Il leader del partito ANO torna al centro della scena politica ceca con una vittoria elettorale che segna il suo rilancio, ma le ombre giudiziarie, i conflitti d’interesse legati al colosso Agrofert e la sua posizione euroscettica e filoungherese continuano a minarne la credibilità. A due anni dalla sconfitta presidenziale, Andrej Babiš è tornato al centro della scena politica ceca con una vittoria che, sebbene netta nei numeri, appare fragile nella sostanza. Il suo partito ANO ha ottenuto il 34,5% dei voti e 80 seggi su 200 nelle elezioni parlamentari del 3-4 ottobre, conquistando la leadership dell’Assemblea ma senza una maggioranza autonoma. L’ex premier e miliardario, già protagonista di un decennio di dominio politico, è ora impegnato in difficili trattative per la formazione di un governo con partiti minori come Freedom and Direct Democracy (SPD) e il movimento dei Motorists (AUTO).
Il presidente della Repubblica, Petr Pavel, ha però posto un limite netto: non nominerà un esecutivo che comprometta la linea pro-europea e pro-NATO del Paese. Un avvertimento chiaro all’indirizzo di Babiš, che in campagna elettorale ha criticato apertamente gli aiuti militari a Kiev, definendoli “costosi, opachi e inefficaci”, e invocando un maggiore controllo sull’impiego dei fondi europei destinati all’Ucraina (Reuters).
Una vittoria con fragilità strutturali
Dietro i toni trionfalistici della notte elettorale, gli analisti parlano di “vittoria pirotecnica”: ANO è il primo partito, ma le possibilità di costruire una coalizione stabile restano limitate.
Come sottolinea il Financial Times, il ritorno del miliardario populista somiglia più a una “resurrezione tattica” che a una riconquista definitiva del potere (FT). Il peso del suo passato politico e giudiziario continua infatti a condizionare la percezione pubblica e la disponibilità dei potenziali partner ad allearsi con lui.
Dall’euroscetticismo al blocco “Patrioti per l’Europa”
L’orientamento geopolitico di Babiš ha subito una progressiva radicalizzazione. Negli ultimi due anni il leader ceco ha avvicinato le proprie posizioni a quelle del premier ungherese Viktor Orbán, condividendo con lui un’agenda sovranista e scettica nei confronti di Bruxelles.
Nel 2024, il partito ANO, insieme al Fidesz di Orbán e al FPÖ austriaco, ha co-fondato il gruppo “Patrioti per l’Europa” al Parlamento europeo, una nuova formazione che raccoglie le principali forze populiste e conservatrici dell’Europa centrale.
Questa alleanza segna una chiara distanza dal Partito Popolare Europeo (PPE), con cui ANO aveva in passato intrattenuto rapporti ambigui. Il nuovo gruppo si propone come alternativa “identitaria e pragmatica” al blocco liberale e progressista di Bruxelles, promuovendo una visione sovranista dell’Unione, meno vincolata agli impegni militari e più focalizzata sul controllo delle frontiere, la difesa dei valori nazionali e la critica alle sanzioni contro la Russia.
Non è un caso che Babiš, come Orbán, abbia espresso posizioni critiche verso il sostegno militare all’Ucraina e abbia invocato “una soluzione diplomatica” del conflitto. Sebbene non apertamente filo-russo, il leader ceco sostiene che “l’Europa debba smettere di combattere guerre per procura” e “tornare a difendere i propri interessi industriali e di sicurezza energetica”. Una linea che, secondo The Guardian, “potrebbe indebolire il fronte pro-Ucraina in Europa centrale”, tradizionalmente compatto dopo l’invasione russa del 2022 (The Guardian).
Le inchieste e il caso “Čapí hnízdo”: la ferita aperta
Il nome di Andrej Babiš resta indissolubilmente legato alla lunga vicenda giudiziaria del caso “Čapí hnízdo” (Stork’s Nest), considerato il più controverso scandalo politico nella storia recente della Repubblica Ceca. Il caso riguarda una fattoria-centro congressi che, secondo l’accusa, fu temporaneamente separata dal gruppo Agrofert – il colosso agrochimico e alimentare di proprietà di Babiš – per ottenere indebitamente circa due milioni di euro di fondi europei destinati alle piccole e medie imprese.
Nel gennaio 2023 il tribunale municipale di Praga ha assolto Babiš da ogni accusa, ma il procuratore di Stato ha fatto appello. La Corte d’Appello, nel giugno 2025, ha annullato l’assoluzione e ordinato un nuovo processo, sostenendo che il primo giudizio avesse “sottovalutato” elementi di prova e commesso errori procedurali (Brno Daily; Times of India).
Il nuovo processo – ancora in corso – mantiene aperta una ferita che non è solo giudiziaria ma anche politica: secondo Expats.cz, l’uso del caso come “strumento di legittimazione populista” ha permesso a Babiš di presentarsi come vittima di un sistema corrotto e ostile (Expats.cz).
Il nodo Agrofert e il conflitto d’interessi
Parallelamente al dossier giudiziario, resta aperto il dibattito sul conflitto d’interessi legato a Agrofert, il conglomerato fondato da Babiš con interessi nei settori agricolo, alimentare, chimico e mediatico. Durante il suo mandato da primo ministro (2017-2021), Babiš trasferì formalmente le azioni del gruppo in due trust per evitare violazioni di legge, ma la Commissione europea ha più volte segnalato che il controllo effettivo non era stato interrotto e che egli continuava a beneficiare indirettamente dei profitti. Nel 2021 Bruxelles ha chiesto alla Repubblica Ceca di restituire parte dei fondi europei percepiti da Agrofert in violazione delle norme sui conflitti d’interesse (Euractiv).
L’ombra lunga sulla stabilità del Paese
Il ritorno di Babiš apre una nuova fase di incertezza per la Repubblica Ceca: la sua figura polarizza l’opinione pubblica e divide la classe politica tra chi lo considera un abile manager capace di “mettere ordine” e chi lo accusa di voler concentrare potere economico e politico in un’unica persona. Il presidente Pavel ha più volte richiamato la necessità di “difendere l’immagine internazionale del Paese e il suo orientamento europeo” (The Guardian).
Sebbene non ancora condannato, Babiš resta sotto inchiesta e politicamente vulnerabile. Il rischio è quello di una vittoria sospesa, dove il successo elettorale non basta a garantire governabilità, e i processi pendenti continuano a minare la sua legittimità.
Conclusione
La parabola di Andrej Babiš continua a incarnare le contraddizioni del populismo europeo: un imprenditore che si è fatto politico promettendo efficienza e trasparenza, ma che oggi si trova intrappolato tra la giustizia e la politica, tra Bruxelles e Praga, tra l’immagine del riformatore e quella dell’oligarca. Il suo allineamento con Viktor Orbán e il gruppo dei “Patrioti per l’Europa” rafforza l’asse sovranista dell’Europa centrale e ridisegna gli equilibri all’interno del Parlamento europeo. Il futuro della Repubblica Ceca – e in parte dell’intero spazio mitteleuropeo – dipenderà dalla capacità delle istituzioni di resistere alla personalizzazione del potere e di mantenere saldo l’equilibrio tra democrazia, mercato e legalità.
