GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI - page 109

Abuso di posizione dominante nei trasporti marittimi italiani

ECONOMIA/EUROPA di

In commissione Europea è stata presentata una interrogazione parlamentare per spingere l’autorità a verificare se il mercato italiano del trasporto marittimo sia effettivamente equilibrato.

L’interrogazione è stata presentata dall’Europarlamentare Maullu di Forza Italia che ha voluto sottolineare come le recenti operazioni di acquisizione verificatesi in Italia possano danneggiare i cittadini, “L’interrogazione che ho depositato – ha dichiarato Maullu –  chiede alla Commissione europea di attivarsi per vietare atteggiamenti di abuso della posizione dominante sul mercato interno. Il libero mercato deve sempre garantire una sana concorrenza, con il miglioramento dei servizi, l’affidabilità delle linee e l’equilibrio delle tariffe”

La stessa  l’Autorità Garante per la Concorrenza e il mercato italiana  ha rilevato come l’acquisizione della società Moby da parte della Compagnia Italiana Navigazione che fa’ riferimento al Gruppo Onorato Navigazione, sia di fatto un aggregazione superiore al massimo consentito.

Lo scorso 25 febbraio 2016 è stata presentata la nuova compagine del gruppo Onorato Navigazione che ad oggi comprende le società Tirrenia, Toremar e Moby diventando il primo gruppo passeggeri del Mediterraneo con una flotta di 64 navi, 4.000 occupati, 6,2 milioni di passeggeri trasportati, 25 porti collegati, 33mila viaggi effettuati nell’ultimo anno.

A Brussels  l’on. Maullu ha presentato nei giorni scorsi l’ interrogazione parlamentare per spingere la commissione ad una valutazione delle condizioni di mercato dei trasporti marittimi in italia, “ C’è un’effettiva mancanza di sana concorrenza sulle rotte dei traghetti che collegano il continente alla Sardegna” ha dichiarato Maullu a seguito della sua iniziativa “ L’avvicinarsi dell’estate fa emergere questo problema con maggiore forza, i cittadini e i turisti che vogliono raggiungere l’isola si vedono applicate tariffe molto alte e condizioni poco vantaggiose rispetto ad altre mete turistiche”

Una situazione ben nota all’antitrust italiano che nel mese di aprile ha denunciato la CIN ( Compagnia italiana di Navigazione) di posizione dominante nei trasporti marittimi

L’analisi svolta dal AGCM  ha evidenziato che le rotte tra  Civitavecchia-Olbia e Genova-Olbia, hanno subito negli ultimi anni una forte contrazione, determinando l’uscita di tutti gli operatori ad eccezione di CIN e Moby che sono parte dello stesso gruppo.

In questo contesto, CIN, pur essendo partecipata per una quota del 40% da Moby, si è comportata nei confronti di quest’ultima come un operatore in concorrenza,  così acquisendo crescenti quote di mercato ai suoi danni nelle stagioni estive 2013 e 2014.

Il mercato di fatto non presenta un numero adeguato di concorrenti che possano permettere una offerta di prezzi  in competizione a favore dei clienti finali e soprattutto ai danni di quella che veniva considerata continuità territoriale per i residenti delle isole maggiori che si vedono oggi penalizzati negli spostamenti da e per il continente. Su questo tema le altre compagnie di navigazione mantengono il riserbo e non concedono interviste o dichiarazioni .

L’interrogazione dell’Europarlamentare sembra avere lo scopo di spingere le istituzioni comunitarie a vigiliare sull’effettivo rispetto delle norme garanti della concorrenza e che siano effettivamente applicate misure tali da favorire un libero mercato come indicato dall’ACGM italiana che ha sentenziato che  di l’acquisizione da parte di Onorato Partecipazioni S.r.l. del controllo esclusivo di Moby S.p.A. e di Compagnia Italiana di Navigazione S.p.A., sia determinante nella costituzione di una  posizione dominante nel mercato dei servizi di trasporto marittimo di passeggeri, autovetture e merci sulle rotte Genova – Olbia e Civitavecchia – Olbia.

