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Porto, la città di fiume marittima nel cuore

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Porto, una bellezza decadente affacciata sul fiume Douro, una città dall’atmosfera mediterranea che fiuta l’aria dell’Atlantico. Un susseguirsi di scorci pittoreschi rivelano l’anima popolare e mercantile nascosta dietro la ricercata facciata turistica degli ultimi anni: gli edifici scrostati si alternano a quelli più fotogenici ammantati da azulejos, piastrelle in ceramica nei toni del bianco e dell’azzurro come almanacchi della storia portoghese. E’ un binomio di colori ad introdurci nella seconda città del Portogallo, accompagnato dall’ebbrezza del suo vino.

Appollaiata sulle alture che lambiscono il corso del Douro, questa città di fiume è marittima nel cuore: la sua storia e le sue atmosfere rimandano al vicino Atlantico anticipando quelle delle spiagge della vicina Foz. Porto ha mantenuto nei secoli la grande tradizione del commercio e della costruzione navale. Ricoprì un ruolo importante durante le spedizioni portoghesi del XV secolo, fu una protagonista nel commercio del Porto dal XVIII secolo, il tipico vino dolce e liquoroso della valle del Duoro.

Igreja do Carmo

Porto è una città aperta al turismo ma al contempo gelosa della sua identità, la sintesi di questa ambivalenza è il quartiere della Ribeira affacciato sul corso del Douro, Sito Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Gli angoli più fotografati del “quartiere sul fiume” sono stati tirati a lucido per i turisti negli ultimi anni ma la Ribeira si rivela ancorata alla sua identità nei vicoli secondari, tra le pareti scrostate delle case e le fronde di biancheria stesa su liane di spago. In quest’area della città si concentrano gran parte delle mete da visitare a Porto. Si può iniziare il tour da un punto di arrivo, la Stazione ferroviaria di São Bento, la prova inconfutabile che un luogo di transito può rivelarsi un’esperienza. Un tramite come stato in luogo dove soffermarsi ed ammirare i grandi pannelli di azulejos degli anni ’30 ad opera di Jorge Colaço: più di 20.000 piastrelle bianche e azzurre tappezzano il grande atrio della stazione illustrando battaglie storiche e scene di vita quotidiana.

Si prosegue alla scoperta del quartiere facendo tappa nel luogo del credo simbolo della città, il . L’imponente cattedrale del XII secolo spicca severa nei toni freddi del granito grigio tra il colore acceso delle case. La facciata si presenta lineare con un grande rosone centrale e due torri gemelle con cupole ai lati ma al suo interno la chiesa è ammantata dall’opulenza barocca del XVIII e lascia solo intravedere la purezza dello stile romanico delle sue origini. Degno di nota il chiostro, un abbraccio stilistico ritmato dalle geometriche arcate gotiche e dalle ricche decorazioni delle azulejos. Un racconto dettagliato in bianco e azzurro che rappresenta il Cantico dei Cantici di Salomone e la Vita della Vergine.

Le azulejos del chiostro del Sé

La Cattedrale non è solo un simbolo di Porto, è anche un punto di riferimento e di “vedetta” grazie alla posizione più alta rispetto alle altre zone della città: dal Terreiro da Sé, lo spazio davanti alla chiesa, si ammira una splendida visuale sulla Ribeira, sul Douro e spazia sulla cittadina di Vila Nova de Gaia appollaiata sull’altra sponda del fiume.

Il barocco è uno stile ricorrente in città, “rimodernò” numerose chiese e palazzi nel XVIII secolo. L’apoteosi dell’eccentrico si trova sempre nel quartiere, la Igreja de São Francisco interamente decorata con la particolare tecnica della talha dourada, intarsi in legno dorato. Sulle pareti della chiesa si anima un paradiso ligneo di cherubini, animali e grappoli d’uva, personaggi e fronzoli che transitarono in purgatorio durante la fine del XVIII secolo: questi decori vennero considerati eccessivi dai membri del clero tanto da sospendere le funzioni religiose per un lungo periodo.

