GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Libia: tra il possibile accordo e l’emergenza migratoria senza fine

EUROPA/Medio oriente – Africa di

Come concordato in Svizzera, le parti cercheranno una soluzione politica di unità nazionale entro settembre. Giallo sulle dimissione del premier al Thinni. Continua l’emergenza migratoria: per Oim, il Canale di Sicilia è la rotta migratoria più pericolosa nel Mediterraneo.

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Riavvicinamento a Ginevra tra le diverse fazioni libiche, compreso il governo di Tripoli. Nella due giorni presieduta dal delegato Onu Bernardino Leon, le parti in causa si sono dette concordi nel trovare una soluzione politica di unità nazionale tra la fine di agosto e gli inizi di settembre. Manca ancora l’accordo ufficiale, dunque. Ma, dopo l’accordo di luglio raggiunto in Algeria, adesso anche il Congresso Nazionale Libico potrebbe fare la sua parte. Anche se lo scoglio più grande sarà trovare un punto d’incontro tra le milizie di Misurata e le truppe del generale Haftar.

Intanto, è giallo a Tobruk. Appena due giorni fa, infatti, il premier Abdullah al Thinni aveva annunciato le proprie dimissioni ad una tv libica. Ma, poche ore dopo, un portavoce dell’esecutivo ha smentito la notizia.

Non c’è, però, più tempo da perdere nelle trattative. Oltre alla lotta interna contro il Daesh, la rotta migratoria verso le coste italiane è rovente. Oltre 2000 sono stati gli arrivi tra Sicilia e Calabria negli ultimi tre giorni. Il 10 agosto scorso, la nave Fiorillo della Guardia Costiera è riuscita a salvare almeno 400 persone. Così come oltre 150 dalla nave Fenice della Marina Militare. O i 450 migranti giunti ad Augusta. E così come molti sono stati gli arresti di scafisti da parte delle autorità italiane. Le condizioni disumane e le morti in mare sono ormai una costante.

Numero dei morti che, appunto, si aggiorna rispetto agli oltre 2000 di inizio agosto, certificati dall’Oim. Rispetto alla rotta greca, “la maggior parte dei migranti ha perso la vita nel Canale di Sicilia, lungo la rotta centrale del Mediterraneo che collega la Libia all’Italia: è proprio in questo tratto di mare che le imbarcazioni usate dai trafficanti, in pessime condizioni già al momento di partire, rischiano di naufragare”, racconta l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

La rotta del Canale di Sicilia è “sproporzionatamente più pericolosa delle altre. Nonostante l’Italia e la Grecia siano entrambe interessate da flussi migratori molto significativi (rispettivamente circa 97.000 e 90.500), i tassi di mortalità sono molto diversi: sono stati circa 1.930 i migranti morti nel tentativo di arrivare in Italia, mentre sono stati circa 60 i migranti morti sulla rotta verso la Grecia”.

“Nonostante queste tragedie, l’OIM riconosce gli sforzi straordinari delle forze navali presenti nel Mediterraneo, che continuano a salvare vite umane ogni giorno. Il numero di decessi è diminuito in maniera significativa negli ultimi mesi e ciò è dovuto in gran parte al potenziamento dell’operazione Triton: il Mediterraneo è ora pattugliato da un maggior numero di imbarcazioni che si possono spingere fino a dove partono le richieste di soccorso”.
“Sono quasi 188.000 i migranti salvati nel Mediterraneo fino ad ora e l’OIM sostiene con forza il proseguimento di tali attività. L’Organizzazione ritiene che il numero di migranti in arrivo aumenterà nei prossimi mesi e che la soglia dei 200.000 sarà raggiunta molto presto”, conclude il comunicato di Oim.
Giacomo Pratali

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Immigrazione: l’Ue muove i primi, ma incerti passi

EUROPA di

La vera partita tra gli Stati membri si gioca attorno alle quote di redistribuzione dei rifugiati siriani ed eritrei. Le altre nuove misure, tra cui l’allargamento del raggio d’azione di Frontex, potrebbero essere il primo passo verso una europeizzazione della questione migratoria.

