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Matera: da vergogna nazionale a gioiello dell’umanità, il patrimonio Unesco in uno scrigno di pietra

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Una fioritura di roccia pietrificata in una duplice identità: da una parte il Piano e la Civita con le loro chiese e palazzi signorili sei-settecenteschi, dall’altra i Sassi, con le case millenarie scavate nella roccia, una sintesi dove prevale la virtù del togliere all’edificare. Un’urbanistica corale quella di Matera, appollaiata sul ciglio di un orrido, il canyon da capogiro scavato dal torrente Gravina. Un paesaggio culturale che descrive l’interazione tra uomo e ambiente, dove ogni pietra ha un valore etico ed estetico. La Capitale Europea della Cultura 2019 e Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1993, è una realtà da vivere lentamente, entrando in simbiosi con i ritmi che l’hanno modellata nelle ere.

Sasso Caveoso, al centro la chiesa della Madonna dell’Idris

Matera si trova nella parte orientale della Basilicata e spunta quasi indistinta ai piedi del Parco della Murgia Materana, una città perfettamente adattata al territorio che la circonda, quasi mimetizzata. Un’attrattiva dell’inverosimile, un groviglio di sopravvivenza di scarna bellezza che la resero quasi invisibile per millenni. Quella che fu una strategia difensiva, oggi appare come un incantesimo, un panorama delle possibilità dalla bellezza proporzionale alla rivalsa: da “capitale dei contadini” a quella della “cultura”. Matera venne infatti definita agli inizi degli anni Cinquanta come “vergogna d’Italia” per la qualità della vita che si conduceva nelle case rupestri, dove si viveva di sussistenza e scarso igiene, uno scempio inconcepibile che arrancava mentre l’Italia correva veloce nel periodo del dopoguerra. Nei decenni Matera è stata capace di valorizzare l’unicità del suo paesaggio trasformando la vergogna in orgoglio e oggi si presenta al mondo come un gioiello in uno scrigno di pietra.

Carlo Levi scrisse: “Chiunque veda Matera non può non restarne colpito tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza”.

Il Piano e la Civita

Il nucleo urbano di Matera è formato da più zone, la parte moderna della città si trova sul Piano, una nota apparentemente stonata nell’armonia della città ma di importante valore strategico: lo svuotamento dei Sassi negli anni ’50 e ’60 richiese la costruzione di nuovi quartieri residenziali. Oggi il Piano non è che il continuum della storia millenaria di Matera. La Civita invece è l’area legata al “recente passato”, con un’impronta prevalentemente sei-settecentesca che segue la bizzarra morfologia del territorio: è da qui che ci si inerpica per le stradine bianche e tortuose che si addentrano nei Sassi e culminano sul ciglio della gravina che precipita verso l’omonimo torrente.

Belvedere di piazza Giovanni Pascoli su Sasso Caveoso, in cima il campanile del Duomo

L’identità di Matera è strettamente connessa ai quartieri dei Sassi, ma anche la zona della Civita si distingue per la sua eleganza: passeggiate per via Ridola e fate la prima tappa in piazza Pascoli dove ammirare uno dei belvedere più suggestivi sulla città. In piazza si trovano palazzo Lanfranchi, massima espressione architettonica della città seicentesca che fu istituto scolastico durante l’Unità d’Italia e proprio qui insegnò Giovanni Pascoli al suo primo incarico. A sinistra si trova la chiesa del Carmine del 1608, che oggi ospita eventi e mostre temporanee, e a destra, il Museo nazionale “Carlo Levi” d’arte medievale e moderna della Basilicata. Percorrete tutta via Ridola, chiusa da nobili edifici e chiese barocche, una delle vie più movimentate della città dove pullulano ristoranti, locali e negozi, sino arrivare a piazza San Francesco dove affaccia l’omonima chiesa. Da qui si biforcano due vie: a sinistra segue via del Corso sino a piazza Vittorio Veneto, dove si trovano i Sotterranei del Palombaro Lungo (un maxi ingegno per la raccolta delle acque piovane destinato al fabbisogno delle abitazioni con una profondità di 15 metri e una capacità di 3000 m q), verso destra, piazza Sedile e via Duomo che vi condurrà ad uno dei simboli della città, la maestosa Cattedrale. Il Duomo di Matera è dedicato alla Madonna della Bruna e a Sant’Eustachio, i protettori della città, ed è stato riaperto nel 2016 dopo 13 lunghi anni di restauro. La chiesa si trova nel punto più alto di Matera, il colle della Civitas, da dove veglia gli alveari tufacei dei Sassi. Venne eretta tra il 1230 e il 1270 nell’elegante e sobrio stile romanico pugliese nel quale spicca uno splendido rosone a 16 raggi che presenta l’immagine di San Michele Arcangelo. Nella fiancata destra si delinea con sobria raffinatezza la porta dei leoni, decorata con due fiere che sembrano sentinelle di questo luogo del credo.

Porta dei leoni, Duomo di Matera
Sotterranei del Palombaro Lungo

I Sassi

Matera è l’unico luogo al mondo dove gli abitanti possono dire di vivere nelle case dei loro avi, le stesse da 9.000 anni. Un record curioso che fa di questa città un patrimonio più unico che raro. L’antichissimo insediamento abitativo costruito nella roccia sul fianco del vallone Gravina è la zona più nota della città e si divide in due parti distinte che seguono le conche divise dallo sperone della Civita su cui sorge il Duomo: il Sasso Caveoso, il più antico, e il Sasso Barisano, il più recente, due realtà ipnotiche e troglodite scavate nel tufo, un’estetica della povertà ricchezza dell’umanità. Le abitazioni vennero realizzate senza particolari ingegnerie (a parte i sistemi di raccolta per l’acqua piovana), e dagli scavi svolti nel corso degli anni sono emerse un groviglio di cavità disposte in modo apparentemente caotico, il corrispettivo di dieci piani scavati gli uni sugli altri.

Un alveare di scarna bellezza: il tetto di una casa può essere una strada, una scalinata un giardino, così tanti altri incastri delle possibilità. Numerose sono le case dalla facciata costruita che celano una struttura interna completamente scavata nella roccia, altre come semplici e nude grotte. L’inestricabile groviglio interno rivelato dagli studi, appare come una ragnatela sassosa, una miriade di cristalli di tufo con un passato maleodorante dove gli uomini e gli animali vivevano a stretto contatto, gli effluvi di una realtà condivisa che indignarono l’opinione pubblica tanto da far promulgare un disegno di legge atto a favorire il risanamento e a delineare la soluzione del problema dei Sassi. Così si legge dai documenti storici: “Il 17 maggio 1952 lo Stato Italiano, per mano di De Gasperi e su suggerimento del ministro Colombo, con la “Legge Speciale per lo sfollamento dei Sassi di Matera” impose a due terzi degli abitanti della città, circa diciassettemila persone, di abbandonare le proprie case per trasferirsi nei nuovi rioni”. Oggi quello scempio si fa inestimabile tesoro, un carosello degli eventi che ha riscritto le sorti delle città decretandola come uno dei luoghi più straordinari del mondo.

Dedalo di case del Sasso Barisano

I Sassi sono un labirinto dove è impossibile perdersi poiché tutti i vicoli e vicoletti sbucano nel centro del Piano e della Civita che li divide. Sasso Caveoso si trova a sud, ed è il quartiere più antico dall’anima rupestre. Qui si trovano le caratteristiche case-grotta che testimoniano la vita di un passato troglodita prorogato sino alla metà del Novecento. Imperdibile è la Casa Grotta di Vico Solitario, dove è possibile visitare la ricostruzione di una tipica abitazione scavata nel tufo, con arredi, oggetti di uso quotidiano e attrezzi per il lavoro. Un’importante testimonianza per comprendere la vita di allora, scempio per gli standard moderni ma ricchezza di cultura e umanità.

Casa Grotta di Vico Solitario

A Sasso Caveoso si trova anche una delle più suggestive chiese rupestri di Matera, luoghi mistici scavati nella roccia mimetizzati nel tessuto urbano della città, la chiesa di Santa Maria de Idris scavata nel fianco del Monterrone, che deve il nome ad antiche cisterne per la raccolta delle acque. L’interno del complesso è collegato attraverso un piccolo corridoio alla chiesa di San Giovanni in Monterrone, un ambiente ipogeo completamente scavato nella roccia decorato con magnifici affreschi, alcuni risalenti al XI secolo. Gli altri luoghi del credo che permeano nell’identità del luogo sono la chiesa di San Pietro Caveoso, con una sobria facciata barocca che sorge sull’omonima piazza da dove ammirare un bellissimo scorcio sul Sasso e sulla Gravina, S. Lucia delle Malve, chiesa rupestre fondata intorno al Mille, e la chiesa rupestre di S. Barbara, una cripta del IX – X secolo. Da non perdere anche Casa Noha, primo bene FAI in Basilicata, antica dimora appartenuta all’estinta famiglia nobiliare Noha oggi centro di informazioni turistiche e documentazione.

In alto la chiesa di Santa Maria de Idris, nella parte bassa la piazza e la chiesa di San Pietro Caveoso

Sasso Barisano si trova a nord, ed è il rione più grande, le cui case oggi ospitano numerosi negozi, ristoranti, alberghi e b&b perfettamente inseriti nel tessuto urbano. In questa zona noterete degli edifici molto curati e diversi dall’edilizia scarna di Sasso Caveoso, una testimonianza del benessere diffuso degli abitanti che prediligevano questa parte di città. L’entrata al Sasso Barisano è segnata dal palazzo del Casale, e si prosegue per via Fiorentini, la strada che taglia in due il quartiere dove si affacciano diversi palazzi sei-settecenteschi e numerose attività commerciali. Anche in questa zona non mancano le realtà inattese come la chiesa di San Pietro Barisano, una delle meravigliose chiese rupestri di Matera. Una sorprendente rivelazione che si cela dietro la facciata in stile romanico – barocco: l’interno è completamente scavato nel tufo e conta sette altari, meravigliosi affreschi e la cripta con l’ossario. Per ammirare uno dei panorami più suggestivi di Sasso Barisano, tappa al belvedere della chiesa di S.Agostino, costruita nel 1591 dai ruderi di una chiesa rupestre, uno scorcio che si affaccia sulla gravina e sul groviglio di case vegliato dal maestoso Duomo.