Nel denso tessuto urbano della Ribeira spicca la Torre dos Clérigos dell’omonima chiesa, anch’essa edificio dell’epoca barocca concepito da Nicola Nasoni, architetto di origine italiana. Vale la visita la faticosa salita sino alla sua cima per poi rituffarsi nel labirinto di stradine del quartiere sino a giungere nella sua parte bassa dove parte il ponte in ferro Dom Luis I. Questa mirabile infrastruttura venne progettata nel 1881 da Téophile Seyrig, allievo di Gustave Eiffel. La forma leggiadra dell’arcata centrale ricorda l’iconica torre francese, elemento stilistico e strutturale del ponte che collega Porto alla cittadina gemella Vila Nova de Gaia dove poter visitare numerose cantine e degustare dell’ottimo Porto. Questo centro è rinomato in tutto il mondo per la migliore produzione di tutto il Portogallo di questo particolare vino. Il Dom Luis I è un’opera ingegneristica scenografica, soprattutto se ammirata da sotto o da un barcos rabelos. Si tratta delle tipiche imbarcazioni che transitano lungo il fiume, un tempo adibite al trasporto delle botti di porto, oggi utilizzate per le gite turistiche, un’esperienza da provare per ammirare la città da un’altra prospettiva.

Il ponte in ferro Dom Luis I, 1881

Porto è famosa per il suo vino ma è anche un viaggio nel gusto. Il Mercado do Bolhão è il più famoso e qui è possibile trovare tutte le specialità del posto. Le osterie collocate nella parte centrale del mercato sono la meta ideale per fare uno spuntino, deliziatevi con la triade del gusto di Porto: la trippa, il baccalà, cucinato in 100 modi diversi, e la franchesina, un toast inventato negli anni ’60 e oggi il piatto veloce per eccellenza. Il mercato è un’occasione per degustare le specialità tipiche ma anche per conoscere gli usi e costumi degli abitanti della città, un affaccio sulla quotidianità.

Porto si distingue anche per un altro cibo, alcuni lo definiscono “per la mente”, i libri. Prima delle degustazioni alcoliche fate una tappa alla libreria di Lello e Irmão, da tanti considerata la più bella del mondo. Ideata dall’ingegnere e politico portoghese Francisco Xavier Esteves a fine ‘800, questo luogo è una perfetta fusione di stile gotico e liberty, un’atmosfera da favola. Non è un caso se venne scelta dagli scenografi di Harry Potter come set per alcune riprese. Tra gli scaffali ricolmi di volumi spicca sinuosa una grande scala in legno a forma di otto o di infinito, quasi un richiamo a perdersi in uno dei tanti mondi racchiusi nei libri o nel fascino di questo luogo suggestivo.

Porto, la città cartolina dai colori sbiaditi, un puzzle imperfetto dove nei pezzi mancanti sono incastonati gioielli barocchi. Porto è come il profumo del suo vino, ebrezza rilassata che si affaccia sul placido scorrere del Douro. Un tuffo nella storia e nelle tradizioni ma allo stesso tempo un percorso esperienziale, da scoprire a ritmo lento.

Immagine di copertina: panorama della Ribeira, a sinistra la cattedrale del Sé, a destra la Torre dos Clérigos

Photo credits: Elena Bittante

“The Grand Balls of the 19th Century”: la magia della danza si racconta nella storia, anche in inglese

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Il fascino incantato dei balli d’altre epoche si vive o si racconta. Dopo cinque ristampe di “Gran Balli dell’800”, arriva la versione tradotta “The Grand Balls of the 19th Century”, un libro da leggere tutto d’un fiato, anche in inglese. Un valzer di parole che ci accompagna nella cultura d’altri tempi: la danza come archetipo di socializzazione, un linguaggio universale che univa la borghesia e l’aristocrazia in una rosa di coreografie e di intese. Capitolo dopo capitolo scopriremo che la storia è stata scritta anche nei saloni da ballo.

Non solo un racconto per entusiasti estimatori o appassionati ballerini, “Gran Balli dell’800” (ediz. Armando Curcio Editore, 2009) racconta uno spaccato della società del XVIII – XIX secolo che può interessare un vasto pubblico. Un meticoloso lavoro di ricerca svolto dal Presidente della Compagnia di Danza StoricaNino Graziano Luca,un’analisi di importanti documenti e manuali storici che ha portato al recupero e alla valorizzazione di cimeli della letteratura europea. Testimonianze che dalla danza riconducono a preziosi dettagli della società, un menabò del ballo che abbraccia un periodo storico dal tardo ‘700 sino al ‘900. Il libro riassume 30 anni di appassionata e approfondita ricerca. Presentato alla Camera dei Deputati e all’Ambasciata d’Austria, è ora disponibile anche la versione in lingua inglese per condividerlo senza confini, una scelta coerente al suo contenuto: la danza è un linguaggio universale.

Nino Graziano Luca, dopo cinque ristampe in italiano il libro “Gran Balli dell’800” arriva anche la versione in inglese “The Grand Balls of the 19th Century”. Da dove nasce questa idea e cosa racconta?

