Con l’accelerazione delle Cancellerie europee per porre fine al conflitto bellico russo-ucraino, a seguito del vertice fra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska e degli incontri del presidente ucraino Volodymyr Zelensky con Trump e la leadership europea nella capitale della confederazione statunitense, si è intensificato anche la discussione su una forza di rassicurazione europea per la tutela dello Stato ucraino, che viene considerata come fulcro delle garanzie occidentali di sicurezza, una volta raggiunto il cessate il fuoco e, successivamente, un accordo di pace.
Assieme a ulteriori elementi di supporto dei Paesi occidentali, come, ad esempio, l’assistenza militare e l’addestramento, questa forza ha come obiettivo quello rassicurare le autorità di Kyiv che l’Occidente offrirà il proprio supporto [militare] nel caso in cui la Federazione russa dovesse attaccare ex novo l’Ucraina dopo che sia entrato in vigore il cessate il fuoco. Tale garanzia, in teoria, darebbe all’Ucraina un’ampia fiducia per sottoscrivere un accordo di pace con Mosca, cosa che ha evitato con parsimonia dall’invasione su larga scala della Federazione russa nel febbraio 2022.
Con un’agglomerata forza di circa cinquemila soldati proveniente da una manciata di Paesi europei, con molta probabilità schierate nelle zone retrostanti, appare arduo immaginare come questa forza possa scoraggiare in modo significativo nuovi attacchi missilistici o con droni russi, che hanno preso di mira le città ucraine e le infrastrutture di una certa rilevanza, oltre alle posizioni in prima linea. Il problema cruciale della forza di rassicurazione, tuttavia, non riguarda le sue modeste dimensioni o le capacità che avrà, bensì la sua discutibile fattibilità. Le Cancellerie europee, che hanno impegnato personale nella forza, hanno posto in chiaro che i loro uomini in divisa si schiereranno solamente una volta che scatti la valvola del cessate il fuoco. Assumendo, ergo, questa posizione, hanno di fatto concesso alla Russia un veto, a meno che non siano disposti a fare una delle due cose: costringere, in primis, il Cremlino ad accettare un cessate il fuoco a condizioni che ha ripetutamente rifiutato oppure invertire la loro posizione e schierare le truppe mentre i combattimenti sono in corso. In assenza di entrambi gli scenari, la forza di rassicurazione rischia di restare un miraggio, un ulteriore fittizio di garanzia di sicurezza che offre più di un falso senso di speranza.
Il dibattito di una eventuale presenza delle truppe dei Paesi occidentali sul suolo ucraino ha preso piede nel 2024, quando diveniva sempre più chiaro che la NATO non avrebbe esteso l’invito al governo ucraino nel breve termine. L’impegno di difesa collettiva dell’Alleanza atlantica è sempre stato, per i vertici dell’esecutivo di Kyiv, la sola e credibile garanzia di sicurezza, ma durante il summit per il 75° anniversario della più importante organizzazione atlantica militare, svoltasi nella capitale statunitense, era evidente che alcune delegazioni, come quella alemanna, slovacca, statunitense e ungherese, avrebbero posto la loro contrarietà a concedere all’Ucraina un invito in un batter d’occhio di tempo. Sebbene, all’epoca, gli organi ufficiali di Kyiv guardassero con diffidenza a ogni discorso relativo al cessate il fuoco, privo di un percorso credibile verso l’Alleanza atlantica, i capi di Governo e di Stato della compagine europea incominciarono silenziosamente ad esplorare degli accordi ad interim. Questo ha prodotto il concetto di ponte verso l’adesione, presentato al vertice di Washington D.C., sotto forma di una nuova missione di addestramento e supporto volto a rendere le forze difensive ucraine pienamente interoperabili con la NATO. Contemporaneamente, le coalizioni di capacità, nell’ambito del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina, hanno fornito agli ucraini armi ed equipaggiamento militari, hanno cercato di identificare e coordinare la fornitura di capacità deterrenti per le future forze ucraine.