Le isole maggiori affrontano così una nuova stagione turistica con un calo delle presenze costante negli ultimi anni causato in primis dai costi di trasporto marittimo, calo che danneggia l’economia della Sardegna già fortemente provata dalla crisi e che vede nel settore turistico la sua unica possibilità di resistere alla crisi.

L’Aquila, in “COMANDO E CONTROLLO” un modello emergenziale pronto a tutto

EUROPA di

Alberto Puliafito è un giornalista, un regista e un autore televisivo nel 2009 comincia la lavorazione del documentario “ Comando e controllo” che parla dell’emergenza de L’Aquila, del modello adottato nel momento della tragedia per intervenire nelle situazioni di grande emergenza ma soprattutto di cosa significa tutto questo.

Alle 3.32 del 6 aprile 2009 una scossa di magnitudo 6,3 scuote la città, la colpisce forte, come un maglio nella notte. Crollano le case, crolla la casa dello studente, il centro della città si accascia su se stesso, intanto a Roma qualcuno ride. Sono momenti di terrore nella notte, per chi riesce a scendere in strada senza indicazioni senza aiuto.

Alberto Puliafito arriva a L’Aquila come tanti giornalisti e comincia a seguire l’evolversi dell’emergenza,a studiare cosa viene messo in campo, come e in che tempi, parla con gli aquilani, con le istituzioni, con i testimoni e con il tempo riesce a dipingere un quadro, un immagine di cosa sta succedendo.

L’opera di Puliafito riesce ad entrare nel vivo della questione, tra le macerie materiali e immateriali della città rinfaccia un filo conduttore, una regia di tutta l’operazione di soccorso riuscendo ad intravedere quello che realmente viene messo in atto in quei giorni.

Per approfondire quanto da lui descritto nella sua opera lo abbiamo intervistato e chiesto di spiegarci cosa aveva visto tra quelle macerie immediatamente dopo la tragedia, nel video la nostra intervista.

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A sette anni dal sisma la città non è ancora risorta come dichiaravano a pochi mesi dalla catastrofe le istituzioni, il tessuto sociale aquilano fondato sul nucleo familiare sembrava totalmente spezzato.

I cittadini sono ancora sotto shock, traumatizzati, incapaci di riprendersi la città, i legami familiari spezzati dalla scossa delle 3.32 di quella notte di aprile, trecento nove vittime , milleseicento feriti su una popolazione di 35.000 abitanti, ma quella notte qualcuno rideva, già sapeva del modello emergenza che si andava ad attuare, non lo sapevano gli abitanti però, per i quali non era stato previsto nessun piano di emergenza o evacuazione.

 

 

Aereo Egypt Air: Probabile esplosione a bordo

BreakingNews/EUROPA di

oggi 24 maggio, a distanza di 5 giorni dalla tragedia aerea del volo M804 dell’Egypt Air sulla tratta Parigi – Il Cairo, si inizia a fare chiarezza su cosa possa essere successo a bordo.

I risultati delle prime analisi svolte dai medici legali egiziani su “parti di corpi ritrovati in mare”, indicano una molto probabile esplosione a bordo. A detta degli esperti forensi il fatto che non siano stati ritrovati corpi interi ma solo “brandelli sparsi” sarebbe un motivo ulteriore per avvalorare la tesi dell’esplosione all’interno del velivolo. A darne notizia verso le 12 è l’Associated Press, ripresa da NBC News.

Intanto non  appena battuta la  notizia,  immediatamenteun membro della Commissione d’Inchiesta francese   –  Gerardo Feldzer – smentisce la notizia dopo esser stato interpellato dal celebre sito francese BFM TV e dichiara che “ è imprudente parlare di esplosione avendo ritrovato solo parti bruciate  dei corpi. Potrebbe anche trattarsi di un incendio. Secondo me si può parlare di esplosione solo nel caso in cui vengano ritrovate tracce di polvere da sparo sui frammenti a disposizione”.

