GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

Author

Barbara Pisciotta

Barbara Pisciotta has 2 articles published.

The realistic lesson about Ukrainian crisis

Europe di

Minsk negotiations on February 12th, welcomed by European and Us diplomacies as a necessary first step towards the solution to the crisis in Ukraine, have exposed the fragile agreement upon which the fate of future East-West relations should stand. The long line of “fault” that crosses Europe and divides Ukraine into two opposing fronts, Western and Ortodox, is very obvious because it keeps on claiming many victims and because all the history of the country speaks about discords and clashes. Following independence from the Soviet Union, a century-old complicated integration between Western culture and Slavic culture represented an insurmountable obstacle to forming a nation. Also Ukraine does not have a state anymore.

In the light of prospective for Ukraine and relations between US, EU and Russia, a correct interpretation of Minsk Protocol has to consider the nation failure and the present difficulties of the Ukrainian leadership to maintain the State integrity. Arising from an agreement already signed in September, the outcome of the lengthy negotiations consisted in temporarily limiting the violence and not eliminating it, as confirmed by the latest news from the eastern front of Donetsk and Mariupol. Despite the agreements that were supposed to lead to the cease-fire, the release of prisoners, the withdrawal of heavy weapons and all foreign troops and mercenaries from the Ukrainian soil, at this time the Osce, that according to the second part of the document should have supervised the withdrawal of heavy weapons with the support of the parties involved, has not yet had access to the airport of Donetsk area, controlled by pro-Russian separatists.

On a strategic level, the most significant gaps or ambiguities especially concern paragraphs 9 and 11 of the Protocol that talks about: “restoring the control of the Ukrainian government on the whole conflict zone”, “and the coming into effect, by the end of 2015, of a new constitution whose key element is decentralisation” and also “the approval of a permanent legislation on the future status of particular districts of Donetsk and Lugansk”.

At the moment, the full restoration of state borders by the Ukrainian government is at least uncertain: as is known, the deal is tactfully silent on the previous annexation of Crimea by Putin. West and Russia will have to reshape the new geopolitical Europe map starting from this silence. In front of the threat of democratic Ukraine pro-Eu and pro-Nato, Moscow has played an effective preventive action safeguarding its strategic interests in the area and maintaining control of the military bases located in the Black Sea. As Angelo Panebianco rightly pointed out on Il Corriere della Sera, the weak Western answer not only is dangerous in terms of stabilizing this field, but it may even facilitate all pro-Russian claims from Baltic States to Belarus.

A prior agreement between Brussels, Washington and Moscow on the strategic location of Ukraine will be essential for getting to territorial and political divisions of the country. If Ukraine were divided into two parts, pro-Western and pro-Russian both parts could go their own way, although this would represent a terrible defeat for Kiev. Therefore, it’s clear that the given hint for a federal solution in Minsk requires further efforts to be really practicable. Overlooking Crimea, what would Ukraine international position be? If it were really democratic, could it join Eu and Nato? Will it be able to manage its economic and energy dependence from Moscow?

These questions are essential to prevent to further alienate US and EU from Russia. Putin is still perceiving this separation considering constant warnings against the NATO enlargement and the Western support to Ukrainian democratic movements (e.g. The Orange Revolution). The 21st century paradox, referring to John Mearsheimer, is that the Western elite believes that the realistic logic can be replaced with the liberal principles of the rule of law, economic interdependence and democracy to bring freedom and security in Europe. However, the realistic logic does not necessarily imply the use of force. In reverse, it always needs a suitable balancing of interests and resources to avoid it. Just what has been missing so far.

Barbara Pisciotta is Associate Professor of Political Science at the Department of Political Sciences of Roma Tre University , where she teaches International Relations and International Politics. She wrote three books and numerous essays on the internal and international aspects of democratization of the Eastern Europe countries.

La lezione realista sulla crisi ucraina

EUROPA di

I negoziati di Minsk del 12 febbraio scorso, accolti dalla diplomazia europea e statunitense come un primo passo indispensabile verso l’auspicata soluzione della crisi ucraina, hanno messo a nudo il fragile accordo sul quale dovrebbero reggersi le sorti delle future relazioni est-ovest. Difficilmente la lunga linea di “faglia” che attraversa l’Europa e divide l’Ucraina in due fronti contrapposti, uno occidentale e uno ortodosso, avrebbe potuto essere più evidente. E non solo perché, ancora oggi, continua a grondare di sangue, ma perché è la storia stessa del paese a rimarcare le divisioni e i conflitti che lo hanno a lungo forgiato. Se da un lato secoli di difficile integrazione tra cultura occidentale e cultura slava hanno rappresentato, in seguito all’indipendenza dall’Unione Sovietica, un ostacolo insormontabile alla costruzione della nazione, dall’altro va rilevato come oggi, purtroppo, in Ucraina non esista più nemmeno lo Stato.

