiegamento di uomini delle forze speciali presso alcune basi militari egiziane vicine al confine libico, hanno svelato definitivamente che la posizione del Cremlino in Nord Africa è cambiata. Gli interessi petroliferi diventano preminenti, specialmente ora che la minaccia islamista sembra essere stata messa in secondo piano.
Nella pratica, il cambio di marcia russo, sulla scia di quanto già avvenuto in Siria, rischia di rovesciare i rapporti di forza in campo. L’effetto collaterale evidenziato da diverse fonti è quello di un possibile influsso negativo sui rapporti Roma-Mosca. Difatti, è l’Italia ad essere il paese europeo più vicino e coinvolto nella vicenda libica. Lo dimostrano due fattori: quello economico, con la presenza di Eni in Libia e la volontà italiana di accrescere la propria influenza e partecipazione; quello diplomatico, con il memorandum d’intesa tra il premier Gentiloni e il leader libico Serraj in materia d’immigrazione, rafforzato dall’impegno dell’Unione Europea di volere investire circa 215 milioni di dollari nell’addestramento della Guardia Costiera Libica e momentaneamente sospeso da un tribunale di Tripoli.
La crisi Libica