GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI - page 103

LE FORZE IRACHENE INIZIANO A LIBERARE TALA AFAR

MEDIO ORIENTE/SICUREZZA di

ASIA SUDOVA, 20 agosto 2017 – Le forze di sicurezza irachene hanno iniziato la loro offensiva per liberare la città di Tal Afar dallo stato islamico di Irak e dalla Siria, i funzionari in comune di Task Force Combined Combined Resolve hanno dichiarato oggi.

La coalizione globale contro l’ISIS accoglie favorevolmente la dichiarazione del primo ministro iracheno Haider al-Abadi che ha annunciato oggi il lancio dell’offensiva per liberare Tal Afar e il resto della provincia di Ninevah e dell’Iraq settentrionale dall’ISIS, il generale Gen. Stephen J. Townsend, il comandante Delle forze statunitensi e di coalizione in Iraq e in Siria, ha detto in una dichiarazione.

Tutti i rami delle forze di sicurezza iracheni parteciperanno alla liberazione di Tal Afar: i 9, 15 e 16 divisioni dell’esercito iracheno, il servizio controterrorismo, la polizia federale e la divisione di emergenza e la polizia locale irachena, nonché le forze di mobilitazione popolare Sotto il comando di Abadi, ha dichiarato i funzionari delle task force.

“Dopo la loro vittoria storica a Mosul, le [forze di sicurezza irachene si sono dimostrate una forza capace, formidabile e sempre più professionale e sono pronti a portare un’altra sconfitta all’ISIS a Tal Afar”, hanno dichiarato i funzionari della coalizione in una dichiarazione. “La coalizione continuerà ad aiutare il governo e le forze di sicurezza a liberare il popolo iracheno e sconfiggere ISIS attraverso cinque mezzi: fornendo attrezzature, formazione, intelligenza, incendi di precisione e consigli di combattimento”.

Completamente impegnato

Anche se la recente liberazione di Mosul, la seconda città irachena, è stata una vittoria decisiva per le forze di sicurezza irachene, non ha segnato la fine dell’ISIS in Iraq o la sua minaccia a livello mondiale “, ha detto Townsend.

“L’operazione [delle forze di sicurezza irachene] per liberare Tal Afar è un’altra importante battaglia che deve essere vinta per assicurare che il Paese ei suoi cittadini siano infine liberi di ISIS”, ha aggiunto. “La coalizione è forte e pienamente impegnata a sostenere i nostri partner iracheni fino a quando ISIS viene sconfitto e il popolo iracheno è libero”.

I funzionari della coalizione stimano che da 10.000 a 50.000 civili rimangano dentro e intorno a Tal Afar, afferma la dichiarazione di task force e la coalizione applica norme rigorose al suo processo di targeting e prende “straordinari sforzi” per proteggere i non combattenti.

“Conformemente alle leggi del conflitto armato e al sostegno delle sue forze partner che rischiano ogni giorno di vivere la loro vita nella lotta contro un nemico malvagio, la coalizione continuerà a colpire validi obiettivi militari, dopo aver considerato i principi della necessità militare, dell’umanità , Proporzionalità e distinzione “, ha dichiarato la dichiarazione della coalizione.

SICUREZZA E LOTTA AL TERRORISMO: IL GEN. GRAZIANO INCONTRA IL CHOD DEL LUSSEMBURGO

EUROPA/SICUREZZA di

Il Capo di Stato Maggiore della Difesa Italiana, Generale Claudio Graziano, in visita ufficiale in Lussemburgo ha incontrato la sua controparte, Generale Romain Mancinelli, con cui ha affrontato questioni di comune interesse legati alla sicurezza e alla Difesa.

Nel corso del meeting si è discusso un tema di grande importanza per il contributo alla lotta al terrorismo, quello del Security Force Assistance (SFA) che rappresenta l’insieme di attività volte a generare, sviluppare ed incrementare le capacità operative delle Forze di Sicurezza delle aree di crisi nei quali operano i militari italiani e di altri paesi dell’Alleanza Atlantica.

Proprio in Italia avrà sede un Centro di eccellenza NATO che avrà il compito di concorrere allo sviluppo e alla sperimentazione di concetti e dottrina afferenti al settore SFA, di raccogliere ed elaborare lezioni apprese e di condurre attività formative e addestrative a favore di istruttori, mentor e personale estero appartenente alle Security Forces.

“Le lezioni apprese dalle operazioni a cui hanno preso parte le Forze Armate italiane negli ultimi 20 anni – ha sottolineato il Generale Graziano durante l’incontro – indicano chiaramente che i maggiori rischi per la stabilità hanno origine in aree del mondo in cui si è verificato un crollo della struttura statale; crollo che viene frequentemente sfruttato da soggetti aggressivi che hanno interesse a creare o mantenere il caos”.

