Il giorno in cui morì la felicita’

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Quando muore una persona cara se ne parla sempre bene, anche da parte di chi l’ha denigrata in vita. Figuriamoci poi se questa persona era davvero come viene descritta dopo morta.

Sembra proprio di avere perso qualcuno di molto importante, che ci lascerà un profondo vuoto dentro e che non potrà essere di esempio alle generazioni future. Sul momento, spesso, non riusciamo a renderci conto della gravità della perdita: si pensa sia inevitabile: scritto nell’ordine delle cose. Ma poi ce ne accorgiamo nel momento in cui realizziamo l’enormità del vuoto che si è creato o, peggio ancora, quando ci rendiamo conto di chi è venuto dopo a cercare di riempire quel vuoto.

 

Il primo gennaio 1977 andava in onda sul primo canale della RAI l’ultima puntata di Carosello. Da quel giorno tutto è cambiato.

Fedele compagno per venti anni, Carosello era l’appuntamento fisso non solo dei piccoli, ma di tutta la famiglia che si trovava davanti al televisore per guardare insieme la pubblicità. Dal febbraio del 1957 al gennaio 1977 oltre settemila puntate; e non era necessario guardarle tutte per capire la trama come in una soap opera. Era una pubblicità educata, che entrava nelle case timidamente e con rispetto altrui. Sketch teatrali, brani musicali, cartoni o pupazzi animati narravano le loro storie e, al termine, una breve presentazione del prodotto. Concisa e senza iperboli. Uno schema simile a quello americano dove, fin dai primi albori della radio, le aziende presentavano spazi radio dove i migliori cantanti dell’epoca avevano un’importante vetrina.

 

Non esisteva altra pubblicità in TV. Lo spazio che offriva Carosello alle aziende era quindi di vitale importanza per entrare nelle case degli italiani. Non si poteva fare in maniera invasiva o violenta. Il pubblico di quando nacque il programma, nel 1957 si riuniva ancora nei bar e nei cinema per stare davanti all’apparecchio che molte famiglie non potevano permettersi. Poteva un’azienda presentarsi offendendo quel pubblico da cui dipendeva? Ricordiamo che era lo stesso pubblico che per tutti gli anni 60 nella fascia preserale, quella in cui oggi sono in onda i quiz show con jingles, balletti, televendite e promozioni, guardava “Non è mai troppo tardi”, il programma in cui Alberto Manzi insegnava agli italiani a leggere e scrivere. Altri tempi? Vero. Ed ecco che la felicità era la sera, dopo le brutture del telegiornale, rilassarsi con quei dieci minuti di garbati intermezzi al termine dei quali era gradevole ascoltare la presentazione di un prodotto. Una delle più terribili punizioni per un bambino dell’epoca era dover andare a letto senza Carosello. 

 

Chi sono stati i protagonisti di Carosello? Totò, Gino Cervi e Fernandel, Alberto Sordi, Walter Chiari, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello. Potremmo continuare. Carosello è stato un sipario per personaggi già affermati e palestra per i giovani; registi e sceneggiatori; disegnatori e inventori dei primi slogan. Una folta compagnia che, ogni sera, rappresentava 

Ma nel 1977, quando l’Italia degli anni di piombo usciva dall’austerity stava iniziando a nascere, quasi clandestinamente, come se avessero paura di esporsi troppo, radio e TV libere che, per poter sopravvivere, avevano bisogno della pubblicità. Si presentò quindi per ogni azienda la possibilità di disporre di spazi infiniti e, oltre a scaricare i costi, invadere la vita e le case di un pubblico che stava diventando sempre più consumistico e ammaliato dalle nuove possibilità di scelta. Non più una TV con due soli canali che potevi cambiare solo alzandoti dalla sedia o dal divano; arrivarono altri canali, il colore, il telecomando, un’offerta di mercato difficile da sostenere ma finalmente l’occasione di non essere costretti a vedere l’unico programma in onda. Per aziende e produttori si presentò quindi l’occasione di poter uscire dai limiti stretti e dagli spazi che il monopolio RAI imponeva in una televisione che continuava ad avere anche finalità pedagogiche superate.

 

Ed ecco che cambiò anche la pubblicità; ma era quello che le aziende volevano? Con Carosello il pubblico la aspettava e le dedicava quei dieci minuti di attenzione di cui si ricordava nei negozi; adesso il telespettatore viene posto di fronte a qualcosa martellante all’eccesso. Ma era il nuovo che avanzava e di cui in molti, e proprio il telespettatore, non avevano cognizione. Nel giro di pochissimo tempo si era passati dai tre canali RAI, oltre per alcuni Telemontecarlo e Telecapodistria, a decine di TV locali fondate sulla pubblicità.

 

Cavoli, si sarebbe probabilmente detto qualcuno; non è possibile guardare un po’ di pubblicità in santa pace che, all’improvviso, ci mettono in mezzo un pezzo di film o di un cartone. Si era semplicemente invertita la situazione e non era più l’utente a cercare il suo momento di svago nella pubblicità, ma era la pubblicità a rincorrerlo in ogni anno della giornata.

 

Sempre niente, comunque, rispetto ad un contesto più evoluto (?) in cui basta aprire la schermata di uno smartphone per trovare un suggerimento per i migliori ristoranti e pizzerie di zona, ovunque tu ti trovi.

E allora, per chi l’ha conosciuto, viene il momento di rimpiangere un vecchio amico che non c’è più. E andare a ritrovarlo in quell’enorme cimitero degli elefanti che è YouTube che contiene, oltre ad ogni possibile novità, anche qualche ricordo importante del passato. Forse c’è del romanticismo o un rimpianto per i bei tempi andati. Ma basta tornare per un momento a guardare Calimero, il Caballero e Carmencita, o Joe Condor e poi guardare le pubblicità di oggi per capire. 

 

 

Gianni Dell’Aiuto

 

 

 

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