L’attacco israeliano contro l’Iran viola il diritto internazionale

Lo Stato israeliano ha lanciato una grande operazione militare contro il territorio iraniano, con l’obiettivo di colpire il programma nucleare di Teheran, comprese le strutture, i vertici militari e via discorrendo. Non è mancata la risposta iraniana con il lancio di un centinaio di droni contro il territorio israeliano. Chiaramente, questa crisi va inquadrata dal lato della legalità dell’impiego della forza israeliana contro lo Stato iraniano come problema di diritto al ricorso alla forza armata (jus ad bellum), nel senso che l’azione coercitiva di forza decisa dal governo Netanyahu contro l’Iran è quasi fuori dal binario della liceità.

La sola ragione che Tel Aviv possa fornire, come scudo della condotta di forza contro l’Iran, si basa sul diritto di difendersi per respingere un attacco armato, soggetto ai canoni di necessità e proporzionalità, ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.

Il primo punto da porre in evidenza consiste nel fatto che la natura e gli obiettivi del ricorso all’azione coercitiva armata da parte di Israele, come la distruzione del programma nucleare e la sterilizzazione dell’Iran a sviluppare un’arma di distruzione di massa che possa essere utilizzata contro lo Stato israeliano, mirano simpliciter a rendere fuori gioco un attacco che non si è ancora concretizzato. In breve, questa non è una circostanza dove Israele starebbe forse rispondendo a un attacco militare iraniano che si verifica ora, direttamente o mediante attacchi per procura degli Houti (G. Paccione pp. 60 ss.). La precedente prassi del braccio di ferro armato fra gli israeliani e gli iraniani può essere rilevante sul piano fattuale e giuridico [de facto e de iure], ma anche in questo caso il problema è pianamente quello di schivare un futuro attacco nucleare iraniano. Focalizzare la liceità del ricorso allo jus ad bellum da parte dello Stato israeliano contro lo Stato iraniano dipende dalla concezione giuridica della legittima difesa applicata e dai fatti a cui le norme possono essere messe in atto.

Vi sono, tuttavia, tre eventuali pertinenze giuridiche attorno al ricorso dell’azione coercitiva di forza militare come risposta ai futuri attacchi armati. La prima pertinenza concerne il fatto che gli Stati possano agire in maniera preventiva per deviare le minacce, in primis quelle reali; la seconda pertinenza riguarda la questione che gli Stati possano agire con lo scopo di neutralizzare futuri attacchi che sono imminenti; e, infine, che gli Stati possano muoversi per cristallizzare attacchi armati che si sono verificati. Se si dovesse ritenere l’ultima pertinenza accettabile e giusta, allora la condotta manu militari israeliana contro gli iraniani sarebbe chiaramente fuori dalla sfera della legalità.

Sulla prima pertinenza, si può ritenere che, a livello giuridico, non possa essere accolta o sostenuta. Si può riportare alla mente l’amministrazione Bush che, nel 2003, giustificò il ricorso alla forza, nella seconda guerra del Golfo, contro lo Stato iracheno che poteva fornire armi di distruzione di massa a gruppi terroristici, e che quest’ultimi potessero adoperale contro il territorio statunitense, tanto da rappresentare, agli occhi della Casa Bianca, una minaccia grave da stanare con la legittima difesa preventiva contro l’Iraq. La Russia, analogamente, è ricorso alla forza armata [preventiva] per motivare la sua invasione dell’Ucraina per difendersi da futuri attacchi ucraini. A parte i due esempi citati, il problema di questo appressamento consiste nella ragione che è talmente illimitato che svuota del tutto il divieto dell’impiego della forza, nel senso che uno Stato possa agire tutte le volte che percepisca una reale minaccia. Le tre superpotenze cinese, russa e statunitense hanno la capacità di distruggersi vicendevolmente in un lasso di tempo breve, tuttavia questo genere di capacità non può indicare che possano iniziare un conflitto bellico e definirlo come una condotta di autotutela. In altri termini, questa forma della legittima difesa preventiva [preventive self-defense] e preclusiva [pre-emptive self-defense] non rientra nel quadro ordinamentale giuridico internazionale dell’autotutela.