“Le missioni moderne – ha aggiunto il Capo di SMD – sono pensate proprio per portare la stabilità in uno Stato fallito e il nostro fine deve essere sempre il passaggio di responsabilità alle forze di sicurezza locali, quando esistono. Quando sono scomparse il lavoro è sicuramente più lungo perché bisogna ricostruire un modo di pensare ed offrire anche un patrimonio valoriale di riferimento. I nostri militari sono bravi istruttori perché sono prima di tutto dei bravi militari”.

Grande interesse è stato palesato dal Generale Mancinelli nei confronti dell’operazione dell’Unione europea Sophia di cui l’Italia ha la leadership e il Capo di Stato Maggiore della Difesa lussemburghese ha ringraziato l’Italia per quanto fa a favore della sicurezza nel Mediterraneo.

Altro elemento centrale nei colloqui è stata la cooperazione strutturata permanente (PESCO) istituto previsto dal trattato sull’unione europea che consente agli Stati membri di rafforzare la loro reciproca collaborazione nel settore militare e i margini per incrementarle.

Le Forze armate dei due Paesi operano, “in un rapporto di eccezionale collaborazione, a favore della sicurezza internazionale”, in Kosovo nell’ambito dell’Operazione della Nato KFOR, dove un plotone di militari lussemburghesi opera alle dipendenze del Battaglione a guida italiana.

Caschi blu in Libano, cristiani e musulmani insieme per la celebrazione della Madonna

MEDIO ORIENTE/SICUREZZA di

Shama (Libano) 16 Agosto 2017 –  ​“La Vergine Maria unisce i cristiani e musulmani. Celebrare l’Assunzione insieme, per la prima volta militari di Unifil e autorità interreligiose qui in Libano, è l’esempio di un percorso di pace e convivenza”. È la frase di apertura di Don Salvatore Lazzara, cappellano militare dei caschi blu italiani in Libano, alla ricorrenza religiosa che ha visto ieri la partecipazione delle più importanti autorità religiose cristiane e musulmane del Sud del Libano.

Numerosi peacekeeper e civili locali hanno partecipato alla funzione religiosa presso la cappella e il piazzale della base “Millevoi” in Shama, a dimostrazione della devozione comune a una delle più importanti figure religiose degli scritti sacri cristiani e musulmani.

Celebrata in sei lingue diverse, la messa è stata condotta dal cappellano militare insieme al Metropolita Greco Ortodosso, l’Arcivescovo Maronita e un rappresentante della Chiesa Ortodossa, seguita successivamente dagli interventi, presso il piazzale principale della base, dai mufti musulmani sciita e sunnita.

Il Generale di Brigata Francesco Olla, dallo scorso aprile comandante del contingente italiano in Libano con l’operazione “Leonte XXII”, ha dichiarato: “Vivere lontano da casa, dai propri affetti e dalla celebrazione delle proprie tradizioni è difficile, ma fa parte della vita del soldato, quella scelta che abbiamo fatto da giovani per passione e senso del dovere. Rendiamo meno difficile il distacco vivendo questo momento insieme ai cristiani e, in modo ancor più significativo, ai musulmani dei dodici contingenti che costituiscono Unifil-Sector West. Ma da peacekeeper quali siamo, cerchiamo sempre di favorire il dialogo attraverso ciò che ci unisce e che abbiamo in comune.

La celebrazione dell’Assunta ci offre un’enorme opportunità aldilà della fede professata da ciascuno di noi. Per questa ragione abbiamo deciso da tempo di condividere, altre che tra noi, anche con la popolazione locale, i sentimenti e le radici culturale che ci legano alla Vergine Maria, Reginae Pacis”.

Il Libano è tra la nazioni con il maggior numero di confessioni religiose nel Medio Oriente e tra le maggiori al mondo, con una popolazione di oltre 6 milioni di abitanti di cui il 54% di fede musulmana (27% sciiti e 27% sunniti), 40% cristiani (21% maroniti, 8% greco ortodossi e 11% tra cattolici, protestanti e altre minoranze) e 6% drusi.

Il contingente italiano, a seguito della risoluzione n.1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è impiegato nella “Terra dei Cedri” dal 2006 e si rapporta quotidianamente con le autorità civili e religiose locali, supportando la popolazione attraverso la funzione operativa di cooperazione civile-militare (CIMIC). Inoltre, i peacekeeper italiani svolgono costantemente attività di pattugliamento e osservazione volte al monitoraggio della Blue Line, al fine di garantire la cessazione delle ostilità tra Libano e Israele, nonché attività di coordinamento, pianificazione e condotta di esercitazioni e operazioni congiunte alle Forze Armate libanesi dislocate a sud del fiume Litani.