Vicolo di Sasso Barisano

E’ bello addentrarsi nel labirinto dei Sassi, che sia Caveoso o Barisano, perdere la bussola per poi ritrovarla con il naso all’insù alla ricerca della Cattedrale, faro nel mare di tufo. Matera è da vivere a piedi ma se cercate un appiglio alla modernità motorizzata, tenete in considerazione la Strada dei Sassi, l’unica via percorribile in auto tra il dedalo di abitazioni. Comprende via Buozzi, Madonna delle Virtù e D’Addozio, un percorso tortuoso e suggestivo che offre panorami e scorci magnifici sui Sassi.

Scalinata di Sasso Caveoso

Parco archeologico storico naturale delle Chiese Rupestri del Materano

Matera è un microcosmo di bellezza immerso in un universo dalle sembianze primordiali. Il territorio che circonda la Città della Cultura 2019, è un paesaggio plasmato dalla natura e dall’uomo: l’aspra e selvatica bellezza del Parco della Murgia Materana e il Parco delle Chiese Rupestri sono luoghi di grande valore naturale e archeologico. Un viaggio nel tempo immerso in una natura impietosa e suggestiva dove sono state trovate necropoli preistoriche, villaggi risalenti al Neolitico e antiche chiese scavate nella roccia, meraviglie trasformate nei secoli in ricoveri per i pastori e le greggi. Il Parco archeologico storico naturale delle Chiese Rupestri del Materano venne istituito nel 1990 per tutelare e valorizzare l’habitat naturale e le preziose testimonianze archeologiche del territorio che contano oltre 160 chiese rupestri. Nel lembo più settentrionale del Parco della Murgia Materana, vale una tappa il belvedere di Murgia Timone, e la Cripta del Peccato Originale, l’eccezionale oratorio rupestre affrescato con un prezioso ciclo pittorico che si localizza lungo la parete della Gravina di Picciano.

Come arrivare e muoversi a Matera

L’aeroporto più vicino è quello di Bari “Karol Wojtyla”, in località Palese, per poi prendere un bus dei servizi extraurbani o noleggiare un’auto. La Basilicata non è agevolmente raggiungibile in treno. Dal versante tirrenico è possibile arrivare con i Frecciarossa Trenitalia sino a Napoli o Salerno da dove partono gli autobus (Trenitalia e altre aziende) in collegamento con Matera via Potenza. Il versante ionico è servito dalla linea Taranto – Sibari, mentre quello adriatico dalle Ferrovie Appulo Lucane.

La stazione dei treni di Matera è lo scalo ferroviario dove si effettua servizio locale con la vicina Puglia, capolinea della tratta Bari-Matera che collega in un’ora e mezza la città pugliese alla città dei sassi. Le ferrovie Appulo Lucane garantiscono il servizio della linea ferroviaria su ferro e su ruota  agevolando i collegamenti quotidiani.

Le linee che operano in città sono gestite dall’azienda Miccolis. Il terminal degli autobus è in Via Saragat, che dista circa 15 minuti a piedi dal centro.

 

Immagine copertina: panorama notturno del Sasso Barisano.

Photo credits: Elena Bittante

 

Il sito nuragico di Barumini Su Nuraxi, la Preistoria nel cuore della Sardegna

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 Il  complesso nuragico di Barumini ci proietta oltre l’antichità, direttamente nella preistoria. Un lungo viaggio della civiltà che parte dall’età del Bronzo sino al III sec. d.C., perfettamente descritto nelle geometrie di un alveare di pietra senza cemento, un ricamo di strutture circolari patrimonio dell’Umanità Unesco.

Nel cuore della Sardegna meridionale si trova un’area denominata Marmilla, caratterizzata da colline ondulate che spiccano dalla pianura polverosa del Campidano, la zona che si estende a nord di Cagliari. Addentrandosi nel cuore dell’isola ci si rende conto come questo grande atollo mediterraneo sia un mosaico di paesaggi primordiali con tanti tasselli d’umanità che brillano sotto un sole generoso, tipico delle basse latitudini. Il più famoso e splendente è il sito archeologico che si trova proprio nella terra sinuosa della Marmilla, in provincia di Medio Campidano: il Nuraghe Su Nuraxi, tra i più importanti siti preistorici del mondo, inserito nella prestigiosa World Heritage List Unesco.

Il complesso nuragico di Barumini Su Nuraxi è databile tra l’Età del Bronzo e il III secolo d.C. Si tratta di un’importante testimonianza di insediamento preistorico, uno stupefacente esempio di edilizia ante litteram che descrive i materiali e le tecniche utilizzate dai costruttori dell’epoca. Una scoperta sensazionale fatta per caso e lungimiranza. Il sito venne scoperto nel 1949 da Giovanni Lillu, il più celebre archeologo della Sardegna, grazie ad un perfetto mix di pioggia e fiuto: dei rovesci torrenziali portarono alla luce una nuova collinetta tipica del paesaggio della Marmilla, una morfologia coerente agli occhi dei più ma non così consueta per lo sguardo esperto di Lillu che intuì la presenza di un edificato sotto gli strati di terra. Anche i suoi occhi di esperienza si trasformarono in stupore quando emerse un enorme nuraghe databile alla preistoria. Gli scavi continuarono per sei anni durante i quali venne effettuata anche la datazione al carbonio che confermò l’edificazione del complesso all’Età del Bronzo, tra il 1800 e il 500 a.C. Successivamente la struttura venne amplificata, riadattata e riutilizzata fino all’età del Ferro dalla popolazione nuragica e oltre, una straordinaria stratificazione di oltre 2000 anni, dal 1500 a.C. al VII sec. d.C..

La Fondazione Barumini, Sistema Cultura, gestisce l’intera rete dei beni culturali presenti nel territorio di Barumini e gli esperti che ne fanno capo spiegano dettagliatamente: “Nel Bronzo Recente 1300-1100 a.C. al mastio fu addossato un quadrilobo, un robusto corpo murario a schema di quattro torri minori unite mediante delle cortine rettilinee, orientate secondo i quattro punti cardinali, che dovevano raggiungere i 14 metri d’altezza. Nella fase del Bronzo Finale vennero inoltre costruite la maggior parte delle abitazioni del villaggio, di forma circolare, costituite da un unico ambiente e con copertura lignea di forma conica.

All’inizio dell’ultimo periodo della civiltà  nuragica, chiamato Età del Ferro IX-VI sec. a.C., Su Nuraxi andò quasi interamente distrutto e sulle rovine, in prossimità  dell’antemurale e del nuraghe, nei primi decenni del VII sec. a.C. venne costruito un nuovo agglomerato, che sviluppò finezze tecniche e forme di arredo urbano proprie di una società  che andava rinnovandosi e progredendo sia per via interna che per contatti e stimoli esterni. In questa fase il clima diventò più pacifico e stabile e la vita militare rappresentò ormai una memoria del passato”.

Il nuraghe Su Nuraxi è un autentico excursus di preistoria che si intreccia alla storia antica: “Nel V sec a.C. alla civiltà nuragica subentrò l’occupazione punica e gli abitanti del luogo entrarono in contatto con una cultura diversa. A parte il progressivo apporto di materiali dalle città puniche, l’aspetto fisico del villaggio e il modo di vita degli abitanti non subirono un grosso mutamento; peraltro non vi fu sviluppo, anzi decadenza graduale dell’abitato e calo demografico conseguente.
Nel periodo storico, II-I sec.a.C., l’insediamento venne riutilizzato e riadattato anche dai romani, che in alcuni casi usarono certi ambienti come luogo di sepoltura. La struttura continuò ad essere abitata fino al III sec. d.C. e successivamente frequentata sporadicamente fino al periodo alto-medievale, VII sec. d.C.”

Il complesso nuragico di Barumini Su Nuraxi è un incredibile testimonianza del passato remoto, oltre alla nostra consuetudine delle bellezze antiche che ci circondano rendendo unico questo paese. La Fondazione Barumini è eccellente promotrice della cultura grazie alla quale oggi possiamo godere di questo patrimonio inestimabile comprendendolo a pieno e immaginando il passato emergere dagli scavi futuri.

Modalità di visita

Come indicato dalla Fondazione Barumini: l’Area Archeologica Su Nuraxi è aperta al pubblico tutti i giorni dell’anno e, come da disposizioni ministeriali, è visitabile solo ed esclusivamente accompagnati da una guida per ragioni di sicurezza.
Le visite guidate prevedono, infatti, un percorso all’interno del villaggio nuragico durante il quale vengono illustrate le principali tipologie abitative che lo compongono per poi entrare fin nel cuore del grande complesso turrito accessibile solo attraverso corridoi e scale di non facile transito.
Sempre per ragioni di sicurezza, in giornate di pioggia l’area archeologica potrebbe non essere accessibile oppure accessibile solo parzialmente.

Per maggiori informazioni: Fondazione Barumini, Sistema Cultura.

Immagine copertina: complesso nuragico di Barumini Su Nuraxi, sito UNESCO.

