GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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EST EUROPA - page 8

La Russia di Putin come sfida alla sicurezza europea e mondiale

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L’escalation di violenza tra Russia e Nato ha riportato all’ordine del giorno la tematica della guerra e della pace all’interno del continente europeo. La Russia sta esortando l’Alleanza Atlantica a ripristinare lo status quo del 1997. Ciò per la Nato significherebbe rinunciare di esercitare la propria influenza sull’Europa orientale e le Repubbliche baltiche.

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Crisi ucraina: cosa vuole ottenere Putin?

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Dopo aver firmato il riconoscimento dell’indipendenza di Donetsk e Lugansk il Presidente della Federazione Russa ha dato ordine al suo esercito di entrare nel territorio ucraino. Resta ancora da capire se le truppe avanzeranno lungo tutto il Donbass.

Adesso si attendono dure sanzioni da parte di Ue, Uk e Usa.

L’alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Ue, Josep Borrell, ha convocato una riunione straordinaria del Consiglio degli Affari Esteri dell’Ue e si è dimostrato ottimista sul fatto che le sanzioni verranno votate all’unanimità da tutti i Paese Membri. Da capire che posizione prenderanno Italia e Germania che nei giorni scorsi avevano dichiarato di esser contrarie alle sanzioni in quanto avrebbero compromesso l’accesso energetico per tutto il continente.

Il Commissario Europeo alla Giustizia, Didier Reynders, cercando il più possibile un compromesso trai Paesi Membri, ha dichiarato che la mossa di Mosca è un chiaro atto di guerra ma che il pacchetto di sanzioni, in caso di invasione dell’Ucraina, verrà imposto gradualmente.

E’ emersa, inoltre, una netta contrapposizione tra Unione Europea e Regno Unito sulla presenza di truppe russe nella regione del Donbass. Mentre secondo il segretario alla salute inglese, Sajid Javid, è la prova che l’invasione dell’Ucraina sia già iniziata, secondo l’Altro Rappresentante dell’Unione, Josep Borrell, ancora non vi sono i requisiti per poterla definire tale.

Dunque, appare evidente come all’interno della NATO non via sia una comunione d’intenti tra i suoi membri. L’Unione Europea sta procedendo in maniera molto cauta, consapevole del fatto che l’imposizione di sanzioni alla Russia avrebbe controeffetti devastanti per la sua economia già falcidiata dalla crisi pandemica, a differenza di Stat Uniti e Regno Unito che sembrano voler perseguire una linea dura.

Comunque andrà a finire sembra che Putin sia riuscito nel suo intento per due ordini di ragioni.

La prima: quella di mettere in evidenze le contraddizioni presenti in seno alla Nato. Un’alleanza all’interno della quale appare evidente che non ci sia una relazione tra pari tra i suoi componenti, una coalizione militare dove l’ultima parola spetta sempre agli Stati Uniti che, specie in questi ultimi anni (lampante il caso dell’Afghanistan), hanno dimostrato di usarla solo per perseguire i propri scopi particolari e n l’interesse generale dei Paesi che la compongono.

 La seconda: quella di aver saputo approfittare del momento giusto per ribadire al mondo intero la forte vocazione imperiale/imperialista della Russia, facendo trapelare che il ruolo in cui era stata relegata in questi ultimi 30anni, dopo il crollo dell’allora Unione Sovietica, comincia a starle stretto. L’ex leader del KGB ha capito che oggi la principale contrapposizione all’interno dell’arena internazionale è quella economico – ideologica tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese e ne ha approfittato per iniziare a rivendicare tutti quegli spazi strategici sui quali gli Stati Uniti hanno dovuto allentare la presa per via della più importante e delicata contrapposizione che li vede coinvolti col gigante asiatico. Non è un caso, infatti, che dai tempi dell’amministrazione Obama gli Stati Uniti abbiano cominciato a concentrare i loro sforzi militari sulla zona dell’Indo-Pacifico. Basti pensare che ripercussioni geopolitiche potrebbe avere la presa di Taiwan, tanto sognata da Xi Jin Ping, da parte della Cina. Ed è per questo che Putin ha approfittato di questo momento per tornare a reclamare un ruolo più influente in termini di politica estera.

