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Minori Stranieri non accompagnati: una valutazione dei minori, di AGIA e UNHCR

EUROPA di

Recentemente è stata diffusa l’anticipazione del rapporto “Minori stranieri non accompagnati: una valutazione partecipata dei bisogni: una relazione sulle visite nei centri emergenziali, di prima e seconda accoglienza in Italia realizzata congiuntamente dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (AGIA), Filomena Albano, e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati (UNHCR). Al momento sono 15 i centri coinvolti, 134 i minori incontrati, 21 le nazionalità rappresentate nelle attività di ascolto e 17 anni l’età media dei ragazzi. Le visite proseguiranno fino a fine 2018, dopo di che sarà diffuso il rapporto conclusivo. Nei casi di Minore straniero non accompagnato il “superiore interesse del minore” è una considerazione permanente poiché lo si considera come “il benessere del minore” per circostanze individuali e decisioni assunte sulla base di diritti e bisogni specifici. Questo è un diritto sostanziale in quanto ha diritto che sia valutato, è un principio legale poiché deve essere scelta l’interpretazione più efficace a tutelare il suo interesse e una regola procedurale in quanto ogni decisione deve prima valutare ogni possibile impatto sul minore. Ciò trova la sua logica nell’articolo 12 della convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che inquadra il concetto di partecipazione dei minori e degli adolescenti poiché gli stati contraenti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa tendo conto dell’età e del suo grado di maturità. Questo rappresenta il passaggio fondamentale per cui i bambini e gli adolescenti passano dall’essere “oggetti” a essere “soggetti”, attivi e informati, di diritto. Ciò si esprime attraverso due diritti cardine sanciti dalla convenzione: il diritto del minore di esprimere un’opinione e il diritto di vedere riconosciuto a questa il dovuto peso. Su questi presupposti si basa la ricerca intrapresa da AGIA e UNHCR.

Nell’80% dei 15 centri visitati sono risultate carenti informazioni e orientamento, nel 53% di essi emerge la mancanza di attività di socializzazione, nel 47% delle 15 strutture coinvolte la permanenza in centri di prima accoglienza o emergenziali vanno ben oltre i 30 giorni previsti dalla legge. La problematica più segnalata dagli enti gestori è stata quella dei tempi gravosi per la nomina dei tutori. Ragazzi ed enti insieme hanno tra l’altro fatto rilevare l’impossibilità per i minori stranieri non accompagnati di tesserarsi con la Federazione gioco calcio. Nell’ambito della ricerca sono stati evidenziati i cosiddetti “Protection Gaps”, ovvero fattori di rischio, elementi di vulnerabilità e bisogni di tutela. Tra le problematiche di carattere sistemico vi è la permanenza dei minori nelle strutture di prima accoglienza, anche di carattere temporaneo, oltre i 30 giorni fissati dalla normativa e che si protrae nella maggior parte dei casi sino al compimento della maggiore età, comportando il mancato accesso ai progetti di seconda accoglienza della rete SPRAR, e ai servizi di assistenza e integrazione espressamente previsti per questa categoria di soggetti vulnerabili. In Italia, quasi il 60% dei circa 9.000 minori non accompagnati ospitati nei centri di accoglienza diventeranno maggiorenni nel 2018. La preoccupazione crescente è che, senza opportunità di istruzione o formazione professionale nonché privi di informazioni sui loro diritti e responsabilità, correranno un alto rischio di essere coinvolti in attività illegali e di sfruttamento. A questo si aggiunge l’assenza di procedure definite e omogenee per la Relocation e il Ricongiungimento Familiare ai sensi del regolamento Dublino III dei Minori non accompagnati. La mancanza di informazioni adeguate e credibili comporta il rischio di produrre disorientamento e sfiducia, provocando l’aumento dell’incidenza degli abbandoni volontari dalle strutture. Inoltre, il protrarsi indefinito dell’attesa e nelle incertezze sulle modalità ed esiti delle procedure comporta un ulteriore elemento di frustrazione e angoscia in cui il minore non sa se partirà e in che paese andrà. Ciò non permette al minore, magari, di imparare una lingua per integrarsi nel paese di destinazione. Poi, limitatamente alle strutture di accoglienza temporanea, viene sempre più richiesta la necessità di garantire il regolare svolgimento di attività di informazione e orientamento a misura di minore. A ciò si aggiunge la necessità di garantire percorsi coerenti di integrazione, a partire da una progettualità individuale che consenta l’individuazione dei bisogni specifici e delle risorse e competenze individuali per evitare il disorientamento sul proprio futuro dopo il compimento della maggiore età.

