GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Roberta Ciampo

Roberta Ciampo has 29 articles published.

Roberta Ciampo è una giornalista freelance con un Master in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ottenuto all’università di Roma La Sapienza. Ha conseguito un progetto di ricerca post-laurea in Cina in analisi e sviluppo delle politiche economiche volte alla sostenibilità, e ha collaborato con l’università di Aalborg, Danimarca, ad attività di analisi e monitoraggio delle pratiche di sviluppo nei paesi emergenti. Lavora a stretto contatto con diverse agenzie delle Nazioni Unite, Unione Europea, ONG e istituti di ricerca su temi di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario.

La “cReazione” artistica di Silvia Bello

SOCIETA' di

Nell’ entusiasmo creativo che ha fatto di San Lorenzo il quartiere della resistenza romana e un polo di attrazione per tanti artisti, la libreria Tomo in via degli Etruschi a Roma ospita il 21 e 22 Maggio la mostra “cReazione” di Silvia Bello.

Nata a Messina, ma romana di adozione, Bello si avvicina al mondo dell’arte attraverso un percorso nella recitazione, che le aprirà le porte per diversi ingaggi sia in veste di regista che attrice, tra cui la collaborazione con Luana Rondinelli.

La ricerca di nuove forme di espressione e di introspezione spinge Bello ad iscriversi ad un corso di arte tenuto dal maestro tedesco Gerhard Schwarz che la avvia alla tecnica pittorica. Successivamente partecipa al corso di arte meditativa energica realizzato dalla creatrice dell’Associazione culturale RealizzArti, Elena Neto, per esplorare e rappresentate gli stati inconsci del suo animo.  E’ sotto l’influsso di questi artisti che Bello individua temi dalla forte carica emotiva e che ispirano un percorso di crescita sia personale che artistico.

Bello descrive il suo approccio distintivo all’astrazione come un modo per comunicare idee sull’interiorità e sulla loro esperienza vissuta.

“Con una profonda connessione con la propria interiorità, si accoglie un’immagine senza giudizio” ci spiega Bello.

Il risultato di questa ricerca interiore è un’affascinate rassegna di opere dal carattere astratto con un tocco contemporaneo che evoca realtà della quotidianità trasformate in un linguaggio originale.

“La dicotomia tra realtà e fantasia mi fa pensare all’infinito e alla massima forma di libertà”, ci confida Silvia Bello.

Il lavoro pittorico e la pratica di Silvia Bello incarnano questi temi in modi molto specifici che sembrano trascendere il tempo e il luogo.

“Il mio lavoro parte sempre da un’emozione, che per me è un canale non solo da attraversare, ma al quale ritornare ogni volta che si osserva l’opera”.

Grazie alle opere (in pittura e in prosa) della Bello, la mostra diventa un esercizio per imparare a conoscersi e trovare nuovi significati per ciò che non comprendiamo.

L’intervento umanitario ONU per 12 milioni di persone in Ucraina

La continua violenza armata e il rapido deterioramento delle misure di sicurezza in Ucraina continuano ad aggravare la sofferenza di milioni di persone nella regione orientale, un’area già esposta a otto anni di conflitto armato, isolamento delle comunità, deterioramento delle infrastrutture, molteplici restrizioni ai movimenti, livelli elevati di mine antiuomo e contaminazione da ordigni inesplosi, nonché l’impatto del COVID-19.

La situazione attuale

La situazione umanitaria in Ucraina è peggiorata rapidamente in seguito al lancio dell’offensiva militare della Federazione Russa il 24 febbraio 2022. La violenza armata è aumentata in almeno otto oblast (regioni), tra cui Kyivska oblast e la capitale Kiev, nonché nell’est oblasts Donetska e Luhanska che erano già state colpite dal conflitto. I recenti sviluppi delle ostilità hanno reso la situazione ancora più imprevedibile e instabile.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha registrato dall’inizio del conflitto 802 vittime civili in Ucraina: 249 uccisi (di cui 232 adulti, 9 ragazzi, e 8 bambini) e 553 feriti.

La maggior parte delle vittime civili sono state causate dall’uso di armi esplosive di lunga portata, attacchi aerei, bombardamenti di artiglieria pesante e sistemi missilistici multilancio. L’OHCHR ritiene che le cifre reali siano considerevolmente più elevate, soprattutto nel territorio controllato dal governo e soprattutto negli ultimi giorni, poiché la ricezione di informazioni da alcune località in cui sono in corso intense ostilità è stata ritardata e molti rapporti sono ancora in attesa di conferma. Ciò riguarda, ad esempio, la città di Volnovakha (parte della regione di Donetsk controllata dal governo) dove si sospetta un numero elevato di vittime civili.

Le conseguenze umanitarie del conflitto

L’intensa escalation militare ha provocato la perdita di vite umane, feriti e movimenti di massa della popolazione civile in tutto il paese e verso i paesi vicini, nonché gravi distruzioni e danni alle infrastrutture civili e agli alloggi residenziali.

