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Il Tempio del Cielo, armonia sulla terra. L’architettura della tradizione cinese simbolo di Beijing

in MONDO by

Il simbolo di Pechino ricalca la perfezione idealizzata dell’architettura Ming, una geometria senza asperità equilibrio del suo credo, il Confucianesimo. Il Tempio del Cielo e della Preghiera per un Buon Raccolto rimanda al concetto cinese di “Tiānyuán Dìfāng’” secondo il quale il cielo è rotondo e la terra è quadrata, ed è così che questo patrimonio della cultura si erge coerente con la sua struttura circolare da una terrazza di marmo quadrata a tre livelli

Entrata sud, Tempio del Cielo

Per capire i dogmi del credo, qualsiasi essi siano, alle volte basta camminare sulla terra prestando un po’ di attenzione, l’uomo è capace di semplificarli alla perfezione. Non si notano imprecisioni al cospetto del Tempio del Cielo nel cuore di Pechino, limpido nella struttura e negli intenti di significato eppure la linearità e regolarità che lo contraddistinguono sono riferimenti indiretti rispetto alla visione diretta dell’osservatore. Una parte per il tutto, sineddoche nell’arte e nell’architettura cinese che si rispecchia anche nei suoi usi e costumi, un approccio curioso per noi occidentali, appassionati ricercatori di espliciti concetti anche nelle sfumature e sottigliezze.

Questo luogo di armonica bellezza racchiude tanti significati, risulta difficile conciliare questa grande concezione estetica con la devastazione culturale che portò l’avvento del comunismo dopo il 1949. Oggi il Tempio del Cielo resta un’icona sopravvissuta nella perfezione dello stile Ming in una delle aree più caotiche e impersonali della città, faro della tradizione che riporta alla luce l’epoca imperiale.

Questa meta imperdibile di Beijing si trova nell’omonimo parco nel distretto di Dongcheng sud, un’oasi di pace di 267 ettari dove vivono indisturbati 4.000 splendidi antichi cipressi. Un luogo idilliaco distante dal ronzio del traffico, meta di pellegrinaggio per turisti e consueto ritrovo per cittadini. Il caratteristico tetto del tempio a tripla gronda ad ombrello di colore viola- blu spunta tra la flora locale e le alte mura che lo circondano. Si svela poco alla volta caricando di aspettativa i visitatori, curiosi di ammirarlo da vicino. Varcato uno dei quattro cancelli della sua cinta muraria ci si rende immediatamente conto che non si tratta di uno stereotipato luogo della fede ma di un’eredità lasciata dalla devozione dell’imperatore, un maestoso palcoscenico un tempo dedicato ai suoi riti solenni. Il “Figlio del Cielo”, si recava a pregare per chiedere il perdono e per invocare il favore degli dei per un buon raccolto.

Nelle giornate di sole l’edificio a struttura circolare svetta verso il cielo velato di smog metropolitano, eppure la foschia di questa città, tra le più inquinate al mondo, non svilisce i suoi 38 metri di magnificenza. Con un diametro di 30 metri si rivela ai visitatori come una struttura semplice ma al contempo ingegnosa: il soffitto non presenta chiodi né cemento ed è sorretto da pilastri in legno d’abete dell’Oregon. Al centro della struttura si trova l’altare dove pregava l’imperatore e sul soffitto un enorme drago dipinto, un simbolo a suo omaggio. Il tempio venne costruito nel 1420 durante l’epoca Ming ma nel 1889 un fulmine lo ridusse in cenere. Venne ricostruito l’anno successivo e oggi lo possiamo ammirare in tutto il suo splendore con gli stessi canoni architettonici della struttura originaria.

Il tempio del Cielo è l’edificio di maggior rilievo del parco, occupa la posizione centrale ed è protetto dagli alti muraglioni che lo circondano. Lungo il loro perimetro troviamo gli accessi principali in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Solo passeggiando ci si rende conto che nulla nell’architettura di questo luogo è lasciato al caso, ovunque si può intravedere l’intervento razionale ed armonizzante dell’uomo. La prevalenza della ragione si descrive perfettamente in questa meta imperdibile ma è una costante nell’architettura cinese della tradizione, ripropone la linearità e la regolarità che si rifanno ai principi del Confucianesimo: ordine e simmetria come imposizione dell’intelletto umano sulla natura.