Il governo di Tel Aviv, dunque, poteva giustificare il ricorso allo strumento della forza armata contro l’Iran basandosi solo sulla seconda pertinenza intermedia, ossia che l’attacco dell’arma nucleare iraniana sul territorio israeliano rientrasse nella sua imminenza. Vi sono, in linea di massima, due teorie su cosa sia un attacco imminente: la prima restrittiva a carattere temporale, cioè un attacco incombente è quello che sta per succedere; la seconda di genere espansiva è di tipo causale, vale a dire che un attacco che sta per concretizzarsi consiste in un attacco dove lo Stato interessato sarà in grado di ottenere la conduzione dell’attacco con l’intento di rispondere militarmente in avvenire. Tale approccio espansivo viene sovente corroborato dalla necessità di una risposta immediata come anticamera per sventare l’attacco incombente. In base all’interpretazione temporale di un imminente attacco, non vige un modo plausibile per asserire che lo Stato iraniano era in procinto di colpire lo Stato israeliano con l’arma di distruzione di massa che ancora non possiede. La sola teoria giuridica possibile di legittima difesa che Tel Aviv potrebbe invocare sarebbe quella causale e non temporale. Si supponga che tale teoria sia giusta. Se fosse così, Israele potrebbe giustificare il ricorso alla forza militare solo se le seguenti affermazioni di fatto fossero vere: che il vertice iraniano si è irrevocabilmente impegnato ad attaccare il territorio israeliano con l’arma nucleare, una volta che essa sarà pronta, ovvero intende attaccare Israele negli anni a venire non appena ne avrà la capacità; che l’attacco israeliano sia stato l’ultima finestra di occasione per porre un freno all’attacco, cioè a dire che era necessario muoversi subito e che nessuna alternativa non violenta avrebbe potuto depennare la futura capacità iraniana o la sua intenzione di colpire militarmente Israele.

Anche se si considerasse corretta l’interpretazione giuridicamente plausibile della legittima difesa preventiva, l’uso della forza da parte delle forze difensive israeliane contro lo Stato iraniano sarebbe illecito, per la mera ragione che non vi sono tante prove che Teheran si sia irrevocabilmente impegnato a colpire con l’arma nucleare il territorio di Israele, una volta che avrà sviluppato tale capacità; anche se tale intenzione fosse presunta –  spetterebbe ancora una volta alle autorità israeliane fornire ulteriore e sufficienti prove di tale intenzione –, non si comprende come si possa verosimilmente ritenere che l’uso della forza, nell’attuale contesto internazionale, fosse la sola opzione disponibile. A meno che, tout court, Tel Aviv non sia capace di fornire dettagli probatori più convincenti di quelle attualmente disponibili, non è possibile razionalmente sostenere che gli iraniani abbiano attaccato lo Stato di Israele nell’immediato o che l’utilizzo dell’atto coercitivo di forza fosse la sola opzione per paralizzare quell’attacco. Israele, a parere dello scrivente, sta utilizzando lo strumento dello jus ad bellum contro l’Iran illecitamente come una condotta aggressiva, violando la norma della Carta onusiana che vieta sia la minaccia, che l’uso della forza contro la sovranità e l’indipendenza politica di ciascuno Stato. Israele ha posto in atto lo strumento dell’aggressione attraverso il bombardamento del territorio iraniano come una dichiarazione di guerra.

Altro aspetto, per concludere, concerne gli attacchi mirati nei confronti degli scienziati iraniani, impegnati nella programmazione nucleare. Qualora fossero membri dell’apparato militare iraniano, allora verrebbero inquadrati nella cornice di combattenti e possono essere lecitamente presi di mira, ai sensi del diritto dei conflitti armati. ma se fossero civili, allora appare chiaro che non possono essere resi lecitamente oggetti di un attacco, ma tutelati dal diritto internazionale umanitario, anche perché il mero fatto di essere impegnati allo sviluppo di armi come ricercatori non comporta la partecipazione alle ostilità.

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