La fornitura di servizi pubblici – acqua, elettricità, riscaldamento e servizi sanitari e sociali di emergenza – è sottoposta a forti pressioni e l’accesso delle persone alle cure di prima necessità è limitato da un sistema sanitario allo stremo.

Con la continuazione dell’operazione militare e la crescente instabilità, è probabile che le catene di approvvigionamento vengano interrotte per un periodo di tempo prolungato. Anche la capacità delle autorità locali di sostenere un livello minimo di servizi è stata gravemente ostacolata dalla dipartita dei dipendenti o dall’impossibilità di accedere al proprio posto di lavoro.

I gruppi particolarmente vulnerabili includono gli anziani e le persone con disabilità, che potrebbero non essere in grado di fuggire o rimanere nelle aree colpite, con conseguenti rischi per le loro vite, difficoltà a soddisfare i bisogni quotidiani e difficoltà nell’accesso all’assistenza umanitaria.

L’intervento della comunità umanitaria

La comunità umanitaria si è rapidamente adattata all’evolversi della situazione, anche grazie allo Humanitarian Response Plan, ovvero il piano di emergenza inter-agenzie aggiornato all’inizio del 2022 prima dell’inizio della crisi. Purtroppo, la violenza degli scontri armati ha provocato una forte escalation dei bisogni e una significativa espansione delle aree in cui è richiesta assistenza umanitaria rispetto a quanto previsto all’inizio dell’anno. Anche il tipo di bisogni e le attività umanitarie richieste negli oblast di Donetska e Luhanska sono cambiati a causa della nuova portata delle ostilità.

Ciò ha intensificato gli sforzi delle organizzazioni comunitarie per mitigare l’impatto del conflitto attraverso la fornitura di assistenza alimentare, servizi di protezione, accesso all’acqua potabile, rifugi e assistenza sanitaria.

Le Nazioni Unite, attraverso l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) hanno autorizzato una sovvenzione del Fondo centrale di risposta alle emergenze (CERF) di $20 milioni ad integrazione dei meccanismi di finanziamento umanitario già esistenti, tra cui lo stanziamento di $18 milioni da parte del Fondo umanitario ucraino.

L’assegnazione del CERF consente alle agenzie e ai partner delle Nazioni Unite di potenziare ulteriormente le operazioni umanitarie, in particolare in nuove località che non sono state precedentemente colpite da ostilità, e di migliorare la capacità della catena di approvvigionamento al fine di fornire assistenza umanitaria mirata alle persone colpite dalla recente ondata di violenza.

I finanziamenti attualmente disponibili per le operazioni umanitarie in Ucraina sono estremamente limitati. Per un rapido aumento della risposta umanitaria, i partner umanitari richiedono 1,1 miliardi di dollari per aiutare più di 6 milioni di persone bisognose. I finanziamenti immediati e urgenti saranno cruciali per soddisfare le esigenze umanitarie di milioni di civili nel mezzo di un’escalation delle ostilità.

Sostieni il Fondo umanitario in Ucraina

L’ONU ha lanciato un appello di emergenza per 1,7 miliardi di dollari per fornire aiuti alle persone all’interno dell’Ucraina e ai rifugiati fuggiti nei paesi vicini. Il Fondo umanitario ucraino è un fondo comune nazionale. I fondi messi insieme supportano una risposta umanitaria tempestiva, coordinata e basata sui diritti umani.

La tua donazione aiuterà le ONG umanitarie e le agenzie delle Nazioni Unite in Ucraina ad assistere le comunità e le persone più vulnerabili e a fornire loro cibo, acqua, riparo e altro supporto di base di cui hanno urgente bisogno. Grazie a questo meccanismo di risposta rapido e flessibile, il tuo regalo di oggi può davvero salvare una vita.

Link in basso per fornire assistenza alle vittime del conflitto in Ucraina

Fondo umanitario in Ucraina:

https://act.unfoundation.org/onlineactions/D47Mjcz_6ECF1PLeCnHIIw2

Agenzia ONU dei Rifugiati (UNHCR):

https://dona.unhcr.it/campagna/crisi-ucraina/

UNICEF:

https://donazioni.unicef.it/landing-emergenze/emergenza-ucraina?wdgs=GAEU&gclid=CjwKCAiAjoeRBhAJEiwAYY3nDD_jSpD6lKPQ0LHB7hQ9v5Iz2hU_ZE5WnT76RiUJGD4EccpjtDuYMBoCWY8QAvD_BwE#/home

World Food Programme:

https://donatenow.wfp.org/it/~mia-donazione?redirected=IT

 

La Brookings Institution elabora nuovi modelli per lo sviluppo economico in Africa

AFRICA/ECONOMIA di

La Brookings Institution ha di recente pubblicato una serie di studi che esaminano il potenziale delle industrie senza ciminiere per lo sviluppo economico dei paesi africani.