Putin sa bene che gli Stati uniti, se volessero, avrebbero la forza militare di far morire sul nascere queste sue rivendicazioni ma sa bene anche che, se lo facessero lascerebbero aperto uno spazio aperto alla Cina che potrebbe avere ripercussioni gravissime sul loro ruolo di prima super potenza mondiale. Volendo fare un paragone col gioco degli scacchi, gli Stati Uniti attaccando la Russia mangerebbero la regina alla Russia ma lascerebbero scoperto il re alla Cina.

Crisi ucraina: tensione nel Donbass

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Giornata di grande tensione in Donbass dove la situazione si fa sempre più problematica a causa delle accuse reciproche tra separatisti e ucraini per via di un bombardamento e di spari registrati nella regione. Questi avvenimenti hanno infiammato, ovviamente, entrambe le parti.

Nel frattempo il Cremlino sostiene che il ritiro delle sue truppe dalla Crimea sta continuando. Sulla faccenda la Nato rimane scettica.

Ieri l’Unione Europea si è radunata in un consiglio straordinario mentre è di oggi la conferenza sulla sicurezza di Monaco. Ieri Mosca ha visto anche la presenza del ministro degli esteri, Luigi Di Maio.

Le autorità di Kiev hanno dichiarato che i ribelli indipendentisti hanno bombardo un asilo presso la città di Lugansk la scorsa notte. Due insegnanti sarebbero rimaste ferite durante l’attacco. Sul luogo si è subito recato il Presidente ucraino per valutare il livello di sicurezza lungo il confine con le autoproclamate repubbliche autonome.

Stando alla Nato il bombardamento è stata una provocazione che la Russia userà il prima possibile per attaccare militarmente la regione.

Anche il Cremlino si è mostrato profondamente preoccupato per la situazione dichiarando di sperare che l’occidente usi la sua influenza per sedere le violenze che si stanno verificando nella zona, accusando, a sua volta, Kiev di essere stata l’artefice degli attacchi. Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov ha tuonato che da tempo vi è “un’eccessiva concentrazione delle forze armate ucraine” lungo la linea di confine con le repubbliche separatiste.

Sembra che oramai si sia entrati in un circolo vizioso di accuse reciproche dal quale non si vede alcuna via di uscita.

Si registra anche una spaccatura all’interno della fazione “anti-russa”. Il presidente ucraino Zelensky ha aperto a qualsiasi tipo di negoziato con Mosca pur di mettere la parola fine alle tensioni ed ha ribadito a Washington che in caso di attacco Kiev non vorrà ricorrere a un suo supporto militare.

Intanto, si sta continuando sempre di più a cercare di porre rimedio alla questione usando l’arma della diplomazia. Ieri, dopo aver incontrato Luigi Di Maio, il ministro degli affari esteri russo Lavrov, ha dichiarato: “presenteremo una risposta agli Usa e sarà pubblica e accessibile perché crediamo sia assolutamente indispensabile che tutti debbano avere un’idea precisa di quanto sta accadendo altrimenti l’opinione pubblica dovrà piegarsi alle menzogne che fino ad adesso hanno occupato lo spazio mediatico sulla situazione relativa all’Ucraina”.

Di rilievo anche la telefonata tra la Presidentessa Ursula Von Der Leyen e il segretario generale della Nato, Jens Stolemberg come quella tra il Cancelliere tedesco, Olaf Scholz e il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Da entrambi i contatti telefonici si è ribadita la possibilità di un attacco militare russo.

Dunque, all’interno di questo contesto il raggiungimento di un compromesso risulta veramente difficile considerato anche il fatto che proprio oggi Zalensky ha detto che l’Ucraina non ha abbondonato l’idea di un’adesione all’Alleanza Atlantica.

