GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

Category archive

REGIONI - page 126

Operazione "Aquila nera" il terrorismo di destra in Italia

EUROPA/Video di

Conclusa l’operazione “ Aquila Nera”, arrestate 14 persone e altri 48 indagati per associazione di stampo terroristico.L’operazione condotta dai ROS dei Carabinieri dopo mesi di indagini e pedinamenti ha permesso l’arresto del nucleo di comando di quello che poteva diventare un pericoloso gruppo terroristico.

Pianificavano attentati a magistrati e politici da effettuare con azioni simultanee oltre ad attentati a uffici pubblici, banche e agenzie di Equitalia.

Erano questi i piani del gruppo terroristico arrestato  dai carabinieri del Ros tra L’Aquila e 17 altre località in Italia

A firmare il provvedimento è stato il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di L’Aquila, Giuseppe Romano Gargarella, a seguito di una inchiesta portata avanti dalla procura distrettuale antimafia dell’Aquila. A coordinare le operazioni è stato il colonnello dei Ros di Roma, Massimiliano Macilenti.

I reati contestati sono associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, associazione finalizzata all’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi nonché tentata rapina.

I provvedimenti scaturiscono da un’attività investigativa (guidata dal procuratore dell’Aquila Fausto Cardella e dal pubblico ministero Antonietta Picardi) è stata avviata, nel 2013, dal R.O.S. nei confronti di un’associazione clandestina denominata “Avanguardia Ordinovista” che, “richiamandosi agli ideali del disciolto movimento politico neofascista “Ordine Nuovo” e ponendosi in continuità con l’eversione nera degli anni ’70, progettava azioni violente nei confronti di obiettivi istituzionali, al fine di sovvertire l’ordine democratico dello Stato”.

Stefano Manni, uno dei leader del gruppo eversivo,  si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre Franco Montanaro ha respinto ogni addebito e ha negato ogni accusa “Tutta colpa di Facebook, aderivo alle idee del gruppo, applaudivo e apprezzavo i commenti, ma non mi sono mai reso conto della pericolosità del gruppo, Si è difeso così in aula davanti al gip, Nicola Montanaro.

 

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=FBMbt96H8IQ[/youtube]

 

In particolare, le indagini documentavano come il gruppo, guidato da Stefano Manni oltre alla raccolta di armi e la pianificazione di attentati stessero organizzando la formazione del ramo politico del gruppo  utilizzando il  web, ed in particolare il social network Facebook, come strumento di propaganda eversiva, incitamento all’odio razziale e proselitismo.

A tal riguardo il MANNI aveva realizzato un doppio livello di comunicazione: uno attraverso un profilo pubblico, dove lanciava messaggi volti ad alimentare tensioni sociali e a suscitare sentimenti di odio razziale, in particolare nei confronti delle persone di colore; un altro attraverso un profilo privato, limitato ad un circuito ristretto di sodali, dove discuteva le progettualità eversive del gruppo.

L’organizzazione aveva anche pianificato  la costituzione della “Scuola Politica Triskele”, legata alla creazione del “Centro Studi Progetto Olimpo”, attraverso cui promuovere ed organizzare  incontri politico-culturali in varie località italiane, nonché la realizzazione di campi paramilitari chiamati “campi hobbit”, all’interno dei quali diffondere e sviluppare l’ideologia e le progettualità eversive del gruppo.

Il Manni ha realizzato un network di contatti con altri gruppi simili su posizioni di estrema destra con cui collaborare alla creazione di un unico soggetto politico, tra questi  i “Nazionalisti Friulani”, il “Movimento Uomo Nuovo”[3] e la “Confederatio”.