“L’idea di una versione in lingua inglese è nata da un incontro con il professore Alkis Raftis, presidente del consiglio internazionale della danza Unesco. Da grande estimatore del lavoro che ho svolto in questi anni, mi ha spronato a scrivere una versione in inglese perché condivisibile e sempre attuale. “The Grand Balls of the 19th Century” descrive un arco temporale dal tardo ‘700 all’inizio del ‘900 e dei relativi cambiamenti sociali, i quali hanno consentito che il ballo diventasse il “luogo” centrale della vita sociale ottocentesca. Nel libro racconto quali erano le danze richieste per poter partecipare ad un ballo, quali erano le danze che non potevano mancare in un carnet de bal ma anche dell’etichetta, della toiletta e quali erano le nozioni comportamentali e relazionali che dovevano essere osservate e stabilite tra i partecipanti. Il libro è pieno di aneddoti storici ma anche di curiosità sfiziose. Non mancano alcuni spunti tratti dai più celebri romanzi ottocenteschi che animano il racconto oltre alla “didattica” del suo contenuto. Mi piace dire che questo lavoro nasce come un saggio ma è scritto con i toni del romanzo. Il mio desiderio è quello di coinvolgere tutti i lettori attraverso un parlato semplice e proiettarli in un contesto attraente e affascinante, quello della danza sociale e della danza storica. Questa scelta ripropone la stessa “chiave di lettura” di tutte le iniziative che ho organizzato e descritto in questi anni, finalizzate alla promozione della danza storica e della danza sociale.

Aneddoti e curiosità sembrano il modo più interessante per descrivere la storia della danza, anche quella del costume e della società?

“Il libro è ricco di aneddoti molto divertenti che introducono un’attenta analisi legata a come nel sociale ci sia stata l’affermazione della borghesia e la condivisione degli spazi di divertimento tra borghesia e aristocrazia. Questo aspetto emerge chiaramente in un passaggio descritto nel libro che cita “Il modo più acconcio di stare in iscelta società”, scritto nel 1839 da Luigi Bortolotti. Da questo estratto evidenzio come per la prima volta in un manuale, oltre a trovare delle indicazioni su come si danzava, c’erano anche dei suggerimenti su come comportarsi in un ballo.

Ovviamente questo libro era destinato ai borghesi, un vademecum delle “buone maniere” che l’aristocrazia acquisiva nelle proprie dimore grazie agli impeccabili insegnamenti dei precettori. La scelta di citare questo manuale e una serie di altri libri è indispensabile per testimoniare la coesione sociale nei balli. Nel lavoro svolto cerco di descrivere tutti gli avvenimenti che hanno contraddistinto questo mondo di intrattenimento evidenziando come il ballo sia stato anche il luogo d’espressione delle mode dal tardo ‘700 all’inizio del ‘900. La danza era un vero e proprio linguaggio condiviso. Oggi sono i magazine e i social che influenzano il costume, all’epoca era il ballo a consentire la coesione sociale e la condivisione delle mode, a differenza del teatro e della sala dei concerti che mantenevano le differenze sociali. Il documento più antico di vera coesione sociale che ho trovato nella mia lunga ricerca risale al 1805: un ballo a Bologna in cui la coesione nasceva dall’obolo che veniva pagato, il medesimo per gli aristocratici, per i borghesi e per gli ecclesiastici in quanto il ricavato sarebbe stato devoluto in beneficenza. Sono questi gli aneddoti speciali che ricreano il contesto attraverso la realtà dei fatti, un’informazione che non rinuncia alle emozioni e alle sensazioni. Ne è la prova tangibile la citazione che apre il libro: “Un ballo, quale magica parola per i giovani di venti anni, un paradiso in terra ove tutto pare etereo…”. Parole sognanti per introdurre il ballo come poesia ma soprattutto come centro della vita sociale per eccellenza.”

Le fotografie di “ The Grand Balls of the 19th Century” sono tutte attinenti ad eventi e gran balli storici organizzati dalla Compagnia Nazionale di Danza Storica. La scelta delle immagini è a cura di Nino Graziano Luca e di Armando Curci Editore. Le illustrazioni appartengono alla pinacoteca personale di Armando Curci Editore.

The Grand Balls of the 19th Century”, è disponibile nella piattaforma libri dell’Unesco.

La Grande Muraglia Cinese, limes del possibile

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Una delle Sette Nuove Meraviglie del Mondo Antico e dell’UNESCO, Patrimonio dell’Umanità. La Grande Muraglia Cinese appare come un ricamo che intarsia le montagne, trasforma le pendenze più aspre in dolci sinuosità rendendo il limite accessibile. L’occhio perde la via seguendola sino all’orizzonte per poi lasciare spazio alla surreale consapevolezza: quest’opera militare difensiva si estende per oltre 8.000 chilometri, più di 21.000 chilometri se considerati tutti i tratti misurati di fortificazioni collaterali. Uno dei monumenti più emblematici costruiti dall’uomo in tutto il mondo, capace di sorpassare la linea dell’orizzonte e della nostra immaginazione.