 

 

Uzbekistan prosegue nel processo di adesione all’OMC

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Il vice primo ministro e ministro degli investimenti e del commercio della Repubblica dell’Uzbekistan, Sardor Umurzakov, ha discusso con il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC),  Ngozi Okonjo-Iweala, il programma d’azione per l’adesione dell’Uzbekistan all’Organizzazione. L’ingresso uzbeko nell’OMC favorirebbe il mercato interno di questo paese dell’Asia Centrale che dispone di significative risorse naturali ed energetiche, ma necessita di investimenti diretti stranieri (IDE) e una diversificazione dei partner commerciali per supportare il programma nazionale di sviluppo economico.  Leggi Tutto

Crisi ucraina: verso la distensione

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Quella di ieri è stata una giornata, sotto il punto di vista diplomatico, molto intensa. E’ ieri, infatti, che è avvenuto il parziale ritiro delle truppe russe, con la Nato, scettica a guardare. E sono sempre di ieri il vertice tra Putin, Scholz e Di Maio a Kiev e le reazioni degli analisti e dei politici russi alla risoluzione della Duma sull’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk.

L’incontro più rilevante della giornata di ieri è stato quello tra il neo-cancelliere tedesco Scholz e il presidente delle Federazione Russa Putin.

Putin ha manifestato la sua volontà di voler mettere al primo posto la sicurezza del suo Paese “Non accetteremo mai l’allargamento della Nato fino ai nostri confini, è una minaccia che noi percepiamo chiaramente”, ma ha aperto al dialogo.

Il, al fine di trovare una soluzione pacifica alla crisi, nel segno del dialogo e della reciprocità.

Scholz ha fatto presente che attualmente per quanto concerne i negoziati in corso vi sono ancora posizioni fortemente divergenti. “Sulle proposte che sono state formulate dalla Russia, Nato e Ue non sono d’accordo ma contengono anche punti di cui siamo pronti a discutere. Ora è necessario evitare che la situazione prenda una piega pericolosa”.

Ieri Kiev ha visto anche la presenza del ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio che ha incontrato il suo omologo ucraino e posto le basi per la visita nella capitale ucraina del Presidente del Consiglio, Mario Draghi. Nell’incontro di Maio ha parlato di come rafforzare e riattivare gli scambi economici e il dialogo politico tra i rispettivi Paesi. Ha proposto, inoltre, Roma come sede per le prossime consultazioni che verranno.

La giornata di ieri ha visto anche la telefonata tra il segretario di Stato americano, Blinken, e il Ministro degli Esteri russo, Lavrov. Il contendere del dialogo tra i due politici sembra siano stati i missili a raggio intermedio e altre misure per ridurre i rischi militari.In serata, invece, il colloquio telefonico tra il Presidente degli Stati Uniti, Joe BIden e il Presidente francese, Emmanuel Macron.

Sempre ieri il Centro di Sicurezza Informatica ucraino ha affermato che i siti del Ministero della Difesa di Kiev e le banche Privatbank e Oshadbank sono stati oggetto di un attacco informatico, di cui i primi indiziati sono i russi.

Nonostante i segnali di distensione siano evidenti da Bruxelles non sono mancate critiche rispetto al voto della Duma sull’indipendenza del Donbass. L’Alto Rappresentante per la politica estera di sicurezza dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha dichiarato che l’Ue condanna fortemente la decisione del parlamento russo di riconoscere l’autoproclamazione delle repubbliche separatiste del Donbass, Donetsk e Lugansk in quanto sarebbe una grave violazione degli accordi di Minsk. Questa decisione non vede d’accordo tutti nemmeno in Russia. Gli analisti russi sostengono infatti che riconoscere le autoproclamate “Repubbliche Popolari” del Donbass porterà inevitabilmente ad altre forte tensioni con l’occidente.

Stando al fronte atlantico e statunitense il segretario generale della Nato, Jens Stolteberg ha affermato di non aver ancora avuto alcun segnale sul ritiro di uomini e attrezzature sul confine ucraino. Di questo avviso anche il Primo Ministro Britannico, Boris Johnson, il quale ha dichiarato che le informazioni che ha ricevuto a riguardo dai suoi servizi non sarebbero “positive”.