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L’emergenza immigrazione nel Mediterraneo è divenuta un punto fisso dell’agenda Ue nell’ultimo mese. Per la prima volta, la questione viene trattata a livello comunitario. L’allargamento del raggio di competenza e l’istituzione di una nuova base logistica a Catania stanno portando Frontex, e di conseguenza le operazioni Triton e Poseidon Sea, sugli stessi livelli di Mare Nostrum. La vera partita tra gli Stati Membri, però, ruota attorno alla ricollocazione delle persone sbarcate sulle coste italiane e greche quest’anno.

Oltre 30000 sono stati i migranti sbarcati in Italia fino ad ora. La stessa cifra raggiunta, a sorpresa, dalla Grecia, divenuta meta privilegiata per siriani (la maggioranza) e iracheni che, passando attraverso la Turchia, non passano per la Libia, ma optano per la più sicura rotta verso le isole greche del Mar Egeo (Mitilene, Chios, Leros, Samos) situate a pochi chilometri dalle coste dall’Anatolia.

La ricetta proposta dal collegio dei commissari europei consta di vari punti. Quello più importante riguarda la redistribuzione dei profughi siriani ed eritrei sbarcati dopo il 15 aprile 2015. Anche se da Bruxelles non parlano di questione di “quote, ma di solidarietà minima”, il 15 e 26 giugno, prima il Consiglio dei Ministri Ue, poi il vertice dei leader, saranno le due date decisive per avvallare questa ricollocazione.

Nella proposta di legge, dei 40 mila profughi siriani ed eritrei totali (24mila sbarcati in Italia, 16 in Grecia) 8763 rifugiati dovrebbero spettare alla Germania, 6752 alla Francia e 4288 alla Spagna. Gli altri 20 Paesi si accollerebbero la restante parte. Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca non sono state previste in quanto contrarie. Mentre Parigi e Madrid, scettici su questo provvedimento, dovrebbero, secondo fonti europee, comunque accettare.

Gli altri punti riguardano l’introduzione dell’obbligo delle impronte digitali per tutti i migranti. La lotta al reinsediamento di 20mila campi profughi. L’istituzione di un ufficio dell’Unione Europea in Niger che valuti in loco le richieste d’asilo politico. Il nuovo piano Frontex, come detto prima.

Ma è il nodo quote che lascia perplessi. Se il caso greco ha raggiunto numeri impressionanti solo nel 2015, l’Italia ha visto, dopo le Primavere Arabe e la caduta di Gheddafi nel 2011, un progressivo aumento degli sbarchi sulle coste meridionali. Nel 2014, infatti, ben 170 mila sono stati gli sbarchi. Numeri destinati ad aumentare se le stime del Ministero degli Interni italiano, 200 mila arrivi entro il 2015, dovessero essere confermate.

Se andiamo al dato del 2014, possiamo osservare che solo il 7% dei migranti sarebbe preso in considerazione. Nel 2015, invece, circa 41mila siriani ed eritrei rappresenterebbero circa il 31%. Numeri risibili rispetto alla realtà dei fatti.

La ricerca di un piano strutturale da parte dell’Europa cozza con il numeri messi in campo. Sebbene l’intervento diretto nel contesto africano e l’allargamento e l’aumento dei fondi a Frontex vadano nella giusta direzione, quello che manca è una visione comune sulla questione migratoria. Una visione comune che viene meno perché, in apparenza, il problema sembra solo per Italia e Grecia.

Nella realtà dei fatti, il problema è europeo. Perchè non solo per i siriani Roma e Atene sono luoghi di passaggio. Da tempo, ormai, la maggioranza dei migranti di tutte le nazionalità ambiscono a raggiungere Germania, Norvegia e Svezia per due fattori. Il primo è perché sono i tra i Paesi europei più sviluppati e con una maggiore qualità della vita. Il secondo, non meno importante, è perché molti parenti e amici dei nuovi arrivati, essendosi stabiliti lì da molti anni, costituiscono un punto d’appoggio per iniziare una nuova vita.

Questo punto, unito alla fitta immigrazione proveniente dai confini dell’Europa orientale, dovrebbero fare riflettere sulla necessità di non limitare la ricollocazione ai soli rifugiati siriani ed eritrei.