Località Badaling, a 70 chilometri da Beijing

La Grande Muraglia è la classica meta di un viaggio in Cina. A tratti turistica e affollata, in altri dismessa e difficilmente accessibile ma sempre presente negli intenti di chi desidera ammirarla, solo per una foto ricordo o per un trekking lungo qualche tratto. Visitarla è come conoscere un grande drago che serpeggia da millenni nella parte settentrionale del paese: attraversa sinuoso mondi diversi, quelli di una nazione con una natura eterogenea unica al mondo. Si snoda su e giù per le montagne seguendo anche la morfologia più estrema, attraversa deserti e praterie  dalla costa Est fino agli altopiani dell’Ovest percorrendo un totale di 21196,18 km.

La Grande Muraglia, in cinese 长城 (Chángchéng /channg-chnng/ “Lunga muraglia”), è simbolo di grandezza della storia antica della Cina e oggi come allora si rivela un’opera identitaria del paese nonché una delle meraviglie del mondo, dal 1987 inclusa nella lista dei Patrimoni dell’Umanità UNESCO.

Il muro “originario” risale a 2.300 anni fa nel periodo della dinastia Qin (221-207 a.C.), nel tempo subì numerosi cambiamenti e ristrutturazioni a discapito di innumerevoli vite umane: una macabra leggenda narra che gli scheletri degli operai morti vennero inglobati nella sua costruzione. La storia della Muraglia narra un lungo racconto, un susseguirsi di capitoli in bilico tra mito e realtà, ma sin dal principio affiora la certezza del suo scopo, la difesa del territorio dalle incursioni esterne, soprattutto mongole. Nel XII secolo le orde di Gengis Khan erano divenute una minaccia permanente. L’opera architettonica mantenne la sua funzione difensiva per i secoli a venire ma l’aspetto attuale risale alla dinastia Ming (1368- 1644), durante la quale venne attuata una monumentale opera di restauro dell’intero complesso. L’intera struttura venne rinforzata con pietre, mattoni e una merlatura alta 1.8 metri con scappatoie e feritoie e parapetti alti 1.2 metri.

Nonostante la grandiosità del progetto, questa struttura concepita come impenetrabile non si rivelò mai un’efficiente barriera difensiva contro gli invasori, come testimonia la conquista di Beijing nel 1215 da parte dell’esercito di Gengis Khan. Tuttavia, diversamente dal mancato scopo militare, si dimostrò un’eccellente via di percorrenza per il trasporto di materiale e di persone attraverso gli impervi territori montuosi, inoltre si rivelò molto efficace per le comunicazioni grazie al suo sistema di torri di segnalazione che permetteva di trasmettere rapidamente le notizie dei movimenti nemici sino alla capitale. Per rendere possibile questa operazione venivano utilizzati i segnali di fumo bruciando sterco di lupo, un chiaro indizio della fauna locale che ancora oggi vive indisturbata negli sterminati territori che la Muraglia attraversa.

A partire dalla metà del XVII secolo, il venir meno della temuta minaccia mongola fu paradossalmente l’incipit del rovinoso declino di questa opera monumentale. L’apice dell’abbandono avvenne nel ‘900 in quanto la tutela di questo patrimonio non rientrava nelle priorità di una stato votato al comunismo, che destrutturò la bellezza di questa ed altre meraviglie del paese rendendo la vita culturale cinese un arido deserto. Una perdita di valore che scalfì indelebilmente la grandezza della Muraglia assottigliandola nelle dimensioni e sfregiandola nell’identità: Mao Zedong incoraggiò i cinesi che abitavano nelle vicinanze ad utilizzarla come fonte di materiale gratuito per la costruzione di infrastrutture e di brutture edilizie in stile post sovietico.

Solo nel 1984 il successore di Mao, Deng Xiaoping, portò la sua tutela sotto la competenza dello stato. Il progetto di restauro cercò di ridarle dignità ristrutturando alcune sezioni. Tra i tanti luoghi oggi visitabili, un esempio è il suggestivo scenario che si può ammirare a Badaling, a pochi chilometri dalla Capitale. Qui si apre un percorso turistico molto gettonato con un paesaggio da cartolina che ha perso l’autenticità della storia ma che ha ricostruito la dignità della Grande Muraglia e soprattutto gli intenti di chi ama la millenaria identità di questo paese e desidera condividerla con il resto del mondo, un limes del possibile.