Photo credits: Elena Bittante

Dublino, un inno alla spensieratezza a ritmo di reel

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Una capitale viva e identitaria, perdersi tra le sue vie è un privilegio. L’orientamento vaga in estasi dei sensi annebbiato dall’euforia della birra, dai profumi dolci e dai ritmi che si sovrappongono rimbombando soavi ad ogni angolo della città. Dublino vive di musica, ambrosia scura e gentilezza. Piccola e accogliente trasforma il quotidiano in un’avvincente “Odissea” moderna: chiunque si identifica in Leopold Bloom girovagando per le sue strade. Ci si immerge spontaneamente in una realtà autentica dove le nuove esperienze si fondono con il fluire dei propri pensieri. Diventare “Dubliner” per qualche giorno è più di un viaggio, è un’esperienza

Temple Bar

Così inizia la scoperta della capitale irlandese, coinvolti dagli innumerevoli divertimenti che la animano e dalle suggestioni letterarie che la identificano nell’immaginario collettivo. Dublino viene considerata una città della letteratura che ispirò la fantasia di grandi maestri dell’olimpo della scrittura come Oscar Wilde, Jonathan Swift, Samuel Beckett, Bram Stoker, George Bernard Shaw e James Joyceil più amato dai dubliners. L’autore giganteggia su tutte le figure letterarie irlandesi nonostante il suo amore odio indissolubile con la città. Basti pensare al capolavoro “Ulisse” che nelle sue pagine descrive Dublino sin nei minimi dettagli: “Voglio dare un’immagine così completa che se un giorno dovesse improvvisamente sparire dalla faccia della terra, potrebbe essere ricostruita sulla base del mio libro”.

Una vocazione letteraria che affonda le sue radici nella storia classificandola tra le città più “dotte” d’Europa. Già nell’antichità l’Irlanda era una terra di santi ed eruditi grazie alle università monastiche sorte in tutta l’isola per diffondere la fede cristiana e formare l’élite d’Europa. Un sapere brutalmente interrotto dalla conquista dei Vichinghi nella seconda metà dell’800 d.C. che imposero la loro cultura, intollerante al sapere riconducibile ad un unico Dio. Il germoglio letterario fiorì nuovamente alla fine del 1600 trasformando l’isola in un atollo della cultura. Durante l’epoca della Dublino georgiana, la lingua inglese si arricchì combinandosi ad alcuni termini derivanti dal gaelico, l’idioma natale irlandese. Questa simbiosi linguistica creò uno stile unico, squisitamente “irish”, il comune denominatore dei suoi autori nonostante la spiccata identità di ciascuno.

Castello di Dublino, Record Tower

La letteratura come identità, non è un caso se tra le mete principali della città spicca la prestigiosa Old Library del Trinity College, considerata una delle biblioteche più belle al mondo. Un enorme microcosmo popolato da 250.000 manoscritti antichi, ordinati alfabeticamente e per categoria in due piani di altissimi scaffali lungo tutta la struttura. Il tesoro più prezioso di questo mondo di parole è il Book of Kells, il libro miniato più famoso del pianeta. Si tratta di un codice medievale realizzato dai monaci dell’isola intorno all’800 a.C. che illustra e descrive con dovizia di particolari i quattro vangeli attraverso una scrittura magistralmente articolata e colori vividi nonostante i secoli, una gloria dell’arte celtica e dell’universale fede cristiana.

Dopo i silenzi della biblioteca che sembrano cristallizzare il tempo, la scoperta di Dublino prosegue a ritmo di reel, la tradizionale musica irlandese. Le notti scorrono veloci al Temple Bar, il quartiere del divertimento per eccellenza dal fascino bohémien. Passeggiando per le sue vie lastricate, le diverse sonorità degli artisti di strada si intrecciano fondendosi in un’insolita armonia scomposta dove spiccano solisti accompagnati dalla una fida chitarra e gruppi di percussionisti dalle reminiscenze esotiche. L’atmosfera effervescente vive anche all’interno dei locali, jubox instancabili di musica dal vivo carburati da fiumi di birra alla spina. Il più famoso è l’omonimo del quartiere, l’iconografico pub dalle imposte rosse davanti al quale tutti desiderano scattare una foto ricordo.

Un viaggio a Dublino va oltre gli stereotipi ancorati ad una realtà fuori dal tempo, offre scorci di mondanità raffinata come quella di Grafton street, il quartiere più glamour di tutta l’Irlanda, oppure gli agglomerati moderni della zona di Dockslands e del Grand Canal dove hanno sede operativa numerose multinazionali. Da terra di emigrazione a “terra promessa” per numerosi giovani irlandesi perfettamente inseriti nelle più disparate realtà lavorative e per quelli che arrivano volenterosi da tutta Europa.

St Patrick’s Cathedral

Una capitale sempre più orientata al futuro che non dimentica le proprie radici e leggende. Si narra che alla St Patrick’s Cathedral, San Patrizio battezzasse gli irlandesi convertiti nell’acqua in un pozzo senza fondo considerato la porta d’ingresso per le anime del Purgatorio. Questo luogo del credo, tra testimonianze storiche e fervida immaginazione, è stato convalidato come uno dei siti cristiani più antichi e venerati d’Europa. L’attuale struttura in stile gotico risale agli inizi del XII secolo, uno dei luoghi identitari della città da non perdere, come il castello di Dublino. Distante dalle aspettative anticipate dal suo nome, questa struttura è un insieme di palazzi nobiliari risalenti al XVIII secolo. La Record Tower è unico baluardo della struttura originale anglo-normanna risalente al XIII secolo che rimanda al concetto di castello.

Dublino racconta il presente e il passato a nord e a sud del Liffey, il fiume scuro come la sua birra che taglia in due la trama urbana valorizzata dagli spazi verdi dei suoi parchi. Dall’immenso e periferico Phoenix park dove si trova lo zoo più antico d’Europa, al centralissimo St Stephen’s Green, il più frequentato dai cittadini che amano passeggiare o rilassarsi tra le aiuole di fiori e vecchi palchi d’orchestra d’epoca vittoriana, a rivalsa di un passato sporco e misero. Alcuni alberi secolari del parco sono testimoni delle flagellazioni pubbliche, dei roghi e delle impiccagioni che si svolgevano in questo cuore verde della città. Tutt’altra narrativa quella del Marrion’s square park. Oscar Wilde nacque in un’elegante casa georgiana a poca distanza e trascorse la sua infanzia correndo sui prati e nascondendosi tra gli alberi di questo luogo identitario per gli irlandesi. Nell’angolo nord ovest del parco, la statua del dandy campeggia con espressione ironica, come un monito alla spensieratezza, inno alla vita. Gli irlandesi vivificano il suo ricordo tra musica e boccali di birra nella leggerezza degli attimi condivisi, epifanie del quotidiano come le avrebbe definite il dubliner per eccellenza, James Joyce.

 

 

Immagine copertina: Samuel Beckett Bridge, Santiago Calatrava.

Photo credits: Elena Bittante

Bruges, una favola fiamminga

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Bruges appare come una carillon di Natale, un susseguirsi di casette color pastello, chiese con snelli campanili gotici e barche che solcano le acque dei canali al posto di trenini instancabili che attraversano l’idillio. Sotto la neve d’inverno, ammantata dai virgulti in primavera e in estate, coloratissima in autunno, una cittadina di favola che si descrive in quattro capitoli diversi, tutti da vivere

Una realtà pittoresca quella del piccolo centro belga, uno spettacolo in tutte le stagioni. L’interesse dei turisti sembra gravitare principalmente attorno alla sua piazza principale, il Markt. Ammirarlo è un’esperienza a colori: incorniciato da scenografici edifici medievali variopinti con i tipici frontoni a gradoni dell’architettura fiamminga. Appaiono come un puzzle perfetto, tanti tasselli urbani in ammirazione del Belfort, il campanile simbolo di Bruges patrimonio dell’umanità UNESCO che domina maestoso il Markt.

La piazza e le vie principali sono animate da orde di turisti ma il lato più intimo della città si rivela negli angoli nascosti affacciati ai numerosi canali oppure nei vicoletti tortuosi dove si insinua il dolce profumo di waffel con cioccolato. La tradizione belga inebria i sensi, e il fiuto come una bussola vi condurrà alla più vicina pasticceria sbucando nuovamente in una strada maestra. A Bruges difficilmente si perde l’orientamento, tanto meno l’appetito. Una passeggiata per il centro è un’alternanza di quiete e brio, ci si ritrova facilmente tra vacanzieri golosi e collezionisti di foto ricordo, reporter di attimi e stacanovisti della condivisione social, ma in pochi passi ecco sbucare tra la folla una nuova via d’acqua che rasserena la vista e l’umore.

Per non essere fagocitati dalle vie del turismo di massa basta salpare in barca percorrendo le strade d’acqua oppure raggiungere Begijnhof, il “giardino” salvifico della città. Questo meraviglioso angolo di Bruges è un’eredità medievale della comunità delle beghine, donne vedove o orfane che decisero di dedicare la loro vita a Dio, una sorta di suore laiche. I beghinaggi sono strutture del XIII secolo tipiche delle Fiandre, sintesi di un’architettura religiosa e rurale in perfetto stile fiammingo. Si tratta di complessi indipendenti composti da un gruppo di case modeste ed edifici ausiliari costruiti attorno ad un giardino centrale e ad una chiesa, recintati da possenti mura con portoni d’accesso che vengono chiusi durante la notte. Atolli di pace poco distante dai centri cittadini, oggi inglobati nelle loro periferie.

 

Quello di Bruges è tra i più noti nella regione delle Fiandre e accoglie i visitatori nella sua oasi di quiete. Si accede dall’entrata principale attraversando il ponte del 1776 sopra il canale Minnewater, meglio conosciuto come “lago dell’amore”, per ritrovarsi in uno spazio fuori dal tempo dove oggi vivono le monache benedettine. Una manciata di case bianche imbiancate a calce incorniciano una “foresta” di olmi, in questa stagione ancora disadorna dall’inverno a dispetto del suo prato verde smeraldo ammantato di narcisi che annunciano l’imminente primavera.