In collaborazione con Mastercard Foundation and Canada’s International Development Research Centre (IDRC), la Brookings Institution avvia un progetto di ricerca denominato “Africa Growth Initiative” (AGI), che parte dalla consapevolezza che i progressi e la crescita dell’Africa fino ad oggi non hanno avuto un impatto significativo sui tassi di povertà e disuguaglianza del continente.

Questa iniziativa si fa portavoce della necessità di attuare un cambiamento strutturale e incentivare la crescita dell’occupazione in Africa, soprattutto nei settori con un potenziale di sviluppo economico alto, ovvero il settore del turismo, dell’orticoltura e dell’industria agricola.

Al fine di convergere in modo sostenibile e inclusivo con il resto del mondo in termini di standard di vita, opportunità e reddito pro capite del PIL, lo studio sull’impatto delle industrie senza ciminiere in questi settori si pone dunque l’obiettivo di ampliare le opzioni politiche e incentivare finanziamenti per lo sviluppo, sostegno del settore privato per gli obiettivi di sviluppo sostenibile, perfezionamento dei partenariati pubblico-privati, rafforzamento dell’integrazione regionale, e promozione di sinergie tra le istituzioni governative.

In effetti, l’Africa subsahariana dovrà creare 18 milioni di posti di lavoro ogni anno fino al 2035 per accogliere i nuovi arrivati ​​nel mercato dei giovani. Affinché l’Africa raggiunga una crescita trasformativa, i leader regionali hanno bisogno di nuovi modelli e politiche per lo sviluppo economico, che espandano le opportunità per i lavoratori, le famiglie e le comunità.

L’AGI ha pubblicato casi di studio che esaminano se e come le industrie senza ciminiere potrebbero migliorare le prospettive occupazionali dei giovani in Africa.

Uganda case study

La crescita economica dell’Uganda si è classificata tra le più forti dell’Africa subsahariana. Il tasso di crescita medio annualizzato del paese è stato del 5,4% tra il 2010 e il 2019 (World Bank, 2020). Ciò nonostante, i tassi di disoccupazione non hanno visto miglioramenti. Secondo uno studio condotto nel 2018, la crescita è stata in gran parte trainata dal settore dei servizi, che a loro volta contribuiscono solo per il 15% al ​​totale dell’occupazione.

Per sfruttare il potenziale offerto dalle industrie senza ciminiere, il governo deve intensificare la formazione professionale per gli addetti con specializzazione in orticoltura, e dotare il settore della tecnologia di irrigazione necessaria. Poiché la maggior parte dei prodotti del settore viene esportata in mercati di alto valore nell’UE o negli Stati Uniti, è fondamentale che il governo affronti gli ostacoli all’accesso continuo a questi mercati. Inoltre, gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo e migliori collegamenti tra agricoltura, imprese e mercati sono fondamentali per aumentare la produzione e la produttività.

Senegal case study

Il Senegal è uno dei paesi più stabili dell’Africa. La crescita economica è stata in media del 6,6% nel periodo 2014-2019, in contrasto al 3% nel periodo 2009-2013. Le proiezioni stimano che la stessa elevata crescita economica sarà osservata nei prossimi anni, in particolare con le riserve di petrolio e gas scoperte di recente (World Bank, 2019b). La crescita è trainata principalmente dai contributi dei consumi (3,5%) e dagli investimenti privati ​​(2,1%). Tuttavia, la questione dell’inclusione rimane critica, poiché l’attuale creazione di posti di lavoro non è ancora sufficiente ad assorbire i flussi migratori interni o la crescente popolazione in età lavorativa.

In Senegal, le industrie senza ciminiere hanno il potenziale, se adeguatamente sfruttato, di aumentare notevolmente la creazione di posti di lavoro di buona qualità. Alcune industrie senza ciminiere, in particolare l’orticoltura e il turismo, stanno già andando bene in termini di crescita della produzione. Affinché tale crescita e creazione di posti di lavoro sia possibile, tuttavia, il Senegal deve affrontare i numerosi vincoli che incidono sull’ambiente imprenditoriale, in particolare quelli nel quadro normativo, nelle infrastrutture e nello sviluppo delle competenze.

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La Brookings Institution è un’organizzazione senza scopo di lucro dedicata alla ricerca indipendente e alle soluzioni politiche. La sua missione è condurre una ricerca indipendente di alta qualità e, sulla base di tale ricerca, fornire raccomandazioni pratiche e innovative per i responsabili politici e il pubblico.

Per approfondire la lettura…

Uganda case study: https://www.brookings.edu/wp-content/uploads/2021/07/21.08.02-Uganda-IWOSS.pdf

Senegal case study: https://www.brookings.edu/wp-content/uploads/2021/04/21.04.02-Senegal-IWOSS_FINAL.pdf

Il vertice delle Nazioni Unite sullo sviluppo di sistemi alimentari

POLITICA di

Pasti scolastici per ogni bambino, zero sprechi alimentari e innovazione agricola sono tra gli annunci previsti all’evento di giovedì, 23 settembre a New York, in occasione del Summit delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari.