Alle problematiche di carattere sistemico si aggiungono quelle particolari di ogni centro che vedono i minori collocati in strutture destinate agli adulti e in cui non hanno i propri spazi; restrizioni della facoltà di movimento per proteggere le potenziali vittime di tratta; mancate garanzie di condizioni di vita adeguate riguardo alla protezione, al benessere e allo sviluppo sociale del minore o la mancanza del soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze del minore. Si sono registrati casi in cui un minorenne ha dovuto scegliere come spendere i propri 15€: se telefonare la madre o comprare scarpe più adatte all’inverno. Un’altra problematica è legata nell’eccessivo isolamento delle strutture che creano impossibilità nelle attività ricreative e di socializzazione ma anche di difficoltà per poter raggiungere i luoghi di istruzione. Spesso per poter raggiungere un centro abitato occorre percorrere una strada provinciale senza illuminazione o marciapiedi, comportando un enorme rischio alla sicurezza. Quello che sembra risultare è che molte delle problematiche siano legate all’esistenza di una normativa contraddittoria e a problemi infrastrutturali che vedono posti isolati privi di trasporti. Durante la ricerca sono stati gli stessi minori ad avanzare delle proposte come quelle di sostegno all’integrazione personalizzato; incontro con le comunità locali per combattere episodi di razzismo; contatto con famiglie per conoscere la cultura italiana; corsi di italiano; possibilità di socializzare con i coetanei e tutori volontari in grado di attivare un rapporto di conoscenza.

         Nel rapporto si sottolinea la necessità di garantire e promuovere spazi protetti di ascolto per i minorenni che giungono in Italia da soli e che hanno dunque specifiche esigenze di protezione, tanto più se fuggono da conflitti o da persecuzioni. A tribunali e garanti si raccomanda di assicurare informazioni esaustive sulla figura e i compiti dei tutori, dei quali è stata sollecitata ancora una volta la nomina.  Si chiede di chiarire e uniformare su tutto il territorio l’applicazione della procedura di ricongiungimento familiare dei minori non accompagnati ai sensi di Dublino III. La pubblicazione dell’anticipazione vuole sollecitare i responsabili a far in modo che le permanenze nelle varie strutture siano contenute nei tempi strettamente necessari. Altra raccomandazione è quella di attivare le procedure di accertamento dell’età solo qualora ci siano fondati dubbi su di essa e sempre su disposizione della Procura presso il Tribunale per i minorenni. Ai servizi sociali, infine, è stato chiesto di vigilare su chi realizza, a livello locale, gli interventi sociali.

La garante Filomena Albano ha affermato che “l’Autorità̀ garante deve essere il ponte tra la persona di minore età e le istituzioni nell’obiettivo di perseguire il diritto all’uguaglianza. Attraverso l’ascolto istituzionale, si intercettano le richieste e i bisogni, traducendoli in diritti e si individuano le modalità̀ per renderli esigibili, portando le istanze di bambini e ragazzi davanti alle istituzioni”. Felipe Camargo, rappresentante dell’UNHCR per il Sud Europa, ha aggiunto che “l’ascolto delle persone di minore età è indispensabile per far emergere i loro bisogni e le loro opinioni, e quindi, assicurare il rispetto dei loro diritti. Con questa importante iniziativa, vogliamo assicurare a questi bambini e adolescenti in condizioni di particolare vulnerabilità misure di protezione adeguate a soddisfare le loro specifiche esigenze di protezione e sviluppo. In particolare, dalle attività fin ora realizzate con i minori, è emerso con forza, il bisogno di essere supportati nel loro percorso di integrazione, in un contesto di accoglienza che deve essere dignitoso e rispettoso del loro superiore interesse”.