Si riapre ufficialmente la pista dell’attentato terroristico? Le ultime dichiarazioni di entrambi i governi si dicono “ aperti a tutte le ipotesi”. Intanto proseguono incessanti le ricerche delle scatole nere dell’aereo, che se dovessero confermare la tesi dell’ordigno esplosivo deflagrato in volo, le autorità aeroportuali di Parigi Charles De Gaulle dovrebbero dare delle spiegazioni a questa negligenza così grave, specialmente in un momento storico in cui la Francia ha innalzato i propri livelli di sicurezza al massimo, dopo gli attentati di Charlie Hebdo, del 13 Novembre e del 22 Marzo a Bruxelles.

da Parigi Laura Laportella

 

 

 

 

Aereo Egypt Air: la Francia apre una Commissione di Inchiesta, le ipotesi di Russia ed Egitto

BreakingNews/EUROPA di

Sulla causa della tragedia del volo Egypt Air, precipitato nel Mediterraneo tra la Grecia e l’Egitto nelle prime ore della notte del 19 maggio 2016, le Istituzioni francesi si sono dimostrate molto caute nell’attribuzione di responsabilità di questa sciagura che ha visto coinvolti anche 15 cittadini francesi.

L’aviazione greca avrebbe ritrovato i resti del velivolo al largo delle coste dell’isola di Creta e nelle prossime ore dovrebbero giungervi i primi mezzi atti ad effettuare il recupero di ciò che resta del volo MS804. A quel punto si saprà davvero qualcosa in più. Le notizie che sono state diffuse parlano di un ultimo contatto con il pilota proprio mentre sorvolava la Grecia intorno alle 00.05 (ora locale) privo di qualsiasi anomalia. Le fonti egiziane sostengono che l’aereo fosse già entrato nella propria area di volo  ma che poi il velivolo abbia effettuato una brusca virata di circa 90 gradi, per poi precipitare nell’Egeo.

Gli interrogativi sono molteplici. Sia il primo ministro Valls che il presidente francese Hollande si dicono aperti a non scartare nessun tipo di ipotesi, relegando quella di un ipotetico attacco terroristico ad una delle molteplici di esse. Meno cauto è il Governo egiziano che, al contrario  –  secondo le fonti di stampa francese – darebbe come preminente proprio l’ipotesi di un attentato ai loro danni. Il quotidiano Le Parisien inoltre riporta la fonte di un esponente dei servizi segreti della Russia il quale indicherebbe esplicitamente la matrice terroristica come causa della tragedia aerea.

L’idea dell’attentato viene esclusa anche dal noto specialista di comunicazione jiahadista , David Thomson, che su Twitter ha comunicato di non aver trovato nessun tipo di rivendicazione ufficiale dell’accaduto da parte dello Stato Islamico dell’ISIS.

Nel frattempo per evitare qualsiasi tipo di indugio, la Francia ha aperto una commissione di inchiesta che lavorerà al caso, considerando anche le opzioni di guasto tecnico, di incidente o di intenzioni suicidiarie da parte del pilota del volo Egypt Air, così come avvenuto per i casi della Germanwings e della Malaysia Airlines lo scorso anno.

da Parigi Laura Laportella

 

Aereo Parigi – Il Cairo scomparso: cronaca di un’ennesima mattinata buia francese

BreakingNews/EUROPA di

La Francia si sveglia alle 6.45 con le prime voci che un aereo della compagnia Egypt Air, partito da Parigi Charles De Gaulle nella notte di mercoledì e diretto a Il Cairo, sarebbe scomparso dai radar .

A darne notizia è la stessa compagnia aerea che comunica via Twitter. I passeggeri sarebbero poco più di una cinquantina, per la maggior parte cittadini egiziani: secondo Sky  News arabia  ci sarebbero anche un cittadino saudita, un irakeno e si conterebbero circa 15 passeggeri di nazionalità francese.

In poco meno di un’ora il governo francese presieduto da Valls ha indetto una cellula di crisi a disposizione delle famiglie dei passeggeri e per cercare di far luce su cosa sia accaduto al largo dell’Egeo.

Le notizie che seguono sono piuttosto vaghe, il velivolo  si sarebbe schiantato nel mare della Grecia nei pressi dell’isola di Karpathos. Verso le 7.20 il governo greco ha dato la sua disponibilità immediata per aiutare le ricerche dell’aereo, e nel frattempo il premier francese rilascia le sue prime dichiarazioni alla stampa in cui dice di “non scartare nessuna ipotesi”.

