Governo, Giovani e Occupazione

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Mentre ogni giorno va in onda “Il Governo èle molteplici versioni della legge di Bilancio”, fuori, il mondo del lavoro, deve affrontare una problematica davvero bizzarra. 

Continuamente si sente parlare del lavoro che manca per i giovani, dei dati di disoccupazione che ogni anno ci fanno arrossire al confronto con quelli dei paesi membri dell’Unione Europea, fiumi di dibattiti di opinionisti ed esperti del settore affrontano la tematica nei migliori salotti televisivi e radiofonici ogni giorno. Ma la notizia non è questa cari tutti, la notizia è, incredibile ma vera, “il lavoro c’è ma mancano le competenze!”. “Il lavoro c’è ma mancano i profili giusti”. L’occupazione finalmente sembra ripartire ma il rischio è di non trovare personale corrispondente all’offerta lavorativa. Il presidente di Confindustria Bergamo, Stefano Scaglia, dice:«Più del 60% delle nostre imprese vuole assumere, ma il 26% dichiara forti difficoltà a reperire le figure richieste». Da qui al 2021 ci saranno più posti di lavoro che persone disponibili a coprirli.

Dati alla mano dicono che nei prossimi cinque anni le imprese italiane sono pronte a offrire un posto di lavoro a 469mila tecnici, super periti Its, laureati nelle materie “Stem”. L’attuale offerta formativa, tuttavia, non sarà in grado di soddisfare la richiesta del mondo del lavoro (già oggi, del resto, il 33% delle professionalità tecniche richieste dalle aziende è risultato “introvabile”).Da qui al 2022, infatti, quasi la metà dei periti under29 sarà «di difficile reperimento». A mancare sono meccanici, montatori, riparatori, costruttori di utensili, elettronici-elettrotecnici, specialisti di cuoio, calzature, costruzioni. Nei prossimi cinque anni l’industria avrà necessità di 264mila operai specializzati. Tra i laureati invece la selezione si annuncia “in salita” per gli ingegneri industriali e dell’Ict. E questa fotografia, elaborata da Confindustria, su dati Unioncamere e Anpal, non tiene conto di “quota 100”, e dei possibili effetti che potrebbe avere la misura sulle uscite di personale “senior” e con esperienza.

E nell’ industria si parla di «hard skills», vale a dire le competenze professionali, e «soft skills», quelle individuali, che si esprimono in diverse situazioni, ad esempio nel lavoro di gruppo. Il tema è: come sviluppare le «soft skills». Bisognerebbe abituare i ragazzi, all’interno del sistema educativo nazionale, e a relazionarsi con gli altri, avendo un’intenzionalità educativa precisa. In modo che scuola e università riescano ad accompagnare le nuove generazioni a sviluppare competenze che garantiscano loro occupabilità. Il tema sta diventando, giorno dopo giorno, «drammaticamente serio – evidenzia il vice presidente di Confindustria per il Capitale umano, Gianni Brugnoli -. La voce Istruzione, con la I maiuscola, è uscita dai radar, mentre deve tornare a essere centrale per governo e opinione pubblica. Bisogna partire dall’orientamento, e serve ripristinare il dialogo tra insegnanti, imprese e territori. Una leva potrebbe essere quella di prevedere premi o incentivi agli istituti tecnici che fanno placement e riescono a occupare un elevato numero di studenti. La sfida è rilanciare il link scuola-lavoro: in quest’ottica ritengo un grave errore il depotenziamento dell’alternanza, che, almeno nelle scuole tecniche, non deve subire tagli».

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