          Il 15 giugno AGIA e UNICEF hanno firmato un Protocollo di intesa, della durata di due anni, per sviluppare azioni congiunte di sostegno ai minorenni migranti e rifugiati in Italia con l’obiettivo di facilitare il processo di potenziamento e le attività di inclusione sociale, partecipazione, promozione dei loro diritti. In questo modo le associazioni si impegnano a collaborare per promuovere e realizzare attività di informazione e sensibilizzazione rivolte ai minori stranieri non accompagnati (MSNA) a proposito dei diritti sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (CRC). La comunicazione farà uso di un linguaggio “a misura di bambino/adolescente”, e sarà proposta in un’ottica di valorizzazione delle diversità culturali attraverso azioni che promuoveranno in modo permanente il confronto, l’ascolto e la partecipazione dei bambini e degli adolescenti in tutte le occasioni e sedi opportune, anche e soprattutto a livello istituzionale. Tramite la sottoscrizione del Protocollo di intesa l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e l’UNICEF si impegnano in particolare a diffondere l’uso della piattaforma digitale U-Report on the Move , già sperimentata da UNICEF in oltre 40 Paesi e sviluppata in Italia per favorire l’ascolto e l’accesso alle informazioni dei giovani migranti e rifugiati (U-Reporters). La piattaforma digitale consente ai giovani che si iscrivono di esprimere la propria opinione, in forma anonima, sulle tematiche per loro più rilevanti. In Italia, il progetto U-Report on the Move è stato lanciato dall’UNICEF nel 2017 a sostegno dei minorenni migranti e rifugiati e conta più di 600 iscritti.

(Français) Lesbos, l’autre porte de l’Europe pour des réfugiés en perdition – OrientXXI

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À seulement 10 kilomètres des côtes turques, les 89 000 habitants de Lesbos ont vu leur île devenir la plus importante porte d’entrée dans l’Union européenne pour les réfugiés, juste après l’Italie. Dans les six premiers mois de 2015, 63 000 migrants ont rejoint les côtes grecques.

La traversée depuis la Turquie est nettement moins risquée que celle depuis l’Égypte ou la Libye. Une fois débarqués sur l’île, les réfugiés restent le moins longtemps possible sur place afin de se mettre en route vers l’ouest ou le nord de l’Europe en passant par la Macédoine. S’ils parviennent à échapper aux bandes criminelles organisées ainsi qu’à la police, ils prendront le chemin de la Serbie puis de la Hongrie pour enfin rejoindre l’Allemagne qui semble être la destination privilégiée pour la majorité des réfugiés.

Réfugiés à Lesbos – YouTube
© Giulia Bertoluzzi, Costanza Spocci, Nawart Press

«  L’hiver passé nous avons observé beaucoup d’arrivées mais rien de comparable à maintenant  », explique Eleni Velivasaki, avocate au sein de l’ONG Pro-Asyl qui apporte une assistance juridique aux réfugiés. «  Chaque mois nous atteignons un nouveau record. Cinq mille nouvelles arrivées pour le seul mois de mai et maintenant que l’été est là, on les compte par centaines chaque jour  ».

Parmi la foule de réfugiés de différentes nationalités qui s’agglutinent devant le portail du bureau portuaire des gardes côtes de Mytilène, la capitale de Lesbos, Vahab, un jeune Afghan qui parle anglais couramment, émerge et se fait porte-parole de son groupe. «  Quand nous avons débarqué, nous avons dû marcher plus de 50 kilomètres pour atteindre cette ville. Nous dormons maintenant dans la rue depuis 5 jours, sans eau, sans nourriture ni toilettes  ».

DES CENTAINES DE PERSONNES TOUS LES JOURS

Dans un ballet quasiment ininterrompu de petits Zodiac, chacun chargé de 30 à 40 personnes, les côtes septentrionales de l’île, près du village de Molyvos, voient défiler des centaines de personnes débarquant chaque jour. Au milieu des ruelles bondées de touristes de Molyvos, des nombreux restaurants de poisson et des excursions de plongée sous-marine, les réfugiés posent pour la première fois le pied sur le sol européen.

«  Lorsque tout a commencé, beaucoup de locaux les harcelaient et les insultaient, affirmant que leurs maladies allaient faire fuir tous les touristes  », se souvient Kimon Kosmetos qui travaille au restaurant Captain’s Table de Molyvos. À l’arrière de son restaurant, la propriétaire a monté un petit kiosque pour que les réfugiés puissent se reposer en attendant, parfois jusqu’à deux ou trois jours, que le bus des gardes-côtes les emmènent au bureau de Mytilène afin de se faire enregistrer. «  Quand la situation a commencé à dégénérer, un réseau civil s’est créé pour faire face à cette catastrophe  », raconte Kosmetos  ; «  il y a ceux qui apportent à manger, ceux qui récupèrent des vêtements ou encore des couvertures  ».