Dalle 8.30 inizia il vertice di sicurezza interministeriale a Parigi voluto dallo stesso Valls, Jean-Marc Ayrault (Affari esteri), Bernard Cazeneuve (Ministro interno), Jean-Yves Le Drian (Difesa), Ségolène Royal (Sviluppo) ed il segreatrio di stato per i trasoporti Alain Vidalies, secondo fonti precisate dall’Eliseo.

Al momento nessuno ancora si sbilancia nell’azzardare ipotesi, che al momento sarebbero prive di verifiche certe. Il Governo egiziano parla di un’esplosione in volo, a confermare questa tesi – secondo il quotidiano Le Parisien, sarebbe stato il comandante di una nave mercantile che si trovava al largo delle coste greche e sostiene di aver visto “una fiamma nel cielo” proprio nell’orario in cui effettivamente dovrebbe essere avvenuto lo schianto/esplosione.

Come riporta il quotidiano francese, secondo gli esperti, Il fatto che i piloti non abbiano avuto il tempo di inviare un messaggio, lascia supporre che sia stato un evento improvviso : “se l’equipaggio non ha inviato nessun messaggio di allarme è simbolico del fatto che sia stato un evento molto, molto brutale” spiega Jean Paul Troadec, in passato capo della Commissione di Inchiesta e di Analisi (BEA) in Francia, e prosegue “un problema tecnico,  di norma un incendio, un problema di panne dei motori non provoca un incidente immediatamente e l’equipaggio ha un minimo tempo per reagire”  –  dichiara lo stesso alla radio Europa 1.

Lo spettro del terrorismo torna a visitare l’Europa a distanza di poco meno di due mesi dagli attentati di Bruxelles, la Francia già agitata dai movimenti della Nuit Debut e dei suoi manifestanti, non può allentare nemmeno per un istante il cordone di sicurezza sulla vicenda terrore.

da Parigi Laura La Portella

Egitto: la non verità su Regeni

EUROPA di

“I documenti di Regeni stato stati trovati nella casa di una sorella di uno dei banditi uccisi”. Questa la dichiarazione del ministro degli Interni egiziano Magdi Abdel Ghaffar, corredata dalle foto del passaporto del ricercatore italiano postate su Facebook, che confermano che il dottorando di Cambridge sarebbe stato prima rapito e poi ucciso lo scorso 3 febbraio da una banda criminale specializzata in rapine a stranieri. Una conclusione, quella degli inquirenti egiziani, non convincente e somigliante ad un depistaggio dalla verità.

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Il blitz delle forze di polizia all’alba di giovedì 24 marzo e la conseguente uccisione dei cinque rapinatori della banda responsabili del rapimento, della tortura e dell’uccisione Giulio Regeni sono stati confermati solo nella serata dal Ministro degli Interni. La pistola fumante sarebbe la borsa del ricercatore trovata a casa della sorella di uno degli uccisi, contenente passaporto, portafoglio, carta di credito e due cellulari.

Secondo quanto evidenziato dagli investigatori egiziani, la banda agiva fingendo di appartenere alle forze dell’ordine indossando le divise. Una motivazione che vuole di fatto fare passare come fraintendimento la convinzione del governo italiano e dei media internazionali che, dietro la morte del ragazzo, ci siano forze di polizia o servizi legati al presidente Al Sisi.

Nonostante l’annuncio dell’arresto dei possibili responsabili del delitto, continua ad essere questa la convinzione diffusa presso le istituzioni e i media italiani e internazionali. Proprio le incongruenze evidenti delle motivazioni fornite dal Ministro degli Interni egiziano avvalorano la tesi che sia proprio il governo egiziano a volere sotterrare la verità.

Innanzitutto, perché i rapinatori non si sono sbarazzati della borsa di Regeni? E poi, perché il rapimento e l’uccisione sono avvenuti a chilometri di distanza da dove agiva solitamente la banda? Infine, perché Giulio Regeni è stato anche torturato?