Per questi motivi, una corretta interpretazione degli accordi di Minsk, alla luce dei possibili scenari che si aprono per il paese e per i rapporti tra Usa, Ue e Russia, non può che passare per la constatazione del consumato fallimento della nazione e della attuale difficoltà della leadership ucraina a mantenere l’integrità dello Stato. L’esito del lungo e laborioso negoziato, che di fatto ha ripreso le coordinate generali dell’accordo già stilato a settembre, limitandosi ad entrare più in dettaglio su alcuni punti nevralgici, è stato quello di limitare temporaneamente la violenza e non di eliminarla, come confermano le ultime notizie dal fronte orientale di Donetsk e Mariupol. Nonostante gli accordi contemplassero almeno la fissazione del cessate-il-fuoco, la liberazione dei prigionieri, il ritiro delle armi pesanti e di tutte le truppe straniere e mercenarie dal suolo ucraino, allo stato attuale l’Osce, che secondo il punto 2 del documento avrebbe dovuto supervisionare con il sostegno delle parti interessate il processo di ritiro delle armi pesanti, non ha ancora avuto accesso alla zona dell’aeroporto di Donetsk, controllata dai separatisti filo-russi.

Sul piano strategico, le lacune, o se vogliamo le ambiguità più rilevanti, riguardano soprattutto i punti 9 e 11 dell’accordo, dove si parla rispettivamente di «ripristino del pieno controllo sui confini statali da parte del governo dell’Ucraina in tutta la zona del conflitto» e dell’entrata in vigore, entro il 2015, di «una nuova costituzione che abbia come elemento chiave una decentralizzazione», nonché l’approvazione di «una legislazione permanente sul futuro status di singole zone delle regioni di Donetsk e Lugansk».

Al momento, sul ripristino del pieno controllo dei confini statali da parte del governo ucraino è quanto mai lecito dubitare: come è noto, l’accordo tace diplomaticamente sulla pregressa annessione della Crimea da parte di Putin. Ed è proprio su questo silenzio che l’Occidente e la Russia, più o meno consapevolmente, dovranno ridisegnare la nuova mappa geopolitica dell’Europa. Mosca, infatti, ha per ora fornito un’efficace azione preventiva dinanzi allo spettro di un’Ucraina democratica e integrata nell’Ue e nella NATO, salvaguardando i propri interessi strategici nell’area e mantenendo il controllo delle basi militari dislocate sul Mar Nero. La fiacca risposta occidentale, come ha giustamente sottolineato Angelo Panebianco sulle pagine de Il Corriere della Sera, non solo ha aperto una crepa pericolosissima sulle prospettive di stabilizzazione dell’area, ma rischia addirittura di costituire il propellente ideale per tutte le rivendicazioni separatiste delle minoranze filo-russe dalla Bielorussia al Baltico.

Ne consegue che la ricostruzione del futuro assetto territoriale e politico dell’Ucraina non potrà assolutamente prescindere da un accordo preventivo tra Bruxelles, Washington e Mosca sulla collocazione strategica del paese. Se l’ipotesi di una divisione dell’Ucraina in due entità distinte, una filo-occidentale e una filo-russa, pur rappresentando una gravissima sconfitta per Kiev e i suoi alleati, potrebbe consentire ad entrambe le parti di seguire il proprio destino, è evidente che la soluzione federale, timidamente abbozzata a Minsk, necessiti di sforzi ulteriori per essere davvero praticabile. Anche chiudendo un occhio sulla Crimea e presupponendo, ottimisticamente, che si riesca a trovare un compromesso sullo status delle regioni orientali nell’ambito di un assetto federale, resta ancora da sciogliere il nodo dell’allineamento internazionale dell’Ucraina. Qualora dovesse eleggere democraticamente i propri rappresentanti, potrà entrare nell’Unione Europea e nella NATO? Sarà in grado di far fronte alla sua dipendenza economica ed energetica da Mosca?

Qualsiasi tentativo di eludere queste domande rischia di porre un altro mattone sul muro che già separa gli Stati Uniti e l’Europa dalla Russia. Il fatto che Putin continui a percepire questo muro come qualcosa di estremamente reale è confermato dai ripetuti avvertimenti lanciati contro l’allargamento della NATO e il sostegno occidentale ai movimenti democratici ucraini a partire dalla Rivoluzione arancione. Alla fine, la risposta russa è giunta. Il paradosso, se davvero può definirsi tale, sta nelle divisioni e nelle incertezze europee, nel discontinuo impegno americano, nella scarsa lungimiranza delle élites occidentali, le quali, parafrasando John Mearsheimer, nel XXI secolo ritengono di poter soppiantare la logica realista con i principi liberali dello stato di diritto, dell’interdipendenza economica e della democrazia per espandere la libertà e la sicurezza in Europa. Tuttavia, la logica realista non implica necessariamente il ricorso alla forza. Al contrario, presuppone sempre un’adeguata ponderazione degli interessi e delle risorse in campo per evitarla. Esattamente quello che, finora, è mancato.

 

Barbara Pisciotta è professore associato di Scienza politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre, dove insegna Relazioni internazionali e Politica internazionale. E’ autrice di tre volumi e numerosi saggi sugli aspetti interni e internazionali della democratizzazione dei paesi dell’Europa dell’Est.

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