Caso Marò, “trattative dietro le quinte tra i due esecutivi” per i media indiani. Mogherini: “Finora aspettative deluse”

EUROPA di

L’impasse sul ritorno dei due fucilieri di Marina dura da tre anni. Dall’India si parla di un governo indiano più aperto alle trattative. Ma un rappresentante dell’esecutivo parla di decisione in mano alla magistratura di New Delhi

[subscriptionform]
[level-european-affairs]

“Il Governo di Delhi ha cambiato atteggiamento e parla dietro le quinte con il Governo italiano”. Questa l’opinione dei media indiani sul caso Marò. E a dimostrarlo sarebbe comportamento diverso tenuto dall’esecutivo e dalla Corte Suprema a settembre, quando Massimiliano Latorre è stato fatto rientrare a Roma per gravi motivi di salute.

Nonostante questa parziale apertura, il neo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni parla di “risultati assolutamente deludenti” nelle trattative che ormai vanno avanti da tre anni. Mentre l’ex capo della Farnesina, ora alto rappresentante della Politica Estera dell’Ue Federica Mogherini, in un’intervista rilasciata a ‘La Repubblica’ il 27 dicembre, non utilizza giri di parole: “Come ho sempre detto in Parlamento, ho usato i mesi da ministro degli Esteri per completare le procedure preliminari all’arbitrato, che hanno richiesto più tempo e lavoro del previsto. Oggi, nella mia nuova posizione, continuo a seguire da vicino questa vicenda che mi sta molto a cuore, in contatto con il governo italiano”.

“L’Ue – prosegue – ha ripetutamente invitato, in questi tre anni, a una soluzione accettabile per entrambe le parti. Le aspettative finora sono andate deluse, ma aspettiamo di vedere se vi sono margini perché questa situazione non solo è dolorosissima per i due marò, le loro famiglie e l’Italia, ma può anche incidere sulle relazioni Ue-India e sulla lotta globale contro la pirateria in cui l’Ue è fortemente impegnata”, conclude Lady Pesc.

Se è possibile che i due esecutivi siano in costante rapporto, l’ottimismo dei media indiani stride comunque con le parole del rappresentante del governo di New Delhi Syed Akbaruddin, il quale, il 26 dicembre, ha dichiarato come sia “difficile spiegare a che punto siamo per il semplice fatto che la questione è all’esame della giustizia. Mentre il governo indiano può avere un punto di vista e considerare varie opzioni, fondamentalmente questa questione è in mano alla giustizia e dovrà andare attraverso un percorso legale e arrivare ad una decisione della magistratura affinché si possa andare avanti”, conclude.

Il messaggio di Natale di Salvatore Girone dall’India destinato ai propri cari e alle Forze Armate impegnate all’estero e il possibile ritorno di Massimiliano Latorre a New Delhi dopo la convalescenza sono in sintonia con le frasi pronunciate dal rappresentante dell’esecutivo indiano. Frasi che dimostrano come la “scarsa volontà del Governo indiano sul caso Marò”, di cui parla Giorgio Napolitano, sia realtà.

Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Las Americas: cambia il vento su Cuba

AMERICHE di

Dalla “Baia dei Porci” alla crisi dei 13 giorni; dai mille sigari cubani ordinati da J.F.K. nella vigilia del “bloqueo” all’inserimento dell’isola da Reagan nella lista dei paesi terroristici. Dopo più di mezzo secolo, cambia la Storia dei rapporti tra USA e Cuba.

Mentre i media annunciavano la liberazione di Alan Gross, il 64enne americano, ingaggiato dall’USAID (Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale), già arrestato a Cuba il 3 dicembre 2009 e condannato a 15 anni di carcere per aver commesso “azioni contro l’integrità territoriale dello Stato”, il 17 dicembre scorso, non si riusciva a commentare la notizia che qualcosa di epocale stava per battere il tempo. In due conferenze stampa simultanee, Raoul Castro e Barack Obama dichiaravano di aver “concordato il ristabilimento delle relazioni diplomatiche”.

