In un tempo in cui le crisi internazionali, i conflitti ibridi e la disinformazione digitale entrano con forza nella vita quotidiana dei cittadini, parlare di Cultura della Difesa significa andare oltre i confini tradizionali delle Forze Armate. Significa raccontare un patrimonio collettivo fatto di valori, responsabilità e coesione sociale. Il Generale C.A. (ris.) Massimo Panizzi è da anni una delle voci più autorevoli nel dibattito pubblico su sicurezza e comunicazione strategica. Con lui abbiamo discusso di come la resilienza rappresenti l’evoluzione naturale della difesa, di come le Forze Armate siano chiamate non solo a proteggere il Paese ma anche a spiegare con trasparenza il senso delle proprie scelte, e di quanto sia fondamentale costruire un linguaggio comune capace di unire militari, istituzioni, mondo accademico e società civile. Uno sguardo che non dimentica le radici costituzionali, ma che si apre al futuro e soprattutto alle nuove generazioni, chiamate a riconoscere la difesa non come eredità del passato, bensì come progetto vivo e condiviso.
Generale, oggi si parla sempre più di “cultura della resilienza” come evoluzione della cultura della difesa. In che modo questo concetto può rafforzare la coesione tra cittadini e istituzioni in una società segnata da crisi globali e minacce ibride?
La resilienza può essere considerata l’evoluzione naturale della Cultura della Difesa. Non si tratta solo di reagire a una minaccia militare, ma di saper affrontare crisi globali – dalle pandemie ai cyberattacchi, dai disastri naturali alla disinformazione. Una società resiliente è una società che non si spezza, che riconosce il ruolo delle istituzioni come garanti della sicurezza, ma anche la responsabilità del singolo cittadino. La resilienza, in aggiunta, rafforza la coesione perché trasforma la difesa da fatto esclusivo delle Forze Armate a patrimonio collettivo: ogni persona, ogni cittadino diventa parte di un sistema che protegge valori, identità e futuro del Paese.
La comunicazione della Difesa non è più solo trasmissione di informazioni, ma strumento per custodire e diffondere valori. Qual è, secondo lei, il ruolo delle Forze Armate nel preservare l’integrità del patrimonio democratico e civile del Paese?
La comunicazione della Difesa non è più la semplice trasmissione di ordini o notizie operative: è diventata strumento strategico per custodire e diffondere valori. Le Forze Armate hanno il compito di difendere la Repubblica, ma anche quello di spiegare con trasparenza il perché delle scelte, mostrando che la sicurezza serve prima di tutto a preservare il patrimonio democratico e civile del Paese, il nostro stile di vita. In questo senso, la comunicazione non è per nulla propaganda, ma costruzione di fiducia. Solo una difesa che sa comunicare i propri valori etici e costituzionali diventa credibile agli occhi dei cittadini. Le Forze Armate Italiane, in questo aspetto, hanno fatto passi da gigante. Ma non basta, non è sufficiente per riuscire a far passare i giusti messaggi e per approfondire la Cultura della Difesa. E’ necessario che la scuola e la politica intervengano in modo sostanziale e senza pregiudizi. E’ interesse di tutti.
Lei ha moderato un dibattito che ha messo a confronto militari, accademici, giornalisti e rappresentanti dell’industria. Quanto è importante oggi costruire un linguaggio comune tra mondi così diversi per rendere la cultura della difesa un patrimonio condiviso?
Il Convegno della Luiss ha dimostrato che senza un linguaggio comune la Cultura della Difesa resta confinata, marginalizzata. Mettere insieme militari, accademici, giornalisti e industria significa abbattere muri e creare ponti. La difesa e la sicurezza non appartengono a una corporazione, ma a tutta la comunità nazionale. Parlare una lingua comprensibile e condivisa significa aprire la difesa al dibattito pubblico, renderla parte della formazione dei giovani, collegarla alla ricerca scientifica, industriale e all’innovazione. Solo così può diventare un patrimonio nazionale, capace di unire invece che dividere.
In un’epoca di rapidi cambiamenti tecnologici, dalle guerre ibride alla disinformazione digitale, come può la cultura della difesa rimanere ancorata ai valori tradizionali e allo stesso tempo aprirsi alle nuove generazioni e ai loro strumenti di comunicazione?
La Cultura della Difesa vive una sfida doppia: custodire i valori tradizionali e aprirsi alle nuove generazioni. Da un lato non dobbiamo dimenticare che il nostro fondamento è l’articolo 52 della Costituzione e il principio che la difesa della patria è un dovere sacro per tutti i cittadini. Dall’altro, dobbiamo saper dialogare con i giovani attraverso i loro strumenti: social media, linguaggi digitali, percorsi educativi innovativi. Non significa banalizzare i contenuti, ma tradurre valori eterni in linguaggi contemporanei. Così la difesa non appare come eredità del passato, ma come progetto vivo, capace di accompagnare il futuro. Le crisi internazionali, drammatiche, che stiamo vivendo, costituiscono anche un’opportunità unica per accrescere la conoscenza e la consapevolezza che è interesse di tutti essere coinvolti nelle decisioni che riguardano il mantenimento della pace e la sua difesa.
Dalle sue parole emerge con chiarezza come la Cultura della Difesa non sia più un concetto tecnico o riservato agli addetti ai lavori, ma una responsabilità diffusa che interpella cittadini, istituzioni e nuove generazioni. Il Generale Panizzi ricorda che la sicurezza non è mai fine a se stessa, ma strumento per custodire valori, identità e democrazia. È in questa prospettiva che resilienza, comunicazione e formazione diventano pilastri fondamentali per affrontare le sfide del presente e del futuro. L’intervista si chiude dunque con una riflessione che guarda avanti: la difesa non appartiene a una corporazione, ma a una comunità intera che, per essere davvero forte, deve riconoscersi parte di un progetto comune.