Il Summit delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari è stato annunciato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione lo scorso ottobre come parte del Decennio di Azione per il raggiungimento degli SDGs entro il 2030. L’obiettivo del Summit è quello di realizzare progressi su tutti 17 degli SDGs attraverso un approccio ai sistemi alimentari, sfruttando l’interconnessione dei sistemi alimentari alle sfide globali come la fame, il cambiamento climatico, la povertà e la disuguaglianza.

Il vertice è destinato a innescare la trasformazione dei sistemi alimentari in tutto il mondo grazie alla collaborazione dei governi, sostenitori, comunità e imprese. Il programma per il primo vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari include la partecipazione di oltre 85 capi di stato e di governo.

Il Summit, che si svolge durante la settimana ad alto livello dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, fa seguito ad un processo di 18 mesi in cui 148 paesi hanno ospitato dialoghi nazionali con attori chiave del sistema alimentare, per sviluppare strategie nazionali per sistemi alimentari più inclusivi, resilienti e sostenibili.

“Dopo 18 lunghi mesi, il mondo sta per assistere ad un cambio di traiettoria del progresso globale, unendo tutti in un impegno condiviso per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, ponendo i diritti umani fondamentali al loro centro”, ha affermato Agnes Kalibata, inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per il vertice sui sistemi alimentari.

Dopo 600 dialoghi con gli Stati membri che hanno coinvolto più di 45.000 persone, circa 80 paesi hanno già presentato i loro percorsi nazionali in vista dell’evento di giovedì con il numero totale che dovrebbe continuare a crescere fino alla fine della settimana.

“Questi dialoghi sono diventati una base fondamentale per la trasformazione dei sistemi alimentari che è urgentemente necessaria per guidare una ripresa da COVID-19 e raggiungere i nostri obiettivi condivisi in questo cruciale decennio di azione fino al 2030”, ha affermato David Nabarro, Senior Adviser on Food Systems Summit Dialogues.

Il terzo rapporto sui dialoghi tra Stati membri, pubblicato questa settimana, riassume i risultati di quasi 450 eventi convocati in 105 paesi. Molti dialoghi con gli Stati membri si sono concentrati su una combinazione delle cinque aree prioritarie del vertice, o percorsi d’azione, per garantire che i sistemi alimentari siano adatti al futuro delle persone, del pianeta e della prosperità, come stabilito nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Inoltre, le cinque commissioni regionali delle Nazioni Unite e diverse comunità regionali, tra cui l’Unione europea, l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico e l’Unione africana, hanno convocato i propri membri per dialoghi regionali, indipendenti e intergovernativi, aprendo la strada a iniziative regionali sulla scia del Vertice.

Insieme alle strategie nazionali, il vertice è destinato a lanciare iniziative e coalizioni congiunte, che includono impegni per garantire pasti sani e nutrienti a tutti gli scolari, ridurre lo spreco alimentare e sbloccare l’innovazione agricola per raggiungere gli obiettivi climatici.

Capo Verde ospita la nona conferenza sui cambiamenti climatici e lo sviluppo in Africa

AFRICA di

Oggi, 13 settembre 2021, parte la nona conferenza sui cambiamenti climatici e lo sviluppo in Africa (CCDA-IX) a Capo Verde, e si concluderà il 17 settembre. In questa occasione saranno oggetto di discussione le strategie di mitigazione del cambiamento climatico in Africa, e di come queste possano rappresentare uno strumento di sviluppo economico per il continente africano.

Organizzato dalla Commissione economica per l’Africa e dal governo di Capo Verde, in collaborazione con i partner della Commissione dell’Unione africana e della Banca africana di sviluppo, la CCDA-IX si incentrerà sul tema “Verso una transizione giusta che crei posti di lavoro, prosperità e resilienza climatica in Africa: sfruttare l’economia verde e blu.”

La conferenza funge da preludio alla Conferenza dei firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici prevista a novembre, e mira a fornire un resoconto delle strategie messe in campo dall’Africa per la lotta al cambiamento climatico. La conferenza si propone anche di aprire il dibattito con i rappresentanti africani sulle misure da adottare a livello continentale per guidare lo sviluppo economico verso una transizione sostenibile.

Oltre 600 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità in Africa, eppure il continente possiede risorse naturali sufficienti per sradicare la povertà energetica e trasformare l’economia mondiale. Intanto, le strategie globali di mitigazione del clima richiedono l’eliminazione graduale dei combustibili fossili in tutto il mondo. Ciò mette a rischio lo sviluppo economico del continente africano, nonostante emetta solo il 2% delle emissioni globali di gas serra.

Questi temi aprono la discussione su come mitigare i cambiamenti climatici in Africa senza compromettere al contempo la crescita economica, e promuovere strategie alternative che siano conformi agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Africa.