La Svolta

“Anche se questo, per ora, non vuol dire la fine del bloqueo”, ovvero l’embargo USA che dura da 53 anni, ha dichiarato Raoul Castro.  Obama, dal canto suo, ha ammesso che “gli ultimi 50 anni hanno dimostrato che l’isolamento di L’Avana non ha funzionato. Per questo, ho dato mandato al segretario di stato John Kerry di avviare negoziati immediati con Cuba per riavviare il dialogo fermo dal 1961. Personalmente, invece, chiederò la rimozione dell’embargo al Congresso”.

Non sarà una passeggiata per il Presidente americano confrontarsi con i senatori repubblicani, soprattutto quelli, come Marco Rubio (di origini cubane e aspirante Casa Bianca), vicini alle lobbies anticastriste della Florida. Intanto incassa un risultato epocale, laddove Clinton aveva fallito, segnando una settimana molto positiva dopo il crash democatico nelle elezioni del Middterm, il fronte aperto contro l’ISIS e il conflitto in piena contro Mosca.

In seguito, si è reso noto che le trattative andavano avanti da un anno e che una parte importante pare abbia giocato anche la mediazione di Papa Bergoglio.

La spiegazione della liberazione di Gross per ragioni umanitari (gravi condizioni di salute dell’americano), vanno invece collocate in uno scenario di scambio di prigionieri. Di fatti, gli USA avevano precedentemente liberato Gerardo, Antonio e Ramon, tre cittadini cubani, detenuti negli States dal 1998. A seguito di un processo, definito più volte “una farsa” dal governo di L’Avana, i tre erano stati condannati, rispettivamente a 23, due ergastoli e 30 anni. Erano stati fermati mentre stavano monitorando l’attività della mafia cubana negli USA, impiegata negli anni da forze di destra anticastriste in innumerevoli tentativi di rovesciare il regime dei Castro e di attentare alla vita del Leader Maximo.

Cuba non si è piegata, ma qualcosa è cambiato

La prima mossa e la più annunciata delle novità imminenti sarà l’apertura delle ambasciate. Le istituzioni americane potranno aprire conti di corrispondenza presso istituzioni finanziarie cubane. Verrà consentito l’uso di carte di credito a Cuba, dove i livelli delle rimesse saranno aumentati da 500 dollari a 2.000 dollari a trimestre e sarà autorizzata l’importazione di beni da Cuba fino a 400 dollari.

Nell’ottica degli scambi commerciali, sarà autorizzata l’esportazione di alcune categorie di beni e servizi, tra cui materiali per l’edilizia privata e apparecchiature per i piccoli agricoltori e  crescerà sull’isola la possibilità di accedere a internet. Inoltre, sarà avviata una revisione della posizione di Cuba, da mezzo secolo inserita nella lista nera di Washington. L’Avana parteciperà così al vertice delle Americhe del 2015.

La realtà e il futuro

Queste le misure già auspicate verso la normalizzazione dei rapporti, ma come deve essere letta l’apertura di Obama? In quale chiave, oltre la totale inutile, chiusura forzata e addirittura, seguita dall’inserimento da parte di Reagan nel 1982 nella lista dei paesi terroristi della piccola isola resistente?

I benefici dell’apertura, per ora, saranno quasi esclusivamente di Cuba, ma un’analisi reale va ravvisata, secondo gli esperti, nella crisi del vicino Venezuela. Come Raoul stia cercando di modernizzare l’economia cubana, ancora legata a un socialismo vecchio stampo, che nega la libera iniziativa, la proprietà privata dei mezzi di produzione, è ben noto. L’isola è allo stremo, mentre rischia la catastrofe,qualora il Venezuela smettesse di venderle il petrolio quasi gratis. La politica di Chavez prima e del suo successore Maduro, nell’intento di creare una rete di paesi socialisti bolivariani con il piano Petrocaribe, pare non abbia un futuro florido. La generosità degli aiuti che consistono nell’esportazione del petrolio ai paesi amici a prezzi politici, i cui oneri ricadono sul bilancio del governo di Caracas, sta creando grossi problemi al Venezuela. Dal canto suo, Cuba attende a questi accordi con l’invio in Venezuela di contingenti di medici, vere eccellenze, e militari, migliaia ogni anno. Il crollo delle quotazioni del gregge, la situazione compromessa di Putin e quindi, la mancanza di un appoggio importante in caso di crisi dei paesi del Petrocaribe, sta portando a una serie di misure di apertura non più delegabili.

