GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Giacomo Pratali - page 4

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Libia: le divisioni interne e lo scenario politico italiano

Le divisioni interne libiche e la realpolitik di casa nostra. La vicenda legata alla liberazione dei due ostaggi italiani Filippo Calcagno e Gino Pollicardo, rapiti in Libia lo scorso 20 luglio, si è intrecciata infatti attorno alle divisioni tribali del Paese nordafricano e alla reazione del premier Matteo Renzi nei confronti della stampa nazionale e degli alleati internazionali, in particolar modo degli Stati Uniti.

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La notizia della liberazione e le congetture

La notizia della scomparsa di Salvatore Failla e Fausto Piano (le due salme saranno sottoposte ad autopsia a Tripoli e non in Italia) di giovedì 3 marzo è stata seguita, il giorno successivo, da quella della liberazione degli altri due italiani e colleghi Filippo Calcagno e Gino Pollicardo. Una concomitanza particolare dopo gli scontri tra le milizie di Sabrata e i jihadisti dell’Isis e la notizia della liberazione nella stessa località quasi preannunciata dal presidente del Copasir Marco Minniti nella giornata di giovedì, quando ha assicurato che gli altri due italiani erano “in vita”.

Una concomitanza che ha lasciato scettici alcuni osservatori italiani e la vedova di Failla: “Lo Stato italiano ha fallito: la liberazione dei due ostaggi è stata pagata con il sangue di mio marito”, ha affermato.

Le difficili trattative per il rientro dei due dipendenti della Bonatti

Aldilà delle congetture, i fatti della giornata di sabato 5 marzo sono stati convulsi. Dapprima, con il presidente del Consiglio Renzi che aveva preannunciato il rientro dei due italiani entro la serata. Poi, con il complicarsi del ritorno a casa dei due italiani.

Infatti, il governo italiano aveva inviato a Sabrata, luogo dove i due dipendenti della Bonatti sono stati liberati, due funzionari. Ma le autorità della città, in aperto contrasto con Tripoli, hanno richiesto, e ottenuto, che Filippo Calcagno e Gino Pollicardo venissero prelevati anche dalla delegazioni ufficiale del governo della capitale libica: “Non siamo rispettati come doveroso – ha dichiarato al Corriere della Sera Taher Algribli, uno dei capi militari che partecipato alle operazioni militari contro il Daesh -. Vogliamo delegazioni ufficiali del Ministro degli Esteri libico. Dopotutto, i ragazzi hanno combattuto e sono morti per battere l’Isis”.

Una volta risolta la questione, l’unità di crisi della Farnesina ha dovuto gestire il difficile spostamento di Calcagno e Pollicardo, attesi domenica in Italia dopo essere transitati dalla difficile rotta da Sabrata a Mellitah, per poi essere trasportati in elicottero a Tripoli, da dove un aereo li riporterà a Roma.

Divisioni interne alla Libia

Una questione, quello dello scontro tra Tripoli e Sabrata, a testimonianza delle divisioni interne al tessuto sociale, politico e militare della Libia. Oltre alla crescente radicalizzazione dello Stato Islamico in più zone del Paese, quello che preoccupa gli osservatori internazionali è il contrasto non solo tra i governi di Tripoli e Tobruk, ma anche tra le tante fazioni e tribù locali. Un ostacolo, innanzitutto, alla formazione del governo di unità nazionale caldeggiato dalle Nazioni Unite, giudicato, con ogni probabilità, un corpo estraneo da gran parte della popolazione libica.

Raffreddamento dell’asse Roma-Washington

Oltre ad avere preannunciato il rientro di Calcagno e Pollicardo, Renzi, nella mattinata di sabato 5 marzo, si è rivolto in modo stizzito ai media e, seppur non citandoli, agli Stati Uniti, dopo le pressioni ricevute in merito ad un intervento militare italiano a breve e con un contingente significativo: “I media si affannano ad immaginare scenari di guerra in Libia che non corrispondono alla realtà. Questo non è il tempo delle forzature, ma del buon senso e dell’equilibrio”. E ancora: “Il coinvolgimento militare avverrà assieme a tutti gli alleati, americani compresi”.

Una chiara risposta all’ambasciatore statunitense John R. Philips, che aveva chiesto all’Italia un coinvolgimento attivo nella sempre più papabile azione militare in Libia, ma aveva anche escluso un impiego diretto di forze americane sul campo. E una replica alle pressioni di Francia e Regno Unito, già attive in Libia da qualche settimana.