I vialetti disegnano questo giardino naïf e riconducono tutti alla semplice chiesa del beghinaggio che racchiude il suo unico vezzo all’interno, un elaborato altare barocco con putti paffuti in adorazione. Poco distante dal luogo della fede si accede al piccolo museo ospitato nella ‘t Begijnhuisje, una tipica abitazione del XVII secolo che sembra uscita dalle favole. Nelle sue sale un racconto di vita tradizionale: una cucina rustica con maioliche di Delft bianche e blu e nel salotto un’esposizione di merletti Chantilly, creazioni tipiche della zona. Il Begijnhof è un giardino urbano che racchiude la pace nel brusio di una favola letta ad alta voce. Bruges come duplice e meravigliosa realtà, un’alternanza che ricorda l’eterna ambivalenza del Belgio, una discussione aperta tra identità fiamminga e vallona.

Per tutte le informazioni utili, visitate il sito ufficiale Visit Bruges.

 

Immagine copertina: centro cittadino di Bruges. 

Photo credits: Elena Bittante

Suzdal: il diamante dell’anello d’oro, il gioiello della Russia autentica

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Suzdal è come un acquerello, una realtà dai contorni delicati. Le cupole a cipolla spiccano identitarie nei colori vibranti della natura d’estate e dalla coltre di neve che la ricopre per un lungo periodo dell’anno, disegni di fiaba su fogli di cielo che orientano gli occhi smarriti nella sterminata pianura della Grande Madre. La città più bella dell’Anello d’Oro di Mosca, si distingue per i suoi numerosi monasteri, a disdetta di una terra considerata senza credo, la Russia

La cinta muraria del monastero di Sant’Eutimio

Una tappa nella capitale merita una gita fuori porta, distante dalla megalopoli convulsa. Un’alternativa per scoprire una dimensione autentica, edulcorata dal turismo ma a piccole dosi e soprattutto alla “russa” maniera. Un’ospitalità senza fronzoli e per nulla poliglotta vi accoglie a Suzdal, una delle città dell’Anello D’Oro, il circuito dei centri più belli nell’estesa “periferia” di Mosca. Le distanze russe hanno un’altra scala rispetto alla nostra consuetudine e la cittadina, a 220 chilometri dalla capitale, è una meta molto amata dai locali per le uscite in giornata. Chi la sceglie anche per un giorno solo, il tempo sembra dilatarsi, scorre lentamente come le acque del fiume Kamenka che animano dolcemente l’idillio del suo paesaggio.

Suzdal sembra essersi fermata al XVIII secolo nell’atmosfera sognante di una classica fiaba russa. Il suo aspetto è perfettamente conservato dal 1967, quando il regime sovietico decise di trasformarla in una città-museo. Tutt’oggi il suo centro storico è tutelato da un decreto che vieta l’espansione edilizia e di infrastrutture conservando così lo splendore degli antichi fasti. Nonostante sia un piccolo centro, la cittadina narra una storia millenaria: fondata tra il X e l’XI secolo Suzdal fu capitale quando Mosca viveva in una manciata di capanne. Centro fortificato e fulcro di scambi e commerci, fu soprattutto un importante centro monastico. Durante il XVI secolo furono ampliati e costruiti undici monasteri che ne consacrarono l’identità votiva facendola diventare meta di pellegrinaggi. Il suo declino avvenne nel 1864, una sorte ricorrente a quella di tanti altre città escluse dal passaggio della rete ferroviaria. Suzdal venne tagliata fuori dalla tratta della Transiberiana e fu abbandonata per più di un secolo alla vita agreste di sussistenza. Fu proprio questo immobilismo a creare la sua fortuna: il fascino idilliaco congelato nel tempo aprì le porte al turismo decretandola una delle più belle città di tutta la Russia.

La particolare caratteristica di Suzdal è quella di rivelare tantissimi scorci diversi, visuali come quadri impressionisti, scene bucoliche puntellate da manciate di case sparse. La città è costituita da diversi nuclei che non gravitano attorno ad un unico centro, lo stesso toponimo “Suzdal’ ”deriva da “conglomerato di centri”, una costellazione lungo il suo fiume con galassie abitate e tante cupole oro, argento e blu dei monasteri. Le chiese ravvivano l’orizzonte di pianura con una fitta foresta architettonica, identitaria nel suo stile russo bizantino. La leggenda narra che un tempo ci fossero 40 chiese ogni 400 famiglie, oggi puntellano numerose la città tra le case in legno colorate e un gomitolo di vie più o meno asfaltate dove rimbomba lo scalpiccio dei cavalli e il rimprovero dei cocchieri autoritari. I turisti non perdono l’occasione di rincorrere il passato a bordo di una carrozza e stordiscono i sensi nel profumo di legno delle matrioske e nel sapore delicato dell’idromele, una dolce bevanda tipica a base di miele e linfa di betulla che non tradisce il suo tasso alcolico.

Cosa visitare a Suzdal: il Cremlino, i conventi e il museo dell’architettura in legno

Il fascino di Suzdal è esperienziale: proiettarsi in una vita d’altri tempi visitando le sue meraviglie con mezzi e tradizioni del passato. Si parte dalla piazza del Mercato con la suggestiva chiesetta della Resurrezione per poi fare tappa al Cremlino. Molto più antico di quello di Mosca, questo sito risale al XII secolo ed è stato inserito nella lista dei Patrimoni dell’Umanità Unesco. Le sue mura racchiudono la Cattedrale della Natività della Vergine, il simbolo della città fondata nel 1222, inconfondibile per le sue cupole blu tempestate di stelle dorate, le stanze dell’Arcivescovo che ospitano il museo della storia della città, il campanile del Cremlino con la sua particolare struttura con il tetto a padiglione e la chiesa in legno di Nikolskaya.

Suzdal conta numerosi luoghi del credo che raccontano, oltre alla fede, capitoli di storia e testimonianze preziose. Il convento dell’Intercessione, candido con le sue mura imbiancate era un tempo luogo di esilio delle spose ripudiate dagli Zar, dal Principe Vasily III a Ivan il Terribile. Il monastero di Sant’Eutimio sorveglia il lento andare del fiume Kamenka dall’alto di una collina. Una rilassante passeggiata sulle sue sponde riconduce alle sue imponenti mura color ocra, per gli amanti del cinema un’esperienza come un déjà-vu che ricorderà alcune scene del film Il sole ingannatore, la famosa pellicola russa di Nikita Mikhalkov. Questo luogo della fede racchiude importanti testimonianze della storia nelle chiese e nei musei. Qui si trova anche la tomba del principe Dmitri Pozharsky, valoroso condottiero che guidò la Seconda Armata Nazionale liberando Mosca dagli invasori polacchi nel 1612. Nel 1943 il monastero diventò un campo di concentramento per prigionieri di guerra italiani, rumeni e ungheresi. Oggi tenta di dimenticare i capitoli più bui del Novecento nella tranquillità dei suoi orti e giardini, e dimenticare i lamenti dei prigionieri nel concerto di campane della chiesa del monastero che rintoccano melodiose per cinque minuti.

Per concludere il viaggio nel tempo, merita una tappa il museo dell’architettura in legno e della vita contadina, una mostra a cielo aperto di un tipico villaggio russo del XVIII – XIX secolo dove ammirare le caratteristiche izbe arredate, mulini a vento e casette costruite senza l’utilizzo di un solo chiodo a testimonianza di un artigianalità senza eguali. Suzdal è una città da visitare per rivivere il passato immacolato della Russia, paradossalmente salvato dalla mancanza di progresso e risparmiato dai graffi sovietici.

Il piccolo centro di Suzdal
Il cortile interno del monastero di Sant’Eutimio
La chiesa in legno di Nikolskaya del Cremlino di Suzdal
Il convento dell’Intercessione

Immagine copertina:  la Cattedrale della Natività della Vergine, Cremlino di Suzdal. 

Photo credits: Elena Bittante

Trinity College di Dublino: un inno alla letteratura

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La capitale dell’isola smeraldo profuma di pioggia e libri, brinda all’euforia con boccali di ambrosia scura negli accoglienti pub dalla luce soffusa e intona melodie ad ogni angolo delle sue vie. La musica è il mantra che accompagna la sua identità, una vocazione alla cultura in tutte le sue forme. Il Trinity College è un’ode al sapere e ospita una delle biblioteche più belle del mondo. A Dublino l’olfatto non è inibito dal virtuale e il profumo della carta si confonde con quello dolce della birra azzerando lo stress con romanzi e poesie, nella totale estasi dei sensi

Dublino, una città votata alla letteratura

Una capitale piccola e accogliente che trasforma il quotidiano in un’avvincente “Odissea” moderna: chiunque si identifica in Leopold Bloom girovagando per le sue vie. Ci si immerge spontaneamente in una realtà autentica dove le nuove esperienze si fondono con il fluire dei propri pensieri. Diventare “Dubliner” per qualche giorno è più di un viaggio, è un’esperienza che si ispira ai racconti di James Joyce e dei suoi personaggi che hanno fatto la storia della letteratura moderna.

Già nell’antichità l’Irlanda era una terra di santi ed eruditi grazie alle università monastiche sorte in tutta l’isola per diffondere la fede cristiana e formare l’élite d’Europa. Un sapere brutalmente interrotto dalla conquista dei Vichinghi nella seconda metà dell’800 d.C. che imposero la loro cultura, intollerante al sapere riconducibile ad un unico Dio.

Il germoglio letterario fiorì nuovamente alla fine del 1600 trasformando l’isola in un atollo della cultura. Durante l’epoca della Dublino georgiana, la lingua inglese si arricchì combinandosi ad alcuni termini derivanti dal gaelico, l’idioma natale irlandese. Questa simbiosi linguistica creò uno stile unico, squisitamente “irish”, il comune denominatore dei suoi autori nonostante la spiccata identità di ciascuno.

