Teoria e pratica dell’arte d’Avanguardia

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Julius Evola (1898-1974) è stato un personaggio di prima grandezza nel panorama culturale del Novecento, noto più che altro per le sue opere filosofiche, esoteriche, orientalistiche, di politica, di costume; fu tra le principali personalità del pensiero tradizionale ma anche noto per le sue controverse e originali teorie sulla razza. Non era molto conosciuto per la sua opera artistica nell’ambito dell’avanguardia poetica e pittorica che lo portò ad essere il più importante esponente del dadaismo in Italia, movimento che ebbe a fondatore il romeno Tristan Tzara. Nel volume Teoria e pratica dell’arte d’avanguardia. Manifesti – Poesie – Lettere – Pittura, pubblicato in occasione del 120° anniversario della nascita (Edizioni Mediterranee, Roma, 2018), vengono raccolti gli scritti teorici, i manifesti, i poemi risalenti al periodo compreso tra il 1916 e il 1921 e una selezionata riproduzione di dipinti dell’epoca e si scopre una curiosità: Evola fu anche “copertinista” cioè grafico delle propri libri.

Tuttavia va precisato che già nel 1998, tra il 15 ottobre e il 29 novembre, in occasione del centenario si tenne a Milano a Palazzo Bagatti-Valsecchi una mostra delle sue opere pittoriche.

Il libro è un’opera ampia e organica (il volume è infatti di circa 470 pagine) raccolta di contributi frutto di anni di lavoro e di ricerche in archivi pubblici e privati da parte di collezionisti e accademici che tenta per la prima volta di fare il punto, non certo esaustivo, dell’impegno intellettuale e culturale di Evola.

Come è noto le principali correnti artistiche d’avanguardia sorte nei primi anni del XX secolo furono il futurismo, cui Evola aderì per un breve periodo, e il dadaismo nel quale il Barone romano discendente da una nobile stirpe di origini siciliane trovò una via di espressione interiore che più gli confaceva, in quanto giudicava il movimento di Filippo Tommaso Marinetti come esteriore ed eccessivamente dinamico, con l’esaltazione della velocità, del sensualismo, del macchinismo, di una rude esaltazione della vita, dello sciovinismo nazionalistico. Inoltre Evola vedeva in Dada (una parola che non significa assolutamente nulla) un «simbolo delle degenerescenze del futurismo».

L’opera riproduce in anastatica il più importante scritto teorico, Arte astratta(1920) in quattro poemi e dieci composizioni, in cui Evola espone il significato che ha per lui il dadaismo, cioè la negazione dell’Io e l’affermazione di una volontà trascendentale e spirituale che superi la condizione umana puramente materiale. Tra le composizioni poetiche dell’artista vengono riprodotte quelle relative al periodo 1916 -1922 dal titolo Raâga Blanda, una trentina di poesie alcune in francese che in certi casi rievocano il periodo bellico al quale prese parte come ufficiale d’artiglieria sull’altopiano di Asiago dal 1917 al 1918.

Viene anche offerto ai lettori il poema a quattro voci Le parole obscure du paysage intèrieursempre del 1920, in cui l’artista dà forma poetica ad un processo di flusso di coscienza irrazionale dove possono trovarsi alcuni echi della psicoanalisi molto in voga nei circoli intellettuali di allora.

Sono pubblicate trentuno lettere che il giovane Evola scrisse a Tzara tra il 1919 e il 1923, e in una di queste verso la fine dell’epistolario, l’autore di Rivolta contro il mondo modernoannuncia il proprio suicidio da intendersi in senso metafisico, infatti afferma di aver esaurito la propria vena artistica e che lo indurrà ad aprirsi in solitudine una nuova strada verso la filosofia.

Il pensiero del suicidio si fece largo nella sua mente dopo il rientro a Roma successivamente alla fine della Grande Guerra in quanto attraversò una profonda crisi esistenziale che lo portò ai limiti della follia. Come è riportato nell’autobiografia spirituale Il cammino del cinabro(1963) scrisse:

«Questa soluzione fu evitata grazie a qualcosa di simile ad una illuminazione, che io ebbi nel leggere un testo del buddhismo delle origini. Fu per me una luce improvvisa: in quel momento deve essersi prodotto in me un mutamento, e il sorgere di una fermezza capace di resistere a qualsiasi crisi».

Il passo cui si riferisce Evola è il seguente:

«Chi prende l’estinzione come estinzione e, presa l’estinzione come estinzione, pensa all’estinzione, pensa sull’estinzione, pensa “mia è l’estinzione” e si rallegra dell’estinzione, costui, io dico, non conosce l’estinzione».

Questo quindi è un libro da leggersi questo non soltanto per gli specialisti e i critici italiani e stranieri dell’opera evoliana, ma anche per i semplici lettori che vogliono conoscere nuovi aspetti del corpusdella sua opera.

di Franco Brogioli

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