GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI - page 6

Il piccolo mondo antico dell’Occidente

Il protrarsi del conflitto in Ucraina ha determinato la necessità fondamentale, per entrambi i contendenti sul campo, di poter accedere a fonti integrative di rifornimenti di materiale bellico, al fine di poter supportare le proprie attività e di conseguire i propri obiettivi.

Gli USA e l’Europa, da lungo tempo, sono l’arsenale militare che alimenta le forze armate di Kiev, mentre la Russia, non essendo la produzione nazionale in condizione di fornire in numero sufficiente alcuni specifici assetti indispensabili alla condotta delle sue operazioni, è stata costretta a ricercare partner militari in grado di integrare le sue capacità.

Non è un mistero che questa disponibilità, nel settore particolare dei velivoli senza pilota, sia stata offerta con successo dall’Iran, il cui coinvolgimento nella fornitura di droni è andato sempre più sviluppandosi, rappresentando la fonte principale di approvvigionamento di Mosca.

Ma questa disponibilità non è stata, assolutamente, disinteressata e gratuita; infatti, adesso Teheran si sta muovendo per poter ricevere la sua controparte in termini strategici.

Il controvalore del contributo che l’Iran fornisce, come integrazione dello sforzo bellico della Russia, è rappresentato dalla richiesta di uno dei gioielli dell’industria aeronautica russa: il caccia da superiorità aerea Sukhoi 35 (Su-35)!

A tale proposito, infatti, sono in dirittura finale, da alcune settimane, le trattative atte a finalizzare la fornitura di alcune decine di aerei di questo tipo, come contropartita del supporto che la Russia sta ricevendo nel settore dei droni (e anche dei missili balistici).

La richiesta iraniana risulta essere in linea con la necessità di ammodernamento della componente aerea finalizzato, sia all’acquisizione di una più incisiva capacità di controllo dello spazio aereo, sia, anche, alla possibilità di alterare a proprio favore l’equilibrio militare dell’area.

Anche se l’acquisizione dei Su-35 da parte iraniana non stravolgerebbe drasticamente l’attuale equilibrio militare della regione, comunque, comporterebbe una serie di alterazioni significative al quadro di situazione.

In primo luogo, la capacità di effettuare un controllo dello spazio aereo più efficace, limitando eventuali interventi ostili, potrebbe stimolare, ulteriormente, Teheran verso il completamento del progetto nucleare, a discapito dell’azione di appeasement condotta dall’Occidente e ad onta delle possibili sanzioni che a livello internazionale potrebbero derivarne.

Secondariamente, l’acquisizione dei Su-35, dando luogo a una situazione di superiorità tecnologica iraniana, scatenerebbe una rincorsa agli armamenti da parte degli altri Paesi dell’area per riequilibrare la situazione, inducendo una ricerca di soluzioni in grado di contrastare tecnologicamente la minaccia, che, probabilmente, non sarebbero rivolte al mercato occidentale ma faciliterebbero l’ingresso della Cina come provider di sicurezza.

Infine, ma non di minore importanza, il consolidarsi incontrastato dell’asse Mosca-Teheran porrebbe ulteriori ombre sull’affidabilità dell’azione diplomatico-politica dell’Occidente considerata sempre più deficitaria a ricoprire un ruolo determinante per la stabilità dell’intera regione.

La probabile conclusione di un tale accordo, che sembra non essere compromesso da ostacoli particolari, ripropone un tema al quale l’Occidente, onnubilato dalla determinazione a evitare l’invasione dell’Europa da parte russa, sembra si sia disinteressato: la crescente mancanza di stabilità nell’area geopolitica mediorientale e la deriva verso un nuovo sistema di relazioni il cui perno è orientato verso l’Asia.

L’intensificarsi dei rapporti tra Russia e Iran, infatti, rappresenta un ulteriore azione diplomatica che sottolinea il consolidarsi di un assetto geopolitico decisamente ostile al sistema di relazioni adottato dall’Occidente nell’area, nei confronti del quale la diplomazia di USA ed Europa stenta a identificare un’alternativa di successo.

Deve essere sottolineato come la posizione dell’Iran risulti essere, ulteriormente, rafforzata da un tale accordo, che oltre a consentire un significativo miglioramento del suo arsenale militare, sancisce il ruolo del Paese come produttore ed esportatore di droni e missili balistici con capacità a livello mondiale.

Il pericolo maggiore è però rappresentato dalla possibilità che il perdurare della necessità strategica di Mosca di rifornimenti di assetti specifici (droni e missili) dia maggiore ampiezza alla disponibilità della Russia nell’offrire in contropartita altri sistemi all’Iran, consolidando un asse militare logistico dalle imprevedibili e pericolose conseguenze per la stabilità della regione mediorientale.