Il periodo che viene identificato come “letteratura moderna irlandese” segnò l’avvio di una brillante produzione. Nell’olimpo della scrittura spiccano Jonathan Swift, decano della St Patrick’s Cathedral autore dei Viaggi di Gulliver; Oscar Wilde, una delle figure più esuberanti di Dublino, genio brillante ed arguto scrisse numerose opere e un vademecum involontario del dandy perfetto; Bram Stoker, il celebre autore di Dracula che ambientò la trama nei Carpazi della Transilvania ideandola nelle fumose location della Dublino ottocentesca, alcuni sostengono che il nome del vampiro derivi proprio dall’irlandese droch fhola, “cattivo sangue”; George Bernard Shaw, drammaturgo e saggista autore di Pigmalione; Samuel Beckett che con il suo teatro dell’assurdo scardinò i preconcetti dell’etica addentrandosi in temi esistenziali e nella natura dell’io. Infine James Joyce, il più amato dai dubliners. L’autore dell’Ulisse giganteggia su tutte le figure letterarie irlandesi nonostante il suo amore odio indissolubile con la città.

I cittadini di Dublino sono voraci lettori quanto amanti del ritmo e della birra, e questa tradizione letteraria le ha valso il titolo di capitale Unesco della letteratura. Come Edimburgo, questa “dotta d’Europa” svela in ogni angolo le suggestioni dei numerosi romanzi volutamente ambientati in città e alimenta l’immaginazione attraverso i racconti dei suoi autori, desiderosi di descriverne la realtà. Basti pensare al capolavoro di James Joyce “Ulisse” che nelle sue pagine descrive Dublino sin nei minimi dettagli: “Voglio dare un’immagine così completa che se un giorno dovesse improvvisamente sparire dalla faccia della terra, potrebbe essere ricostruita sulla base del mio libro”.

Trinity College di Dublino, l’università con una biblioteca unica nel mondo

Dublino non solo stimola la fantasia ma custodisce gelosamente la memoria in luoghi del sapere davvero unici: la Long Room, l’area più nota della Old Library al Trinity College ne è uno splendido esempio e viene considerata una delle più belle al mondo. Quando i visitatori accedono alla sala principale restano stupefatti dagli spazi: un enorme microcosmo popolato da 250.000 manoscritti antichi, ordinati alfabeticamente e per categoria in due piani di altissimi scaffali lungo tutta la struttura.

La Long Room è una sala lunga 65 metri con una volta a botte, un’elegante e lineare struttura in legno progettata dall’architetto Thomas Burgh nel 1712. Uno scrigno vegliato dai busti di eminenti studiosi che sigillano la conoscenza: dai filosofi che seminarono gli albori del sapere sino agli autori dell’era moderna, un omaggio a chi fece germogliare e fiorire la cultura occidentale.

Il tesoro più prezioso di questo mondo di parole è il Book of Kells, il libro miniato più famoso sulla Terra. Si tratta di un codice medievale realizzato dai monaci dell’isola intorno all’800 a.C. che illustra e descrive con dovizia di particolari i quattro vangeli. La sua scrittura magistralmente articolata e suoi colori vividi nonostante i secoli lo rendono la gloria dell’arte celtica e dell’universale fede cristiana. Questo cimelio del credo, dell’arte e della letteratura, venne custodito al monastero di Kells fino al 1541 e venne donato dall’Arcivescovo Ussher raggiungendo il College di Dublino nel 1661.

Le biblioteche sono dei templi della memoria, galassie di mondi passati, concetti per realtà in divenire. Ciò che ci rende uomini e ci distingue dagli animali è la nostra capacità di narrare storie e miti: condividere il sapere rafforza il senso della comunità. Tutto il complesso del Trinity College avvalora questa idea. L’università venne fondata da Elisabetta I nel 1592 ed è la più antica d’Irlanda e tra le più prestigiose d’Europa. Jonathan Swift, Samuel Beckett e Oscar Wilde si formarono nelle sue aule e passeggiarono per i suoi tranquilli vialetti, oggi come allora un rifugio dal trambusto della città. Oltre alla biblioteca, la meta più ambita dai visitatori che nel fine settimana affollano completamente i 65 metri della sala, il campus svela altri luoghi suggestivi e dettagli singolari da non perdere.

Subito dopo l’entrata principale troviamo la Parliament Square, la piazza principale dominata dall’elegante campanile progettato da Edward Lanynon nel 1852. Questo alto marcatempo viene considerato dagli studenti come una sorta di sciamano in pietra: secondo una leggenda, chi attraversa la piazza quando le sue campane rintoccano non supererà l’esame. Un altro prezioso dettaglio che non si attiene a superstizioni ma ad un simbolismo raffinato è l’opera del famoso artista italiano Arnaldo Pomodoro, la “Sfera con sfera”, proprio di fronte alla Berkeley Library, biblioteca in stile brutalista capolavoro del modernismo. Si tratta effettivamente di una sfera dentro un’altra sfera, rappresentazione d’avanguardia della cristianità riproposta nella forma del globo terrestre. La scultura venne donata all’università dallo stesso artista nel 1982.

Il Trinity College di Dublino è una meta da scoprire, dove si respira l’identità autentica della capitale, dove è stata scritta la sua storia e dove le nuove generazioni scriveranno il futuro di un’isola sempre più connessa all’Europa e al mondo.

Per tutte le informazioni utili, visitate il sito ufficiale Visit Dublin.

Immagine copertina: Long Rooom, Old Library, Trinity College. 

Photo credits: Elena Bittante

Il Cremlino di Mosca, il cuore della Russia tra bellezza rinascimentale e graffi sovietici

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Epicentro della storia e della contemporaneità, il cuore di Mosca descrive la grandezza della sua “madre” affacciato sull’enorme piazza Rossa, e racchiude tra le sue mura il fulcro geografico del potere della Russia, pilastro della geopolitica moderna

Vista dai Giardini Alexander delle fortificazioni del Cremlino

La prima tappa nella capitale coincide con un luogo simbolo, dove si concentrano gran parte delle principali attrattive in città. Il Cremlino di Mosca è racchiuso da alte mura di mattoni rossi scandite da torri d’ingresso, l’aspetto esterno non tradisce il significato del suo nome: “Kreml” che in russo significa “fortezza, cittadella fortificata”. Questa particolare struttura è ricorrente in Russia ma quella moscovita è la più importante del paese e testimonia 800 anni di storia: cittadella degli zar, quartier generale dell’Unione Sovietica, residenza dei presidenti dell’era moderna, da sempre centro del potere politico e un tempo della Chiesa russo-ortodossa. Il Cremlino è il cuore di Mosca e dell’intero paese, dalla frontiera con gli ex stati satelliti allo stretto di Bering. Un perimetro di mura e alti torrioni racchiudono l’immensità di un territorio, forza e vulnerabilità dello Stato russo al tempo stesso.

Cattedrale dell’Annunciazione

Con il suo alternarsi di maestosi palazzi, musei e sontuose chiese dalle cupole d’oro è la rivelazione identitaria della “grande Madre”, la Russia. Sorse come un semplice forte di legno per volere del principe Yuri Dolgoruky nel 1147, esattamente nel punto dove richiamò i suoi alleati, la collina Borovichkij, lambita nella parte sud orientale dalle acque del fiume Moscova. La cittadella che oggi possiamo ammirare in tutta la sua maestosità risale in gran parte al XIII e XV secolo, in particolare al periodo che coincide con il regno di Ivan III “Il Grande”. Il sovrano fece convocare dall’Italia architetti e scalpellini nell’intento di edificare una “Terza Roma” pari alla grandezza di Costantinopoli. L’ambizione unita all’ingegno e all’estro italico riuscirono a coniugare lo stile architettonico russo antico con il rinascimentale veneziano rendendolo un connubio unico nel suo genere. Oggi possiamo ammirarlo nella Piazza delle Cattedrali circondata dalla Basilica dell’Assunzione, il luogo più importante di tutta la Russia prerivoluzionaria, la Chiesa della Deposizione della Veste, la Basilica dell’Annunciazione, il Campanile di Ivan il Grande, l’edificio più alto del Cremlino, e la Cattedrale dell’Arcangelo. Quest’ultima viene considerata uno scrigno del misticismo ortodosso e della storia nazionale. Splendida nello stile russo-bizantino con chiari riferimenti al rinascimento italiano soprattutto nella parte esterna, la Cattedrale fu per secoli il luogo di incoronazioni, matrimoni e funerali reali, custodisce inoltre le tombe degli zar, i sovrani della Moscovia dal 1320 al 1690, compreso Ivan il Terribile che giace accanto ai suoi figli, uno ucciso dalla sua stessa mano.

Cattedrale dell’Arcangelo

Tutte le altre costruzioni non religiose vennero edificate tra il XVII e XIX secolo. Tra questi gli edifici governativi: il Palazzo Poteshny, ex residenza di Stalin, l’Arsenale commissionato da Pietro il Grande, oggi sede della Guardia del Cremlino, sino al più recente Palazzo di Stato del Cremlino, conosciuto anche come Palazzo dei Congressi, sfarzo brutalista in vetro e cemento costruito nel 1960-1961 come sede congressuale del Partito comunista, oggi sede del Balletto del Cremlino. Il Senato venne costruito nel 1785 dall’architetto Matvei Kazakov e si distingue per il suo raffinato stile neoclassico, oggi ospita gli uffici del presidente della Russia, mentre il Gran Palazzo del Cremlino, costruito tra il 1838-1849 da Kostantin Thon, è una delle sue residenze ufficiali. Come comprensibile, non tutti i palazzi del Cremlino sono accessibili al pubblico, oltre alle sedi governative anche il Palazzo dei Diamanti, o “Palazzo Sfaccettato” per la sua facciata in bugnato esterno a forma di punte di diamante, e il Palazzo Terem non sono facilmente visitabili salvo rare eccezioni.