Presidente Rocca CRI, necessario un piano a lungo termine per la stabilizzazione delle aree di crisi

EUROPA di

New York, il 17 agosto il Presidente della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale ha incontrato il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres nell’ambito del vertice “ La crisi del mediterraneo e i flussi migratori”.

Un vertice importante per i paesi europei e del mediterraneo che in questi anni hanno dovuto fronteggiare la crescita costante dei flussi di migranti provenienti dalle nazioni più povere e instabili dell’Africa e del Medio oriente .

Abbiamo potuto parlare con il Presidente Rocca al termine dell’incontro per approfondire i temi discussi a New York.

Presidente Rocca, questo incontro a New York è stato molto importante per mantenere alta l’attenzione sul problema dei flussi migratori nel mediterraneo , qual’è il messaggio più importante che ha voluto portare all’attenzione del Segretario Generale Guterres?

“Sicuramente Il tema dell’accesso umanitario in Libia e nel mar Mediterraneo ovvero il ruolo degli operatori umanitari che in questo momento è sotto attacco per molti motivi, ribadire che l’azione umanitaria è una azione fondamentale per i diritti fondamentali delle persone, questo è stato il messaggio principale con le preoccupazioni per il personale che in questo momento in Libia non può accedere liberamente, non ci sono le condizioni di sicurezza e legali per farlo. ”

 Infatti bisogna ricordare che sia il governo di Gheddafi che i nuovi rappresentanti Libici non hanno mai sottoscritto le convenzioni di Ginevra in tema di protezione dei rifugiati.

Il tema dei flussi migratori è molto delicato e di difficile soluzione, come lei ha sottolineato più volte, chi fugge da guerre e carestie troverà sempre una strada per mettere in salvo la propria famiglia, qual’è secondo lei la soluzione migliore per questo problema?

 Nessuno ha una soluzione chiavi in mano per un tema così delicato ma va sottolineato che l’anno scorso a New York c’è stato un grande dibattito sul problema del fenomeno migratorio e della crisi dei rifugiati, è stata adottata una carta con degli impegni che però al momento sono rimasti solo sulla carta. Quello che servirebbe nel medio lungo termine, che non risolverebbe il problema nel breve, ma nel medio lungo termine aiuterebbe a contenere il fenomeno migratorio, ovvero un intervento massiccio in Africa a sostegno della stabilizzazione di quei paesi che generano migrazione, vuoi perche paesi in conflitto o di crisi economica.”

 Quanti sono i volontari della CRI impegnati nell’accoglienza dei migranti ?

Se consideriamo tutte le attività che la cri pone in essere dal momento dell’arrivo, lo sbarco, ai centri di accoglienza si parla di diverse migliaia di almeno una rotazione di 8000 volontari.

Cosa ne pensa del nuovo regolamento di condotta per le ONG che partecipano alle attività di Search and Rescue al largo delle coste libiche?

Il nuovo regolamento non aggiunge e non toglie nulla all’arrivo dei migranti, vorrei che fosse chiaro, comunque la si pensi, il codice non toglie nulla rispetto l’accesso.

Ci sono diverse sensibilità come per esempio Medici senza Frontiere che a mio avviso vanno assolutamente rispettate, il codice di condotta non ha inlfuito minimanente sulla riduzione dei flussi, quello che invece ha ridotto I flussi è la decisione scellerata, a mio avviso , della guardia costiera libica di impedirte l’accesso nelle acque internazionali, non parliamo di acque territoriali libiche sia ben chiaro, nessuno vuole operare nella acque territoriali libiche, ma nelle acque internazionali.

Questa è una delle ragioni di preoccupazione che è stata condivisa ieri con il segretario generale, insieme alla necessità di avere una azione libera degli operatori umanitari in Libia. I migranti non devono essere mandati indietro, I respingimenti collettivi sono illegali nel momento che vengono salvati nelle acque internazionali.

Si aspetta da parte dell’Onu un sostegno all’ipotesi di far aprire alla Libia il supporto degli operatori umanitari?

Si certo l’ONU sta già studiando la situazione, c’è un dialogo , ma non ci dimentichiamo che stiamo parlando di un paese in conflitto, non c‘è una soluzione semplice ma si chiede di farci fare il nostro lavoro di operatori umanitari e di esprimere le gravissime preoccupazioni sulle condizioni di sicurezza I centri di detenzione dei migrant in Libia sono dei posti che generano violenza , testimoniata da diversi rapporti indipendenti.