Dunque, nonostante il permanere di un clima fortemente teso sembra, fortunatamente, che la crisi si stia spostando all’interno di una dimensione di dialogo e confronto tra le parti. Da vedere se l’arma della diplomazia basterà per porre definitivamente a queste forti tensioni.

Sulla crisi ucraina

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Si è tornati a parlare delle tensioni tra Mosca e kiev lo scorso aprile quando Putin ha dato ordine di concentrare le proprie truppe lungo il confine meridionale della Russia, quello con l’Ucraina quando quest’ultima aveva manifestato la sua intenzione di voler entrare all’interno del Patto Atlantico. Tuttavia, per comprendere il perché di questa mossa dell’ex leader del KGB occorre fare un passo indietro e tornare al 2004, anno in cui l’Ucraina ha cominciato il suo percorso di avvicinamento all’alleanza atlantica. Da quel momento, infatti, la Russia ha cominciato a ridisegnare la sua strategia di sicurezza in Europa all’interno della quale l’Ucraina rappresenta un tassello fondamentale.

Tuttavia, almeno per ora sembra difficile che questa crisi possa sfociare in un conflitto. Un’ invasione prevede una minuziosa preparazione e una serie di segnali militari, che stando al Consiglio Strategico di Difesa Ucraino, attualmente, risultano completamente assenti. Infatti, al Cremlino non è ancora avvenuto il passaggio ad un’amministrazione di guerra ne’ risulta la costruzione di linee di rifornimento da parte dell’esercito russo tali da far pensare ad un’imminente invasione su larga scala. Dunque, è ragionevolmente escludere lo scoppio di un conflitto, almeno nel breve periodo.

Risulta poco probabile anche una operazione militare di portata limitata in quanto questa avrebbe un’importanza strategica bassa e un costo politico altissimo.

Considerato anche il fatto che una soluzione alla questione ucraina risulta praticamente impossibile non resta che chiedersi quali siano le opzioni di Putin per porre fine a tutto ciò e cosa egli speri di ottenere.

Stando allo stato dei fatti si potrebbe sostenere che in questo momento Putin potrebbe fare due cose.

La prima sarebbe riconoscere che la sua iniziativa non ha portato da nessuna parte e quindi accontentarsi del fatto che quantomeno sia stato aperto un dialogo e un confronto e che la discussione in quanto tale sia essa stessa un risultato.

La seconda ipotesi è che la Putin stia cominciando un nuovo percorso di politica estera. Ovvero si potrebbe supporre che la Russia si stia staccando da quel percorso d’integrazione globale intrapreso 30 fa da Gorbaciov e portato avanti da tutti i presidenti che si sono succeduti dopo di lui alla guida del Paese. E in questo, il risultato della crisi sarebbe il distanziamento militare-ideologico dall’occidente e l’avvicinamento ad un altro asse di Paesi come la Cina, l’Iran e il Venezuela.

Qualora tutto questo fosse vero si starebbe andando incontro a una riorganizzazione degli equilibri di potenza mondiali. Il nuovo fronte che si starebbe venendo a creare vedrebbe come attori protagonisti soprattutto Russia e Cina le quali, almeno nelle intenzioni, stanno palesando il tentativo di mettere in discussione l’attuale status-quo mondiale.

Tuttavia, tornando alla mera dimensione della questione ucraina rimane da chiederci quali siano le probabili valutazioni che Putin ha fatto a riguardo e quali sono i rischi che ha deciso di correre.

Dunque, l’ipotesi più concreta è che il leader russo con il dispiegamento delle forze militari lungo il confine meridionale stia semplicemente cercando di accelerare un riequilibrio e una riorganizzazione del rapporto tra le grandi potenze. Nell’ultimo periodo, infatti, sia Russia che Cina hanno iniziato a prendere posizioni di politica estera nette, come il caso afgano della scorsa estate dimostra.