Teheran potrebbe, infatti, ottenere la cessione sia di sistemi missilistici anti-nave e anti-aerei, sia, soprattutto, chiedere di essere supportata nello sviluppo delle capacità tecnologiche necessarie a realizzare il sistema di propulsione per vettori intercontinentali.

Questo successivo, e nemmeno così ipotetico, sviluppo avrebbe delle conseguenze estremamente serie producendo un sensibile terremoto nei delicati equilibri geostrategici dell’area.

Purtroppo, l’assoluta mancanza, da parte dell’Occidente, di qualsiasi reazione verso l’acquisizione dei Su-35, così come l’assenza di misure, volte a impedire il rafforzarsi di un’intesa militare tra i due Paesi, viene interpretata dalla dirigenza iraniana come il segno del crescente decadimento delle capacità occidentali nella gestione, non solo della crisi ucraina ma, soprattutto dello spettro geopolitico globale. Tesi avvalorata dalla incapacità dell’Occidente nel porre in essere concrete azioni diplomatico-politiche che siano in grado di contrastare la sua perdita di rilevanza e la diminuzione delle sue capacità di interagire con successo nel contesto geopolitico del Medio Oriente.

Questa visione è, ulteriormente, suffragata dalla tiepida e inefficace reazione internazionale di condanna delle azioni repressive messe in atto dal regime di Teheran per contrastare l’ondata di proteste degli ultimi quattro mesi. A questo quadro, già di per sé preoccupante, va aggiunta la ormai acclarata impotenza del consesso internazionale nell’esercitare una qualsiasi forma di controllo per limitare l’ascesa iraniana verso l’acquisizione dello status di potenza nucleare.

In sintesi, l’Occidente, creando una narrativa semplice e di facile presa perché riconducibile a esperienze vissute in un passato non remoto (la minaccia dell’Orso Russo) si è rinchiuso in una gabbia geostrategica dalla quale ha escluso il resto del mondo, non volendo accettare che la crisi del modello neoliberale ha come conseguenza lo sviluppo di un nuovo ordine mondiale con nuovi differenti centri di potere.

L’ubiquità mediatica del leader ucraino (non ci si potrebbe stupire di una sua apparizione anche nel prossimo Festival di Sanremo) eletto acriticamente a paladino indiscusso della libertà e della democrazia del continente europeo minacciate dall’orda russa, ha nascosto alla nostra visione l’altra faccia delle relazioni internazionali, che continuano a seguire il loro corso e che costituiscono il palcoscenico nel quale i Paesi emergenti nel panorama geopolitico mondiale continuano a mettere in atto tutte le azioni mediante le quali intendono perseguire i propri obiettivi di strategia nazionale, per nulla intimoriti dalle roboanti, ma spesso prive di reale sostanza, dichiarazioni di principio degli USA, dell’Unione Europe e della NATO.

E l’avanzata sulla scena internazionale dell’Iran è proprio la conferma che i Paesi che non condividono i valori e la cultura librale hanno compreso le debolezze e i limiti politici dell’Occidente e li sfruttano a loro vantaggio!!!!!

Il nuovo protagonismo della Turchia

 

 

Un anno fa la Turchia sembrava essere al margine della scena geopolitica internazionale, isolata diplomaticamente, aspramente criticata per la leadership di Erdogan, ininfluente nel complesso flusso delle relazioni che condizionano l’aerea mediorientale e mediterranea, priva di peso politico e quindi destinata ad assumere una posizione di paria internazionale.

Invece, nel corso dell’ultimo anno, la Turchia di Erdogan ha saputo cogliere le opportunità che si sono verificate a seguito dell’evoluzione che ha stravolto il quadro strategico europeo e scosso quello mondiale.

La crisi ucraina è stata immediatamente usata da Erdogan per inserire nuovamente da protagonista la Turchia al centro del contesto geopolitico.

L’essere contemporaneamente un Paese che è uno dei cardini del concetto strategico della NATO, la cerniera tra Europa e Asia, il guardiano storico degli accessi tra Mar Nero e Mare Mediterraneo, l’ostico deuteragonista della Russia nella gestione delle crisi dell’aerea siriana e caucasica e il depositario di una tradizione diplomatica imperiale vecchia di quasi duemila anni ha consentito a Erdogan di avere una serie di atout diplomatiche di eccezionale importanza. Questo ha consentito alla Turchia di assumere un ruolo da protagonista nel contesto della crisi ucraina, contraddistinto da una calcolata ambiguità finalizzata a ottenere un riposizionamento di vertice nell’ambito del contesto internazionale.

Ma il risultato più importante per la Turchia non è rappresentato dal ruolo che ha assunto nel contesto della crisi ucraina, bensì dalla capacità immediata che ha dimostrato nello sfruttare le conseguenze geopolitiche che il conflitto ha generato, riprendendo subito ad agire nello scenario dove si concretizzano gli interessi e gli obiettivi strategici immediati, ritenuti fondamentali per il conseguimento della visione di politica nazionale turca.