AVAT: i paesi dell’Unione Africana acquistano 220 milioni di dosi del vaccino Johnson & Johnson

AFRICA di

Il 28 marzo 2021 gli Stati membri dell’Unione Africana (UA) hanno firmato un accordo con il quale hanno lanciato l’African Vaccine Acquisition Trust (AVAT). L’iniziativa, che nasce ad integrazione di altri progetti come il COVAX, ha visto i paesi dell’UA mettere in comune il loro potere d’acquisto per garantire un accesso diffuso ai vaccini COVID-19 in tutta l’Africa, e raggiungere così un’immunizzazione target del 60% della popolazione africana.

I partner dell’iniziativa includono l’African Export-Import Bank (Afreximbank), i Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa CDC) e la Banca mondiale.

Grazie all’AVAT i paesi dell’Unione Africana hanno acquistato 220 milioni di dosi del vaccino a iniezione singola contro il COVID-19 di Johnson & Johnson, e un potenziale di ordinare altri 180 milioni di dosi.

Il presidente della Repubblica del Sud Africa e dell’Unione Africana (AU), Cyril Ramaphosa, in occasione del lancio dell’iniziativa ha dichiarato:

“Questo è un passo avanti epocale negli sforzi dell’Africa per salvaguardare la salute e il benessere della sua gente. Lavorando insieme e mettendo in comune le risorse, i paesi africani sono stati in grado di garantire milioni di dosi di vaccino prodotte proprio qui in Africa. Ciò fornirà impulso alla lotta contro il COVID-19 in tutto il continente e getterà le basi per la ripresa sociale ed economica dell’Africa”.

Il vaccino Johnson & Johnson è infatti stato selezionato come primo acquisto in comune per tre motivi: innanzitutto, essendo un vaccino a iniezione singola, è più facile ed economico da somministrare; in secondo luogo, il vaccino ha una lunga durata e condizioni di conservazione favorevoli. Infine, il vaccino è in parte prodotto nel continente africano, con attività di completamento che si svolgono in Sud Africa, presso la struttura di Aspen Pharmacare a Gqeberha in Sudafrica.

Le prime spedizioni mensili sono arrivate nel mese di agosto in diversi Stati membri e stanno proseguendo nel mese di settembre, con l’obiettivo di consegnare quasi 50 milioni di vaccini entro la fine di dicembre. In collaborazione con l’Africa Medical Supplies Platform (AMSP), l’UNICEF fornisce servizi logistici e di consegna agli Stati membri.

Questa acquisizione del vaccino è una pietra miliare unica per il continente africano. È la prima volta che l’Africa intraprende un appalto di questa portata che coinvolge tutti gli Stati membri. Segna anche la prima volta che gli Stati membri dell’UA hanno acquistato collettivamente vaccini per salvaguardare la salute della popolazione africana: 400 milioni di vaccini sono sufficienti per immunizzare un terzo della popolazione africana e portare l’Africa a metà strada verso il suo obiettivo continentale di vaccinare almeno il 60 per cento della popolazione. I donatori internazionali si sono impegnati a fornire la restante metà delle dosi richieste attraverso l’iniziativa COVAX.

Il dottor John Nkengasong, direttore dei Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa CDC), ha dichiarato: “Negli ultimi mesi abbiamo visto ampliarsi il divario vaccinale tra l’Africa e altre parti del mondo e una devastante terza ondata ha colpito il nostro continente. Le consegne a partire da ora ci aiuteranno a raggiungere i livelli di vaccinazione necessari per proteggere vite e mezzi di sussistenza africani”.

La Dott.ssa Vera Songwe, Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite e Segretario Esecutivo delle Nazioni Unite ha infine affermato: “Questo è un momento di orgoglio per il continente; i vaccini, in parte fabbricati in Sudafrica, sono una vera testimonianza del fatto che la produzione locale e l’approvvigionamento in comune, come previsto nell’Area di libero scambio continentale africana (AfCFTA), sono fondamentali per il raggiungimento di una ripresa economica post-Covid più sostenibile in tutto il continente.”

La Corea del Sud corre ai ripari contro i cambiamenti climatici

ASIA PACIFICO di

Dopo la vittoria elettorale del Partito Democratico della Corea del Sud, il presidente Moon Jae-in ha ridato impulso all’agenda sui cambiamenti climatici, messa in discussione durante il periodo di crisi.

Il presidente ha infatti approvato la politica sui cambiamenti climatici, soprannominata Green New Deal della Corea del Sud, grazie alla fiducia ottenuta dal governo nel mese di marzo.  

Dal nome fortemente evocativo, il “Green New Deal” si ispira alle politiche di lotta al cambiamento climatico dell’Europa e degli Stati Uniti per un’agenda trasformativa verso la sostenibilità ambientale.

Il piano d’azione annunciato dal governo include un investimento su larga scala nelle energie rinnovabili, l’eliminazione graduale delle attività inquinanti e dei finanziamenti sul carbone, una nuova tassa sull’anidride carbonica e un obiettivo di emissioni nette pari a zero entro il 2050.