Ogni giorno, a seconda degli orari di apertura, è possibile accedere a quelli adibiti a museo. Imperdibili il Palazzo del Patriarca, sede del Museo della Vita e delle Arti Applicate del XVII secolo dove ammirare gioielli religiosi, mobili e vasellame degli zar, e l’Armeria, una delle maggiori attrattive del Cremlino. Custodisce i cimeli della ricchezza imperiale ma anche le vesta dei suoi doveri: dalle inestimabili uova Fabergé, vezzi che gli zar amavano regalarsi durante la Pasqua, agli abiti dell’incoronazione compreso l’abito da sposa di Caterina la Grande, agli elmi e armature dei valorosi regnanti. Da non perdere il Fondo dei Diamanti, una parte separata del palazzo dipendente dal Ministero delle Finanze dove poter ammirare le gemme più splendenti di tutta la Grande Russia. Per gli amanti “degli inestimabili”, non perdete nella parte esterna lo “Zar dei Cannoni” dal peso di 40 tonnellate, e la “Zarina delle Campane”, la campana più grande del mondo di 202 tonnellate e più di 6 metri di altezza che non ha mai suonato un rintocco. Due strumenti come allegorie di una grande Russia, palesemente inutili nella loro reale utilità ma stupefacenti nella chiarezza della loro simbologia.

Lo Zar dei Cannoni e il Senato
Cimelio in legno decorato in oro e gemme del XII secoli, Museo dell’Armeria

Il Cremlino, come un forziere della storia, resistette al piano di Napoleone Bonaparte assistito dalla buona sorte. Nel 1812 il generale assediò Mosca e nell’intento di distruggere il suo centro del potere, installò numerose cariche esplosive per far saltare tutte le costruzioni del Kreml. Ma qualcosa non andò secondo la sua tattica: la maggior parte non esplosero e i danni si limitarono alle mura, alle torri e alla zona del campanile Vliskij. Gli scempi architettonici arrivarono negli anni ’30 del Novecento durante la dittatura di Stalin. Le sue discutibili scelte urbanistiche e architettoniche ricaddero anche sulla cittadella dell’identità snaturandone per una parte la sua fisionomia. Anche questi graffi del ‘900 fanno parte della sua storia e vengono inclusi, tutelati e raccontati in un complesso patrimonio UNESCO dal 1990. Il Cremlino di Mosca racchiude tra le mura e tra le eredità architettoniche la storia della Russia e da qui si continuano a disegnare le geografie, anche quelle che determino gli equilibri del mondo moderno.

Palazzo di Stato del Cremlino

Per tutte le informazioni utili per la visita, visitate il sito Moscow Kremlin Museums 

 

Immagine di copertina: le mura sud orientali del Cremlino 

Photo credits: Elena Bittante

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Luci schiette, ombre lunghe e riflessi sul Cremlino sino al calar del sole 🌗 La suggestione del tramonto tra splendori russo bizantini, rinascimentali e i graffi sovietici 🌓 Il mio articolo dedicato a questa fortezza della storia dove si continuano a disegnare le geografie, anche quelle che determinano gli equilibri del mondo moderno: https://www.europeanaffairs.it/viaggiare/2019/09/16/il-cremlino-di-mosca-il-cuore-della-russia-tra-bellezza-rinascimentale-e-graffi-sovietici/ . . . #kremlin #kremlinpalace #moscow #igmoscow #russia #culturaltravel #urbanphotography #urban_shots #bestcitypics #livetoexplore #travelandlife #traveldiaries #culturetrip #culturalheritage #arthistory #unescoworldheritage #unesco #journalismlife #traveljournaling

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Porto, la città di fiume marittima nel cuore

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Porto, una bellezza decadente affacciata sul fiume Douro, una città dall’atmosfera mediterranea che fiuta l’aria dell’Atlantico. Un susseguirsi di scorci pittoreschi rivelano l’anima popolare e mercantile nascosta dietro la ricercata facciata turistica degli ultimi anni: gli edifici scrostati si alternano a quelli più fotogenici ammantati da azulejos, piastrelle in ceramica nei toni del bianco e dell’azzurro come almanacchi della storia portoghese. E’ un binomio di colori ad introdurci nella seconda città del Portogallo, accompagnato dall’ebbrezza del suo vino

Appollaiata sulle alture che lambiscono il corso del Douro, questa città di fiume è marittima nel cuore: la sua storia e le sue atmosfere rimandano al vicino Atlantico anticipando quelle delle spiagge della vicina FozPorto ha mantenuto nei secoli la grande tradizione del commercio e della costruzione navale. Ricoprì un ruolo importante durante le spedizioni portoghesi del XV secolo, fu una protagonista nel commercio del Porto dal XVIII secolo, il tipico vino dolce e liquoroso della valle del Duoro.

Igreja do Carmo

Porto è una città aperta al turismo ma al contempo gelosa della sua identità, la sintesi di questa ambivalenza è il quartiere della Ribeira affacciato sul corso del Douro, Sito Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Gli angoli più fotografati del “quartiere sul fiume” sono stati tirati a lucido per i turisti negli ultimi anni ma la Ribeira si rivela ancorata alla sua identità nei vicoli secondari, tra le pareti scrostate delle case e le fronde di biancheria stesa su liane di spago. In quest’area della città si concentrano gran parte delle mete da visitare a Porto. Si può iniziare il tour da un punto di arrivo, la Stazione ferroviaria di São Bento, la prova inconfutabile che un luogo di transito può rivelarsi un’esperienza. Un tramite come stato in luogo dove soffermarsi ed ammirare i grandi pannelli di azulejos degli anni ’30 ad opera di Jorge Colaço: più di 20.000 piastrelle bianche e azzurre tappezzano il grande atrio della stazione illustrando battaglie storiche e scene di vita quotidiana.

Si prosegue alla scoperta del quartiere facendo tappa nel luogo del credo simbolo della città, il . L’imponente cattedrale del XII secolo spicca severa nei toni freddi del granito grigio tra il colore acceso delle case. La facciata si presenta lineare con un grande rosone centrale e due torri gemelle con cupole ai lati ma al suo interno la chiesa è ammantata dall’opulenza barocca del XVIII e lascia solo intravedere la purezza dello stile romanico delle sue origini. Degno di nota il chiostro, un abbraccio stilistico ritmato dalle geometriche arcate gotiche e dalle ricche decorazioni delle azulejos. Un racconto dettagliato in bianco e azzurro che rappresenta il Cantico dei Cantici di Salomone e la Vita della Vergine.

Le azulejos del chiostro del Sé

La Cattedrale non è solo un simbolo di Porto, è anche un punto di riferimento e di “vedetta” grazie alla posizione più alta rispetto alle altre zone della città: dal Terreiro da Sé, lo spazio davanti alla chiesa, si ammira una splendida visuale sulla Ribeira, sul Douro e spazia sulla cittadina di Vila Nova de Gaiaappollaiata sull’altra sponda del fiume.

Il barocco è uno stile ricorrente in città, “rimodernò” numerose chiese e palazzi nel XVIII secolo. L’apoteosi dell’eccentrico si trova sempre nel quartiere, la Igreja de São Francisco interamente decorata con la particolare tecnica della talha dourada, intarsi in legno dorato. Sulle pareti della chiesa si anima un paradiso ligneo di cherubini, animali e grappoli d’uva, personaggi e fronzoli che transitarono in purgatorio durante la fine del XVIII secolo: questi decori vennero considerati eccessivi dai membri del clero tanto da sospendere le funzioni religiose per un lungo periodo.

Nel denso tessuto urbano della Ribeira spicca la Torre dos Clérigos dell’omonima chiesa, anch’essa edificio dell’epoca barocca concepito da Nicola Nasoni, architetto di origine italiana. Vale la visita la faticosa salita sino alla sua cima per poi rituffarsi nel labirinto di stradine del quartiere sino a giungere nella sua parte bassa dove parte il ponte in ferro Dom Luis I. Questa mirabile infrastruttura venne progettata nel 1881 da Téophile Seyrig, allievo di Gustave Eiffel. La forma leggiadra dell’arcata centrale ricorda l’iconica torre francese, elemento stilistico e strutturale del ponte che collega Porto alla cittadina gemella Vila Nova de Gaia dove poter visitare numerose cantine e degustare dell’ottimo Porto. Questo centro è rinomato in tutto il mondo per la migliore produzione di tutto il Portogallo di questo particolare vino. Il Dom Luis I è un’opera ingegneristica scenografica, soprattutto se ammirata da sotto o da un barcos rabelos. Si tratta delle tipiche imbarcazioni che transitano lungo il fiume, un tempo adibite al trasporto delle botti di porto, oggi utilizzate per le gite turistiche, un’esperienza da provare per ammirare la città da un’altra prospettiva.

Il ponte in ferro Dom Luis I, 1881

Porto è famosa per il suo vino ma è anche un viaggio nel gusto. Il Mercado do Bolhão è il più famoso e qui è possibile trovare tutte le specialità del posto. Le osterie collocate nella parte centrale del mercato sono la meta ideale per fare uno spuntino, deliziatevi con la triade del gusto di Porto: la trippa, il baccalà, cucinato in 100 modi diversi, e la franchesina, un toast inventato negli anni ’60 e oggi il piatto veloce per eccellenza. Il mercato è un’occasione per degustare le specialità tipiche ma anche per conoscere gli usi e costumi degli abitanti della città, un affaccio sulla quotidianità.

Porto si distingue anche per un altro cibo, alcuni lo definiscono “per la mente”, i libri. Prima delle degustazioni alcoliche fate una tappa alla libreria di Lello e Irmão, da tanti considerata la più bella del mondo. Ideata dall’ingegnere e politico portoghese Francisco Xavier Esteves a fine ‘800, questo luogo è una perfetta fusione di stile gotico e liberty, un’atmosfera da favola. Non è un caso se venne scelta dagli scenografi di Harry Potter come set per alcune riprese. Tra gli scaffali ricolmi di volumi spicca sinuosa una grande scala in legno a forma di otto o di infinito, quasi un richiamo a perdersi in uno dei tanti mondi racchiusi nei libri o nel fascino di questo luogo suggestivo.