“Todos somos americanos”, ha enunciato Barack Obama. Una frase storica e significativa che potrà essere letta, sia in una disincantata, anche un poco maliziosa, chiave imperialistica delle volontà statunitensi, ma soprattutto e lo si augura, in una vera possibilità di pieno riconoscimento del diritto di ogni popolo di non cedere la sua libertà nel perseguimento della felicità dei propri cittadini e nel rispetto della pacifica convivenza tra popoli. E’ già Storia.

Dossier Cia, le giustificazioni di Brennan e Cheney sulle torture ai detenuti sospettati di terrorismo

AMERICHE di

Il report del Senate Intelligence Committee ha reso pubbliche pratiche come il waterboarding, abusi sessuali e molte altre tecniche di interrogatorio adottate nei confronti dei prigionieri nel corso degli anni 2000. E George W. Bush e il governo britannico non appaiono esenti da colpe

[subscriptionform]
[level-european-affairs]

“Le nostre analisi indicano che il programma di detenzione e di interrogatori ha prodotto un utile lavoro di intelligence grazie al quale gli Stati Uniti sono riusciti a contrastare gli attacchi terroristici, a catturare i responsabili e a salvare le vite”. Questo il discorso di John O. Brennan, Capo della Cia, rilasciato a seguito della pubblicazione del dossier sulle torture redatto dal Senate Intelligence Committee degli Stati Uniti i primi di dicembre.

Il dossier, 524 pagine, ha destato clamore presso la comunità internazionale mentre l’opinione degli americani rimane divisa. Quello che appare palese dagli atti è l’inutilità delle pratiche di tortura esercitate per estorcere le confessioni ai prigionieri. Non solo i funzionari della Cia, ma anche gli psicologi sono coinvolti nell’utilizzo di metodi come il waterboarding fino al 2009. Lo scopo era uno solo: assoggettare mentalmente e rendere schiavo il sospettato terrorista in modo da estorcergli la confessione. Tra questi, John Mitchell e Bruce Jessen, psicologi militari, hanno collaborato con l’organizzazione di intelligence a stelle e strisce per sette anni e hanno percepito uno stipendio totale di 80 milioni di dollari. Secondo quanto dice il report, i due medici si sono rifatti agli esperimenti mentali studiati nel corso degli anni ’60.

waterboarding, calci e pugni allo stomaco, uomini costretti a rimanere svegli per giorni, abusi sessuali: questi sono alcune delle torture perpetuate dai militari americani nei confronti dei sospetti terroristi reclusi. Nel corso della trasmissione televisiva “Meet the Press”, in onda sulla Nbc, l’ex vicepresidente degli Stati Uniti (2000-2009) Dick Cheney ha difeso il suo operato dicendo di non provare “alcun rimorso perchè la tortura per me…è un cittadino americano che telefona per l’ultima volta alle sue quattro figlie prima di morire nel corso dell’attacco al World Trade Center nel 2001. In più, George W. Bush era a conoscenza di tutto ciò perchè approvò personalmente queste tecniche di interrogatorio”, ha poi aggiunto.

Non solo gli Stati Uniti sono coinvolti in questa spinosa vicenda. Pure il governo britannico è stato messo sotto accusa dalla stampa del proprio Paese poichè le amministrazioni Blair e Brown erano a conoscenza, con molta probabilità, di quanto scritto oggi nel dossier. Come riportato da The Guardian, infatti, dal 2009 alcuni funzionari dell’esecutivo di Sua Maestà hanno incontrato alcuni membri del Senate Intelligence Committee degli Stati Uniti.

Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Disgelo Usa – Cuba, cade l’ultimo muro della guerra fredda

AMERICHE di

Un annuncio epocale che spezza decenni di embargo verso l’isola dei caraibi durato ancora dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]

Uno degli sviluppi attesi è l’incremento del flusso turistico dagli USA verso le coste cubane con un incremento deciso  dei volumi che fino ad oggi si sono attestati intorno ai due milioni di presenze all’anno.

L’annuncio di Barack Obama non prevede specificatamente la liberalizzazione dei viaggi turistici ma avendo citato tra i capitoli interessati le autorizzazioni per familiari, ricercatori, giornalisti, attori, progetti umanitari, sportivi ci si aspetta sicuramente un via libera anche per i vacanzieri.

Resta comunque difficile fare impresa a Cuba che soffre ancora di una lentezza burocratica importante e un pacchetto di regolamenti insidiosi che fanno desistere gli investitori stranieri.

Qualcosa comunque cambia e lo si può vedere dagli ultimi provvedimenti del governo cubano tra cui La Ley de inversion extranjera, che  offre benefici fiscali agli investitori esteri e riduce gli ostacoli all’importazione di macchinari per l’industria.

 

Alessandro Conte

[/level-european-affairs]

Crocodile, la droga di strada russa alle porte dell’Europa

EUROPA di

In Europa la chiamano la droga “degli zombie”. In Russia è conosciuta come “droga di strada”. E’ il Krokodil o Crocodile, sostanza sintetica, di origine russa che deve il  nome alle brutali devastazioni che riesce a provocare sul corpo di chi la assume. Marina Akmedova, giornalista e scrittrice di Mosca, ne ha documentato gli effetti nel 2012 quando decise di trascorrere quattro giorni in compagnia di alcuni consumatori nella città di Ekaterinburg, Russia centrale. Le autorità russe, 74 ore dopo la pubblicazione del reportage, ne imposero la rimozione, adducendo al fatto che nell’articolo veniva descritta la sua fabbricazione apparentemente facile e casalinga.

Poi, una legge successiva decise di bloccare la vendita nelle farmacie dei medicinali contenenti codeina, il principale componente, fino a quel momento richiedibili senza ricetta. Quel reportage aveva tutt’altro obiettivo, quello di testimoniare gli effetti del crocodile e raccontarne la diffusione, sempre più ampia e sempre più devastante. Ora quel reportage è diventato un libro, uscito recentemente in Italia con il titolo di “Crocodile”, mentre la diffusione della droga continua  imperterrita a mietere vittime. Sono cinque milioni i consumatori nella sola Russia, altri se ne stanno aggiungendo.

Dalla città russa di Tolyatti, porta di ingresso in Europa dell’eroina proveniente dall’Afghanistan, ora epicentro della diffusione del crocodile, alcune partite hanno già raggiunto la Germania e qualche mese fa anche l’Italia, dove una prima partita è stata sequestrata nel centro di Padova in un ristorante di lusso: mezzo chilo di sostanza mischiato con barbiturici. L’allerta per questo resta alta.  A consumarla  in Russia sono spesso malati di Aids o terminali. Oppure persone indigenti, con tanta voglia di dimenticare a costi accessibili. Il crocodile ha effetti molto più forti dell’eroina ma costa dieci volte di meno. In Russia è possibile acquistare un grammo spendendo due o tre euro.

L’eroina è molto, molto più costosa. Il crocodile agisce sul sistema nervoso. Il dolore passa, tutto diventa più grande e bello, almeno fino a quando l’assunzione non provoca effetti travolgenti e devastanti. Le impurità contenute nelle sostanze che servono a produrla come benzina, olio, detersivo industriale, iodio, devastano il corpo. La pelle diventa squamosa, il tessuto osseo si indebolisce fino a deteriorarsi al punto che in alcuni casi è stato resto necessaria l’amputazione degli arti colpiti dal degrado. L’aspettativa di vita di un consumatore abituale non è superiore ai 3 anni.