Questi elementi fanno supporre che la verità sulla morte di Giulio Regeni, così come la tragica scomparsa di tantissimi oppositori al regime di Al Sisi, sia di tutt’altra natura.
Giacomo Pratali

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Germania divisa sull’immigrazione

EUROPA/POLITICA di

“Un giorno difficile” per il partito, così si è espressa la Cancelliera tedesca Angela Merkel all’indomani delle elezioni regionali tedesche, tenutesi il 15 marzo scorso. Il CDU (Christlich Demokratische Union) perde, infatti, la maggioranza in due stati federali su tre, Baden-Wuttemberg e Renania-Palatinato. Un risultato significativo: seppur il CDU resti la forza di maggioranza, vediamo emergere nettamente le posizioni dell’Alternative für Deutschland (AfD), partito di estrema destra guidato da Frauke Petry. Tema della discordia: le politiche sull’immigrazione.

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In risposta alla crisi dei rifugiati provenienti dalla Siria e da altri paesi del Medio Oriente, la Cancelliera Merkel da mesi sostiene la politica dell’open-door, in base alla quale la Germania garantisce asilo ai rifugiati e ai migranti provenienti dalle zone di guerra. Nel corso del 2015, più di un milione di persone hanno attraversato la frontiera tedesca. Una politica “umanitaria”, che si distanzia, tuttavia, dalle posizione prese da altri paesi europei, come la Slovenia che ha optato per la chiusura delle frontiere, o l’Austria, che ha imposto controlli più severi ai confini e un tetto massimo di rifugiati da accogliere.

Diametralmente opposta la posizione dell’AfD, fautore della chiusura delle frontiere. “Asylchaos beenden” -il motto del partito- esprime chiaramente un senso di preoccupazione per la stabilità interna del paese. L’AfD sostiene una linea politica conservatrice, votata alla difesa dei valori tradizionali cristiani. L’afflusso costante e corposo degli immigrati musulmani viene percepito come una minaccia a questi valori: un atteggiamento xenofobo, dunque, che pare trovare sempre maggior appoggio tra la popolazione tedesca.

Tra i voti a favore dell’AfD, infatti, non vi sono solo quelli dell’estrema destra tradizionale. Si uniscono al coro anche molti conservatori, tradizionalmente più vicini alle posizioni del CDU ma disillusi dalle politiche centriste promosse dalla Merkel. L’alternativa populista offerta dal partito della Petry sembra, invece, avvicinarsi maggiormente alle esigenze e alle idee di questa componente.

Ci troviamo di fronte ad un elettorato tedesco fortemente polarizzato. Da un lato, chi ha sostenuto e continua a sostenere le politiche di apertura della Merkel, per la quale la paura più concreta non è l’afflusso dei rifugiati, bensì la chiusura delle frontiere. Così facendo, si metterebbero in pericolo i principi cardine dell’Unione Europea, come la libera circolazione delle persone, il libero commercio e la moneta unica. Dall’altro lato, invece, l’estrema destra xenofoba punta su un approccio più radicale, volto a difendere l’integrità e la sicurezza nazionale a scapito dei valori comunitari come, appunto, la libera circolazione.

Copione già visto: in Francia con l’ascesa del partito estremista della Le Pen ed ora negli Stati Uniti con i successi di Trump. Sembra crescere, dunque, nei paesi occidentali l’insofferenza verso politiche troppo permissive circa l’arrivo di stranieri. E il senso di insicurezza dovuto alle continue minacce e agli attentati compiuti in diverse capitali europee di certo non favorisce una linea di pensiero più aperta.

Sullo sfondo di questo contrasto interno troviamo, inoltre, le trattative condotte dalla Bundeskanzlerin in ambito UE con la Turchia, nell’ottica di siglare un accordo sugli immigrati. La nazione di Erdogan ha recentemente richiesto altri tre miliardi di finanziamenti in aggiunta ai tre già previsti, proponendo un meccanismo di scambio tale per cui per ogni profugo siriano riammesso, l’UE ne accolga uno già residente in Turchia. Richieste “comprensibili”, secondo la Germania; diversa, invece, la reazione di altri leader europei, come il premier belga Charles Michel che definisce l’accordo come una sorta di ricatto.