Porto, la città cartolina dai colori sbiaditi, un puzzle imperfetto dove nei pezzi mancanti sono incastonati gioielli barocchi. Porto è come il profumo del suo vino, ebrezza rilassata che si affaccia sul placido scorrere del Douro. Un tuffo nella storia e nelle tradizioni ma allo stesso tempo un percorso esperienziale, da scoprire a ritmo lento.

Immagine di copertina: panorama della Ribeira, a sinistra la cattedrale del Sé, a destra la Torre dos Clérigos

Photo credits: Elena Bittante

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Porto, una città di fiume marittima nel cuore. Un puzzle imperfetto dove nei pezzi mancanti sono incastonati gioielli barocchi ammantati di azulejos, le piastrelle in ceramica bianche e azzurre almanacchi della storia portoghese. Porto è come il profumo del suo vino, ebrezza rilassata che si affaccia sul placido scorrere del Douro. Un tuffo nella storia e nelle tradizioni alla scoperta delle opulente chiese, dei raffinati caffè, delle librerie da favola e dei vicoli secondari, tra le pareti scrostate delle case e le fronde di biancheria stesa su liane di spago❣️ Il mio articolo dedicato a questa città dall’atmosfera mediterranea che fiuta l’aria dell’Atlantico: https://www.europeanaffairs.it/roma/2019/08/10/porto-la-citta-di-fiume-marittima-nel-cuore/ 🇵🇹 . . . #porto #oporto #oportolovers #visitporto #portugal #portogallo #travelingportugal #discoverportugal #portoportugal #winetourism #travelandlife #traveldiaries #culture #cultureheritage #culturetrip #naturelandscape #europetravel #livingeurope #livetravelchannel #europe_vacations #traveljournalist

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Atene, le origini della storia occidentale tra pace e caos

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Frammenti di mito e pezzi di intonaco, una capitale votata al passato, dagli albori della civiltà al racconto dell’ultimo decennio trascorso. Tutto sembra vissuto, a tratti usurato, Atene non è la classica “bella città” ma gioca bene le sue carte con la complicità delle atmosfere suggestive e la luce avvolgente del Mediterraneo. Sorprende inaspettatamente chi si addentra nel dedalo del centro tra palazzi scrostati, gallerie d’arte e scorci sulla storia: da qualsiasi angolo si scorge l’Acropoli, fondamenta della cultura occidentale. Il Partenone, unico e immortale, veglia la città arroccato su un promontorio roccioso sovrastando la valle dell’Ilissos dalla fine del VII secolo a.C.

Il Partenone

Un viaggio alla scoperta delle nostre origini, un tuffo nella creatività e nella serenità che contraddistinguono la tradizione greca. Atene è storia e smussa il peso della sua eredità nella leggerezza della quotidianità rivelandosi una metropoli viva e originale che bypassa le ombre della crisi a ritmo di sirtaki e spunti creativi. L’incontro nelle grandi piazze, la vivacità rilassata della gente, il profumo di basilico fresco dei piatti tradizionali e l’estro degli artisti moderni che omaggiano il glorioso passato sono solo alcuni spunti per viverla a pieno. E’ dalle radici che inizia un viaggio nella culla della civiltà occidentale, per poi divagare in una realtà pittoresca al passo con i tempi.

La prima tappa è l’Acropoli. Lì dove tutto ebbe inizio spiccano gli archetipi dell’architettura classica come eredità inestimabile. Il sito archeologico patrimonio UNESCO dal 1987, racconta la nascita della democrazia evocando suggestioni e riflessioni. Sulla collina dell’Areopago sorgono il Partenone, i Propilei, l’Eretteo e il Tempio di Atena Nike, circondati dalla possente cinta muraria di Temistocle. Il Partenone incorona il sito con candida magnificenza; progettato da Ictino e Callicrate, venne edificato tra il 447 e il 438 a.C. e consacrato alla dea Atena. La costruzione in marmo pentelico bianco scintilla sotto il sole, otto colonne dei lati corti e diciassette su quelli lunghi in stile dorico ingegnosamente inclinate per creare un effetto illusorio. Un tempo l’edificio era ricoperto di fregi e sculture, oggi si aggrappano ai frontoni occidentali e orientali i superstiti delle ere: Helios e il suo destriero raccontano la nascita di Atena dalla testa del padre e la lotta di Atena con Poseidone per il possesso dell’Attica. Lungo il perimetro del tempio spiccano le metope modellate da Fidia, le formelle quadrate con funzione narrativa scolpite ad altorilievo. Oggi come allora i Propilei si trovano all’entrata dell’Acropoli accogliendo da millenni i visitatori. Realizzati per volere di Pericle spiccano allineati con il Partenone in un gioco di geometrie perfette, con le facciate anteriori più basse di quelle posteriori per seguire il dislivello del terreno. Catturano l’attenzione la solennità del Tempio di Atena Nike dedicato alla dea della vittoria nel 425 a.C., e l’Eretteo che deve il suo nome al mitico re di Atene. Questo capolavoro dell’architettura ionica, costruito tra il 421 e il 406 a.C., ostenta le protagoniste dell’architettura classica nel suo portico: le Cariatidi, intente a sorreggere il peso della storia e della cultura (le statue esposte sono una riproduzione delle donne di Karyai, le originali si trovano al museo dell’Acropoli).

Propileo all’entrata dell’Acropoli
Eretteo e loggetta della Cariatidi

All’ombra del Partenone possiamo ritagliare qualche attimo per rilassarci, riflettere e scrutare il panorama della metropoli odierna, una terrazza esclusiva che si affaccia sul divenire di una capitale dai tratti caotici. Il viaggio nella cultura classica prosegue “a valle”, al Museo dell’Acropoli, situato alle pendici meridionali dell’Areopago. L’interessante polo museale si distingue per la struttura moderna in vetro e acciaio e crea un ossimoro architettonico a confronto con le pietre compatte della cittadella del mito. Il museo custodisce tutti i reperti rinvenuti nel sito e spazia dal mondo arcaico a quello romano con cimeli inestimabili come le leggiadre korai, dalle elaborate acconciature a trecce del VI secolo, e il noto giovane con vitellino del 570 a.C. Un’ altra tappa da non perdere per un continuum nella storia ellenica è l’Antica Agorà, dove Socrate elaborò le sue brachilogie, conversazioni fondate su una logica ferrea al fine di educare l’individuo e la sua anima sul fondamento della verità. Qui si erge superstite il Tempio dorico di Efesto del 449 a.C., e il grande complesso a due piani della Stoà di Attalo originario del 138 a.C., ricostruito filologicamente dalla Scuola Americana di Archeologia. Le dimensioni colossali della storia antica sono tutt’ora testimoniate anche nel sito archeologico del Tempio di Zeus Olimpio, maestose rovine di un nucleo architettonico che richiese oltre sette secoli per la costruzione. Un esempio ante litteram di “edilizia posticipata” per mancanza di fondi, l’Olympieion venne ultimato dall’imperatore Adriano nel 131 d.C.

Museo dell’Acropoli

Dopo un tuffo nella storia, Atene offre un’immersione nel mare plumbeo del suo caotico centro non privo di atolli meravigliosi: tra gli edifici in calcestruzzo infatti sorgono le isole verdi della città. L’eden urbano dei Giardini Reali, una visione salvifica nella congestione della metropoli vicino a Piazza Syntagma dove si trova il Parlamento. Oggi questo eden aristocratico del 1840 è diventato uno spazio pubblico condiviso da milioni di cittadini e turisti diventando il Giardino Nazionale della città di Atene. 38 acri di verde e oltre 500 specie di piante rendono questo spicchio di città un tesoro di biodiversità, avvalorato da cimeli inestimabili che ricordano l’identità di Atene, indissolubilmente legata alla storia. In città i grandi polmoni verdi sono facilmente individuabili alzando semplicemente lo sguardo verso il cielo. Spiccano le pendici boscose del Licabetto sopra il quartiere di Kolonaki, dove si rincorrono miti e leggende, e la collina di Filopappo, descritta da Plutarco per le gesta di Teseo contro le Amazzoni. Quel che fu dello scontro anima solo la leggenda lasciando spazio alla pace in quest’oasi naturale da dove ammirare un panorama privilegiato sull’Acropoli, sull’Attica e sul Golfo di Salonicco per poi spaziare sino a dove arriva l’orizzonte. Passeggiare tra i vialetti ombrosi dei parchi di Atene è l’ideale per chi desidera rilassarsi dal traffico cittadino e ritrovare le idee, fermarsi e osservare il divenire dall’alto può rivelarsi una panacea temporanea, un’occasione per riflettere sui dogmi della vita quotidiana, oggi come allora.

Dopo un tuffo nella storia, Atene offre un’immersione nel mare plumbeo del suo caotico centro non privo di atolli meravigliosi: tra gli edifici in calcestruzzo infatti sorgono le isole verdi della città. L’eden urbano dei Giardini Reali, una visione salvifica nella congestione della metropoli vicino a Piazza Syntagma dove si trova il Parlamento. Oggi questo eden aristocratico del 1840 è diventato uno spazio pubblico condiviso da milioni di cittadini e turisti diventando il Giardino Nazionale della città di Atene. 38 acri di verde e oltre 500 specie di piante rendono questo spicchio di città un tesoro di biodiversità, avvalorato da cimeli inestimabili che ricordano l’identità di Atene, indissolubilmente legata alla storia. In città i grandi polmoni verdi sono facilmente individuabili alzando semplicemente lo sguardo verso il cielo. Spiccano le pendici boscose del Licabetto sopra il quartiere di Kolonaki, dove si rincorrono miti e leggende, e la collina di Filopappo, descritta da Plutarco per le gesta di Teseo contro le Amazzoni. Quel che fu dello scontro anima solo la leggenda lasciando spazio alla pace in quest’oasi naturale da dove ammirare un panorama privilegiato sull’Acropoli, sull’Attica e sul Golfo di Salonicco per poi spaziare sino a dove arriva l’orizzonte. Passeggiare tra i vialetti ombrosi dei parchi di Atene è l’ideale per chi desidera rilassarsi dal traffico cittadino e ritrovare le idee, fermarsi e osservare il divenire dall’alto può rivelarsi una panacea temporanea, un’occasione per riflettere sui dogmi della vita quotidiana, oggi come allora.

