Una tregua attesa da oltre due anni: firmata in Egitto la “prima fase” del piano Trump per Gaza. Previsti il rilascio degli ostaggi, la liberazione di prigionieri palestinesi e il ritiro graduale delle forze israeliane dalla Striscia. Restano nodi aperti su disarmo e governance post-bellica. Dopo oltre due anni di guerra, bombardamenti e tensioni ininterrotte seguite all’attacco del 7 ottobre 2023, una svolta diplomatica sembra profilarsi nel conflitto israelo-palestinese: Hamas e Israele hanno siglato al Cairo un’intesa preliminare, corrispondente alla “prima fase” del piano in 20 punti proposto dal presidente statunitense Donald Trump per una pace duratura a Gaza.
La notizia è stata confermata da fonti ufficiali israeliane ed è stata accolta con cauto ottimismo dalle cancellerie internazionali. Il documento firmato, la cui stesura finale è avvenuta in Egitto dopo tre giorni di colloqui serrati, rappresenta un primo passo concreto verso un cessate il fuoco e l’inizio di un complesso percorso negoziale su temi ancora altamente divisivi.
I contenuti dell’accordo: ostaggi, ritiro e prigionieri
Secondo quanto riferito dalla portavoce dell’ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu, Tal Heinrich, il piano prevede il rilascio degli ostaggi israeliani ancora detenuti nella Striscia – si stima che dei 48 sequestrati ne siano sopravvissuti circa 20 – entro 72 ore dal completamento del primo ritiro parziale dell’IDF (le Forze di Difesa Israeliane), che dovrebbe includere l’evacuazione da Gaza City.
Il cessate il fuoco entrerà in vigore entro 24 ore dalla ratifica dell’accordo da parte del governo israeliano, la cui riunione è prevista per oggi alle 17:00 (ora italiana). In parallelo, verrà attivata una finestra di tre giorni in cui Hamas dovrà procedere al rilascio degli ostaggi “con rispetto”, evitando esposizioni mediatiche. I principali ospedali israeliani sono stati già allertati per garantire l’assistenza sanitaria al loro rientro.
L’intesa prevede anche la liberazione di numerosi detenuti palestinesi in cambio: tra questi vi sarebbero 250 ergastolani e circa 1.700 arrestati dopo l’attacco del 7 ottobre. Tuttavia, restano controversie sull’identità dei prigionieri: secondo fonti israeliane, Marwan Barghouti e Ahmed Saadat – figure simbolo della lotta palestinese – non rientrerebbero nell’accordo, ma alcune fonti arabe riferiscono che il loro rilascio sarebbe stato invece accettato da Israele.
Le reazioni: Hamas pronto a un “dialogo completo”
Da parte sua, Hamas ha dichiarato di voler partecipare a un “dialogo completo” su tutti i punti del piano Trump, sottolineando la necessità di un consenso palestinese ampio e rappresentativo. “Qualsiasi decisione deve esprimere una posizione unitaria e includere tutte le fazioni, le élite e il popolo”, ha affermato il gruppo, evidenziando come la tenacia della popolazione gazawi e i sacrifici della resistenza abbiano mantenuto viva la speranza di uno Stato palestinese libero e giusto.
Tuttavia, la questione del disarmo di Hamas – richiesta esplicita sia da Israele che dagli Stati Uniti – resta irrisolta. Il portavoce del gruppo, Hazem Qassem, ha chiarito ad Al Jazeera che l’argomento “non è stato affrontato nei colloqui” e ha ribadito la legittimità delle armi della resistenza “per difendere il nostro popolo”.
La telefonata tra Trump e Netanyahu: “Un traguardo storico”
A suggellare l’importanza del momento è stata una telefonata tra il premier Netanyahu e Donald Trump, definita “emozionante e calorosa” da Shosh Bedrosian, portavoce del governo israeliano. “Il primo ministro ha ringraziato il presidente Trump per il suo impegno di leadership globale” confermando che senza l’intervento diretto dell’amministrazione americana questo accordo non sarebbe stato possibile.
La presenza di Trump nella regione – attesa nei prossimi giorni con tappe in Egitto e Israele – mira a rafforzare il processo di pace in corso, rilanciando la centralità diplomatica degli Stati Uniti nel Medio Oriente.
Prossimi passi e nodi irrisolti
Nonostante l’accordo rappresenti una significativa apertura, numerosi aspetti rimangono sospesi. Tra i più delicati:
- Il destino politico della Striscia di Gaza dopo il conflitto,
- Il ruolo futuro di Hamas nella governance,
- Le modalità del disarmo o della riconversione della milizia,
- La gestione della crisi umanitaria che affligge ancora milioni di civili gazawi.
Una task force internazionale – composta da Israele, Stati Uniti, Egitto, Qatar e Turchia – si occuperà inoltre di localizzare i resti degli ostaggi deceduti, una delle questioni più dolorose e simboliche ancora aperte.
Conclusione
Il fragile equilibrio raggiunto in queste ore potrebbe rappresentare l’inizio di un nuovo corso nel conflitto israelo-palestinese, ma molto dipenderà dalla volontà politica di affrontare i temi strutturali del conflitto: sicurezza, autodeterminazione, giustizia e futuro della Striscia. La diplomazia ha aperto un varco; resta da vedere se le parti sapranno trasformarlo in una strada percorribile verso la pace.