Tuttavia, né l’esito delle elezioni, né i pareri diversi in seno all’UE hanno fatto cambiare idea alla Merkel: nessuna inversione di rotta nella open door policy, mentre l’accordo con la Turchia rimane l’unica strada possibile per risolvere la crisi.

Probabili, dunque, le ripercussione sia a livello nazionale che europeo. In Germania, la CDU non rischia soltanto di vedere crescere l’estrema destra, ma mette a repentaglio la stabilità interna del partito. Lo stesso Horst Seehofer, leader della CSU, partito gemello della CDU in Bavaria, ha pesantemente criticato le scelte della Merkel, affermando che di fronte a simili risultati elettorali l’unica risposta accettabile sia una cambiamento della linea politica. A livello europeo, la distanza tra una Germania in prima linea nell’Unione e gli altri Membri mette ancora una volta in dubbio la credibilità e la stabilità dell’istituzione nonché l’efficacia di un qualunque accordo con la Turchia. Considerando che sono molti i paesi europei ad avere interessi in gioco, una risposta europea deve obbligatoriamente tenere in considerazione le diverse esigenze. E se la Merkel vuole continuare a mantenere la leadership non può chiudere gli occhi sulle posizioni altrui.

 

Paola Fratantoni

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Roma: arrestati sospetti terroristi ISIS

BreakingNews/EUROPA di

Martedì 8 marzo i Carabinieri del Ros hanno arrestato a Roma due delle tre persone sospettate di essersi legate allo Stato Islamico. Tra i due spicca Vulnet Makelara, conosciuto con il soprannome Karlito Brigande, 41 anni, macedone, già finito in carcere in Italia, il quale stava progettando di unirsi allo Stato Islamico. Il terzo mandato d’arresto per l’altro complice era destinato al tunisino Barhoumi Firas (29), fuggito però diversi mesi fa in Iraq.

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La ricostruzione degli investigatori
Sono proprio Brigande e Firas i due personaggi chiave dell’inchiesta condotta dai Carabinieri. I due, conosciutisi in prigione, hanno continuato a mantenere i contatti anche fuori dalla prigione nel corso del 2015. Infatti, il macedone, già arrestato negli anni Novanta per rapine, era stato convinto dal tunisino ad arruolarsi con lui nel Daesh e raggiungerlo in Iraq per compiere assieme una sequenza di attacchi con autobomba.

E sono proprio le conversazioni via chat del 20 ottobre 2015, riportate nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Roma Elvira Tamburelli, ad inchiodare i due:

Barhoumi: … andrà tutto bene inshallah… anche se tu vuoi venire qua… posso sistemare tutto per te. Basta che tu fai un programma così anche con documento falso così tu puoi venire inshallah.
Brigande: .. fratello mio, ma io già sono pronto se… mi puoi scrivere le strade, le cose, come faccio, da dove cerco inshallah piano piano di arrivare là.
Barhoumi: … basta tu cerca per venire a Turchia resto ci penso io per te hai capito? Basta che tu venire a Turchia, hai capito?
Brigande: Ok fratello cerco questo mese inshallah… cerco di venire più presto.
Barhoumi: … per me io ho segnato… uno… per una operazione suicida, vuol dire prendo una macchina con l’esplosivo dentro per fare un’operazione contro i kuffar (miscredenti, ndr) inshallah. Però se mi dici una promessa che tu venire dopo un mese io posso allontanare la data dell’operazione.

La questione foreign fighters
Quella riguardante Karlito Brigande è solo una goccia nel mare del reclutamento portato avanti con successo dallo Stato Islamico in Europa e in Italia. Un reclutamento portato avanti da stati come Siria, Iraq e Libia (solo per citare i tre casi più eclatanti), ma di cui sono complici passivi gli stessi Stati occidentali da cui partono i futuri jihadisti.

L’emarginazione sociale ed economica è la leva sulla quale, attraverso i social network, gli uomini di Daesh contano. L’indottrinamento e la campagna di propaganda fatta su quelle persone, in maggioranza giovani tra i 18 e i 35 anni, immigrati di prima ma anche di seconda generazione, è una sorta di fase di addestramento psicologico, preliminare a quello di tipo fisico in loco.