Dettaglio soffitto del tempio
Portale sud
Parco del Tempio del Cielo, luogo di ritrovo per i pechinesi

Consigli per la visita

Il momento migliore della giornata per visitare il tempio è la mattina presto e il periodo più indicato dell’anno per evitare le lunghe file va da novembre sino ad aprile. Durante la bella stagione è consigliato il pranzo al sacco, un picnic al parco è una pausa ideale e una gradevole esperienza.

Non dimenticate il vostro passaporto, è richiesto per acquistare il biglietto e visitare le principali mete turistiche di Pechino. Il costo del biglietto è 15-35RMB in alta stagione e 10-28RMB in bassa stagione.

Gli orari di apertura sono: 8 – 17 dal 1 aprile al 31 ottobre, 8 – 16 dal 1 novembre al 31 marzo.

Come arrivare: metropolitana linea 5 fermata Tiantan Dongmen station (Exit A1 or A2).

Immagine copertina: Il Tempio del Cielo e della Preghiera per un Buon Raccolto, Beijing, Cina. 

Photo credits: Elena Bittante

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L'armonia delle forme come sintesi di significato 🌸 Il Tempio del Cielo e della Preghiera per un Buon Raccolto è un'allegoria architettonica che rimanda al concetto cinese di "Tiānyuán Dìfāng'" secondo il quale il cielo è rotondo e la terra è quadrata. Questa meravigliosa icona di Beijing ricalca alla perfezione i canoni Ming (eretta nel 1420 e ricostruita nel 1889 a causa di un fulmine che la ridusse in cenere), si erge coerente al suo credo da una terrazza di marmo a tre livelli con l'inconfondibile tetto a tripla gronda ad ombrello 🌸 🇨🇳 . . . #beijing #templeofheaven #instabeijing #pechino #visitbeijing #beijinglife #beijingcity #beijingtrip #chinatravel #unescoheritage #cina #visitchina #asianwanderlust #archilovers #culturalheritage

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Varsavia: un tour romantico alla scoperta del Parco Łazienki e della Residenza di Wilanów

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La capitale della Polonia ritaglia degli angoli preziosi, avulsi dal pregiudizio post sovietico che gli “occidentali del vecchio continente” tendono ad attribuire alle realtà dell’est Europa, standardizzandole nel calcestruzzo anonimo e nell’assenza di creatività. Varsavia racconta la sua storia anche nei toni romantici di un passato glorioso, quello dei parchi e dei palazzi d’epoca, risorti dignitosamente dall’ultimo secolo che ne svilì la bellezza. Scopriamo Park Łazienki con il suo incantevole Palazzo sull’Acqua, polmone verde della capitale, e la Residenza di Wilanów, un tesoro dai tratti nostrani in terra polacca, a pochi chilometri dalla sua capitale

Facciata nord del Palazzo sull’Acqua

Parco Łazienki e il Pałac na Wodzie, il Palazzo sull’Acqua.

Il Parco Łazienki è il più vasto di Varsavia, quasi 80 ettari di verde che confonde i suoi toni con un tocco di blu del lungo specchio d’acqua che lo attraversa da nord a sud. Non è un caso se i varsaviani lo conoscono come “Łazienki Królewskie, letteralmente “Bagni Reali”. Considerato il più bel parco urbano della capitale, questo angolo verde è un elegante salotto naturale dove spuntano candide architetture neoclassiche, eredità di un passato reale che svela il lato più romantico della città, forse quello che ispirò anche il compositore polacco più famoso della storia, Frédéric Chopin.

Il parco all’inglese come possiamo ammirarlo oggi, venne progettato nel 1764 per volere del re Stanislao Augusto. Ispirato ai grandi giardini europei di Francia e d’Inghilterra, l’area si snoda in un dedalo di percorsi: il rincorrersi dei suoi vialetti ci permette di spaziare nella sua grande area tenendo come punto di riferimento il lungo lago centrale “tagliato” da uno dei palazzi più importanti di tutta la città. Il gioiello architettonico del Łazienki è il Pałac na Wodzie, il Palazzo sull’Acqua, che al primo colpo d’occhio appare come un gioco di prestigio: in lontananza sembra sorgere dallo specchio d’acqua come per incanto. Opera di Domenico Merlini che nel 1772 trasformò il padiglione preesistente nell’elegante struttura che oggi possiamo ammirare e visitare. Come un museo di arti figurative all’aria aperta, l’esterno è ornato da colonne e il suo attico è coronato da statue di André le Brun, impersonificazioni marmoree di elementi naturali e del mito. Questa elegante residenza “sull’isola”, come amano definirla gli abitanti di Varsavia, continua a stupire oggi come allora i visitatori con un teatro all’aperto che adibisce un palco “sulle acque”, coerente all’architettura onirica del vicino palazzo. Le gradinate si trovano sulla terraferma mentre la scena è posta su un’isoletta con tanto di false rovine, un omaggio all’antichità classica che ricalca più un artificio barocco.