Sia Putin che Xi Jin Ping vedono gli Usa meno forti rispetto al passato e stanno cercando sempre di più di mettere nero su bianco accordi che fino a pochissimi anni fa erano pura utopia. Ne è una dimostrazione la messa in discussione da parte del Cremlino la partecipazione all’alleanza atlantica di Romania e Bulgaria da parte del Cremlino.

In sintesi per Putin discutere dell’entrata dell’Ucraina all’interno della Nato significa porre le basi per un accordo complessivo con l’Europa per quanto concerne la questione della difesa. Ed infatti, in Europa si sta tornando a parlare della costituzione di un esercito comune dell’Unione che se da un lato può essere letto come un orpello della NATO dall’altro può essere visto come una spinta verso l’uscita dall’alleanza atlantica.

 

Anche negli Stati Uniti sembrano essere dello stesso avviso, la testata giornalistica Foreign Affairs negli scorsi metteva in discussione il ruolo della NATO e denunciava un indebolimento della posizione del Presidente Joe Biden. Quindi i dubbi che in questo ultimo periodo stanno attagliando la Russia e la Cina sono gli stessi della potenza americana,

Il primo ad aver aperto la questione della NATO è stato Donald Trump durante il suo scorso mandato quando sosteneva che agli Stati Uniti non potevano più mettersi di pagare la spesa militare dell’Europa. Ed anche l’attuale Presidente Democratico sembra stia seguendo la strada del suo predecessore, è evidente, infatti, il disimpegno della NATO in Europa e un suo riposizionamento in aree considerate più strategiche come quella del Baltico, dove Biden ha recentemente disposto un contingente di 8700.

 

Concludendo nonostante la possibilità di un imminente conflitto sia molta remota sono molti gli indizi che dicono che la crisi ucraina sia un sintomo di una volontà della Russia di ridisegnare il suo ruolo all’interno dell’arena internazionale.

Bielorussia, il dirottamento del volo Ryanair e l’arresto di Roman Protasevich

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Domenica 23 maggio, le autorità della Bielorussia hanno dirottato un aereo della compagnia Ryanair impegnato nella rotta Atene – Vilnius costringendolo ad atterrare a Minsk, la capitale della Bielorussia, con lo scopo di arrestare un giornalista di opposizione presente in aereo. La compagnia aerea, dopo la deviazione in Bielorussia, ha affermato di aver ricevuto tale ordine a causa di una “potenziale minaccia per la sicurezza a bordo”. Dopo il controllo, tuttavia, non è emersa alcuna minaccia presente in aereo, se non la presenza del giornalista ventiseienne Roman Protasevich, poi portato via dalle autorità in quanto minaccia per la stabilità governativa. Tale gesto ha provocato la reazione di tutto l’occidente, portando l’Unione europea ad introdurre delle sanzioni contro la Bielorussia, insieme al blocco dei voli sul paese dell’Est Europa.

Cosa è successo domenica 23 maggio

Il volo Ryanair FR4978 è partito domenica 23 maggio da Atene per arrivare a Vilnius: a bordo trasportava 6 membri dell’equipaggio e oltre 130 passeggeri, tra i quali figurava il giornalista d’opposizione al regime di Lukashenko, Roman Protasevich, insieme alla sua fidanzata, Sofia Sapega. Durante il viaggio, l’aereo è stato dirottato all’aeroporto nazionale di Minsk mentre era a circa 80km a sud di Vilnius, ma ancora nello spazio aereo bielorusso. Il volo Ryanair è stato affiancato da un jet MIG-29 bielorusso che lo ha costretto a cambiare rotta, deviando di circa 200 km, e all’atterraggio a Minsk, con la scusa di presunti esplosivi a bordo. Tuttavia, una volta atterrato, le autorità bielorusse hanno smentito quanto detto sugli esplosivi ed hanno arrestato e portato via il giornalista e attivista d’opposizione Roman Protasevich, di 26 anni. La motivazione dell’arresto è la seguente: Roman Protasevich era da tempo inserito nella lista dei ricercati in quanto accusato di “attività terroristiche”; anche la fidanzata è stata messa in detenzione.