Con le elezioni per il secondo mandato alla Casa Bianca di Donald Trump, si è avuta una celerità sulla riflessione europea su una forza di rassicurazione: in primo luogo, il nuovo inquilino Trump aveva manifestato fortemente la sua contrarietà all’adesione dell’Ucraina come membro della NATO, durante la sua campagna elettorale, ponendo in chiaro che l’articolo 5 della Carta atlantica era fuori discussione, almeno per altri quattro anni; in secondo luogo, le martellanti promesse di Trump di garantire un accordo hanno convinto alcune cancellerie europee che l’esecutivo statunitense avrebbe potuto mediare un cessate il fuoco nel 2025. Questi fatti, combinati con l’avversità mostrata da Trump e dal suo entourage nei riguardi di Zelensky nel loro incontro nello studio ovale, nel febbraio 2025, hanno guidato sia la Francia che la Gran Bretagna, dove quest’ultima ha promosso celermente l’idea di una forza di rassicurazione composta da una coalizione di volenterosi.
Vi sono stati alcuni vertici della coalizione dei volontari dove si è discusso di un progetto per la forza che si basa su una pianificazione militare e logistica più intensiva, non solo, ma anche sulla fine delle ostilità fra Russia e Ucraina e sull’assetto post-conflitto. Nonostante l’intensità di questi sforzi di progettazione, solo alcuni Stati si sono espressi offrendo la loro disponibilità a mettere a disposizione le loro truppe, mentre altri Stati hanno preferito optare per il sostegno finanziario o logistico. I governi alemanno, italiano e polacco si sono dimostrati scettici o persino contrari al dispiegamento delle truppe sul territorio ucraino, dopo aver misurato il polso del sentimento diffuso di gran parte dell’opinione pubblica europea contrario a un diretto coinvolgimento con truppe sul campo. La diplomazia europea, nel contempo, si è concentrata sulla garanzia del supporto statunitense, sia sul piano diplomatico, che mediante una soluzione di riserva ovvero una misura di sicurezza, inteso come facilitatore o sostegno alla missione; tuttavia, la Casa Bianca ha escluso l’impiego di forze di terra statunitense, ma ha acconsentito all’approvazione di un concetto di una forza di rassicurazione europea e sta esaminando se fornire supporto di velivoli militari, che, secondo quanto riferito, consisterebbe in facilitatori strategici quali sistemi di intelligence, di ricognizione e sorveglianza, comando e controllo e sistemi di difesa aerea a supporto delle truppe di terra europee sul terreno.
Queste discussioni, pima facie, possono essere considerate un trampolino di slancio verso una soluzione favorevole allo Stato ucraino, tanto è vero che lo stesso premier Zelensky ha appoggiato l’idea di una solida forza di rassicurazione e ha incoraggiato un’ulteriore pianificazione. Chiaramente, non è mancata la reazione della Russia che ha manifestato la costante e piena contrarietà a qualsiasi presenza di truppe europee sul territorio ucraino, in particolar modo dell capo della diplomazia russa Sergej Lavrov che ha asserito che, senza il coinvolgimento di Mosca per discutere su questioni di sicurezza, non solo resta un’utopia, ma è una strada senza via di uscita.
Alcuni leader europei, oltre a ribattere che il presidente russo Putin non può scegliere, hanno asserito che il dispiegamento deve essere preceduto da un cessate il fuoco e che lo stesso capo del Cremlino ha il potere di negarlo. Ciò porta a chiedersi per quale ragione le Cancellerie europee stiano investendo tanta energia nella pianificazione di inviare le loro truppe sul suolo ucraino, il cui esito dipenda dall’assenso del Cremlino.