Nel particolare, si è assistito a un rinnovato impegno della Turchia nella ricerca di rendere stabile la situazione delle sue frontiere asiatiche: a oriente nella infinita disputa armeno azerbaigiana; ma soprattutto, a meridione, dove ha intrapreso una nuova serie di operazioni destinate a completare una zona cuscinetto libera dalla presenza dell’organizzazione militare curda del PKK.

La volontà di condurre operazioni militari lungo il confine meridionale non rappresenta una novità nella strategia turca in quanto, nel passato recente, attività di tale tipo sono state condotte ripetutamente, anche, se condizionate dalla presenza di contesti internazionali più restrittivi.

La crisi ucraina ha, però, mutato lo scenario consentendo alla Turchia di pianificare, con criteri concettuali differenti, una nuova operazione ad ampio raggio.

La realizzazione della nuova operazione, denominata Claw-Sword, è prevista attraverso lo sviluppo di varie fasi di cui alcune già in essere (uso di raid aerei e di artiglieria), ma si sostanzia nell’esecuzione della fase di terra quando le Forze Armate turche oltrepasseranno il confine per creare le premesse territoriali necessarie al conseguimento degli obiettivi definiti.

L’operazione è ampiamente sostenuta non solo dalla popolazione turca, ma ha ricevuto, anche, l’appoggio politico della coalizione anti – Erdogan, a dimostrazione di quanto sia sentito a livello nazionale il problema rappresentato dal PKK.

La finestra temporale scelta per condurre ClawSword è stata attentamente studiata e si basa sulle seguenti premesse:

–    la crisi ucraina, oltre a limitare l’azione politica di Mosca, ha indebolito il dispositivo militare russo schierato in Siria;

–    la Turchia, come detto, ha adottato un’azione diplomatica di ampia visione geopolitica che ha rafforzato le sue credenziali nell’area;

–    lo sviluppo di un generale riavvicinamento diplomatico ai Paesi dell’area mediorientale ha ridotto l’ostilità contro la conduzione di operazioni anti PKK;

–    l’escalation delle provocazioni che l’Iran ha messo in atto contro la presenza e gli interessi USA in Siria ed Iraq creano le premesse per un nuovo maggiore interesse del ruolo che la Turchia può svolgere (lotta all’ISIS, protezione del Nord dell’Iraq e risoluzione del conflitto siriano);

–    ultimo, ma non meno importante fattore, l’approssimarsi nel 2023 delle elezioni in Turchia.

Dal punto di vista della pianificazione dell’attività, quindi, sono stati fatti i seguenti passi.

Innanzitutto, sono stati identificati tre obiettivi: creare la zona cuscinetto libera dalla presenza del PKK mirante all’espulsione dalle aree di Manbij e Tel Rifaat delle forze del YPG (People’s Defence Units frangia siriana del PKK); stabilire le condizioni per un regolare ritorno dei profughi siriani; aumentare l’influenza turca nella gestione degli accordi politici che saranno adottati alla fine della guerra in Siria.

Successivamente è seguita una preparazione diplomatico-politica estremamente articolata, volta ad assicurare non il consenso all’operazione, ma la ragionevole certezza della mancanza di reazioni particolarmente ostili.

In tale quado di situazione l’azione diplomatica di Erdogan si è sviluppata su più piani.

A livello globale la strategia turca si è concretizzata sia nella partecipazione a forum internazionali (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, OSCE) dove, oltre a identificarsi come uno degli elementi cardine per la stabilità nella regione mediorientale, ha proposto il ruolo di mediatore tra la Russia e l’Occidente, sia nel riavvicinamento diplomatico verso attori fondamentali del contesto mediorientale (Israele, Siria e Paesi del Golfo).

Nello scenario di riferimento specifico, invece, gli obiettivi e il concetto operativo della nuova fase delle operazioni sono stati ampiamente illustrati e spiegati sia agli USA sia alla Russia, esponendo chiaramente quelle che saranno le limitazioni che le operazioni avranno al fine di non andare a collidere con gli interessi e le posizioni delle due Potenze nell’area.

In tale quadro di situazione, la valutazione operativa sulle condizioni di successo politico dell’operazione si è basata su due elementi cardine:

–    data la reale incapacità pratica dei due Paesi nel poter fermare le operazioni, quando verrà dato inizio alla fase terrestre la reazione internazionale sarà basata sull’attuazione di una pressione diplomatico-politica blanda, alla quale la Turchia si è preparata;

–    la conduzione delle operazioni non incide direttamente sugli obiettivi USA (guerra all’ISIS) e Russia (supporto alla Siria).

Le sanzioni con le quali gli USA potrebbero mettere pressione su Ankara avrebbero, però, alcuni effetti collaterali quali quello d’inasprire il sentimento anti USA nell’area, di rendere meno collaborativa la Turchia nella risoluzione del conflitto in Ucraina e soprattutto di spingere Ankara a osteggiare l’allargamento della NATO.