Il Presidente Rocca ha potuto rappresentare all’ONU una situazione che non ha possibilità di soluzione nel breve termine e che potrebbe solo peggiorare se non affrontata con progetti a medio lungo termine nei paesi di provenienza con uno sforzo unitario della comunità internazionale teso alla stabilizzazione del Centro Africa e del medio Oriente .

MAE, per tutelare le comunità religiose si deve investire sui giovani

EUROPA/INNOVAZIONE di

Il 13 luglio scorso si è tenuta la conferenza internazionale “La Tutela delle comunità religiose” organizzata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale in collaborazione con l’Istituto per gli studi di Politica Internazionale.

L’iniziativa dell’ ISPI ha dato la possibilità di discutere, sul tavolo della Sala delle Conferenze Internazionali della Farnesina, di una tra le più attuali questioni che interessano i paesi ed i rispettivi popoli: la libertà religiosa e la sua tutela. Tra i numerosi ospiti, l’On. Angelino Alfano, Mons. Paul Gallagher, Fabio Pettito, Luca Maestripieri e Riccardo Shemuel Di Segni, si poteva respirare un’aria di collaborazione, soddisfazione degli obiettivi raggiunti ma altresì un notevole impegno per tutti i progetti che dovranno segnare una svolta al drammatico scenario religioso-politico in cui viviamo. Le parole chiavi che hanno accomunato tutti gli interventi sono state “educazione” e “giovani”, perché? Prima di rispondere occorre soffermarsi su cosa è la libertà religiosa e perché essa occupa un ruolo così centrale nel dibattito politico odierno.

La libertà religiosa,  tralasciando, ma non per la minor importanza, gli articoli della Costituzione italiana che le danno una più che adeguata definizione, è un diritto essenziale della persona: come l’On. Alfano ha voluto sottolineare, si può considerare come il diritto alla preghiera precedente del diritto positivo stesso. L’uomo infatti, prima di entrare a far parte di comunità politiche e sociali, rette su un ordinamento giuridico specifico, era membro di comunità religiose, fedele a un credo e quindi libero di esprimere la sua fede più intima. Da qui parte la centralità della questione religiosa di ciascun uomo, e di conseguenza dello Stato in cui risiede. Nonostante ci si possa domandare sul perché, nel XXI secolo, ancora non si è giunti a poter parlare di pura libertà religiosa, dei diritti ad essa connessa e di integrazione fra i vari popoli, i fatti internazionali dimostrano la problematicità della questione. La religione non è più così libera, la religione è ora strumentalizzata, spesso oggetto di lotte politiche interne se non causa di morti su morti, simbolo del messaggio di un integralismo sempre più profondo e diffuso, dal Medio Oriente che ne è la culla, fino all’Occidente.

Deve essere dunque una priorità di tutte le politiche disporre degli strumenti adeguati per combattere la lotta contro la libera espressione della religione e la tutela di tutte le minoranze religiose che ne sono  vittime, per poter finalmente riconoscere integralmente il rispetto di una delle libertà fondamentali dell’individuo.

Ecco che torniamo alla domanda iniziale: i mezzi che possono contribuire a finalizzare questo progetto sono l’educazione e le generazioni future; è proprio in esse che la religione si sta sempre più nascondendo, la mancanza di informazione o forse il giusto utilizzo dell’informazione, data la sua abbondanza spesso però erronea, la facilità di trasmissione di idee radicalizzate o che si radicalizzano proprio tra i più giovani sono i punti focali sui quali bisogna lavorare. È giusto poter diffondere e creare un maggior canale di comunicazione tra le comunità del mondo, ha affermato il Segretario per i rapporti con gli Stati della Santa fede, ma tale processo deve essere adeguatamente controllato proprio tramite una migliore educazione e conoscenza.