Le ripercussioni sulla politica interna italiana

Come già accaduto a Hollande a novembre, anche Renzi deve rapportarsi con la popolarità delle scelte del suo governo in materia di politica estera. La scelta di entrare in guerra in Libia, seppur subordinata ad una richiesta del governo di unità nazionale, potrebbe portare ripercussioni sulla tenuta dell’esecutivo.

Ci sono tre ragioni a testimoniarlo. Il primo, la modalità d’intervento in Libia: ovvero, se a pieno regime o se solo come supporto agli alleati e alle forze di sicurezza locali. Il secondo, già intravisto negli effetti con la notizia della scomparsa dei due dipendenti della Bonatti: le ripercussioni della morte di soldati italiani inviati sul campo di battaglia. Il terzo, le Amministrative alle porte.

In definitiva, sul piano internazionale, oltre ad aspettare la formazione del governo d’unità nazionale libico, gli Stati Uniti vogliono accertarsi che l’Italia assuma il ruolo guida nell’operazione militare in Libia.

D’altro canto, questo contesto s’intreccia con il piano nazionale, dove dalla partita libica dipendono le sorti del governo Renzi.
Giacomo Pratali

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Libya: Rome, two Italian hostages killed

BreakingNews @en/Europe di

“In connection to the circulation of several images of the victims, apparently Westerners, of a shootout in Libya’s Sabratha region, the Farnesina informs that from the images, albeit in the absence of bodies, it could be possible to identify two of the four Italians who worked for the Bonatti construction company and who were kidnapped in July 2015.  More specifically, the images could be of Fausto Piano and Salvatore Failla. The Farnesina has already informed the families. However, despite efforts to verify the news, confirmation thereof is made difficult due to the absence of the bodies ”. On March 3, Italian Ministry of Foreign Affairs Thursday confirmed that Fausto Piano, 61, and Salvatore Failla, 47, were killed in Libya. While the other two Italian coworker kidnapped last July, Filippo Calcagno and Gino Pollicardo, “are still alive “, as reported by the president of Copasir Marco Minniti.

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News item

On March 3, Fausto Piano and Salvatore Failla were probably killed during a shoot-out near Sabratha between Tripoli’s security forces, led by Fajr Libya, and an ISIS brigade. According to local sources, the two Italians would be hit while they were traveling aboard a jihadist convoy.

Images on web and the statement of Italian government certified their kill. But there are two doubts. The first one is about the kidnapping of July 20, 2015 because the four Bonatti employeers returned to their home not by sea, but by car. An unusual choice seeing that Eni and Bonatti workers generally choose the first option.

The second one is about imprisonment during the following months, when a claim never arrived. Even until late February, local sources excluded ISIS responsibility. But what happened last Wednesday showed the opposite because jihadists used the two Italians as a shield. While men Fajr Libya were not aware that in Daesh convoy were present Fausto Piano and Salvatore Failla.
Giacomo Pratali

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Libia: Farnesina conferma morte dei 2 italiani

BreakingNews/EUROPA di

“Relativamente alla diffusione di alcune immagini di vittime di sparatoria nella regione di Sabrata in Libia, apparentemente riconducibili a occidentali, la Farnesina informa che da tali immagini e tuttora in assenza della disponibilità dei corpi, potrebbe trattarsi di due dei quattro italiani, dipendenti della società di costruzioni “Bonatti”, rapiti nel luglio 2015 e precisamente di Fausto Piano e Salvatore Failla. Al riguardo la Farnesina ha già informato i familiari. Sono in corso verifiche rese difficili, come detto, dalla non disponibilità dei corpi”. Questa la nota di giovedì 3 marzo del Ministero degli Esteri che conferma l’indiscrezione sulla morte degli italiani Fausto Piano, 61, e Salvatore Failla, 47. Mentre gli altri due compagni connazionali, Filippo Calcagno e Gino Pollicardo, rapiti anch’essi nel luglio scorso, “sono ancora vivi”, come riferito dal presidente del Copasir Marco Minniti.

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Le circostanze della morte

Mercoledì 2 aprile, Fausto Piano e Salvatore Failla sarebbero rimasti vittima di uno scontro a fuoco nei pressi di Sabrata tra le forze di sicurezza di Tripoli, guidate da Fajr Libya, e un gruppo di miliziani dell’ISIS. Secondo le fonti locali, i due italiani sarebbero stati colpiti mentre viaggiavano a bordo di un convoglio jihadista.