Atelier nel quartiere di Monastiraki
Il Licabetto
Vista dalla collina di Filopappo

Immagine copertina: vista sull’Acropoli dalla collina di Filopappo.

Photo credits: Elena Bittante

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Frammenti di mito e pezzi di intonaco, Atene è votata al passato, dagli albori della civiltà al racconto dell’ultimo decennio trascorso. Tutto sembra vissuto, a tratti usurato, non è la classica “bella città” ma gioca bene le sue carte con la complicità delle atmosfere suggestive e la luce avvolgente del Mediterraneo. Sorprende inaspettatamente chi si addentra nel dedalo del centro tra palazzi scrostati, gallerie d’arte e scorci sulla storia: da qualsiasi angolo si scorge l’Acropoli, fondamenta della cultura occidentale 🇬🇷 Atene è storia e smussa il peso della sua eredità nella leggerezza della quotidianità rivelandosi una metropoli viva e originale che bypassa le ombre della crisi a ritmo di sirtaki e spunti creativi. L’incontro nelle grandi piazze, la vivacità rilassata della gente, il profumo di basilico fresco dei piatti tradizionali e l’estro degli artisti moderni che omaggiano il glorioso passato sono solo alcuni spunti per viverla a pieno. E’ dalle radici che inizia un viaggio nella culla della civiltà occidentale, per poi divagare in una realtà pittoresca al passo con i tempi 🌺 Il mio articolo dedicato alla città dove tutto ebbe inizio: https://www.europeanaffairs.it/roma/2019/05/19/atene-le-origini-della-storia-occidentale-tra-pace-e-caos/ 🌺 . . . #athens #acropolis #greece #syntagma #ig_athens #athens_city #athensvoice #life_greece #in_athens #eyeofathens #athensview #visitathens #loveathens #greekhistory #travelandlife #traveldiaries #culturetrip #traveljournalist

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La Grande Muraglia Cinese, il limes del possibile

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Una delle Sette Nuove Meraviglie del Mondo Antico e dell’UNESCOPatrimonio dell’Umanità. La Grande Muraglia Cinese appare come un ricamo che intarsia le montagne, trasforma le pendenze più aspre in dolci sinuosità rendendo il limite accessibile. L’occhio perde la via seguendola sino all’orizzonte per poi lasciare spazio alla surreale consapevolezza: quest’opera militare difensiva si estende per oltre 8.000 chilometri, più di 21.000 chilometri se considerati tutti i tratti misurati di fortificazioni collaterali. Uno dei monumenti più emblematici costruiti dall’uomo in tutto il mondo, capace di sorpassare la linea dell’orizzonte e della nostra immaginazione

Località Badaling, a 70 chilometri da Beijing

La Grande Muraglia è la classica meta di un viaggio in Cina. A tratti turistica e affollata, in altri dismessa e difficilmente accessibile ma sempre presente negli intenti di chi desidera ammirarla, solo per una foto ricordo o per un trekking lungo qualche tratto. Visitarla è come conoscere un grande drago che serpeggia da millenni nella parte settentrionale del paese: attraversa sinuoso mondi diversi, quelli di una nazione con una natura eterogenea unica al mondo. Si snoda su e giù per le montagne seguendo anche la morfologia più estrema, attraversa deserti e praterie  dalla costa Est fino agli altopiani dell’Ovest percorrendo un totale di 21196,18 km.

La Grande Muraglia, in cinese 长城 (Chángchéng /channg-chnng/ “Lunga muraglia”), è simbolo di grandezza della storia antica della Cina e oggi come allora si rivela un’opera identitaria del paese nonché una delle meraviglie del mondo, dal 1987 inclusa nella lista dei Patrimoni dell’Umanità UNESCO.

Il muro “originario” risale a 2.300 anni fa nel periodo della dinastia Qin (221-207 a.C.), nel tempo subì numerosi cambiamenti e ristrutturazioni a discapito di innumerevoli vite umane, una macabra leggenda narra che gli scheletri degli operai morti vennero inglobati nella sua costruzione. La storia della Muraglia narra un lungo racconto, un susseguirsi di capitoli in bilico tra mito e realtà, ma sin dal principio affiora la certezza del suo scopo: la difesa del territorio dalle incursioni esterne, soprattutto mongole. Nel XII secolo le orde di Gengis Khan erano divenute una minaccia permanente. L’opera architettonica mantenne la sua funzione difensiva per i secoli a venire ma l’aspetto attuale risale alla dinastia Ming(1368- 1644), durante la quale venne attuata una monumentale opera di restauro dell’intero complesso. L’intera struttura venne rinforzata con pietre, mattoni e una merlatura alta 1.8 metri con scappatoie e feritoie e parapetti alti 1.2 metri.

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Una delle Sette Nuove Meraviglie del Mondo Antico e dell’UNESCO, Patrimonio dell’Umanità. La Grande Muraglia Cinese appare come un ricamo che intarsia le montagne, trasforma le pendenze più aspre in dolci sinuosità rendendo il limite accessibile. L’occhio perde la via seguendola sino all’orizzonte per poi lasciare spazio alla surreale consapevolezza: quest’opera si estende per oltre 8.000 chilometri, più di 21.000 chilometri se considerati tutti i tratti misurati di fortificazioni collaterali. Uno dei monumenti più emblematici costruiti dall’uomo in tutto il mondo, capace di sorpassare la linea dell’orizzonte e della nostra immaginazione 🌏 Qualche pillola di storia nel mio articolo: https://www.europeanaffairs.it/roma/2018/12/13/la-grande-muraglia-cinese-limes-del-possibile/ 🐲 . . . #thegreatwall #thegreatwallofchina #badaling #beijing #instabeijing #pechino #visitbeijing #beijingtrip #chinatravel #unescoheritage #cina #visitchina #asianwanderlust #explorechina #travelchina

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Nonostante la grandiosità del progetto, questa struttura concepita come impenetrabile non si rivelò mai un’efficiente barriera difensiva contro gli invasori, come testimonia la conquista di Beijing nel 1215 da parte dell’esercito di Gengis Khan. Tuttavia, diversamente dal mancato scopo militare, si dimostrò un’eccellente via di percorrenza per il trasporto di materiale e di persone attraverso gli impervi territori montuosi, inoltre si rivelò molto efficace per le comunicazioni grazie al suo sistema di torri di segnalazione che permetteva di trasmettere rapidamente le notizie dei movimenti nemici sino alla capitale. Per rendere possibile questa operazione venivano utilizzati i segnali di fumo bruciando sterco di lupo, un chiaro indizio della fauna locale che ancora oggi vive indisturbata negli sterminati territori che la Muraglia attraversa.

A partire dalla metà del XVII secolo, il venir meno della temuta minaccia mongola fu paradossalmente l’incipit del rovinoso declino di questa opera monumentale. L’apice dell’abbandono avvenne nel ‘900 in quanto la tutela di questo patrimonio non rientrava nelle priorità di una stato votato al comunismo, che destrutturò la bellezza di questa ed altre meraviglie del paese rendendo la vita culturale cinese un arido deserto. Una perdita di valore che scalfì indelebilmente la grandezza della Muraglia assottigliandola nelle dimensioni e sfregiandola nell’identità: Mao Zedong incoraggiò i cinesi che abitavano nelle vicinanze ad utilizzarla come fonte di materiale gratuito per la costruzione di infrastrutture e di brutture edilizie in stile post sovietico.

Solo nel 1984 il successore di Mao, Deng Xiaoping, portò la sua tutela sotto la competenza dello stato. Il progetto di restauro cercò di ridarle dignità ristrutturando alcune sezioni. Tra i tanti luoghi oggi visitabili, un esempio è il suggestivo scenario che si può ammirare a Badaling, a pochi chilometri dalla Capitale. Qui si apre un percorso turistico molto gettonato con un paesaggio da cartolina che ha perso l’autenticità della storia ma che ha ricostruito la dignità della Grande Muraglia e soprattutto gli intenti di chi ama la millenaria identità di questo paese e desidera condividerla con il resto del mondo, un limes del possibile.

Immagine copertina: Grande Muraglia Cinese, Badaling, Cina.

Photo credits: Elena Bittante

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Mi arrampico al mio desiderio seguendone i bastioni: percorrere un piccolo tratto della Grande Muraglia Cinese. Gli occhi lacrimano dalla commozione e dal freddo, è l'ennesimo inverno per le pietre navigate che indicano la via, un gelo polare che non demorde l'entusiasmo di percorrerla ed ammirarla per qualche ora. La immagino nella storia, nei tumulti devastatori e nei silenzi salvifici delle tregue, appollaiata sulle montagne. Ci sono luoghi che anticipiamo nei sogni e che viviamo con essi, la loro forza evocativa rende il loro valore universale e condiviso un'esperienza intima e personale, unica e irripetibile ♥️ . . . #thegreatwall #thegreatwallofchina #badaling #beijing #instabeijing #pechino #visitbeijing #beijingtrip #chinatravel #unescoheritage #cina #visitchina #asianwanderlust #explorechina #travelchina

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Elena Bittante
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