L’asse tra Stati Uniti e Israele, uno dei più saldi e longevi della politica internazionale contemporanea, mostra oggi segni evidenti di cedimento. Dopo decenni di cooperazione militare, diplomatica e tecnologica, la relazione tra i due Paesi è attraversata da tensioni profonde, innescate da divergenze strategiche, scelte politiche discordanti e da una crescente pressione dell’opinione pubblica internazionale. Quella che per anni è stata definita una “special relationship” rischia ora di trasformarsi in una convivenza fredda e calcolata, con ricadute potenzialmente dirompenti.
La svolta: Gaza, Iran e l’ombra di nuove alleanze
Il punto di rottura si è manifestato con chiarezza nel 2025. Da una parte, l’insistenza del premier israeliano Benjamin Netanyahu per una “vittoria totale” contro Hamas nella Striscia di Gaza. Dall’altra, la Casa Bianca – attualmente sotto l’amministrazione Trump – che preme per una de-escalation, preoccupata per le gravi conseguenze umanitarie del conflitto. L’esclusione di Israele dalle recenti trattative USA con Iran, Siria e ribelli Houthi nello Yemen ha inoltre acuito il senso di isolamento del governo israeliano, relegato ai margini di scelte geopolitiche che lo riguardano direttamente.
A rendere ancora più tesi i rapporti, la possibilità – non smentita da Tel Aviv – che Israele possa agire unilateralmente contro le infrastrutture nucleari iraniane, qualora giudicasse inefficaci i negoziati condotti da Washington. Un’eventualità che preoccupa le agenzie d’intelligence statunitensi e alimenta il timore di una nuova crisi regionale.
Conseguenze strategiche: cosa succede se gli USA si allontanano?
Le ripercussioni di un deterioramento strutturale delle relazioni USA-Israele sono molteplici e toccano diversi livelli:
Diplomazia internazionale
Senza il tradizionale sostegno statunitense, Israele rischia l’isolamento in seno alle Nazioni Unite e in altri forum multilaterali, dove gli USA hanno storicamente bloccato mozioni critiche o sanzioni.
Sicurezza e tecnologia militare
L’alleanza con gli Stati Uniti garantisce a Israele l’accesso privilegiato a tecnologie all’avanguardia, come il sistema Iron Dome o i jet F-35. Un allentamento dei rapporti potrebbe frenare questo flusso strategico.
Nuovi equilibri regionali
Paesi arabi come Arabia Saudita ed Egitto, nonché attori ostili come l’Iran, potrebbero trarre vantaggio dalla crisi tra i due alleati. La diplomazia del Golfo si muove per capitalizzare il momento, ridefinendo le proprie relazioni con Washington.
Politica interna israeliana
La frattura con Washington potrebbe accrescere le pressioni interne sul governo Netanyahu, già oggetto di forti critiche da parte dell’opposizione e della società civile, oltre che di settori importanti della diaspora ebraica statunitense.
Conflitto israelo-palestinese
L’indebolimento del ruolo mediatore degli Stati Uniti potrebbe congelare ulteriormente ogni prospettiva di negoziato tra Israele e Autorità Palestinese, accentuando le derive estremiste su entrambi i fronti.
L’Europa osserva, l’Iran avanza
L’Unione Europea, in parallelo, ha cominciato a riconsiderare i propri rapporti con Israele. La recente decisione di Bruxelles di rivedere l’accordo di associazione in seguito all’offensiva su Gaza è indicativa di una crescente insofferenza. L’Italia, pur contraria a un’azione punitiva, si trova in una posizione sempre più ambigua, sospesa tra solidarietà atlantica e pressione dell’opinione pubblica.
Nel frattempo, Teheran osserva e si muove: l’Iran guadagna terreno diplomatico, rinsalda i legami con Russia e Cina, e approfitta della disarticolazione della coalizione anti-sciita per rafforzare la sua proiezione regionale.
Nonostante le crepe, parlare oggi di una rottura definitiva tra Stati Uniti e Israele sarebbe prematuro. Ma la relazione non è più quella degli anni d’oro. Si assiste a una ridefinizione forzata dei ruoli e delle aspettative reciproche. Israele, spinta a rivedere la sua postura internazionale, potrebbe cercare nuove sponde. Gli Stati Uniti, invece, sembrano sempre più orientati a un approccio selettivo in Medio Oriente, fondato su interessi variabili piuttosto che su alleanze incondizionate.
La “special relationship” è ancora viva, ma profondamente cambiata. Il futuro dipenderà dalla capacità dei due partner di superare le rispettive rigidità, mettendo al centro non la lealtà automatica, ma la responsabilità strategica.