Questi obiettivi ambiziosi si scontrano tuttavia con una realtà molto meno affascinante. Il paese infatti è attualmente il nono più grande inquinatore di anidride carbonica al mondo, con emissioni di Co2 pari a 11,98 tonnellate per capita (sulla base di una popolazione di 51.225.308 nel 2019), in aumento dello 0,28 rispetto alle 11,70 tonnellate di CO2 registrate nel 2015. *

Nonostante l’impulso verso un’economia più verde, la Corea del Sud non ha ancora aggiornato i suoi sistemi energetici, che fanno affidamento in grande misura sul carbone per circa il 44 per cento del suo fabbisogno energetico attuale. Il settore delle rinnovabili non nucleari, compresi l’eolico e il solare, è sottosviluppato e ha rappresentato meno del 2% della produzione nel 2018.

Le nuove politiche messe in campo dal governo dovranno dunque confrontarsi con infrastrutture e sistemi di produzione di energia rinnovabile inesistenti o arretrati. Peraltro, anche la normativa alla base delle modifiche nel settore energetico, dovrà essere sviluppata e approfondita.

“Raggiungere questi obiettivi per la Corea del Sud sarà un compito più impegnativo rispetto a molte altre nazioni che hanno avviato già da tempo modifiche simili alla loro produzione di energia”, commenta Melissa Brown, direttore di Energy Finance Studies, presso lo Institute for Energy Economics and Financial Analysis.

Gli obiettivi attuali della Corea del Sud nell’ambito dell’accordo di Parigi si incentrano su una riduzione del 37% delle emissioni entro il 2030. Si tratta però di un impegno considerato “altamente insufficiente” (Climate Action Tracker, un consorzio indipendente che segue l’azione del governo sul clima), se si considera che il paese è il quinto importatore di carbone al mondo e il terzo investitore pubblico nelle centrali a carbone d’oltremare.

Brown afferma che le potenti imprese statali della Corea del Sud – in particolare la Korea Electric Power Corporation (KEPCO), che domina il settore energetico nazionale – non hanno saputo recepire i nuovi trend dei mercati energetici globali, che hanno visto l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e l’accelerazione del ritiro di alcune vecchie centrali a carbone. Le vecchie infrastrutture sudcoreane sono ora a rischio di non essere redditizie o di essere dismesse anticipatamente a causa della diversificazione del mercato.

“Accecate dagli enormi ed entusiasmanti cambiamenti tecnologici, le imprese statali non li hanno saputi adattare alle nuove politiche ambientali, e ora si trovano a dover agire velocemente per non essere lasciate indietro.” continua Brown.

Intanto ad essere davvero cambiato in Asia è la percezione dei pericoli climatici. L’Asia non solo non è la regione del negazionismo climatico, ma le persone che vivono ogni giorno le conseguenze di alte concentrazioni di Co2, si sono espresse calorosamente durante le elezioni per un futuro più pulito e più verde.

Ciò avrebbe incoraggiato l’amministrazione Moon ad intraprendere azioni significative e riformatrici nel settore. Infatti, nonostante i persistenti problemi economici della crisi COVID-19, l’agenda del governo non può più ignorare le richieste dei cittadini, non dopo che un’affluenza record di elettori gli ha conferito una rara maggioranza in parlamento.

*http://www.globalcarbonatlas.org/en/CO2-emissions

Gli Stati Uniti e il Giappone si preparano all’invasione cinese di Taiwan

ASIA PACIFICO di

Il 16 marzo a Tokyo si è svolto un incontro tra il segretario alla Difesa USA, Lloyd Austin, e la controparte giapponese, Nobuo Kishi, i quali hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in merito alla sicurezza dello Stretto di Taiwan. I due capi della Difesa hanno infatti sollevato la questione di una possibile occupazione da parte della Cina dell’isola di Taiwan, da sempre considerata parte integrante del territorio cinese.

Secondo diversi alti funzionari della difesa statunitense, occupare Taiwan rappresenterebbe la priorità “numero uno” per il governo cinese a causa della posizione strategica dell’isola, ma anche perché “è in gioco il ringiovanimento del Partito Comunista Cinese”.

Tali timori sembrano peraltro giustificati dal tono minaccioso dei media statali cinesi e dal numero crescente di missioni aeree nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan.

D’altro canto, altri esperti ritengono che la valutazione della minaccia cinese elaborata dalle forze armate statunitensi possa invece essere il riflesso del deterioramento delle relazioni sino-statunitensi nel contesto della competizione strategica tra i due paesi.

Bonnie Glaser, direttrice del China Power Project presso il Center for Strategic and International Studies (CSIS), ritiene infatti che le osservazioni sulla sicurezza di Taiwan non si basano sull’intelligence ma su un’analisi dell’equilibrio militare tra Stati Uniti e Cina.

Peraltro, la Cina aveva già intensificato le sue attività militari intorno all’isola quando Tsai Ing-wen è stato eletto presidente di Taiwan per la prima volta nel 2016.