Gli strumenti culturali, secondo il prof. Silvio Ferrari, devono essere tutti accomunati dal rispetto della conoscenza ed educazione che necessariamente diventano sinonimo di coscienza. Connessa alle due parole chiavi di cui sopra, vi è anche la collaborazione tra i paesi per raggiungere la tutela religiosa: deve esserci civilizzazione che permetta l’apertura di dialoghi, cercando di abbattere così l’ignoranza e la paura che, da una parte, istigano i combattenti, ma dall’altra risiedono quotidianamente nella vita delle “possibili vittime”. Tra gli strumenti è compresa la prevenzione, concetto che può apparire facile, ma la cui pratica non lo è affatto: la prof.ssa Tadros, insegnante di power and popular politics cluster leader presso l’Università di Sussex, ha infatti ribadito che la forza di più paesi per la lotta al riconoscimento di qualsiasi libertà, debba dimostrarsi prima che si presenti una tragedia, prima che un’altra forza la riesca a sopprimere, senza cercare rimedi impraticabili una volta avvenuta la tragedia. Oltre a “prevenzione”, bisogna attuare “protezione” e “difesa”, l’inviato speciale per la promozione della libertà e religione e di credo al di fuori dell’Unione Europea, Figel, ha annunciato così la lunga strada che ancora bisognerà percorrere in questi termini, essendo ancora molto alta la percentuale dei paesi in cui vi è restrizione della libertà o l’uso della pena di morte per apologia.

Gli ultimi decenni hanno, tuttavia, dimostrato l’impegno di varie nazioni nella promozione di iniziative, patti e summit circa la tutela religiosa e le diverse questioni ad essa connesse, esempio ultimo è il progetto italiano dell’ “Osservatorio sulle minoranze religiose nel mondo e sul rispetto della libertà religiosa” che si occuperà di monitorare le condizioni delle minoranze religiose nel mondo per rafforzarne la tutela e si farà portavoce di eventuali proposte, in coordinamento con la rete diplomatica all’estero. A presiederlo sarà Salvatore Martinez, tra gli ospiti della conferenza, presidente della fondazione vaticana “Centro internazionale famiglia di Nazareth”. Il percorso sarà senza dubbi lungo e travagliato, ma avendo già fatto i primi passi, ci si auspica possa apparire meno doloroso e presto proficuo.

Laura Sacher

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Nucleare; Rocca (Croce Rossa): “Appello agli stati che non partecipano ai negoziati”

EUROPA di

“A New York: proibire le armi nucleari è un imperativo umanitario” esordisce il Presidente Rocca in un comunicato inviato oggi ai media.

“La Croce Rossa guarda con fiducia ai negoziati che sono appena ricominciati al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York sul trattato che proibisce le armi nucleari: si tratta di uno spartiacque epocale che potrebbe portare all’eliminazione totale delle testate atomiche. Auspichiamo che, oltre ai 132 stati che già hanno lavorato sulla prima bozza di trattato, altre nazioni vogliano far parte dei negoziati ufficiali. La posizione della Croce Rossa è chiara: proibire ed eliminare le armi nucleari è un imperativo umanitario. L’uso di armi nucleari causerebbe morti e feriti su larga scala e non esisterebbero mezzi efficaci per fornire assistenza medica e umanitaria per salvare vite umane dopo l’utilizzo di armi di questo tipo.

Le conseguenze umanitarie di qualsiasi uso di armi nucleari sarebbero catastrofiche e le ripercussioni anche di uno scambio nucleare “limitato” sarebbero globali: tutti gli Stati devono avere un interesse per il divieto e l’eliminazione delle armi nucleari. Non si tratta solamente di pensare all’eventualità di una guerra nucleare, ma anche solo a un incidente durante un trasporto che causerebbe una catastrofe umanitaria. Sappiamo che alcuni stati non aderiranno ai negoziati in questo momento, ma continuiamo a lavorare a livello globale perché partecipino e intervengano urgentemente per ridurre i rischi immediati di un uso intenzionale o accidentale di tali armi.

Ci sono alcuni passi intermedi che anche gli Stati che non partecipano ai negoziati possono fare tra cui la riduzione del ruolo delle armi nucleari nella dottrina e nei piani militari e una maggiore trasparenza sulle azioni adottate per prevenire detonazioni accidentali. Conoscendo le conseguenze dell’utilizzo delle armi nucleari, qualsiasi rischio di un eventuale utilizzo è inaccettabile. Non partecipare a questo passaggio epocale sarebbe perdere un importante incontro con la storia”, ha dichiarato il Presidente nazionale di Croce Rossa Italiana e Vice-Presidente della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, Francesco Rocca.

14 giugno giornata mondiale per la donazione del sangue

EUROPA/Varie di

I giovani della Croce Rossa Italiana hanno  organizzato  una “Caccia al tesoro” nazionale per sensibilizzare gli under 32 sul tema della donazione del sangue, un opera di bene necessaria per poter affrontare le emergenze ematiche a livello nazionale.