Così come è stata pianificata Claw-Sword riuscirebbe, quindi, a conseguire una serie di obiettivi di importanza critica sia per la posizione turca sia, soprattutto, per raggiungere un consolidamento della situazione in Siria che possa portare alla conclusione del conflitto

Innanzitutto, le operazioni anti ISIS non subirebbero alcun danno. Anche se l’YPG inizialmente potrebbe sospendere le sue attività di cooperazione, comunque, sarebbe una soluzione temporanea in quanto il supporto politico degli USA alla fazione anti Assad delle Syrian Democratic Forces (SDF) è condizionato dalla disponibilità proprio dell’YPG in funzione anti ISIS.

In secondo luogo, Turchia e USA sono i due attori diplomatici che possono influire nell’esercitare qualche pressione sulla Siria per addivenire ad una soluzione del conflitto. Una rinnovata unicità di visione geostrategica dove l’accettazione USA della permanenza di Assad alla leadership del Paese e la diminuita percezione di minaccia dei propri confini da parte dell’YGP attraverso un’operazione ben pianificata ed eseguita in modo calibrato senza danneggiare l’SDF e le operazioni anti ISIS, possono creare quelle sinergie che sino ad ora sono rimaste inespresse.

Infine, il conseguimento del successo dell’operazione Claw-Sword consentirebbe di rafforzare ulteriormente la posizione negoziale e il peso diplomatico della Turchia nell’ambito della questione siriana con risvolti positivi nei confronti degli altri due attori protagonisti. Nel particolare, nei confronti, della Russia, quale elemento di pressioni su Assad per convenire ad una soluzione del conflitto, ma soprattutto nei confronti dell’Iran riducendo l’influenza che lo stato islamico esercita sia nel frammentato scenario siriano sia nel nord dell’Iraq.

In conclusione, Erdogan ha, nuovamente, dimostrato, non solo, la vitalità politica e diplomatica della sua visione strategica nazionale, ma ha confermato come le variazioni dello scenario geopolitico mondiale debbano essere considerate come opportunità da cogliere in quanto, se abilmente sfruttate, sono in grado di ribaltare situazioni dall’aspetto negativo e proporsi come condizioni di successo.

Per fare questo, ovviamente, occorre sia avere le capacità di gestire il dominio geopolitico e diplomatico, ma, soprattutto, occorre avere una visione geostrategica nazionale che fissi scopi, obiettivi e risorse da utilizzare per poterli conseguire.

La Turchia ed Erdogan hanno queste capacità e le usano senza farsi distrarre da utopistiche e inconcludenti visioni moralistico-demagogiche, mentre gli altri (leggi l’Europa) rimangono alla finestra a guardare, prigionieri dell’illusione di un brillante passato che nessuna operazione di rianimazione diplomatica può riportare ai fasti di un tempo.

La crisi ucraina: informazione o propaganda?

 

La cronaca e l’esame analitico di come si stia sviluppando il conflitto in atto in Ucraina sono offuscate da quella che sembra essere l’unica cosa che abbia importanza nell’ambito di questa tragedia: la propaganda.

Il circuito mediatico nazionale e soprattutto internazionale non produce informazione oggettiva, seria, imparziale, ma è concentrato nel veicolare una serie di messaggi che hanno il fine di orientare l’opinione in senso unidirezionale, facendo leva su temi e aspetti ai quali il nostro mondo di occidentali risulta essere particolarmente sensibile.

Questo sistema di propaganda comporta una serie di conseguenze negative che anestetizzando il nostro senso analitico, ci spingono a ragionare servendoci di concetti stereotipati, ci allontanano da una comprensione globale del mondo che ci circonda e ci rendono difficile esaminare oggettivamente la situazione. Quali sono, quindi, i risultati di questo approccio sistematico?

Innanzitutto, accettando a priori quello che viene presentato non siamo costretti a valutare nel merito se ciò che è riportato sia effettivamente vero. Ci accontentiamo di ciò che vien detto perché colpisce direttamente il nostro atteggiamento culturale, rafforzando la nostra convinzione di universalità dello stile di vita occidentale, individuando il male nel nostro avversario soltanto.

In secondo luogo, l’identificazione di un nemico, alle cui azioni (reali o presunte) possano essere accreditati i nostri problemi, ci deresponsabilizza facendoci dimenticare che il conflitto ha solo posto in evidenza la crisi nella quale adesso annaspiamo (necessità di risorse energetiche alternative, sistema economico in affanno, mancanza di visione geopolitica).

In terzo luogo, la focalizzazione sullo scenario a noi prossimo ci nega la percezione di un mondo in continua evoluzione, creando l’illusione che la sconfitta del demone russo sia la priorità del resto dell’universo geopolitico e negando l’esistenza di ulteriori aree e situazioni di crisi che sviluppano conseguenze devastanti per il rispetto di quei concetti che permeano la nostra cultura occidentale e che sono immensamente più difficili e costose da contrastare rispetto alla situazione che si è sviluppata in Ucraina.