Dal suo insediamento, Tsai ha professato una politica a favore del mantenimento dello status quo, che però all’estero è associata a una spinta per un’identità taiwanese unica, separata dai suoi legami storici con la Cina. Infatti, mentre i funzionari di Washington lanciano l’allarme su una potenziale invasione cinese di Taiwan, i funzionari e gli abitanti dell’isola credono che piuttosto che iniziare una guerra, Pechino preferirebbe invece “sottomettere il nemico senza combattere”, come insegna l’antico generale e stratega militare cinese Sun Tzu.

“Solo perché Pechino sta manifestando la sua forza militare,” dicono molti taiwanesi, “non significa che abbia intenzione di andare fino in fondo.”

Intanto Taiwan ha modernizzato le sue forze armate, compreso lo sviluppo di nuovi sottomarini e navi da guerra, veicoli blindati e aerei militari, acquistando miliardi di dollari in armi dagli Stati Uniti.

Alla luce di ciò, il Giappone e gli Stati Uniti hanno annunciato nella dichiarazione del 16 Marzo sostegno reciproco nel caso di un’aggressione cinese contro Taiwan, senza specificare il modo in cui i due paesi dovrebbero coordinare la loro risposta di fronte a una tale emergenza.

È storicamente risaputo infatti che la politica del Giappone sulle relazioni Cina-Taiwan è sempre stata quella di astenersi dall’interferire nei loro rapporti, incoraggiando il dialogo per una soluzione pacifica delle tensioni. Resta da vedere come questa politica si sposerà con quella americana.

 

Le pressioni cinesi su Taiwan

Non si può negare che la Cina abbia aumentato la sua influenza su Taiwan, e questa non ha solo carattere militare, ma anche economico. A febbraio, ad esempio, la Cina ha interrotto le importazioni di ananas taiwanesi, affermando che erano stati scoperti organismi nocivi. Solo lo scorso anno il mercato cinese ha rappresentato oltre il 90% delle esportazioni di ananas di Taiwan.

Il presidente Tsai Ing-wen, sostenuto sui social media da Stati Uniti e Canada, ha lanciato una campagna mediatica per acquistare il frutto, nel tentativo di aiutare gli agricoltori e trasformare una potenziale crisi in una vittoria nelle relazioni pubbliche.

Nel frattempo, i rappresentanti dei coltivatori sostengono che il recente divieto di ananas non sia altro che un promemoria del fatto che Taiwan debba ridurre la sua dipendenza economica dalla Cina.

Intanto la Cina si prepara a festeggiare il suo 100 ° anniversario a luglio e terrà il suo 20 ° congresso alla fine del 2022, quando si prevede che Xi Jinping richiederà un terzo mandato senza precedenti. L’occasione, contrassegnata come sempre da discussioni in merito alle ambizioni autocratiche del presidente, potrebbe rendere la minaccia meno acuta.

“Un’invasione totale può portare enormi incertezze e complicare i suoi programmi politici”, riferisce un ex funzionario cinese. Più probabile un intensificarsi della pressione economica di Pechino sull’isola, piuttosto che dar seguito alle minacce militari.

Le Olimpiadi in Giappone rischiano un nuovo posticipo

ASIA PACIFICO di

Le Olimpiadi di Tokyo si svolgeranno regolarmente nonostante lo stato di emergenza provocato dal COVID-19.

A sole nove settimane dall’inizio dei Giochi, il Comitato Olimpico Internazionale (IOC) ha cercato di placare i timori secondo cui l’evento rappresenterebbe un peso ulteriore per il sistema medico giapponese, già messo a dura prova dalla pandemia.

Dopo essere già state posticipate di un anno, le Olimpiadi rappresentano un evento sportivo atteso in tutto il mondo.  Il presidente francese Emmanuel Macron, il cui paese ospiterà i Giochi nel 2024, ha annunciato di partecipare alla cerimonia di apertura a Tokyo.

Nonostante la spinta mediatica e l’entusiasmo dei fan, l’evento non può non affrontare una crescente opposizione da parte del pubblico. In un sondaggio della società Reuters pubblicato venerdì, quasi il 70% degli intervistati ha affermato di volere una cancellazione o un ulteriore rinvio.

Alla domanda se le Olimpiadi andrebbero avanti anche se Tokyo è in stato di emergenza, il vicepresidente dell’ IOC, John Coates che sovrintende ai preparativi, ha ribadito: “Assolutamente sì”, aggiungendo che “tutti i piani che abbiamo in atto per proteggere la sicurezza degli atleti e del popolo giapponese si basano sulla previsione delle peggiori circostanze possibili”.

Coates, che ha parlato in una conferenza stampa al termine dell’incontro, ha affermato che oltre l’80% dei residenti del Villaggio Olimpico sarà vaccinato prima del 23 luglio, quando inizieranno le Olimpiadi.

Ha aggiunto che il personale medico aggiuntivo farà parte delle delegazioni olimpiche straniere per supportare le operazioni mediche e l’attuazione di tutte le misure di prevenzione da COVID-19.

Finora il Giappone ha vaccinato solo il 4,1% della sua popolazione, il tasso più basso tra i paesi ricchi e solo circa la metà del suo personale medico ha completato le vaccinazioni.

