Mario Draghi ha lanciato un avvertimento chiaro e deciso: l’Europa si trova di fronte a una “sfida esistenziale”. Presentando il rapporto sulla competitività europea, Draghi ha sottolineato l’urgenza di prendere decisioni economiche e politico-istituzionali rapide e coordinate. Il rapporto, destinato a diventare il pilastro dell’agenda europea per la legislatura in corso, non introduce novità assolute, ma il messaggio politico è inequivocabile: non c’è più tempo per traccheggiare.
Draghi ha evidenziato che il rinvio delle decisioni ha portato solo a una crescita economica più bassa e non ha aumentato il consenso verso i governi. “Dobbiamo abbandonare l’illusione che solo il rinvio possa preservare il consenso”, ha dichiarato. “Abbiamo raggiunto un punto limite: se non si agisce, risulterebbero compromessi il nostro benessere, il nostro ambiente e la nostra libertà”.
Il rapporto Draghi prefigura una strategia composta da una serie di “blocchi” di decisioni per mettere a fuoco obiettivi e risorse. Tra le raccomandazioni spiccano l’indebitamento comune sistematico per finanziare progetti europei, il coordinamento politico tra politica industriale, concorrenza, commercio e politica estera, e la limitazione del voto all’unanimità senza ricorrere a revisioni del Trattato UE. Inoltre, Draghi ha suggerito un approccio differenziato all’integrazione per gli Stati che lo ritengono necessario.
Draghi ha sottolineato che la crescita dell’UE non sarà più sostenuta dall’aumento della popolazione. Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro si ridurrà di quasi 2 milioni di lavoratori ogni anno. Pertanto, sarà necessario fare affidamento sulla produttività per guidare la crescita. Se l’UE dovesse mantenere il suo tasso medio di crescita della produttività dal 2015, sarebbe sufficiente solo a mantenere costante il PIL fino al 2050, in un momento in cui l’Unione sta affrontando nuove esigenze di investimento.
Le necessità finanziarie sono enormi: per digitalizzare e decarbonizzare l’economia e aumentare la capacità di difesa, la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali del PIL, livelli visti l’ultima volta negli anni ’60 e ’70. Draghi ha ricordato che gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948 e il 1951 ammontavano a circa l’1-2% del PIL all’anno. “Se l’Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, contemporaneamente, un leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni”.
Draghi ha anche evidenziato la necessità di chiudere il “gap” di innovazione rispetto a USA e Cina. “Il problema non è che l’Europa manchi di idee o ambizione. Abbiamo molti ricercatori e imprenditori di talento che depositano brevetti. Ma l’innovazione è bloccata nella fase successiva: non riusciamo a trasformare l’innovazione in commercializzazione”. Inoltre, Draghi ha sottolineato l’importanza di ridurre i prezzi dell’energia e di lavorare sulle opportunità industriali della decarbonizzazione, definendo un piano comune per decarbonizzazione e competitività.
In conclusione, Draghi ha ribadito che l’Europa deve agire ora per evitare di compromettere il benessere, l’ambiente e la libertà dei suoi cittadini. La sfida esistenziale che l’Europa affronta richiede decisioni coraggiose e coordinate per garantire un futuro prospero e sostenibile.