Creare il crocodile è sufficientemente semplice. La droga  è ricavata dalla reazione chimica della codeina, potente analgesico venduto puro o come componente all’interno di medicinali venduti per curare semplici mal di testa. La sintesi della codeina provocata tramite l’utilizzo di iodio e fosforo rosso, produce desomorfina, sostanza oppiacea inventata nel 1932 negli Stati Uniti come derivato dalla morfina. Fino al 2012 per chiunque era facile procurare tutti gli ingredienti, “cucinati” in casa, utilizzando eventualmente anche detersivo industriale, benzina, olio, e poi iniettati in vena. La dipendenza sorprende già dopo un paio di iniezioni e sfuggirne, in un percorso di riabilitazione, è drammaticamente difficile.

Putin – Erdogan: il ruggito delle vecchie potenze

Energia/EUROPA di

Con l’accordo sul gasdotto Blue Stream, Putin formalizza il protagonismo della Turchia di Recep Tayyip Erdogan nella ribalta internazionale.

Avevamo detto South Stream? Abbiamo scherzato: Blue Stream è la risposta esatta! Putin mischia le carte, fa l’occhiolino a Erdogan e assieme calano la carta del gasdotto, l’altro. Con il rublo in caduta libera, mai peggio di così dal lontano 1998, e all’indomani dell’attuazione delle sanzioni inflitte dall’UE a Mosca per la questione Ucraina, i due leader formalizzano l’accordo nell’ultimo vertice tenuto ad Ankara. Formalmente, additando la malagestione degli appalti decisi dalla Bulgaria come motivo del blocco dei lavori, ma sostanzialmente perché il conflitto tra Russia e UE è entrato nella sua fase acuta. Mosca deve attuare contromisure rapide e decisive per controllare la situazione ed evitare il peggio.

Nell’area si ragiona in funzione di un nuovo gasdotto che si concluderebbe nel confine greco-turco, presenziando dunque il mercato europeo. Dalla televisione all news russa in lingua inglese, RT, apprendiamo che il volume del nuovo gasdotto sarà pari a 63 miliardi di metri cubi, dei quali 14 serviranno a soddisfare il mercato interno turco. Nel frattempo riceverà tre miliardi di metri cubi aggiuntivi, via Blue Stream, gasdotto con portata da 16 miliardi di metri cubi che corre sul fondale del Mar Nero, collegando la Russia meridionale alle coste settentrionali turche e controllato da Gazprom e Eni.

E’ in questa ulteriore prospettiva, quella della guerra del gas, dei giacimenti di oro blu nella zona del Mediterraneo orientale che Erdogan cerca di imporre il suo gioco, sotto le mentite spoglie dell’arbitro. Quella del numero uno turco non è una politica estera doppiogiochista con effetto sorpresa. E’ la nuova real politik condotta dal ministro degli esteri Ahmet Davutoglu riassunto nel motto Policy of Zero Problems with Our Neighbours. In tale scenario vanno inseriti tutti gli investimenti economici nell’intera area dei Balcani dai primi anni 2000. La Turchia esercita un’ influenza determinata e determinante nel panorama economico e culturale dei paesi balcanici. Bosnia, Albania e Kossovo, Serbia e Macedonia, vedono tra i principali attori delle proprie economie e commerci la Turchia. Fondi per la costruzione di atenei universitari e scuole sono stati destinati a questi paesi dal governo di Ankara. Facile accendere la tv a Tirana e trovarvi infinite puntate di soap opera turche che si susseguono nelle programmazioni. Esercitare la propria influenza tramite il metodo del soft power è quello che sta facendo la Turchia nei Balcani e nel Mediterraneo orientale.

L’accordo con Putin è solo un aspetto di questa rete di interessi dalla quale il leader turco vuole elevarsi a protagonista. L’altro occhio osserva da vicino lo sviluppo del corridoio paneuropeo numero 10, quello che dovrebbe collegare Istanbul-Sofia-Igumenitsa-Budapest-Monaco di Baviera. Affari nel cuore dell’Europa.