Immagine copertina: Grande Muraglia Cinese, Badaling, Cina.

Photo credits: Elena Bittante

Suomenlinna, l’idilliaca isola fortezza di Helsinki

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Il mare che lambisce la città di Helsinki è disseminato di piccoli gioielli emersi, uno di questi risplende di storia e di natura, Soumenlinna. Nota come “la fortezza della Finlandia” è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Costruita dagli svedesi nel XVIII secolo a scopo difensivo contro l’invasione russa non passò alla storia per le sue glorie militari ma resta una pietra miliare del territorio finnico, terra contesa per secoli tra queste due potenze. Approdiamo in questo “atollo della storia” baciato dal vento del mar Baltico.

La fortezza a Kustaanmiekka  

Soumenlinna è un nucleo di isole collegate da ponti, meta imperdibile per chi visita la capitale finlandese, a pochi minuti di traghetto dal centro. Nonostante l’eredità di un passato difensivo, rivela nel rigore militare delle sue fortificazioni una natura generosa che addolcisce i suoi paesaggi regalando panorami incantevoli, attimi di relax e numerose visite culturali. Situata ad appena 15 minuti di traghetto dalla Kauppatori, la piazza del mercato di Helsinki, questo insieme di isole è considerato un grande giardino condiviso dagli abitanti della città e dai visitatori di tutto il mondo. Soumenlinna è una tappa obbligata soprattutto durante la bella stagione e in autunno per i colori vibranti della sua natura che la incornicia in un mix di sfumature che si impastano con il ceruleo Baltico che lambisce le sue coste. Dopo una breve tratta di mare si approda al piccolo porto nelle vicinanze del Rantakasarmi, la caserma del molo, un edificio ben conservato dell’epoca russa che addolcisce le sue linee austere con un caldo colore rosa, oggi sede dell’ufficio turistico.

Panorami di Soumenlinna, scorci che racchiudono la storia della Finlandia  

Entriamo nel cuore di Soumenlinna animato da un via vai di turisti e cittadini che godono dei suoi prati, delle sue mura che racchiudono un delizioso borgo e soprattutto dalla brezza marina che spira con forza pacata sulle coste che affacciano verso il Baltico. Un piccolo microcosmo urbano dove il tempo sembra essersi fermato: impossibile non cogliere l’atmosfera fiabesca del piccolo centro, percorso da stradine acciottolate che sbucano nella piazzetta identitaria dove riposa un eroe di guerra, la tomba di Ehrensvard. A poca distanza è possibile ammirare il cantiere navale emblema della dedizione della popolazione locale per il mare e omaggio alle fatiche di generazioni di costruttori, di velai e operai specializzati sin dalla metà del ‘700. Oggi è tuttora in attività come bacino di carenaggio per una ventina di navi, uno spettacolo da non perdere.

Cantiere navale attivo dalla metà del ‘700
Le gallerie all’interno delle mura

Per comprendere la storia dell’isola e dell’intera nazione, la tappa ideale è il Soumenlinna-museo nell’isola principale di Susisaari-Kustaanmiekka. Il passato si rivive non solo nelle sue sale ma anche nella realtà passeggiando nella parte più entusiasmante dell’isola-fortezza, a Kustaanmiekka dove è possibile aggirarsi tra i vecchi bunker e le fortificazioni ancora intatte. Vale un viaggio a Soumenlinna l’avventurarsi lungo il perimetro delle sue mura disseminate da vecchi cannoni superstiti e suggestivi scorci sul mare argentato, un’esperienza diretta per comprendere il suo ruolo nella storia.

Non mancano la chiesa, una biblioteca e accoglienti caffè per ritagliare degli attimi di relax e godere del verde, tanto verde che ipnotizza lo sguardo per la sua intensità durante l’estate e sfuma ai toni caldi di un quadro impressionista in autunno. La luce di queste stagioni è un privilegio che anima e riscalda le isole che verranno presto ricoperte da una coltre bianca di neve. Gli inverni rigidi della Finlandia esaltano la bellezza della natura estiva ed autunnale e valorizzano la piacevolezza di una vita all’aria aperta, per questa ragione i cittadini di Helsinki vivono in simbiosi con i parchi e i giardini. Soumenlinna è un’isola fortezza che racchiude una dimensione serena, urbana ma al contempo affine alla natura, come vuole la tradizione finlandese.

Abitazioni con “posto barca”
Uno dei numerosi caffè di Soumenlinna

Immagine copertina: vista sul mar Baltico da Soumenlinna

Photo credits: Elena Bittante


Elena Bittante
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