Néanmoins, la majorité d’entre eux débarquent sur les plages situées entre Skala Sykaminias et Molyvos sans la possibilité de rejoindre cette dernière. Quelques maisons de bergers et une simple route non goudronnée serpentant le long de la côte, c’est tout ce qu’il y a ici. Ce spectacle effrayant des Zodiac se déroule en pleine journée sous le regard ahuri des quelques habitants qui leur donnent les indications sommaires pour rejoindre la route principale. Avant de finir par démonter les Zodiac échoués et de s’emparer des moteurs qu’ils revendront plus tard.

UNE SITUATION HORS DE CONTRÔLE

Nombreux sont ceux qui demandent leur route pour Athènes sans se douter qu’ils se trouvent sur une île. Tous connaissent cependant parfaitement la procédure à suivre : d’abord se faire arrêter par les gardes-côtes, puis par la police. «  C’est une procédure très stricte  », insiste Eleni Velivasaki. «  Les gardes-côtes doivent être les premiers à enregistrer les réfugiés. S’ils ne sont pas interceptés en mer, ils doivent tout de même se rendre auprès des gardes côtes pour être enregistrés et ensuite être arrêtés par les policiers qui les ramènent enfin au seul centre de détention de l’île, dans le village de Moria  ».

«  La situation est totalement hors de contrôle  », explique Zoe Levaditou, de la Hellenic Rescue Team  ; «  sur l’île il n’y a pas assez de moyens, les gardes-côtes ne disposent que d’un seul bus pour récupérer les personnes à Molyvos  ».

Les habitants craignent de transporter les réfugiés dans leur voiture car selon la législation locale ils pourraient être accusés de trafic d’êtres humains et condamnés jusqu’à 10 ans de prison. La route entre Molyvos et Mytilène n’est plus qu’un flux interrompu d’enfants, de jeunes, de femmes, de personnes âgées et de familles entières ayant tout abandonné et en marche vers un futur incertain. «  J’étais photographe à Kaboul  », raconte Nassim dans le port de Mytilène, «  j’étais en train de travailler sur les zones rurales d’Afghanistan mais j’ai dû tout arrêter et m’enfuir car j’étais en danger  », conclut-il, le regard vide d’espoir.

«  99 % des personnes qui débarquent à Lesbos sont des réfugiés  », explique Zoe Levaditou, «  par ordre de grandeur : des Afghans, puis des Syriens, des Pakistanais, des Africains — Somaliens et Erythréens notamment — et enfin des Bangladeshis  ». Mais la réalité sur place est que personne ne souhaite rester sur l’île ni même en Grèce. «  Le problème est que la Grèce ne donne l’asile qu’à seulement 1 ou 2 % des demandeurs  », témoigne Eleana Ianodou du Conseil d’intégration des immigrés de Thessalonique. Les réfugiés attendent, au contraire, un document d’expulsion délivré par la police au centre de détention de Moria.

Avec une capacité d’accueil de 1 000 personnes seulement, le centre de Moria déborde de tous côtés. Plus de 1 000 personnes attendent à l’extérieur du centre, dormant sous des tentes de fortune ou parfois même en plein air, sans eau, sans nourriture ni toilettes. Vahab et Nassim, qui ont été transférés au centre depuis le port, font la queue pour recevoir le verre de thé qui constituera leur seule ration pour la journée.

VIVRE EN SÉCURITÉ

La bouche sèche, ils racontent à quel point ils n’auraient jamais imaginé tomber si bas. Tous répètent en boucle que les gouvernements en Europe ne comprennent pas qu’ils ne veulent pas d’argent. Ils en ont. Ils ont payé une fortune pour arriver jusqu’ici. «  Si seulement il y avait une procédure légale, tout cet argent qu’on a donné aux trafiquants, on aurait pu le payer à vos gouvernements. Ce qu’on recherche, ce n’est pas l’argent, mais de vivre en sécurité  ».

«  À Kaboul, chaque fois que je sortais de la maison je ne savais pas si j’allais rentrer vivant. Ce que je voudrais c’est vivre dans un endroit où je ne craindrais pas de mourir à chaque fois que je sors de chez moi  », insiste Vahab sous le regard approbateur des autres réfugiés l’entourant.