Vialetti e ponti nel parco Łazienki
Facciata sud del Palazzo sull’Acqua

La residenza di Wilanów

Varsavia è una capitale eterogenea, convive con stucchi e cemento in perfetta armonia. Parchi, giardini e splendidi palazzi dalle apparenze fiabesche spuntano nei quartieri popolari della periferia, più votati alla praticità che alla bellezza, come la Residenza di Wilanów a pochi chilomentri dal centro della città. Costruita come dimora estiva della corte per volere di Giovanni III Sobieski nel 1677, nei primi anni si trasformò in un’autentica accademia d’arte, complice l’influenza francese che dilagava in tutta Europa. Numerosi artisti polacchi e stranieri vennero chiamati per adornare il palazzo e i regnanti si ispirarono al Re Sole, mecenate di bellezza, un “influencer” ante litteram ma degno per contenuti ed unicità. La sua emulazione fu uno stimolo che incentivò l’abbellimento della residenza sino a trasformarla in una piccola Versailles.

A dispetto dell’iniziativa suggerita dalla ricchezza francese, l’aspetto esteriore e la predisposizione degli interni poco hanno a che fare con il suo stile: basta un’occhiata alla facciata del palazzo per intuire una chiara vocazione italiana. La residenza di Wilanów è infatti ispirata al barocco toscano che rimanda all’ingegno di Augusto Locci. L’esterno è scandito da semi colonne corinzie e statue raffiguranti le virtù, spiccano inoltre numerosi bassorilievi che tramandano ad immagini le battaglie vinte contro i Turchi, un’iconografia strategica che rappresentava con orgoglio gli onori della casata. Anche l’interno conserva l’impianto voluto dall’architetto sul modello delle ville italiane: due grandi sale al centro e gli appartamenti reali ai lati. E’ possibile visitare gli interni e la Galleria del Ritratto polacco ospitata negli spazi di questa residenza dai tratti nostrani.

Entrata Residenza di Wilanów
Interni del palazzo

Immagine copertina: Parco Łazienki e il Pałac na Wodzie

Photo credits: Elena Bittante

 

 

Valencia, la città di Calatrava che non rinuncia al verde urbano

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Valencia è un mosaico urbano di tasselli antichi e moderni, una storia di incastri perfetti. Dalla pianificazione romana della sua fondazione nel II secolo a.C. ai capricci dei nostri tempi dell’archistar valenciano Santiago Calatrava. Una città dove spiccano cimeli di varie epoche, basta scrutare l’orizzonte dall’alto del campanile della Cattedrale il “Miguelete”, per notare lo sfavillio delle cupole blu, gioielli dell’eredità moresca, e contare le guglie gotiche degli edifici civili che si stagliano verso il cielo. Il rincorrersi dei secoli attraverso le forme eterogenee dell’architettura si coglie anche passeggiando per le vie del centro. Il dedalo di vicoli del “Barrio del Carmen” contrasta con le eleganti vie che si snodano dalla piazza del municipio, ricolme di ricami art nouveau, sino a giungere all’ “Eixample”, l’espansione moderna nella parte meridionale della città che affaccia verso il mare