L’Occidente ha sempre fatto un vanto culturale dei progressi raggiunti nel favorire la libera espressione delle proprie idee e la caratteristica di avere nel suo DNA culturale il concetto di libera stampa. Quindi, perché l’informazione si è trasformata in propaganda?

Partiamo dalla definizione dei due termini, così come riportati dall’Enciclopedia Treccani

Per informazione si intende una

notizia, dato o elemento che consente di avere conoscenza più o meno esatta di fatti, situazioni, modi di essere.

Nel campo dei media tale concetto si basa sul rispetto di due cardini che sono l’oggettività e l’obiettività.

La propaganda, invece, risulta definita come una

azione che tende a influire sull’opinione pubblica e i mezzi con cui viene svolta. È un tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto.

Come detto, il criterio concettuale che differenzia l’informazione dalla propaganda è che i principi di oggettività e di obiettività che caratterizzano l’informazione sono, invece, totalmente assenti nella propaganda.

L’assenza dei due principi enunciati, che devono caratterizzare l’informazione, deriva da un insieme complesso di cause che si sono verificate nel corso degli ultimi trent’anni e che hanno modificato la nostra capacità di analisi critica rendendola sempre meno autonoma e sempre più influenzabile da fattori esterni, che ci hanno fatto accettare la propaganda come la vera informazione.

La fine del bipolarismo Est – Ovest ha comportato la convinzione che il mondo si fosse avviato verso l’adozione di una universalità di pensiero dove la declinazione di concetti fondamentali come democrazia, diritti, libertà avesse un’unica accezione: quella di un Occidente vittorioso che, con la caduta del muro di Berlino, si era finalmente liberato dell’incubo ideologico-politico che aveva generato le due Guerre Mondiali e la Guerra Fredda, ponendo fine al periodo più oscuro della storia dell’Europa.

Questa convinzione ha avuto come conseguenza l’impostazione di una narrativa mediatica volta a sopprimere ed eliminare qualsiasi elemento che potesse mettere in dubbio la realtà di questa nuova Età dell’Oro, dove libertà e democrazia erano oramai divenuti patrimonio dell’intera umanità.

La caduta di un mondo diviso tra due blocchi contrapposti ha, di conseguenza, comportato una globalizzazione dei mercati con una espansione mondiale inimmaginabile nella Guerra Fredda che hanno rinforzato in noi il convincimento che anche il nostro sistema di economia fosse l’unico, il migliore quello cui tutte le altre Nazioni aspirassero.

Il nostro sistema di valori può essere ritenuto come un insieme di principi valido e moralmente corretto e abbiamo, quindi, il diritto di sostenerlo, ma quando il concetto di universalità dei nostri principi culturali ha iniziato a essere ridimensionato dalla realtà di un mondo geopolitico dove, purtroppo per noi, sono presenti visioni differenti, invece di accettare il dato di fatto e riconsiderare il nostro approccio alla divulgazione del nostro sistema culturale, abbiamo iniziato una narrativa dove obiettività e oggettività sono state sempre più assenti, trasformando il nostro impianto mediatico da mezzo di informazione a strumento di propaganda di una visione unica e non discutibile di cultura.

Anche l’affievolirsi delle ideologie che avevano contraddistinto e formato il mondo nel XX secolo ha contribuito a modificare l’azione dei media, che si è trasformata nella cassa di risonanza di una narrativa sostenitrice di una supposta verità comportamentale politicamente corretta, basata sulla demonizzazione aprioristica dell’altro in quanto esponente di un pensiero diverso da quello proprio, considerato l’unico corretto e giusto.

Non meno importante per comprendere come l’informazione sia divenuta propaganda risulta essere l’uso improprio che si è fatto degli strumenti della comunicazione. La tecnologia ha mutato la capacità di presentare un fatto in modo obiettivo e oggettivo consentendo la presentazione di qualsiasi fatto stesso come una verità assoluta e incontrovertibile attraverso la manipolazione delle immagini e delle parole.

Non solo la rappresentazione della realtà cambia ad ogni inquadratura, ma anche il lessico è stato adattato e trasformato rendendolo idoneo a supportare una visione della realtà orientata verso la propaganda e lontana dall’informazione, sancendo, di fatto, il trionfo del cosiddetto opinionismo.

Ritornando al punto di partenza, la situazione mediatica che viviamo con il conflitto ucraino è quella di essere divenuti l’oggetto di una propaganda estrema e articolata, dove le notizie che riceviamo sono commisurate per colpire il nostro inconscio di Occidentali pacifici, rispettosi dei diritti, democratici e con una coscienza umanitaria sensibilissima, ma disposti a un impegno personale e una partecipazione diretta ridotti al minimo, se non del tutto assenti.