“La donazione del sangue è un momento fondamentale per salvare vite e attivarsi in prima persona per la propria comunità e per chi ha bisogno. In ogni emergenza nazionale, i terremoti per esempio, ci sono tantissime persone che sono pronte ad andare a donare il sangue: quello che dobbiamo far capire a tutti è che c’è bisogno di lavorare quotidianamente sulla cultura della donazione che deve essere sostenibile e continua nel tempo. La Croce Rossa Italiana ha una lunga storia di promozione della donazione del sangue e di educazione alla salute: come ogni 14 giugno, in occasione della giornata mondiale del donatore di sangue, vogliamo rilanciare il messaggio dell’importanza della cultura del dono, periodico, volontario e non remunerato, e della sensibilizzazione delle nostre comunità locali”, ha dichiarato il Presidente nazionale della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca, in occasione del lancio dell’iniziativa.

I giovani della Croce Rossa Italiana hanno organizzato un “caccia al tesoro” nazionale per avvicinare i ragazzi alla donazione di sangue attraverso il gioco, con le persone con le quali condividono avventure, giochi, sport, musica e divertimento. In questo modo la donazione diventa un gesto normale di cui non aver paura ed un utile strumento per salvare delle vite e adottare uno stile di vita sano e sicuro con i propri amici. Per raggiungere questo obiettivo la sensibilizzazione deve coinvolgere i giovani stessi, partendo da chi sono e cosa vogliono, cosa amano fare e come pensano di realizzarlo. In questo modo, Croce Rossa li incoraggia ad affermare loro stessi, condividendo obiettivi ed esperienze, e ponendo le basi affinché si crei una rete di ragazzi consapevoli e protagonisti della propria vita e della società di cui fanno parte. L’evento coinvolgerà tantissimi ragazzi tra i 14 e i 32 anni.

A partire dal 2004, la Giornata Mondiale del Donatore di Sangue viene celebrata in tutto il mondo il 14 giugno di ogni anno per ricordare la nascita di Karl Landsteiner, scopritore dei gruppi sanguigni AB0 e coscopritore del fattore sanguigno Rh. “Che cosa puoi fare? Dona sangue. Dona ora. Dona spesso” è lo slogan scelto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che vuole rimarcare l’importanza di una adeguata disponibilità di sangue durante le emergenze, attraverso un Sistema trasfusionale ben organizzato e su una popolazione di donatori volontari, periodici e non remunerati.

L’iniziativa ha riscosso molto successo permettendo di raggiungere il cuore di tantissimi giovani che hanno partecipato.

Il Regno Unito, dopo le elezioni che non rafforzano la May

EUROPA di

Il ricorso alle elezioni anticipate, per la premier britannica Theresa May, si è rivelato un boomerang.   Il 18 aprile aveva annunciato la sua decisione sul voto, nonostante la legislatura fosse iniziata soltanto due anni fa e i Tories avessero ancora numeri sufficienti per governare, proprio nell’intento di ottenere una maggioranza ancora più ampia che le consentisse di affrontare il negoziato di uscita dall’Unione Europea in una posizione più forte, per ottenere condizioni più favorevoli.   Ha ottenuto, invece, un risultato esattamente contrario.   I Tories hanno vinto, sì, ma di stretta misura e senza ottenere la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei Comuni. Né possono contare, al momento, su un possibile sostegno dei liberaldemocratici – di cui a suo tempo si era giovato Cameron – che hanno visto aumentare i propri seggi, ma non sembrerebbero più disponibili ad un’alleanza con i Tories.

May si trova oggi con una maggioranza relativa che, teoricamente, non le consentirebbe di governare e anche se qualche alchimia parlamentare rendesse possibile l’insediamento di un nuovo esecutivo a guida Tory, questo sarebbe probabilmente soggetto a continui e stringenti condizionamenti parlamentari e dovrebbe sottoporsi a frequenti ed estenuanti negoziazioni interne, anche per la definizione di termini e condizioni delle trattative “esterne” per l’uscita dall’Unione Europea.   E quest’ultimo negoziato appare, già di per se stesso, assai complicato, considerando l’atteggiamento in qualche modo “risentito” ” – in termini politici, naturalmente – che Brexit sembra, talvolta, aver suscitato nei vecchi partners europei e nelle leadership di Bruxelles.

Quindi la May si verrebbe a trovare, di fronte alle autorità dell’Unione Europea e ai governi dei paesi membri, proprio nella condizione opposta a quella vagheggiata, al momento di decidere il ritorno alle urne. Una condizione di complessiva debolezza, con margini limitati di discrezionalità politica, tanto nei confronti degli ex partners europei, tanto di fronte all’opinione pubblica di casa sua, spaccatasi prima sulla Brexit e ora sulle consultazioni politiche.   Il voto si è svolto, peraltro, in un’atmosfera di tensione e preoccupazione innescata dalla vittoria della Brexit stessa nel referendum di un anno fa e dai recenti drammatici episodi di terrorismo che hanno colpito il Paese.

