L’escalation tra Stati Uniti e Iran ha raggiunto nuovi livelli di tensione dopo gli attacchi statunitensi ai siti nucleari iraniani, tra cui quello di Fordow, colpito da bombe bunker buster lanciate da bombardieri B-2. Secondo fonti israeliane riportate dal New York Times, l’impianto sotterraneo è stato “gravemente danneggiato” ma non completamente distrutto. Gli iraniani, convinti dell’imminenza dell’attacco, avrebbero trasferito in anticipo materiali sensibili, inclusi equipaggiamenti e uranio.
Parallelamente, la gestione dell’operazione ha scatenato una crisi politica interna negli Stati Uniti. I principali leader democratici, tra cui Chuck Schumer e Hakeem Jeffries, sono stati informati solo a operazione conclusa, a differenza dei repubblicani che avevano ricevuto briefing preventivi. La scelta di escludere i leader dell’opposizione ha sollevato dure accuse di incostituzionalità, con alcuni esponenti come il senatore Bernie Sanders e il deputato Sean Casten che hanno definito l’azione “grossolanamente illegittima” e “degna di impeachment”.
Il senatore Mark Warner ha dichiarato che “il popolo americano merita decisioni condivise, non mosse unilaterali che rischiano di trascinare il paese in un nuovo conflitto in Medio Oriente”. Il senatore Tim Kaine, da tempo critico dell’espansione dei poteri presidenziali in ambito bellico, ha chiesto un voto immediato in Senato per riaffermare il ruolo del Congresso.
La minaccia di Hormuz: una mossa ad alto rischio
La risposta iraniana non si è fatta attendere. Il Parlamento di Teheran (Majlis) ha proposto la chiusura dello Stretto di Hormuz, un passaggio strategico da cui transita circa il 25% del petrolio mondiale. La decisione finale spetterà al Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale, ma già l’ipotesi ha suscitato allarme a livello internazionale.
Secondo la U.S. Energy Information Administration, nel 2024 sono passati attraverso lo Stretto circa 20 milioni di barili di greggio al giorno. JD Vance, vicepresidente USA, ha definito l’eventuale chiusura una “mossa suicida” per l’economia iraniana, sottolineando che anche Teheran dipende fortemente da questo corridoio marittimo per le sue esportazioni energetiche.
Scenari futuri: verso una crisi globale?
La doppia pressione – interna e internazionale – rischia di compromettere la stabilità già precaria nella regione del Golfo. Mentre le potenze mondiali osservano con preoccupazione, cresce il timore che le azioni unilaterali e le risposte muscolari possano sfociare in un conflitto più ampio, con ripercussioni devastanti sul mercato energetico globale.
In un momento in cui la diplomazia appare indebolita e le decisioni militari vengono prese fuori dai canali istituzionali, si intensificano le richieste di una strategia trasparente e condivisa. Il Congresso americano e la comunità internazionale chiedono ora chiarezza: cosa intende davvero ottenere Washington? E fino a che punto è disposta a spingersi Teheran?