L’agenzia di stampa ufficiale bielorussa ha affermato che è stato proprio il presidente bielorusso Lukashenko ad ordinare il reindirizzamento del volo a Minsk con un caccia dell’aeronautica per motivi di “potenziale minaccia alla sicurezza”. Oltre al giornalista e alla sua fidanzata, sono stati costretti all’atterraggio anche altri tre passeggeri, agenti dei servizi segreti di sicurezza bielorussi (KGB). L’aereo è stato autorizzato a ripartire da Minsk dopo sette ore, arrivando a Vilnius con otto ore e mezza di ritardo, dopo i controlli di molti agenti di sicurezza bielorussi su tutti i passeggeri.

Chi è Roman Protasevich

Blogger, attivista e giornalista di opposizione di appena 26 anni: Roman Protasevich è stato arrestato, insieme alla sua fidanzata, in quanto accusato di “attività terroristiche” contro quello che è un vero e proprio regime autoritario. Dopo l’arresto, le autorità bielorusse hanno dichiarato di aver portato Protasevich in un centro di detenzione nella capitale bielorussa, in buone condizioni di salute. Dopodiché, è stato messo in circolazione un video in cui il giornalista afferma di essere trattato “con correttezza” e “secondo la legge”, di star bene e di non avere problemi cardiaci. Inoltre, in questo video, Protasevich afferma di aver commesso crimini punibili fino a 15 anni di detenzione. Molti osservatori, guardando il video, hanno notato in primo luogo i segni sul volto e sul collo, quale risultato di una probabile violenza fisica subita in detenzione; in secondo luogo, sembrerebbe trattarsi di un video recitato ad hoc su richiesta delle autorità bielorusse.

Roman Protasevich è considerato una minaccia per la stabilità del paese in quanto è uno dei fondatori del principale organo di informazione indipendente della Bielorussia, Nexta. Si tratta di un vero e proprio punto di riferimento per la stampa libera e indipendente, ed è diventato centrale in particolar modo dopo le elezioni – e le proteste – di agosto 2020. Attraverso il canale Telegram di Nexta, Roman Protasevich ha contribuito all’organizzazione delle più importanti proteste antigovernative svolte in Bielorussia, tra le principali mai viste contro Lukashenko. Come Protasevich stesso ha detto nel video, i suoi capi d’accusa potrebbero portargli fino a 15 anni di carcere e, se davvero fosse incriminato di terrorismo, si potrebbe anche arrivare alla pena di morte.

Le reazioni in UE

Quanto accaduto il 23 maggio ha scosso l’intera Europa: il volo pubblico dirottato per arrestare un giornalista accusato di minaccia alla stabilità e attività terroristiche ha provocato la reazione immediata dei leader europei e di Bruxelles. L’UE ha deciso di introdurre nuove sanzioni economiche contro la Bielorussia procedendo anche con il blocco dei voli: non è permesso volare sopra la Bielorussia e non è permesso alla compagnia di Stato di utilizzare gli aeroporti europei. Il gesto è stato definito “una pirateria aerea” e i leader dei paesi UE, riuniti in sede di Consiglio europeo il giorno seguente, hanno chiesto la liberazione del giornalista bielorusso e della sua compagna. Inoltre, è stata interpellata anche l’ICAO, Organizzazione internazionale per l’aviazione civile, chiedendo un’indagine approfondita.

La presidente della Commissione europea Von der Leyen ha definito l’accaduto “un attacco alla democrazia, un attacco alla libertà di espressione e un attacco alla sovranità europea”, riscuotendo consensi anche oltre oceano, con l’appoggio di Joe Biden. Anche il presidente Michel si è detto contrario, affermando “Non tolleriamo che si giochi alla roulette russa con la vita dei civili”. Per tutta risposta, il ministero degli Esteri bielorusso ha respinto le critiche europee in quanto prive di fondamento poiché, dal suo punto di vista, l’aviazione bielorussa avrebbe agito “in pieno rispetto delle regole internazionali”.