Lo psicodramma indotto dalla storica decisione popolare di abbandonare l’Unione Europea si rivela tuttora incombente e alimenta le incognite sui destini economico-finanziari del Paese e, più in generale, sul suo ruolo futuro nello scacchiere internazionale e nei rapporti con l’Unione Europea.   Permane, probabilmente, in larga parte dell’opinione pubblica, la sensazione del salto nel buio, di un azzardo che, ancorché agevolare la soluzione dei nodi più insidiosi, abbia posto il Paese di fronte a nuove sfide e nuove insidie.    Ed è su questo scenario di persistente attenuazione di equilibri e di certezze che è calato di nuovo, sul Paese e sulla sua Capitale, l’incubo della minaccia terroristica e della sfida dell’estremismo fondamentalista, riflesso dei tormentati conflitti mediorientali, ma anche delle insufficienze rivelate dai processi di integrazione delle comunità di immigrati di più generazioni.

In questo scenario, tra i più cupi nella storia recente dell’isola che in passato ha esercitato un ampio dominio sui mari e su molte popolazioni del mondo, la risposta del Paese all’appello del Primo Ministro ad una investitura popolare che ne consolidasse la delicata missione si è rivelata alquanto tiepida, confermando la condizione di netta frattura politica, già evidenziata dal voto su Brexit.   Anzi, forse il trauma della Brexit ha alimentato la freddezza verso la leadership della May che, dopo un tiepido consenso al “remain” durante la campagna referendaria, è ora decisa fautrice di una “hard Brexit”.

In un’epoca di pesanti incognite sul fronte dello sviluppo economico, della conservazione del welfare e delle diseguaglianze sociali, il rischio di desertificazione della City e di perdita di quel ruolo di massimo crocevia della finanza internazionale rappresentato da Londra, ha indotto parte della popolazione e molti giovani, in particolare, a rifuggire quell’attrazione dell’euroscetticismo che nel Regno Unito sembrava irresistibile e riscoprire quelle istanze di solidarietà e di condivisione che sembrano incarnate proprio dal principale avversario della May, il leader laburista Jeremy Corbyn. Con il suo programma, nettamente distinto e contrapposto a quello conservatore,   che segna una sorta di discontinuità rispetto alla linea tendenzialmente centrista dei laburisti, inaugurata da Blair negli Anni Novanta, Corbyn rilancia i temi originari della sinistra radicale, propugnando la nazionalizzazione delle imprese operanti in determinati settori di pubblico interesse (energia e trasporti), l’imposta patrimoniale sui grandi redditi, imposte più alte per le società e pesanti stanziamenti per la spesa sociale e per l’edilizia popolare.

Particolare attenzione ha suscitato nei giovani, in particolare, il proposito di questo “New Old Labour” di eliminare la retta per l’iscrizione all’Università e ridurne comunque i costi assai elevati.   Questo programma ha consentito al partito di Corbyn di recuperare terreno, rispetto ai Tories, nei sondaggi delle ultime settimane che hanno preceduto il voto.     Il risultato elettorale però ha superato i sondaggi più favorevoli al Labour, piazzandolo due punti di percentuale al di sotto dei conservatori.   Il recupero, realizzatosi in seguito alla divulgazione di un programma che potremmo definire, appunto, di sinistra radicale, può ritenersi rivelatore di una diffusa stanchezza del Paese, rispetto alle politiche di questi anni e, in particolare, all’involuzione indotta dalla Brexit che a molti settori della società e, in particolare, ai giovani, è apparsa come un fenomeno di retroguardia e di potenziale decadenza.

Il risultato deludente della May, il sensibile incremento di un Labour tornato su posizioni di sinistra tradizionale, l’avanzata dei liberali – come Corbyn, contrari alla scelta del “leave” -, il totale insuccesso dell’UKIP, il partito che dell’uscita dall’Unione aveva fatto la sua ragion d’essere, evidenziano una ricerca di certezze, di soluzioni positive, di costruzione di un futuro che non possa esaurirsi nei muri, nelle regressioni, nelle discriminazioni, nelle chiusure.   Il voto evidenzia un’aspirazione a riforme migliorative ed inclusive che garantiscano un futuro ed esorcizzino gli incubi dello scenario presente.   Non sappiamo se le ricette prospettate dal New Old Labour siano quelle risolutive per il Paese, ma almeno hanno suscitato delle speranze in aree sfiduciate del tessuto sociale.