La storia ucraina offre una gamma ampia di ragioni scettiche riguardo alle garanzie di sicurezza messe sul tavolo dai Paesi occidentali, che viene fatto dipendere dal tacito sostegno russo. Il ben noto Memorandum di Budapest del 1994 costituisce l’emblema lampante, con il quale le autorità ucraine si impegnavano a rinunciare ovvero a privarsi del proprio arsenale nucleare che possedeva durante l’era sovietica, in cambio dell’impegno di Mosca, Londra e Washington a rispettare la sua integrità territoriale e l’inviolabilità dei loro confini. Quando son state messe alla prova, durante l’invasione russa nella parte mediorientale dell’Ucraina occupando e annettendo la penisola crimeana nel 2014, e, ex novo, durante l’invasione su vasta scala del febbraio 2022, tali promesse sono svanite come un’ombra nel nulla. Dall’inizio del 2024, più di una ventina di Stati hanno stipulato e ratificato accordi bilaterali di sicurezza con le autorità ucraine, molti dei quali hanno promesso aiuti militari in caso di ulteriori e nuove aggressioni, anche se nessuno di questi Paesi si è impegnato a inviare truppe di terra.
Per Kyiv, le garanzie di sicurezza credibili sono il nervo principale e necessario di qualsiasi accordo di pace, per la mera ragione che sovente i cessate il fuoco, dal 2014 sino al 2022, sono stati numerosi, ma spesso appoggiati sul filo del rasoio, tanto da avere breve durata, a causa delle continue violazioni della Russia, malgrado le precedenti rassicurazioni e gli impegni internazionali, che hanno reso gli stessi ucraini a non fidarsi più. Persino la Missione speciale di monitoraggio dell’OSCE, presente in prima linea dall’inizio dell’occupazione della Crimea sino all’invasione di altre parti territoriali ucraine da parte dei russi, non venne strutturata o progettata per dissuadere le violazioni del cessate il fuoco. Durante i colloqui di Istanbul successivi all’invasione russa del 2022, la delegazione ucraina aveva insistito per ottenere solide e perpetue garanzie, ossia concrete, giuridicamente vincolanti ed efficaci, mentre la delegazione russa ha cercato un modello consultivo che preservasse il suo veto.
La radice della questione, con le attuali proposte per una forza di rassicurazione, consiste nel fatto che i leader europei sembrano ritenere il cessate il fuoco come una sorta di deus ex machina che verrà imposto ai belligeranti russi e ucraini, ma ciò resta solo utopico. Il vero problema reale è che il leader del Cremlino non ha rinunciato al suo obiettivo primario che è la sottomissione dell’Ucraina ai piedi della Russia. Difatti, sia la Casa Bianca che le Cancellerie europee hanno esercitato la necessaria pressione per costringere l’élite russa ad accettare l’unica cosa contro cui si è sovente scagliato: l’idea che gli Stati membri dell’Alleanza atlantica possano inviare le loro forze militari in territorio ucraino. Per raggiungere tale scopo, si richiederebbe una forte pressione attraverso il sequestro dei beni russi congelati, l’inasprimento indicativo delle sanzioni contro il mondo bancario russo e le entrate dell’oro nero [del petrolio], l’imposizione di dazi doganali e l’incremento degli aiuti militari all’Ucraina. Senza tali misure, è arduo immaginare come la Russia possa abbandonare nell’immediato le sue richieste di lunga durata come la smilitarizzazione dell’Ucraina e la rottura dei suoi legami di difesa con gli Stati membri dell’Alleanza atlantica.
Anziché dedicare infinite riunioni alla pianificazione di una forza di rassicurazione, credo che la leadership politica occidentale farebbe meglio a concentrarsi nel favorire il successo dell’Ucraina in questa assurda guerra voluta solo da una Parte e il rafforzamento delle sanzioni per continuare a colpire l’economia bellica russa. Questi sono, a mio parere, gli strumenti che potrebbero creare eventualmente le condizioni per un cessate il fuoco, sebbene, senza tale leva, una forza di rassicurazione resterà un lontano sogno irrealizzabile.