Le conferme video arrivate su Facebook e il comunicato della Farnesina non lasciano spazi a dubbi sulla morte dei due italiani. Dubbi, invece, che rimangono sin dagli albori dell’intera vicenda, a cominciare proprio dal rapimento del 20 luglio 2015. Infatti, al momento dell’assalto, i quattro dipendenti della Benetti stavano tornando a casa dalla Libia in Tunisia a bordo di un’autovettura, mentre solitamente i dipendenti di Eni e della stessa Benetti, per lo stesso viaggio, utilizzano un’imbarcazione marittima.

Non solo. Anche i mesi successivi sono avvolti in un alone di mistero. Se negli ultimi tre mesi già si sapeva della separazione dei quattro rapiti, meno si sapeva invece su chi li tenesse prigionieri, visto che una rivendicazione non è mai arrivata. Addirittura, fino a fine febbraio, era stato esclusa la pista ISIS.

Circostanza di fatto smentita con lo scontro a fuoco dove, molto probabilmente, i jihadisti hanno utilizzato i due italiani come scudo. Mentre gli uomini di Fajr Libya non erano al corrente che nel convoglio della brigata dello Stato Islamico fossero presenti i due dipendenti della Bonatti.

 

Giacomo Pratali

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Libya, US: new Iraq on the horizon?

BreakingNews @en di

Yesterday Tobruk parliament once again postponed voting on new government until February 29. Meanwhile, the US and its European partners are thinking about a military intervention without Libyan approval: Islamic State’s stabilization and about 6,000 enlisted were changing Libya in the new Iraq.

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During February, several news about the US, UK and France landing at Libya were been reported by international press. The last one is about France which, as written by Le Monde, should have send about 180 soldiers against Daesh.

Even United States is preparing a military plan. After agreement with Italian government, which allowed US drones to fly out for attacks on Daesh, Barack Obama is pressing not only Libyan factions to ratify national unity government, but also Rome to play an active role in an always more probably military intervention in Libya.

The risk is especially one: repeating the same mistake of 2011. But the hesitation of Libyan House of Representatives could cause a plan B. A scenario which could exclude the Italian leadership in international operation and unpopular with al-Sarraj government and the majority of population. Indeed, they would want a military training and assistance from foreign countries.

If United States and its partners decided to intervene without new government approval, Islamic State could increase its popularity among foreign fighters and Libyan people because the war could become a war between Islam and West.

Beyond these doubts, Obama’s political consultants push to immediately go in Libya, as reported by Washington Post. Indeed, Libya is becoming new Daesh headquarters, where always more jihadists are enlisting them. In this way, it could repeat the same context of Iraq in 2014, when the White House didn’t intervene until the next 18 months and Islamic State strengthened its positions.
Giacomo Pratali

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Geopolitical Hot Spots

BreakingNews @en di

The main news from the world between January and the beginning of February.

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Somalia
Strike and counterstrike between government forces (supported by United Nations) and the al Shabaab militants. Saturday, February 6 jihadists conquered the city of Merca, one of the largest ports in the country, 70 kilometers from Mogadishu. But the reply was not long in coming. The next day, army reconquered the town.

Pakistan
At least 10 people and about 40 injured in an explosive attack in Quetta, where the Frontier Corps convoy was hit. The action was claimed by TTP.

Mali
2 terrorists killed as response to an attack by a jihadist group against a UN base in Timbuktu. The action was not still claimed.

Egitto
The body of Giulio Regeni, 28, PhD student, returned to Italy, after its corpse was found dead in Egypt on February 3. Local police told about an incident, but Italian investigators didn’t believe this it. Indeed, body had several signs of violence. Suspects are now concentrated on local police, which should have kidnap and torture Regeni because of his contacts with rebel organizations.

Army killed two suspected Islamic rebels during clashes in the center of Cairo on February 3.

Yemen
It does not stop the violence in Yemen. They would be at least 30 killed following clashes between army, primarily supported by Saudi Arabia, and Houtii Shiite rebels about 60 kilometers from Sanaa, one of the epicenters of the war involving the Arab country in recent months. According to the latest UN data, about 6,000 people were killed by the Saudi bombings since March 2015.

Afghanistan
Had Taliban origin terrorist action took place in the center of Kabul at the beginning of February. A suicide bomber exploded near a police station, killing 20 people and injuring at least 30. The victims were both civilian and police.

Lebanon
Payback between two opposing Islamic factions, protagonists of the Syrian civil war. On Monday 1 February, ISIS and the Nusra Front militants fought near Arsal, in the North-East of the country. About 20 killed.