La realtà è filtrata e veicolata attraverso i canali ai quali siamo più sensibili in modo da evocare scenari e situazioni apocalittici. Ci viene presentato un paese immerso nel freddo, nel gelo e nel buio che lotta per difendere la nostra democrazia e la nostra libertà, dove, però,  il suo Presidente si rivolge all’ONU per avere più armi – non certo per chiedere a quell’organismo di svolgere il suo compito istituzionale e riportare la pace e l’ordine.

La ricerca di una soluzione diplomatica del conflitto, che ponga fine alla tragedia delle popolazioni coinvolte, non è sostenuta dai media che, invece, sottolineano favorevolmente l’ostinazione con la quale l’Occidente spinge l’Ucraina a reclamare una capitolazione senza condizioni dell’avversario russo.

Incolpiamo altri Paesi di fornire armi e supporto alla Russia, incuranti del fatto che la tecnologia per fare quelle armi l’abbiamo fornita noi a loro in un passato abbastanza recente, da essere quasi considerato presente, mentre continuiamo fornire un supporto militare fondamentale che non ha altro risultato che alimentare l’illusoria idea di una vittoria epocale che non ci sarà.

Condanniamo come crimini contro l’umanità qualsiasi azione invocando tribunali internazionali che noi stessi non accettiamo e ai cui sviluppi non partecipiamo (uno su tutti la Corte Penale Internazionale che USA e Cina non riconoscono), come se questo potesse automaticamente risolvere il problema alla base di questo conflitto, evitando di rivedere una condotta geostrategica ipocrita e spregiudicata.

Applichiamo due pesi e due misure a seconda della nostra convenienza concentrandociologata e monotonamente uniformata, ma sicuramente incapace di esprimere un concetto di cultura adeguato alla storia millenaria dell’Occidente.

Canada-Italy Forum on AI 2022

AMERICHE di

L’area di Montreal è tra i poli geografici mondiali specializzati sull’IA e la Camera di Commercio Italiana in Canada organizza dal 2019 il business forum Italia-Canada sull’IA con l’obiettivo di favorire interlocuzioni tra diversi soggetti in Italia e Canada per creare progetti congiunti e opportunità di business, di ricerca, di lavoro.

L’edizione 2022 del Forum Italia-Canada sull’IA ed accessibile anche online, è dedicata alla Cybersecurity: policy maker, esperti, ricercatori, manager di imprese leader di mercato e di piccole imprese si confronteranno il 22 e 23 novembre con l’obiettivo di condividere visioni, esperienze, buone pratiche e di identificare possibili collaborazioni. Presente anche un’apertura sul mondo (e sul ruolo) delle startup.

Ambasciata d’Italia in Canada, Consolato generale italiano a Montreal, Ministero degli Esteri, Regione Emilia-Romagna, ART-ER, Agenzia ICE e Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale sono partner del Forum 2022.

Tra i temi-chiave che saranno affrontati al Forum Italia Canada sull’Intelligenza Artificiale-Cybersecurity. “Sono aspetti di una tale importanza per il futuro della nostra società e di una tale complessità che nessuna azienda, nessuna università e nessun singolo Paese può pensare di affrontare e risolvere da solo. Il bello dello scambio di idee, soprattutto tra Paesi amici, è che ciascuno uscirà arricchito dalla conferenza e da tutte le ricadute che ne deriveranno”, commenta Michele Colajanni, professore di cyber security all’Università di Bologna e tra i protagonisti del Forum.

Oltre quaranta gli speaker del Forum. Tra questi, Roberto Baldoni (Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale), Sami Khoury (Head Canadian Center for Cybersecurity), Steve Waterhouse (Assistant Deputy Minister, Information Security and Cybersecurity Ministère de la Cybersécurité et du Numérique). I diversi interlocutori partecipanti al Forum porteranno i propri punti vista, testimonianze, storie, nelle tre sfere di interesse: istituzionale, accademico, aziendale.

“Che l’intelligenza artificiale sia un settore chiave per la nostra economia e, più in generale, per la nostra società, è chiaro a tutti”, commenta Andrea Ferrari, ambasciatore d’Italia in Canada. “È un settore in cui dobbiamo investire, per affrontare la sfida della transizione digitale. La sicurezza informatica è oggi una “infrastruttura” di cui tutti abbiamo bisogno, soprattutto nell’attuale scenario internazionale. Il Business Forum sull’A.I. è tra le migliori occasioni per approfondire la collaborazione in questi ambiti e per continuare ad arricchire il legame tra I talia e Canada nel 75° anno dell’instaurazione formale delle relazioni diplomatiche,” conclude Ferrari.

