La rappresaglia saudita: raid aerei colpiscono Sana’a
Il 20 settembre scorso, le autorità saudita autorizzano attacchi aerei contro le postazioni dei ribelli Houthi nella capitale yemenita Sana’a. Circa una dozzina tra bombe e missili hanno colpito la sede del Dipartimento di Sicurezza Nazionale (National Security Bureau) – è la prima volta dall’inizio del conflitto- il ministero della difesa, un checkpoint nella periferia nord-ovest della città e due campi militari dei ribelli nel distretto sud-orientale di Sanhan.
L’attacco nasce come risposta ad un missile lanciato dai ribelli nella serata di lunedì. Secondo l’Arabia Saudita, il missile, modello Qaher-1, aveva come obiettivo la base aerea King Khalid, 60 km a nord del confine yemenita, nella città di Khamees Mushait. La monarchia saudita sostiene che il missile sia stato intercettato dalle difese aeree del regno prima di poter causare danni alla base stessa o alle zone limitrofe, mentre la Saba News Agency, controllata dai ribelli, dichiara che il missile abbia effettivamente colpito il bersaglio.
La monarchia saudita ha immediatamente reagito, causando -secondo le testimonianze raccolte- almeno una vittima tra i civili e alcuni feriti. Non è la prima volta che il conflitto provoca morti civili , dando adito ancora una volta alle pesanti critiche sollevate in diverse occasioni circa l’elevato numero di morti civili registrato dall’inizio della campagna aerea guidata dall’Arabia Saudita.
Gli scontri tra i ribelli Houthi e le forze governative risalgono già al 2004, ma è soltanto nel 2014 che scoppia una vera e propria guerra civile. Nel settembre del 2014, infatti, gli Houthi -un gruppo ribelle conosciuto come Ansar Allah (Partigiani di Dio) che aderisce alla branchia dell’Islam shiita chiamata Zaidismo- prende il controllo di Sana’a, capitale yemenita, costringendo il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi e il governo a rifuggiarsi temporaneamente a Riyhad.
Le forze di sicurezza del paese si schierano in due gruppi: chi a sostegno del governo di Hadi, riconosciuto internazionalmente, chi a favore dei ribelli. Lo scenario è aggravato ulteriormente dall’emergere di altri due attori. Da un lato, al-Qaeda nella penisola Arabica (AQAP), che guadagna terreno nella zona meridionale e sud-orientale del paese. Dall’altro, un gruppo yemenita affiliato allo Stato Islamico, che si contrappone allo stesso AQAP per il predominio sul territorio.
Il conflitto si intensifica a partire da marzo 2015, quando la monarchia saudita e i suoi alleati lanciano un’intensa campagna aerea in Yemen, con lo scopo di ripristinare il governo Hadi. Da allora, più di 6.600 persone sono rimaste uccise nel conflitto, mentre il numero degli sfollati ha raggiunto i 3 milioni.
Ad oggi, gli scontri continuano e la situazione in Yemen rimane instabile. Le Nazioni Unite hanno più volte pubblicato dati allarmanti in riferimento alle morti civili, recentemente accusando l’Arabia Saudita di aver provocato i 2/3 delle casualità, mentre gli Houthi sarebbero responsabili di uccisioni di massa legate all’assedio della città di Taiz.
Inoltre, molti paesi stranieri -seppur con modi e mezzi differenti- hanno progressivamente preso parte al conflitto. La coalizione internazionale vede schierati Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Egitto, Marocco, Giordania, Sudan e Senegal. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sostengono la coalizione in termini di armi e formazione delle milizie saudite, con la potenza americana impegnata altresì nei bombardamenti aerei contro ISIS e AQAP. Dall’altro lato, l’Iran è stato ripetutamente accusato di fornire armi ai ribelli Houthi, sebbene Tehran abbia sempre negato ogni tipo di coinvolgimento.
E’ bene sottolineare come lo scontro in Yemen non possa essere ridotto meramente ad una guerra civile o ad un teatro di scontro tra terroristi; bensì, si tratta del prodotto di dinamiche molteplici e conflittuali, che coinvolgono diversi attori e interessi spesso contrastanti. Infatti, al di là della guerra civile e della minaccia terroristica, lo Yemen è il teatro della guerra per procura in corso tra le due maggiori potenze del Medio Oriente, Arabia Saudita ed Iran, trascinando così sulla scena alleanze e giochi di potere che contribuiscono ad esacerbare tensioni ed alimentare l’instabilità nella regione.
Paola Fratantoni