Si pone ora un serio problema di governabilità.   Theresa May ha voluto le elezioni per trattare una “Hard Brexit”, per la quale si sentiva troppo debole e precaria con i suoi 15 deputati di maggioranza.   Ora non ha più nemmeno una maggioranza parlamentare. Difficilmente potrà insistere per una “Hard Brexit”.     La mancata acquisizione di quella maggiore legittimazione popolare per una dura trattativa dovrebbe spingere la leader ad un negoziato che prescinda da atteggiamenti rivendicativi o di rivalsa, o da striscianti risentimenti ed ostilità – e questo vale, naturalmente, anche per le controparti di Bruxelles, che, a volte, tradiscono un’inutile e controproducente “reattività”, nei confronti degli ex partners che hanno dato forfait (per ora) dal disegno europeo – ma persegua un accordo equo che, comunque, garantisca libero scambio e cooperazione sui grandi temi della sicurezza, delle migrazioni, della formazione e della cultura, senza inutili e anacronistiche penalizzazioni, dall’una e dall’altra parte, lasciando che la grande isola continui a rappresentare un’opportunità per tanti cittadini del continente e non solo e l’Europa, nel suo complesso, resti anch’essa un’occasione preziosa per i cittadini britannici.

Sicurezza grandi eventi, il piano è attivo ?

Difesa/EUROPA/Varie di

Dopo l’attentato di Manchester si è parlato molto delle misure di sicurezza per gli eventi che accolgono grandi numeri di pubblico, limitazione, vie di fuga, piano operativi ma qual è lo stato del’arte?

Ancora sembra essere tutto in fase di studio e non applicato ai grandi eventi.

Un esempio il WIND MUSIC AWARD di Verona che si svolge nell’Arena di Verona dal 5 al 7 di giugno.

un evento che attira migliaia di giovanissimi e non solo ad assistere alle performance di artisti molto seguiti come Nek, Fedez, Giorgia, Gualazzi, il Volo, RenatonZero e molti altri.

Un esibizione in diretta nazionale su RAI 1 con milioni di ascolti consolidati è una grande visibilita.

Un contesto questo ideale per un eventuale attacco terroristici sullo stile di quello inglese che fortunatamente non è accaduto.

Nonostante un sostenuto dispiegamento di forze all’esterno e all’interno dell’Arena nessun controlli approfondito è stato eseguito all’entrata, nessun metal detector, nessun controllo dentro le borse.

fortunatamente non è successo nulla ma l’effetto mediatico di un eventuale attacco di un lupo solitario avrebbe avuto un effetto amplificato dall’esposizione televisiva dell’evento.

All’indomani dell’attentato di Manchester il Ministro dell’Interno ha convocato il coordinamento delle funzioni di sicurezza e antiterrorismo CASA per discutere lo scenario internazionale e i piani per la protezione di possibili obiettivi sensibili,saranno poi i prefetti a verificare localmente le possibili criticità.

A Verona ieri sera nessuna misura di controlli all’accesso all’Arena, forse il piano procede a rilento.

 

 

Manchester 22 morti al concerto, è terrorismo

EUROPA di

Il bilancio delle vittime dell’attentato di Manchester è salito subito a 22 tra i quali molti bambini, oltre 59 i feriti ricoverati nei vicini ospedali. L’esplosione è avvenuta alle 22:35 alla fine del concerto di Ariana Grande, famosa pop star americana molto amata dai teenager che affollavano il concerto, fuori dai cancelli come consuetudine i genitori ad attenderli per ricondurli a casa.

È stato appurato dagli investigatori che l’esplosione ha coinvolto anche l’attentatore che si è fatto esplodere poco dopo che la cantante aveva finito il concerto, un boato ee poi le grida dei feriti, il panico ha scatenato una fuga verso l’esterno coinvolgendo e calpestando i malcapitati che non sono riusciti a restare in piedi. All’esterno i genitori hanno tentato di entrare per raggiungere i figli alimentando il caos.

Il Sindaco di Manchester Ian Hopkins ha dichiarato che è “l’incidente più orribile” che la città aveva mai affrontato. Partite immediatamente le indagini per catturare eventuali complici e per capire se si tratta di un “Lupo solitario” o di una cellula terroristica.

L’esplosione è avvenuta poco dopo che Ariana Grande è andato a lasciare la scena all’arena – la più grande sede interna della città con una capacità concertistica di circa 21.000. Il capo della Polizia ha dichiarato che in questa prima fase delle indagini si pensa ad un solo uomo ma si indaga a 360 gradi.

Alessandro Conte
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