Contro la Polonia nessun attacco solo un errore tecnico

Guerra in Ucraina di

Non vi è stato alcun attacco armato né russo, né ucraino contro la Polonia, ma solo un errore tecnico

L’arrivo di due missili che hanno colpito il villaggio Przewodow, vicino al confine ucraino, ha provocato forti timori che si finisse nell’abisso di un escalation, che avrebbe portato al coinvolgimento diretto della NATO sullo scacchiere bellico russo-ucraino. La dinamica del lancio della coppia dei missili non è del tutto chiaro se sia stato lanciato dalla Russia o dall’Ucraina. Su questo punto sia il presidente polacco, che il segretario generale dell’Alleanza atlantica hanno asserito l’assenza di prove di un attacco deliberato al territorio polacco.

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La diplomazia che non si vuole

Nei giorni scorsi la firma di una tregua ha consentito l’inizio dei negoziati di pace che hanno posto termine alla guerra civile che ha visto fronteggiarsi per oltre due anni il Governo Etiope e i separatisti del Tigrai. Questa guerra, segnata da eccessi di violenza e crimini da ambo le parti, ha causato più di 500.000 morti, provocato oltre due milioni di profughi e ha distrutto il tessuto sociale di un’intera regione.

Le ragioni del conflitto, che costituiva una seria minaccia per la fragile stabilità dell’intera regione del Corno d’Africa, sembravano insanabili ma, alla fine, dopo difficili negoziati condotti sotto l’egida USA, la diplomazia ha imposto una tregua, consentendo le premesse per raggiungere la pace.

Certamente l’Etiopia non è alle porte di casa nostra e risulta lontana, non soltanto geograficamente, ma anche dal punto di vista della nostra percezione di pericolo. Il conflitto che ha interessato la regione africana ha molte similitudini con quello che si sta svolgendo in Ucraina: è motivato da odio e rancori che si perdono nel tempo, ha prodotto un elevato numeri di morti e un enorme flusso di profughi, ha causato la distruzione di numerosissime strutture civili, è stato condizionato da un’estrema violenza. Tuttavia, è terminato con una soluzione diplomatica perseguita con razionalità e realismo che, alla fine, ha consentito di individuare e raggiungere una situazione di mediazione vantaggiosa per entrambe le parti.

La situazione in Ucraina, invece, sembra essere priva di una apparente via d’uscita che ponga termine al conflitto. Ma davvero non esiste una via diplomatica per poter porre fine a questa crisi? Quali sono, in realtà, gli ostacoli che si frappongono alla risoluzione del conflitto?

Le ragioni del perché sussiste questo stallo diplomatico sono molteplici e di differente natura.

Innanzitutto, il conflitto in Ucraina ha da subito assunto il ruolo di protagonista dei nostri media e ci è stato descritto come la rappresentazione della sfida ultima tra il bene e il male, contribuendo a creare un’impostazione mentale dell’opinione pubblica particolare e unidirezionale.

La narrazione di quanto accade ha anestetizzato la nostra capacità di guardare oltre l’orizzonte limitato del nostro microcosmo europeo, cancellando ogni altro riferimento a ciò che avviene nel contesto internazionale, facendoci dimenticare che, purtroppo, esistono altre situazioni di crisi, ugualmente drammatiche e pericolose, dove sono coinvolti quei valori di cui ci sentiamo i difensori e i portatori. Di conseguenza, non siamo in grado di realizzare che la difesa della democrazia e della libertà non si giocano sostenendo a spada tratta l’Ucraina acriticamente e senza realismo politico.

L’unidirezionalità con la quale l’opinione pubblica occidentale descrive il conflitto ci impedisce di accettare l’adozione di una azione diplomatica che si basi sul perseguimento di fattori oggettivi e realistici. Sicuramente e senza nessuna scusante il ricorso della Russia alle armi è da condannare a priori, ma questo non implica che non si debba comunque ricercare una soluzione diplomatica che possa mettere termine al conflitto.

In secondo luogo, la dinamica propagandistica adottata dalle due parti, riguardo alle eventuali possibili soluzioni, le ha spinte in un tunnel cieco, sclerotizzando la narrazione del conflitto su posizioni diametralmente opposte condizionate da premesse di base del tutto irrealistiche e irrazionali.

Da una parte, infatti, l’Ucraina (e i suoi sponsor – USA ed Europa) insiste per avere una situazione che riporti il confine a quello che era prima del 2014, chiedendo un ritiro completo e incondizionato della Russia entro i territori e i confini che esistevano prima della annessione della Crimea.

Dall’altra parte, la Russia insiste nel suo progetto relativo alla creazione di una serie di entità statali solo da lei riconosciute che possano creare una fascia cuscinetto lungo la frontiera tra la Russia e l’Ucraina, al fine di separare il territorio russo dalla compagine dell’Europa e della NATO, assicurando quel minimo di protezione che consenta a Mosca di non sentirsi completamente accerchiata da quelli che considerano essere i suoi nemici di sempre.

Entrambe le posizioni non possono realisticamente essere conseguite.