Militanti che spesso si pentono di giungere in aree di guerra, come dice l’aumento degli arruolati in Libia a dispetto di Siria e Iraq, ma che altrettanto spesso vengono utilizzati come pedine dalle gerarchie locali.

Militanti che, però, come già accaduto in Francia e Belgio, tornano con frequenza in Europa per prendere il comando di gruppi di aspiranti jihadisti e guidare una o più azioni terroristiche nelle principali città del Vecchio Continente.

Il fenomeno dei foreign fighters, aldilà dei numeri (circa 30000 sarebbero giunti in Iraq e Siria da oltre cento paesi, secondo gli ultimi dati dei servizi segreti italiani), porta, o ha già portato, la guerra tra Occidente e Stato Islamico ad un livello diverso rispetto al passato. Non più nazione contro nazione. Non più una guerra condotta prettamente contro un nemico in un luogo specifico. La guerra in Siria, in Iraq e quella prossima in Libia, sono combattute anche in Europa, Italia compresa, dalle forze di polizia e dai servizi di intelligence. L’arresto di Brigande, così come i tanti dell’ultimo periodo in Europa, dimostrano che la guerra tra Occidente e Califfato sia solo all’inizio.
Giacomo Pratali

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Digitalizzazione in crescita per l’UE

EUROPA/INNOVAZIONE di

Il 25 febbraio scorso la Commissione Europea ha pubblicato i risultati dell’edizione 2016 dell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI). Notizie incoraggianti, dati i progressi registrati nel complesso; tuttavia, siamo ancora distanti dal pieno sviluppo delle nostre potenzialità digitali.

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Di cosa si tratta?

Il DESI (Digital Economy and Society Index) è uno strumento online che permette di misurare i progressi compiuti dai paesi membri dell’Unione Europea nel campo della digitalizzazione economica e sociale. Più di 30 indicatori vengono utilizzati per definire il DESI e sono raggruppati in cinque distinte aree: connettività (25% del valore totale), capitale umano/abilità digitali (25%), utilizzo di internet (15%), integrazione della tecnologia digitale (20%), servizio pubblico digitale (15%). Questo indice serve, dunque, ad individuare quali sono i settori in cui il paese di riferimento necessita maggiori investimenti per poter migliorare le proprie performance.

L’indice non solo dipinge il quadro generale dell’UE, ancora lontana dai livelli di digitalizzazione di potenze come gli Stati Uniti o il Giappone, ma mette anche in risalto le differenze notevoli tra i paesi membri. Danimarca, Svezia e Finlandia occupano i primi posti non solo a livello europeo ma anche nelle classifiche mondiali. Fanalini di coda, invece, Repubblica Ceca, Bulgaria, Cipro, Francia, Grecia, Ungheria, Polonia e Slovacchia, che non solo hanno un DESI decisamente inferiore alla media UE, ma mostrano anche un ritmo di crescita lento, che porterà a distanziare maggiormente questi paesi dal resto dell’Europa. Il DESI, infatti, indica anche il ritmo di crescita delle nazione nel campo delle tecnologie digitali. Ed è proprio qui che si può notare, ancora una volta, un’Europa a più velocità.

Alcuni paesi presentano un indice DESI superiore alla media europea e registrano anche una crescita più veloce nell’arco dell’ultimo anno. Parliamo di Austria, Estonia, Malta, Portogallo, Germania e Paesi Bassi. Buoni i ritmi di crescita anche in Italia, Croazia, Lituania, Romania, Slovenia e Spagna, anche se l’indice DESI rimane attualmente sotto la media. Tuttavia, secondo gli analisti, vi sono buone le speranze per questi paesi di ridurre le distanze da quelli più digitalmente avanzati. In calo, invece, la crescita di Danimarca, Svezia, Finlandia, Irlanda, Belgio, Lituania e Irlanda, che mantengono, tuttavia, un indice elevato.