Nigeria

Boko Haram still continues its actions and crimes. As the killing of 4 civilians following an attack on two villages in Borno State. But, above all, the raid on January 30, where jihadists set on fire the village of Dalori. 85 killed, inclunding women and children found charred.

 

Giacomo Pratali

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Regeni: Egyptian government hides the truth

BreakingNews @en di

Giulio Regeni murder mystery is continuing. The admission from three sources of Egyptian intelligence, that the 28 year old was arrested for his impertinent behavior and, above all, because he was suspected of being a spy due to his relationship with the Muslim Brotherhood and the Left Movement April 6, were denied today by the Egyptian Ministry of Interior which, on Mena news agency, repudiated “that Italian student was arrested before he was found dead on the outskirts of Cairo.”

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First of all, reliable data. The autopsy showed signs of torture on Regeni’s body, including seven broken ribs and signs of electrocution on genital area.

But, in the past 48 hours, it emerged a dichotomy between what is reported by international media as New York Times and Reuters and as Italian Corriere della Sera and Repubblica, and the Egyptian authorities interpretation. Beyond the denial, there is an ongoing attempt to deflect investigations.

Some witnesses, believed to be reliable at first, now clash with intelligence sources commentaries, separately and anonymously interviewed by New York Times, and with surveillance cameras which should have recorded the arrest on January 25.

As revealed by the three witnesses of the intelligence, Regeni’s growing interest about the Egyptian trade unions, opposed by President Al Sisi, would have persuaded local authorities to think that the Italian Ph.D was a spy.

According to Corriere della Sera, last December the University of Cambridge, near which was Regeni graduate student, would have asked him to step up research within trade unions and opposition movements. For this reason, the last weeks of his life should be marked by the attendance at meetings of such movements and the knowledge of trade union and Muslim Brotherhood members.

But what did really happen on January 25? Regeni’s Facebook chat denied that he was arrested by two policemen. Here, the Ph.D talks to his girlfriend and his professor after two hours compared with some witnesses report.

It’s evident that Regeni’s contacts have made the Egyptian intelligence suspicious before January 25, the day of his disappearance.
Giacomo Pratali

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Regeni e il depistaggio del governo egiziano

Continua ad infittirsi il giallo legato alla morte del ricercatore italiano Giulio Regeni. L’ammissione da parte di tre fonti di intelligence egiziane, secondo cui il 28enne sarebbe stato arrestato per il suo comportamento impertinente nei confronti delle forze dell’ordine e, soprattutto, perché sospettato di essere una spia a causa dei suoi contatti con la Fratellanza Musulmana e il Movimento di Sinistra 6 Aprile, sono state smentite il 15 febbraio dal Ministero dell’Interno de Il Cairo che tramite, l’agenzia stampa Mena, nega “che il ragazzo sia stato imprigionato dall’autorità di sicurezza prima della sua morte”.

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Innanzitutto, i dati certi. L’autopsia ha evidenziato segni di tortura sul corpo di Regeni, tra cui sette costole rotte e scosse ai genitali.

Ma quello che è emerso nelle ultime 48 ore è una dicotomia tra quanto riportato dalle testate internazionali come New York Times e Reuters e italiane come Corriere della Sera e La Repubblica, e dalle autorità egiziane. Aldilà della smentita da parte del governo, è chiaro che in atto ci sia un tentativo di sviare le indagini.

Oltre a non chiarire le circostanze della scomparsa di Regeni, alcune testimonianze, ritenute attendibili in un primo momento, cozzano con quanto riferito sia dalle stesse fonti dell’intelligence, intervistate separatamente e in forma anonima dal New York Times, sia dalle riprese delle telecamere dei negozi che avrebbero ripreso l’arresto del 25 gennaio scorso.

Come rivelato dai tre testimoni dei servizi, l’interesse crescente di Giulio nei confronti delle attività sindacali egiziane, osteggiate dal presidente Al Sisi, avrebbero indotto le autorità locali a pensare che il ricercatore italiano fosse una spia.

Insomma, egli sarebbe finito in un affare più grande di lui. Secondo il Corriere della Sera, nel mese di dicembre, l’Università di Cambridge, presso la quale Regeni era dottorando, avrebbe chiesto allo studente di intensificare le ricerche all’interno del sindacato e dei movimenti di opposizione al regime di Al Sisi. Per questo motivo, le ultime settimane di vita del ragazzo sarebbero state contraddistinte dalla partecipazioni alle riunioni di tali movimenti e alla conoscenza di personalità sia sindacali sia appartenenti alla Fratellanza Musulmana.