A differenza di altre nazioni del G7 che stanno cominciando a porre fine alle misure di blocco contro la pandemia, il Giappone rimane ancora paralizzato da una quarta ondata di infezioni.

Coates ha affermato che la priorità è di “garantire che i Giochi siano sicuri per tutti i partecipanti e per tutto il popolo giapponese”. Per ridurre al minimo il rischio di infezioni, gli organizzatori hanno ridotto il numero di persone che partecipano alle Olimpiadi come parte delle delegazioni straniere, passando da circa 180.000 a 78.000.

Allo stato attuale, sono state predisposte misure di sicurezza che fanno affidamento su 230 medici e 300 infermieri al giorno. Inoltre, circa 50.000-60.000 test di coronavirus saranno effettuati ogni giorno.

“Vogliamo assicurarci di mettere al sicuro il personale medico in un modo che non graverà sui servizi medici locali”, ha detto Hashimoto, a capo dell’organizzazione dei Giochi.

Intanto, proprio a causa dei timori per il coronavirus, molte delegazioni straniere si stanno ritirando dai campi di addestramento pre-olimpici messi a disposizione dal Giappone, tra cui la squadra di nuoto canadese e la squadra di atletica leggera degli Stati Uniti.

Google e Microsoft in aiuto contro il record di casi in India

ASIA PACIFICO di

Sundar Pichai, e Satya Nadella, rispettivamente amministratore delegato di Google e di Microsoft, hanno affermato di essere “devastati” dagli eventi che si stanno verificando in India, e sono disposti a sostenere il paese con risorse finanziarie e fornitura di ossigeno.

Entrambi sono nati in India, e successivamente naturalizzati statunitensi.

Su Twitter Sundar Pichai ha espresso solidarietà con quanto sta succedendo in India, dichiarando di essere affranto dal peggioramento della crisi di Covid. “Google e i googler stanno fornendo 135 Crores Rs in finanziamenti a GiveIndia, UNICEF per forniture mediche, organizzazioni che supportano le comunità ad alto rischio e sovvenzioni per aiutare le Organizzazioni”.

Promettendo di sostenere l’India durante la crisi usando “la sua voce, le sue risorse e la sua tecnologia per aiutare i soccorsi”, Nadella ha ringraziato il governo degli Stati Uniti per aver accettato di aiutare.

Le dichiarazioni di due grandi amministratori delegati tecnologici di origine indiana, seguono il co-fondatore di Sun Microsystems Vinod Khosla sabato che promette di aiutare con carichi aerei di ossigeno, e poi la grande azienda dell’e-commerce, Amazon, che sta donando concentratori di ossigeno e altre attrezzature a diversi ospedali.

 

Gli eventi delle ultime settimane in India

I decessi sono in costante aumento in India a causa di una nuova ondata di infezioni da Covid.

Il Paese ha finora confermato oltre 186.000 morti e 16 milioni di casi – tre milioni se ne sono aggiunti solo nelle ultime due settimane, mentre ogni giorno si registrano nuovi record di casi, prova di una curva molto più ripida della prima ondata a metà settembre dello scorso anno.

Giornalisti di varie città hanno però contestato i dati ufficiali, spesso trascorrendo giorni fuori dai crematori per contare i morti. Le loro stime suggeriscono che i decessi in alcune città sono dieci volte superiori a quanto riportato.

L’effetto devastante di questa nuova ondata è dimostrato dalle immagini dei crematori in tutto il paese: famiglie angosciate che aspettano ore per eseguire gli ultimi riti; cremazioni di massa; esaurimento dello spazio per onorare i morti e incessanti pennacchi di fumo dalle pire funebri.

Negli ultimi giorni in India, i social media sono stati inondati di richieste disperate di aiuto per trovare i farmaci remdesivir e tocilizumab. L’efficacia dei due farmaci contro il COVID-19 è oggetto di dibattiti in tutto il mondo, ma alcuni paesi, tra cui l’India, ne hanno concesso l’autorizzazione per via dell’emergenza.

Hetero Pharma, una delle sette aziende produttrici di remdesivir in India, ha affermato che la società sta cercando di aumentare la produzione. Tuttavia, sembra che la scarsità di offerta abbia spinto molte famiglie a rivolgersi al mercato nero, che fornisce il farmaco ad un prezzo cinque volte quello ufficiale.

Anche la domanda di ossigeno è aumentata vertiginosamente in diversi stati indiani. Diversi ospedali stanno allontanando i pazienti perché mancano di rifornimenti. Il primo ministro dello stato del Maharashtra, Uddhav Thackeray, ha chiesto al governo federale di inviare ossigeno con aerei dell’esercito, poiché il trasporto su strada impiegava troppo tempo per rifornire gli ospedali.

La situazione è molto peggiore nelle piccole città e paesi. Quando i pazienti non sono in grado di trovare un letto d’ospedale, i medici consigliano di sistemare le bombole di ossigeno a casa.

 

Roberta Ciampo
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