Torre della Cattedrale
Panorama della città, spiccano le tipiche cupole blu

Valencia ha una trama variegata, un’unione di stili legati da un verde urbano ricorrente, un’autentica città giardino con una spiccata vocazione alla natura. Lo capiamo ancora prima di arrivare leggendo la sua mappa: risalta una lunga area di verde pubblico che attraversa l’intera città e cinge la parte nord-est del centro storico. Si tratta dei giardini del Turia che sorgono sul vecchio letto dell’omonimo fiume, trasformato in parco pubblico negli anni ‘50. Questa strategia urbanistica venne pianificata a seguito di numerose inondazioni, il corso d’acqua simbolo di vita e humus di civiltà divenne una spada di Damocle per i residenti, alla quale si doveva far fronte. Il corso del Turia venne deviato e il vecchio alveo trasformato in un’arteria verde che oggi pulsa a tutte le ore del giorno con un continuo via vai di ciclisti, runners o di chi ama passeggiare lungo il suo percorso sinuoso. Un lungo itinerario di 9 km che parte dal bel panorama sulla città del “Parque de Cabecera” sino al polo della “Ciudad de las Artes y las Ciencias”.

Le eleganti linee dell’Umbracle, la passerella della Ciudad de las Artes y las Ciencias
Museo delle scienze Príncipe Felipe e il planetario Hemisfèric
Hemisfèric
Le statue del Jardines del Real

Valencia, il terzo centro più grande della Spagna è una realtà dinamica che dissolve la frenesia e il caos metropolitano nei suoi angoli di pace. La città ospita altre numerose oasi come i “Jardines del Real”, chiamati dai valenciani “Los Viveros”. Un elegante parco dove l’arte incontra la natura, un invito ad attimi di relax tra palmeti e agrumeti, a differenza del dinamico Turia dove prevalgono il movimento e l’attività fisica.

La pianificazione del verde pubblico valenciano fu negli anni ponderata e consapevole e questo eccellente esempio urbano contrasta con il progetto avveniristico di Calatrava, particolarmente contestato dai cittadini. Verso la “foce” del parco del Turia troviamo il suo regno, la città delle arti, delle scienze e per certi versi dell’azzardo a causa dei suoi costi esorbitanti pagati con le tasse dei valenciani. Nonostante le controversie rimane per tanti abitanti e per i turisti la “ciudad” dello spettacolo e dell’immaginazione soprattutto nelle giornate di sole quando il “Palau de les Arts Reina Sofia”, rivestito di mosaici in ceramica traslucidi, brilla candido sotto il cielo azzurro delineandosi come un enorme scarafaggio, molto simile ad un’entità extraterrestre. Il polo ospita anche il museo delle scienze “Príncipe Felipe” e il planetario “Hemisfèric”, strutture armoniche di acciaio e vetro a contrasto della loro materia.

Il complesso appare come un’architettura organica d’avanguardia, una sintesi della tecnica che estremizza le forme della natura in strutture dall’apparenza aliena. La Città delle Arti e delle Scienze sembra un mondo surreale ma il progetto omaggia la realtà del creato, stile inconfondibile dell’architetto valenciano. In questo luogo la connessione alla natura è sempre presente, non solo negli intenti architettonici. Ne è l’esempio l’ “Umbracle”, una passerella di 320 metri ad archi parabolici che ospita un palmeto e numerose specie floreali. Nonostante i pareri contrastanti, questa cittadella è un progetto oneroso ma stupefacente che trasforma la periferia in un gioiello territoriale, abbracciato dal verde continuo di Valencia che sfuma al blu del mar Mediterraneo.

Palau de les Arts Reina Sofia
Il giardino dell’Umbracle

Immagine copertina: Museo delle scienze Príncipe Felipe e il planetario Hemisfèric – Ciudad de las Artes y las Ciencias, Valencia 

Photo credits: Elena Bittante

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Eccolo il capriccio architettonico dell’archistar valenciano Santiago Calatrava, la città delle arti, delle scienze e per certi versi dell’azzardo a causa dei suoi costi esorbitanti pagati con le tasse dei valenciani. Il progetto avveniristico, nonostante le controversie, rimane per tanti abitanti e per i turisti la “ciudad” dello spettacolo e dell’immaginazione. Basta soffermare lo sguardo sul “Palau de les Arts Reina Sofia”, il complesso delle arti, rivestito di mosaici in ceramica traslucidi a contrasto della struttura in brullo calcestruzzo per immaginare mondi alieni sotto il cielo azzurro di una bella giornata di sole🦋 . . . #igvalencia #valencia #valenciacity #visitvalencia #valenciagram #valenciabonita #ig_spain #living_europe #ciudadartesyciencias #santiagocalatrava #modernarchitecture #organicarchitecture #dametravel

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Elena Bittante
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