Nel frattempo, la discussione verte  sulla posiziona turca nella guerra a ISIS, i tentennamenti di Erdogan e il suo disincanto alla corsa verso l’accettazione occidentale del paese dell’Asia Minore. Che non riconosca il governo di Strasburgo lo sanno i suoi e il mondo intero, molto bene. Nonostante, a differenza di Putin, Erdogan deve spesso fare i conti con una opposizione interna strutturata, il suo carisma, le uscite decisive e quelle non  poco bislacche su diritti civili e storia moderna ( Le Americhe scoperte dai musulmani!), tutto questo fa da sponda al protagonismo del turco nei nuovi intrecci geopolitici, nella corsa alla riscoperta delle antiche aree di “naturale” influenza, nello scacchiere delle frontiere mobili.

Ucraina: il cessate il fuoco e l’illusione della pace nel teatro di scontro del diritto internazionale

EUROPA di

Il 14 dicembre Poroshenko ha affermato che per la prima volta non ci sono stati scontri nel Paese. Nel frattempo, Putin cerca di stabilire nuove partnership economiche con India e Cina. La Nato è sempre più irritata dall’atteggiamento della Russia in contrasto con gli accordi di Minsk

[subscriptionform]
[level-european-affairs]

“Oggi è la prima giornata, dopo sette mesi, in cui non abbiamo avuto scontri e uccisioni in Ucraina. Possiamo dire che è il primo vero giorno di cessate il fuoco”. Queste le parole del Presidente dell’Ucraina Poroshenko pronunciate il 14 dicembre. Parole che fanno presagire ad un allentamento delle tensioni tra Kiev e Mosca. Parole, appunto. Ma i fatti di dicembre che le precedono sembrano dire tutt’altro.

Se il 9 dicembre, Kiev ha cominciato a ricevere le prime forniture di gas, in rispetto degli accordi del 30 ottobre scorso tra Ucraina, Russia e Unione Europea, due giorni più tardi ha fatto discutere l’incontro tra Putin e il presidente indiano Modi. Il vertice, a cui non a caso ha partecipato il leader della Crimea Aksionov, ha visto l’accordo di cooperazione per la costruzione di dieci reattori nucleari di ultima generazione. Una mossa, quella del Capo del Cremlino, che ha il sapore dello smarcamento rispetto alle sempre più esose sanzioni economiche decise da Bruxelles e Washington, soprattutto se guardiamo al precedente accordo, raggiunto con la Cina, per la fornitura trentennale di gas.

Le dichiarazioni di Poroshenko e l’atteggiamento di Putin, però, ci dicono che lo scontro in seno all’est ucraino si gioca sempre di più nel teatro del diritto internazionale. In questo senso, il comunicato rilasciato dalla Commissione sull’Ucraina della Nato il 2 dicembre non usa mezzi giri di parole e accusa Mosca di non avere cessato “il rifornimento di armi ai separatisti filorussi e di avere proseguito le attività militari in violazione degli accordi raggiunti a Minsk lo scorso settembre”.

Proseguendo, la nota fa riferimento ai punti essenziali per il raggiungimento della pace decisi a Minsk: “Il ritiro delle truppe dal territorio ucraino; provvedere all’effettivo monitoraggio dei confini e della sovranità ucraina; favorire una soluzione politica e diplomatica dei negoziati”. Non solo. Il segretario generale Nato Stoltenberg ha annunciato di avere riattivato quattro fondi per aiutare Kiev ad aggiornare a propria logistica, la cybersicurezza, il comando e controllo e i servizi medici.

Un aiuto, quello della Nato, che, se visto dalla prospettiva russa, assomiglia ad un abbraccio mortale, ad un tentativo di Washington di isolare ancora di più Mosca: “Tutti i passi della Nato – afferma Morozov, a capo della Commissione Esteri del parlamento russo -, che già quest’anno vuole coinvolgere l’Ucraina nella serie interminabile di esercitazioni delle truppe nel momento in cui nel paese è in corso una guerra civile, dimostrano soltanto una cosa: la Nato continua la sua politica aggressiva nei confronti dell’Est. Per alimentare la sua strategia di espansione, fa delle dichiarazioni provocatorie accusando la Russia di intenzioni aggressive”, conclude il deputato.

Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Elezioni Moldova, la coalizione filoeuropeista vince di misura. Il Segretario Generale Nato invita Mosca a rispettare il risultato

EUROPA di

I liberaldemocratici ottengono il 48% dei seggi, contro il 38 dei filorussi. Stoltenberg si congratula con il popolo moldavo e dà una stoccata a Putin, invitandolo di fatto a non interferire con l’esito delle Politiche andate in scena domenica 30 novembre

[subscriptionform]
[level-european-affairs]

Il dato delle Politiche in Moldavia evidenzia una chiara spaccatura. Nonostante il partito socialista filorusso sia il primo del Paese (21%), ad ottenere la maggioranza dei seggi, seppur di misura, è la coalizione filoccidentale (48%) contro l’avversaria vicina a Mosca (circa 38%). Con 54-55 seggi a favore, le trattative per la composizione del nuovo esecutivo si preannunciano complicate.

A salutare in maniera positiva il dato del voto, è stato Jens Stoltenberg, Segretario Generale Nato: “Mi congratulo con il popolo moldavo per le elezioni tenutesi questa domenica (30 novembre 2014, ndr), che si sono svolte in linea con gli standard europei. Il popolo moldavo ha fatto la propria scelta e tutti quanti devono rispettarlo”. In queste parole, è chiaro il riferimento a Vladimir Putin, che ad ottobre aveva ammonito Chisinau a non avvicinarsi troppo a Bruxelles a discapito degli interessi economici con Mosca.

“La Moldova – ha proseguito Stoltenberg – è un prezioso partner all’interno dell’Alleanza Atlantica, decisivo nella nostra missione in Kosovo. In un quadro di partnership individuale, proseguire la nostra cooperazione con la Moldova e non vediamo l’ora di lavorare con le nuove autorità, al fine di fare un utilizzo più intensivo delle iniziative decise nel vertice di settembre in Galles”, conclude.

Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Montecitorio: Casini incontra il Presidente dell’Assemblea Nazionale dello Stato del Kuwait

EUROPA/Medio oriente – Africa di

I due hanno parlato del legame di amicizia che lega i Paesi e hanno discusso sulla minaccia globale del terrorismo. Comune visione sulla modalità di lotta all’Isis in Medio Oriente: auspicata un’azione non solo militare, ma anche culturale ed educativa

[subscriptionform]
[level-european-affairs]

Giovedì 27 novembre, presso Palazzo Montecitorio a Roma, Pier Ferdinando Casini, Presidente Commissione Affari Esteri del Senato e Presidente onorario dell’Unione Interparlamentare (UIP), ha incontrato Marzouq Alì al Ghanim, Presidente dell’Assemblea Nazionale dello Stato del Kuwait. Oltre alle delegazioni parlamentari dei due Paesi, l’ambasciatore kuwatiano in Italia Sheikh Ali Khaled al Jaber.

I temi principali della discussione sono stati la minaccia del terrorismo e la radicalizzazione del conflitto in Siria e Iraq per mano dell’Isis. Durante l’incontro, al Ghanim ha ravvisato la necessità di una comune azione in Medio Oriente con i partner occidentali nella lotta al Califfato. Casini, invece, oltre a ricordare “il grande legame di amicizia che unisce Italia e Kuwait, che risale ai tempi della Prima Guerra del Golfo” e si è dimostrando concorde sugli strumenti da utilizzare nella battaglia contro il radicalismo islamico: “Non basta l’azione militare, ma serve un’importante azione sul piano culturale ed educativo”, ha affermato l’ex Presidente della Camera dei Deputati.

Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Giacomo Pratali
0 £0.00
Vai a Inizio