Questo il movente che ha probabilmente generato, nelle autorità egiziane, il sospetto che Regeni fosse una spia: “Dopotutto, chi viene in Egitto a studiare i movimenti sindacali?” ha rivelato un funzionario dell’intelligence.

In più, gli eventi strettamente legati alle ore che hanno riguardato la scomparsa dell’italiano. Come già scritto, alcune testimonianze, ritenute inizialmente credibili, secondo cui Regeni sarebbe stato portato via da due poliziotti, sono state smentite dalla chat di Facebook risalenti proprio al 25 gennaio. Qui, il ragazzo parla alla fidanzata e al professore due ore dopo la presunta cattura da parte della polizia.

Una cattura che probabilmente è avvenuta. Ma legata a tempistiche e a protagonisti differenti. E, soprattutto, con uno stile di vita che, con ogni probabilità, aveva messo i servizi segreti egiziani sulle tracce di Giulio Regeni ben prima del 25 gennaio, giorno della sua scomparsa.
Giacomo Pratali

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Libia: nuovo quartier generale del Daesh?

Medio oriente – Africa di

La lente d’ingrandimento puntata sulla Siria, divenuto terreno di scontro della rediviva guerra fredda tra USA e Russia, sta facendo il gioco dello Stato Islamico in Libia. Mentre Turchia e Arabia Saudita preparano l’intervento di terra in Medio Oriente, il quartier generale del Daesh si sta spostando. A dirlo, sono i numeri.

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Secondo le ultime rilevazioni statistiche, ci sarebbe un’inversione di tendenza rispetto al numero di militanti presenti in Siria e Iraq e in Libia. Nel primo caso, le stime parlano di 15-25 presenze, con un calo di 20-30 mila rispetto alle ultime variazioni. Nel secondo caso, invece, il numero totale, 5-6 mila, è ancora inferiore, ma l’aumento nell’ultimo anno si è aggirato attorno ai 2-3 mila.

Molteplici i possibili fattori dovuti a questa inversione di tendenza. Primo fra tutti i caduti di guerra a seguito dei raid nel Paese retto da Assad. Morti che hanno probabilmente causato diserzioni e la conseguente scelta, da parte dei foreign fighters di una meta meno a rischio, per il momento, come la Libia.

Numeri che portano a due riflessioni. Come rilanciato da molti analisti, la crescita numerica dell’Isis in Libia non avrà particolari ripercussioni sui possibili futuri attacchi terroristici in Europa. Quella attraverso la Siria rimane una rotta più sicura non solo per i rifugiati, ma anche per gli stessi jihadisti. E difficilmente i vertici del Califfato rischieranno i loro uomini addestrati attraverso la rotta meno sicura per raggiungere l’Europa, cioè quella attraverso il Mediterraneo meridionale.

Discorso contrario, invece, per quanto riguarda la radicalizzazione stessa del Califfato. I riflettori della comunità internazionale puntati sulla Siria, uniti alla cronica lentezza di un governo di unità nazionale a Tripoli, stanno rendendo la Libia la nuova roccaforte dello jihadismo.

A Sirte, dove ha sede il quartier generale. A Bengasi e in altri centri metropolitani del Paese, dove il Daesh, così come fatto in Siria e Iraq, sta concentrando le proprie forze.

I continui appelli lanciati nelle ultime settimane dalle varie autorità italiane affinché si formi al più presto un nuovo governo, sembrano essere caduti nel vuoto, al netto dell’apparente interesse mostrato, ad esempio, dal segretario di Stato USA John Kerry. Un interesse che, invece, dovrebbe essere reale.
Giacomo Pratali

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Nigeria: su Boko Haram ottimismo fuori luogo

Medio oriente – Africa di

L’ottimismo manifestato dal presidente Muhammadu Buhari dopo alcune vittorie riportate dall’esercito nigeriano contro Boko Haram stride con la realtà. Le atrocità nel villaggio di Dalori, dove l’incendio appiccato dai jihadisti ha provocato la morte di circa 90 persone, compresi bambini, e il recente raid a bordo di una motocicletta sempre in un villaggio dello Stato del Borno, dove sono morte 3 persone, segnalano che la guerra nel Nord-Est del Paese non è ancora finita.