Au milieu de la foule, une jeune Syrienne d’Alep d’une vingtaine d’années s’approche. Elle a vécu un an et demi en Turquie avant de s’embarquer. «  En Turquie, nous les Syriens, nous sommes maltraités. Nous sommes payés trois fois moins que les autres et devons payer trois fois plus cher les loyers et la nourriture. Si j’avais su le cauchemar qu’on vivrait ici, jamais je ne serais partie  », confesse-t-elle avec amertume.

Ahmed, un jeune informaticien d’Alep, l’air totalement abasourdi, regarde autour de lui. «  Mon frère est en Allemagne, ma maison en Syrie a été détruite, j’ai perdu mes amis, ma vie, tout. Je veux seulement rejoindre mon frère et retrouver un peu de paix, c’est tout  ».

RÉFUGIÉS DE PAYS EN GUERRE MAIS INDÉSIRABLES

L’attente dure parfois jusqu’à une semaine avant de recevoir l’ordre d’expulsion par la police. «  C’est une véritable contradiction  », précise Velivasaki car «  ils ne peuvent pas être expulsés : en premier lieu parce qu’ils viennent de pays en guerre et que selon le droit international ils doivent être protégés. Deuxièmement, parce que la Grèce n’a tout simplement pas les moyens de les expulser. Ce papier leur permet seulement de circuler en Grèce pour une durée maximale de 30 jours — de 6 mois pour les Syriens — avec pour obligation ensuite de quitter le sol grec mais par leurs propres moyens  ». Cependant, dans le même temps, «  ils sont interdits de circuler le long de toutes les zones frontalières de la Grèce ainsi que de se rendre à Athènes, et ce dans le seul but de les empêcher de rejoindre d’autres pays européens  ».

Une semaine passée sur l’île, à dormir sur les trottoirs, sur le gazon du centre de détention ou encore dans le port. Les réfugiés attendent le ferry qui les ramènera sur la terre ferme pour ensuite reprendre leur route à travers les Balkans. Le voyage qui les mènera vers le nord de l’Europe est encore long et leur coûtera des milliers d’euros supplémentaires, sans aucune certitude d’arriver.

La proposition initiale de la Commission européenne est de réinstaller 40 000 réfugiés arrivés en Italie et en Grèce, mais «  si on considère qu’en six mois 62 000 sont arrivés en Italie et 63 000 en Grèce  », commente Velivasaki, «  il est clair que c’est un chiffre purement symbolique qui ne va rien changer à la situation de crise qu’on vit ici  ».

http://orientxxi.info/magazine/lesbos-l-autre-porte-de-l-europe-pour-des-refugies-en-perdition,0981

Nigeria, storia di un orrore messo nero su bianco

Medio oriente – Africa di

La crudeltà delle stragi di Boko Haram visto attraverso gli occhi dei bambini. L’appello dell’Unhcr affinché i rifugiati abbiano la necessaria assistenza. L’avanzata di Boko Haram sta mettendo in ginocchio un intero Paese.

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Un’emergenza umanitaria senza fine. È quella raccontata, attraverso i disegni, dai bambini del villaggio di Baga Sola dopo che l’Unicef ha chiesto loro di rappresentare il dramma vissuto negli ultimi mesi. Essi, assieme alle loro famiglie, sono stati testimoni diretti delle ripetute stragi di cui si sono resi protagonisti i miliziani di Boko Haram nell’agosto 2014. Ed è un nero su bianco che certifica ancora di più i numeri drammatici causati dalle ripetute stragi islamiste nel Borno in Nigeria.

L’Unhcr, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati, ha lanciato il Regional Refugee Response Plan, ovvero un piano che consenta di trovare i circa 175 milioni di dollari per l’assistenza ai 192mila nigeriani che hanno lasciato il Paese. Camerun, Ciad e Niger hanno accolto migliaia di persone che necessitano di assistenza materiale e psicologica, nonché dell’educazione scolastica per quanto riguarda i bambini. Lo stesso tipo di assistenza di cui hanno bisogno gli sfollati rimasti nel nord-est della stessa Nigeria.

Intanto, dopo le elezioni che hanno portato il musulmano Buhari al trionfo, gli scontri proseguono all’interno dello Stato africano. All’indomani della tornata elettorale, gli eserciti ciadiani e nigerini hanno sconfitto le truppe di Boko Haram al confine tra Nigeria e Niger: i miliziani morti sarebbero circa 300. Di contro, un paio di giorni dopo, alcuni jihadisti, travestiti da predicatori, hanno ucciso quasi 30 persone nel villaggio di Kwajafa, sempre nello Stato di Borno.

Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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