I già delicati rapporti tra l’UE e la Bielorussia potrebbero essersi definitivamente compromessi dopo quest’ultimo attacco alla democrazia e alla libertà, non rendendo affatto semplice un riavvicinamento politico e rendendo la situazione, ancora una volta, del tutto aperta.

Una nuova ripartenza per il Kosovo: Osmani-Sadriu Presidente del paese

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Il parlamento del Kosovo ha eletto l’ex presidente del parlamento Vjosa Osmani-Sadriu come nuovo presidente del paese. Con un mandato di cinque anni, Osmani-Sadriu è la seconda donna leader della nazione balcanica nel dopoguerra.

Il parlamento composto di 120 seggi si è riunito in sessione straordinaria per due giorni, decretando la vittoria di Osmani, eletta con 71 voti, nonostante i tentativi di boicottaggio dei partiti di opposizione e del partito di minoranza etnica serba.

Già nel novembre dell’anno scorso, la 38enne Osmani-Sadriu ha sostituito temporaneamente l’ex presidente Hashim Thaci, dimessosi dopo essere stato accusato dal tribunale speciale del Kosovo con sede all’Aia di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Thaçi ha annunciato le sue dimissioni in una conferenza stampa a Pristina, comunicando la necessità di “proteggere l’integrità della presidenza del Kosovo”. Secondo l’accusa dell’ufficio del procuratore l’ex presidente Thaçi e altri capi dell’esercito di liberazione del Kosovo (KLA) sono stati “penalmente responsabili di quasi 100 omicidi”.

Osmani-Sadriu, settimo presidente del Kosovo del dopoguerra e seconda donna, ha avuto il sostegno del Movimento di autodeterminazione di sinistra, o Vetevendosje!, che ha vinto in modo schiacciante le elezioni anticipate del Kosovo il 14 febbraio.

In qualità di presidente avrà in gran parte un ruolo cerimoniale come capo di stato. Ricoprirà anche una posizione di leadership nella politica estera, e rivestirà il ruolo di comandante delle forze armate.

Nella sua agenda politica, in primo piano spicca la ripresa dei colloqui di normalizzazione con l’ex nemico della guerra, la Serbia. Il Kosovo è diventato indipendente nel 2008 dopo che la NATO è intervenuta nel 1999 per fermare la sanguinosa repressione dei combattenti per l’indipendenza albanese. Il Kosovo è infatti riconosciuto da più di 100 paesi ma non dalla Serbia o dagli alleati serbi come Russia e Cina.

Con Maia Sandu la Moldova si riorienta a Ovest

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Il 24 dicembre Maia Sandu ha giurato come Presidente della Repubblica di Moldova. L’esponente del Partito di Azione e Solidarietà è stata eletta lo scorso 15 novembre dopo aver vinto il ballottaggio con il Presidente uscente Igor Dodon, capo e fondatore del Partito Socialista Moldavo. Maia Sandu è stata economista alla Banca Mondiale, ha ricoperto l’incarico di Primo Ministro per circa cinque mesi nel 2019 ed è stata eletta al ballottaggio con un margine di circa 15punti su Dodon. I due si erano sfidati anche nel 2016, quando al ballottaggio in quel caso Dodon aveva vinto con distacco del 5%. Al ballottaggio hanno partecipato più del 50% degli elettori, in netto aumento rispetto al primo turno. Generalmente l’affluenza alle elezioni nei paesi dell’Est Europa è molto bassa, ma queste ultime consultazioni avevano un significato particolare: Dodon è vicinissimo a Mosca e capo del partito al quale appartiene il Primo Ministro in carica (Ion Chicu); Mandu invece è la leader di un partito che attualmente ha 15 seggi in parlamento, è pro-occidente anche per formazione culturale, come evidenziato dall’ analista Vladimir Socor. La consultazione era considerata cruciale per le scelte in politica estera, fino ad oggi filorussa, che il paese dovrà fare nei prossimi anni. Leggi Tutto

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