La Russia, anche se sulla difensiva dal punto di vista militare, rimane una potenza solida con un proprio progetto strategico connesso ai suoi interessi nazionali. E’ sicuramente provata dalle sanzioni ma non è piegata, ha ancori enormi risorse economiche e non è stata isolata nel contesto internazionale. Putin ha coinvolto la Russia e il suo orgoglio di grande potenza in una situazione dalla quale non può uscire a mani vuote. Una resa incondizionata stile Seconda Guerra Mondiale non è assolutamente una soluzione che possa essere accettata dalla Russia.

L’Ucraina definendo quale condizione per il termine del conflitto la restaurazione dei confini ante 2014, impone una condizione di difficile accettazione in quanto disconoscerebbe sia la situazione particolare delle regioni di confine contese, negando che esista un problema con le minoranze russe presenti (vedasi il Protocollo di Minsk), sia l’eccezionale situazione della Crimea che affonda le sue radici nel complicato processo che è seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica.

In sintesi, l’epoca delle vittorie definitive e delle rese incondizionate appartiene al passato e, quindi l’Occidente deve interrompere la politica di alimentare il conflitto militarmente, usando, invece, la diplomazia per accettare la situazione reale e lavorare per raggiungere una soluzione mediata che ridimensioni le due opposte visioni e consenta di comporre la crisi in atto, soluzione, tra l’altro sostenuta, sin dall’inizio, da uno dei più grandi diplomatici del nostro tempo: Henry Kissinger!

Infine, c’è un altro aspetto critico da considerare per mettere a fuoco con precisione la crisi della diplomazia in relazione al conflitto ucraino.

Il vero end state della crisi non è rappresentato dalla difesa della libertà e della democrazia messe in pericolo dalle aspirazioni zaristico-sovietiche di Putin, come la propaganda occidentale sbandiera ipocritamente.

Ciò che realmente interessa all’Occidente non è tanto la liberazione dell’Ucraina ma la eliminazione del presidente russo, ritenuto una personalità ingombrante, pericolosa e scomoda, soprattutto per la determinazione con la quale persegue il suo obiettivo di riportare la Russia ad essere un paese geopoliticamente importante e determinante nel contesto delle relazioni internazionali.

In tale quadro di situazione gli interessi USA sono quelli di eliminare la spina nel fianco rappresentata da una Russia forte e potente quale ulteriore possibile avversario nella contesa vitale con Pechino. Quelli dell’Unione Europea di disporre di una Russia docile e democraticamente inoffensiva sulla quale dirottare le proprie attenzioni di mercato.

Quelli dell’Est Europa, invece, di avere la soddisfazione di vedere umiliato il nemico atavico di sempre verso il quale gli odi e i rancori di un passato remoto e presente sono ancora vivi e accesi.

In sintesi, si sta usando l’Ucraina per cercare di ridimensionare la Russia al fine di eliminare un elemento geopoliticamente scomodo per il mondo occidentale nel confronto che oppone l’Occidente alla crescente potenza della Cina nel quadro dello scontro culturale economico finanziario, e forse militare, finalizzato alla costruzione e al mantenimento di un ordine mondiale basato sui principi e sulle specifiche culturali di cui l’Occidente ritiene di essere il depositario e il difensore.

Per concludere, le posizioni formali dei due campi sono opposte e ugualmente irrealistiche, ma non per questo non è impossibile individuare un accordo.

La soluzione diplomatica è possibile solo se essa può trovare una serie di condizioni cheato a quella che sarebbe, quindi, una sfida caratterizzata da quei valori di democrazia e di rispetto delle libertà che l’Occidente vuole proporre, sostenere e realizzare.

Le annessioni illegali della Russia dei territori Ucraini

EUROPA/Guerra in Ucraina/POLITICA di

 Proprio l’ultimo giorno del mese di settembre, nel cuore del Cremlino si consumava una cerimonia, in cui l’inquilino Vladimir Putin stipulava dei trattati con le delegazioni di quattro entità costituite sul territorio ucraino le c.d. (farse) repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk e le oblast di Zaporizhzhia e Kherson. Chiaramente, per giungere a questo evento dell’annessione, si sono tenuti dei referendum nei citati lembi territoriali, accompagnati dal presunto esito popolare per l’adesione alla Russia. Leggi Tutto

L’impasse

Mentre all’Assemblea generale delle Nazioni Unite si consumava la rappresentazione tragicomica della inanità di questo consesso mondiale, retaggio di un mondo che non esiste più, roboante nei suoi propositi, elefantiaco nella miriade delle sue diramazioni, economicamente fallimentare, ma, soprattutto, impotente nella risoluzione dei conflitti che coinvolgono gli stessi Paesi che ne fanno parte e che era stato deputato a evitare, il Presidente Putin in un discorso alla Nazione ha dato inizio a un nuovo capitolo del conflitto che oppone la Russia all’Occidente (rappresentato sul campo dal suo campione del momento, l’Ucraina). Leggi Tutto

Maurizio Iacono
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