Cosa si può fare, dunque, per migliorare la situazione? Lo scorso anno l’UE ha approvato la strategia per il mercato unico digitale, una serie di azioni che i paesi dovranno portare a termine entro la fine del 2016 volte a coordinare e standardizzare il processo di digitalizzazione nei vari paesi. Tale strategia verte su tre pilastri: migliorare l’accesso ai beni e ai servizi digitali per consumatori e imprese in tutta Europa; creare un contesto favorevole e pari opportunità per lo sviluppo delle reti digitali; massimizzare il potenziale di crescita nel settore.

Nei fatti, sembra che la strategia attuata stia dando i suoi frutti. Il 71% delle famiglie europee ha ora accesso alla banda larga ad alta velocità (nel 2014 solo il 62%) e sono in aumento anche il numero degli abbonati alla banda larga mobile con 75 contratti registrati per ogni 100 abitanti (a fronte dei 64 dell’anno precedente). È vero, tuttavia, che c’è ancora molto da lavorare, soprattutto in alcuni settori. Come emerge dal rapporto DISE, ad esempio, quasi il 45% degli europei non possiede competenze digitali di base, come l’uso della posta elettronica o degli strumenti di editing principali. L’e-commerce è una realtà ancora lontana per le piccole medie imprese: soltanto il 16% vende i propri prodotti online e solo il 7,5% anche oltre la frontiera. Non è sufficiente promuovere l’acquisto online: bisogna, altresì, stimolare maggiormente il commercio elettronico, approvando in sede europea una legislazione che protegga adeguatamente i consumatori, specialmente negli acquisti transfrontalieri. Non del tutto soddisfacenti, infine, i dati relativi ai sevizi pubblici: a fronte di una maggior varietà di servizi resi disponibili online dalle Pubbliche Amministrazioni, pare che soltanto il 32% degli utenti usufruisca di queste piattaforme.

Da un lato, dunque, è importante che l’UE fornisca una legislazione coerente ed efficace, che tuteli sia i cittadini che le imprese; dal canto loro, gli stati membri devono sostenere la creazione del mercato unico digitale, investendo in quei settori maggiormente arretrati e promuovendo la digitalizzazione tra la società civile. Realizzare quest’obiettivo permette non solo di rilanciare l’economia europea in generale e di dare nuova competitività al nostro mercato, ma consente anche ai singoli membri di sfruttare al meglio il potenziale inespresso, creando nuove opportunità (soprattutto transfrontaliere) per le imprese ma anche per i singoli.

 

Paola Fratantoni

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Si allarga black list anti-Corea del Nord

In data odierna, il Consiglio dell’Unione Europea – che, lo ricordiamo è di fatto l’organo esecutivo dell’Unione – ha aggiunto 16 persone e 12 enti alla sua “black list” di soggetti e società colpiti dalle misure restrittive europee intraprese contro le condotte della Repubblica popolare democratica di Corea.

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La decisione recepisce le nuove prescrizioni imposte dalla risoluzione 2270 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata il 2 marzo 2016 in risposta ai lanci di prova di razzo nucleari da parte della Corea del Nord, avvenuti il 6 gennaio  ed  il 7 febbraio scorsi.

Gli atti formali di tale iniziativa diplomatica saranno pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue domani.

La misure restrittive dell’UE nei confronti della Corea del Nord sono state introdotte per la prima volta il ​​22 dicembre 2006. Le misure attuali adempiono a tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU adottate dopo i test nucleari ed i lanci eseguiti dalla Corea del Nord utilizzando la tecnologia dei missili balistici ed includono anche  ulteriori misure autonomamente adottate dall’UE. Tali decisione intendono colpire la politica  nucleare ed i programmi di lancio nordcoreani

Le misure più importanti comprendono divieti di esportazione ed importazione di armi, e di ogni oggetto o tecnologia che possa contribuire a tali attività. Sia l’ONU che l’UE, in modo autonomo, hanno anche istituito misure restrittive di natura finanziaria, commerciale e nel campo dei trasporti.

Con quella odierna, L’Unione europea ha così rafforzato le sue ultime misure, che furono decise il 22 aprile 2013, recependo la risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU n. 2094.

 

Domenico Martinelli

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Domenico Martinelli
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