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Myanmar: finalmente il primo presidente eletto

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Per il Myanmar è arrivato finalmente il punto della svolta. Dopo 56 anni di regime militare, nel paese del sud-est asiatico si è insediato un governo democraticamente eletto, grazie alla vittoria della Lega Nazionale della Democrazia (NLD) nelle consultazioni dello scorso novembre.

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Il primo presidente civile del nuovo corso si chiama Htin Kyaw. Inizialmente indicato dai media occidentali come il semplice autista di Aung San Suu Kyi, Kyaw è sempre stato, in realtà, il più stretto collaboratore del leader della NLD ed ha accettato il ruolo di primo ministro solo in conseguenza del divieto costituzionale che impedisce alle persone imparentate con un cittadino straniero di ricoprire la carica di premier.

Suu Kyi, premio Nobel per la pace e simbolo della lotta per la democrazia contro la giunta militare, è stata sposata fino al 1999 con il britannico Michael Aris, dal quale ha avuto due figli con doppia cittadinanza. La legge le impedisce dunque di assumere formalmente i poteri e le responsabilità della presidenza, ma l’”Orchidea di ferro”, come fu rinominata durante gli anni della militanza e della prigionia, ha già chiarito che intende governare attraverso la figura del suo fedele collaboratore. Si configura dunque una sorta di premierato per interposta persona.

Htin Kyak, 69 anni, ha giurato fedeltà, con i suoi ministri e due vice-presidenti, al popolo del Myanmar, di fronte al Parlamento riunito in seduta plenaria nella capitale Nay Pyi Taw. Nella lista dei nuovi membri del governo spicca il nome di Aung San Suu Kyi, che si occuperà direttamente di affari esteri, educazione, energia e dell’ufficio di presidenza. Tanto per chiarire che tutte le decisioni più importanti passeranno comunque dalla sua scrivania.

Altri tre ministeri chiave, la difesa, gli interni e gli affari di confine, resteranno sotto il controllo dei militari, ai quali spetta anche la nomina di un quarto dei membri del parlamento ed il potere di veto sulle riforme costituzionali. Limitazioni inevitabili, per garantire un cambio di potere pacifico, concordate nei negoziati tra Aung San Suu Kyi e l’ex presidente Thein Sein, al potere per cinque anni ed espressione della giunta militare.

Di San Suu Kyi, simbolo del paese, si sa praticamente tutto. Chi è invece il nuovo presidente Kyaw? Lui e la leader della NLD hanno frequentato insieme le scuole superiori e da allora sono legati da una forte amicizia. Ha studiato informatica nel Regno Unito ed in Giappone ed ha sempre mantenuto un basso profilo, facendosi apprezzare, una volta rientrato in patria, per l’onestà e la lealtà alla causa della democrazia. Durante i quindici lunghi anni della detenzione, è stato tra i pochi ad avere accesso alla casa prigione di Suu Kyi e, dopo la liberazione, è stato spesso visto al suo fianco, anche nelle vesti di autista. E’ sposato con la figlia di uno dei fondatori della Lega Nazionale della Democrazia, anch’essa deputata al Parlamento nazionale, e in passato si è occupato della Fondazione Daw Khin Kyi, un ente benefico intitolato alla defunta madre del premio nobel.

Nel suo discorso di insediamento il neo-Presidente Kyaw ha fatto riferimento alle sfide complesse che attendono il paese, a partire dalla necessità di un cessate-il-fuoco che ponga fine, al più presto, ai conflitti armati che da decenni contrappongono il potere centrale ed alcune minoranze etniche. Kyaw ha inoltre affermato che il nuovo governo ha intenzione di introdurre cambiamenti costituzionali, per rendere la Carta fondamentale del paese coerente con i moderni principi democratici.

Quest’ultimo impegno è certamente il più difficile da realizzare perché l’esercito, a cui l’attuale costituzione garantisce ampissimi poteri, non appare intenzionato ad assecondare altri cambiamenti. Ma solo cinque anni fa il Myanmar era costretto ad affrontare pesanti sanzioni economiche, poiché era considerato dalla comunità internazionale come un regime militare oscurantista, con migliaia di prigionieri politici e totale assenza di libertà di espressione. Molte cose sono migliorate, da allora, grazie soprattutto all’impegno di Aung San Suu Kyi e del suo movimento. Il futuro, oggi, appare pieno di promesse alle quali è lecito credere.

 

Luca Marchesini

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Luca Marchesini
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