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È vero, dall’avvento del presidente Buhari nel 2015, la lotta a Boko Haram, in collaborazione con Camerun e Ciad, ha portato ad alcune battaglie vinte. L’attuale Capo di Stato infatti, a differenza del suo predecessore, il cristiano Jonathan Goodluck, viene proprio dal Nord della Nigeria ed è musulmano: fattori positivi nella lotta all’organizzazione fondamentalista.

Ma ben altri sono gli aspetti negativi. Alle vittorie e ai conseguenti, e momentanei, arretramenti di Boko Haram, non ha fatto seguito un’avanzata della Nigeria come Stato. Ovvero, a causa della mancanza di fondi, è venuta meno quella ricostruzione di case, scuole e chiese che si sarebbe potuto tradurre in una, seppur lenta, ricostruzione del tessuto sociale dello Stato del Borno.

A questo, si aggiunge l’eterna contrapposizione tra il Sud, cristiano, più ricco e sviluppato; e il Nord, musulmano, più povero e con meno infrastrutture. Una contrapposizione acuita dalle accuse fatte dalla popolazione del Nord-Est all’esercito nigeriano, accusato di rappresaglie e violazione dei diritti umani contro i civili mentre era impegnato a dare la caccia a Boko Haram.

Un malcontento su cui Boko Haram, sulla scia di quanto fatto dallo Stato Islamico in Siria e Iraq, ha fatto e fa leva per reclutare persone.

Non solo. L’ottimismo di Buhari, professato anche nel corso dell’incontro con il primo ministro italiano Renzi ad inizio febbraio, è rivelatore di una sottovalutazione dell’avversario. Un avversario che ha adottato una tattica ben precisa negli ultimi mesi. Scomparire quando è in difficoltà per poi riapparire quando le condizioni lo consentono e utilizzare con minor frequenza l’arma degli attacchi suicidi a favore dei raid.

Il tatticismo di Boko Haram unito alla ormai pluriennale guerra contro lo Stato nigeriano ci raccontano di una guerra in tutto e per tutto. Per questo motivo, alcune battaglie vinte dall’esercito, come scritto dal Financial Times, non possono fare pensare alla risoluzione del conflitto.

A testimonianza di questo, in un’intervista di Vicenews apparsa sulla HBO, un comandante di Boko Haram, rimasto anonimo, ha affermato: “Io sono dove sono le studentesse rapite nell’aprile 2015. Vuoi sapere dove si trovano? Esse non sono con noi. Se otterremo ciò che chiediamo, verranno rilasciate”. Parole di sfide, parole che chiariscono che è Boko Haram ad avere ancora il coltello dalla parte del manico nella guerra contro la Nigeria.
Giacomo Pratali

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Nigeria: Boko Haram is alive and kicking

Senza categoria di

President Muhammadu Buhari’s optimism after a few victories against Boko Haram rebels is not realistic. Atrocities in the village of Dalori, where jihadists set fire causing about 90 killed, including children, and the recent attack on a hamlet in Borno State, where three people died, report that the war in the North-East of the country is not over yet.

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Since his assignment in 2015, Buhari, in collaboration with Cameroon and Chad, defeated several times Boko Haram troops. Indeed, unlike his predecessor, the Christian Jonathan Goodluck, he’s Muslim and comes from northern Nigeria: so, it’s a crucial factor in the fight against Islamist organization.

However, there are many negative causes. These victories did not go with an improvement of Nigeria as State. Because of lack of funds, the homes, schools and churches restoration didn’t happen. Consequently, the reconstruction of social fabric failed.

All this in a context of permanent opposition between the South, Christian, richer and more developed; and the North, Muslim, poorer and with less infrastructure. A contrast worsened in the last year by the charges of human rights abuses against civilians to Nigerian army, while it was hunting down Boko Haram in Borno State.

A discontent used by Boko Haram, as Islamic State in Syria and Iraq, to recruit people.

Buhari’s optimism discloses an underestimation of the opponent. An opponent which took a specify military tactic in recent months. It disappears when it has difficulties and reappears when conditions allow. And it resorts more to raids than suicide attacks.

The tactics of Boko Haram combined with now long-standing war against the Nigerian state tell us about a real war. For this reason, as written by Financial Times, a few victories do not mean the end of this war.

As evidence of this, in an interview Vicenews on HBO, a Boko Haram commander told about more than 200 Chibok girls abducted on April 15, 2014: “I know where they are. You want to know where they are? They are not with us. If we can get what we want, we know where they are, we will get them.” Challenging words which explain how Boko Haram is alive and kicking.
Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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