Giacomo Pratali

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Frontex: “Triton estesa a 138 miglia a sud della Sicilia”

Difesa/EUROPA di

Il raggio di azione di Frontex sarà esteso a partire da quest’estate. In aggiunta, 3 aeroplani, 6 navi d’altura, 12 pattugliatori e 2 elicotteri saranno a disposizione di Triton.

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“Abbiamo deciso di incrementare il numero dei mezzi nel Mediterraneo centrale per supportare al meglio le autorità italiane, impegnate nelle operazioni di controllo delle coste e di salvataggio delle vite umane, troppe delle quali hanno già tragicamente perso la loro vita quest’anno” – afferma Fabrice Leggeri, Direttore di Frontex -. “Il ruolo degli ufficiali militari risulta fondamentale perché mettono assieme i loro lavori d’intelligence svolti nei confronti dei criminali che operano in Libia e in altri paesi di passaggio”, aggiunge.

E ancora: “In questo modo, Frontex sta assistendo al meglio le autorità italiane e l’Europol nelle loro indagini e nei loro sforzi per smantellare le reti di trafficanti che lucrano sulle persone disperate”, conclude.

Dopo la decisione di aumentare i fondi nell’ultimo Consiglio Europeo, Triton in Italia e Poseidon Sea in Grecia saranno rispettivamente incrementati a 38 e 18 milioni di euro di finanziamenti da parte della Commissione Europea. La stessa che innalzerà a 45 milioni di euro i fondi con cui Frontex finanzierà entrambe le missioni.

26 Paesi europei, infine, contribuiranno, con i loro esperti e i loro mezzi tecnici, all’operazione Triton: Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, France, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito.
Giacomo Pratali

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Moas, Xuereb: “L’immigrazione nel Mediterraneo è una questione internazionale che richiede una soluzione globale”

EUROPA di

L’Unione Europea e le Nazioni Unite stanno trattando questa emergenza nell’intento di non lasciare sole Italia e Malta. Riguardo a queste questioni, European Affairs ha intervistato Martin Xuereb, Direttore Migrants Offshore Aid Station (Moas), l’organizzazione non governativa impegnata nel salvataggio dei migranti in arrivo dall’Africa.

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Quando e perché è stato fondato Moas?

“Moas è stato fondato nel 2014. l’idea è venuta a Regina e Christopher Catambrone dopo il naufragio di 400 migranti avvenuto vicino alle coste di Lampedusa durante l’estate del 2013. Dopo la visita del Papa, sempre nel 2013, quando egli chiese fortemente di aiutare queste persone in qualsiasi modo, Regina e Christopher hanno avuto la scintilla. Essi hanno iniziato a pensare ad un’organizzazione che salvasse la vite a rischio nel Mediterraneo. Io sono stato coinvolto nel febbraio 2015, quando mi è stato chiesto aiutare, prestare soccorsi e salvare i migranti. Noi siamo un ente privato e dipendiamo dalle donazioni fatte dalle persone. Speriamo che il nostro messaggio, che la vita è preziosa e non importa a chi appartiene, sia fonte d’ispirazione per gli altri affinché donino”.

 

In cosa consiste la vostra attività?

“Noi abbiamo iniziato a lavorare lo scorso anno. Dopo 16 giorni di operazioni in mare aperto, avevamo già salvato 3000 persone. Poi, siamo tornati a settembre e a fine ottobre abbiamo iniziato a pensare alla missione del 2015. Adesso, a differenza dello scorso anno, collaboriamo con Msf. Essi hanno il compito di provvedere all’assistenza e al salvataggio delle persone. Moas, invece, possiede una nave di 40 metri (Phoenix), due Remote Piloted Aircraft e due Rhibs: questi ultimi hanno la possibilità di spostarsi e volare se abbiamo necessità di avere informazioni urgenti. Tutti questi mezzi vengono diretti dal Rescue Coordination Center. In più, abbiamo due gommoni che possono servono quando un’imbarcazione in alto mare necessita di assistenza. La scelta di fare salire a bordo i migranti viene fatta sempre assieme al Rescue Coordination Center. Quando le persone sono a bordo, Msf, con i loro dottori, infermieri e mezzi logistici, provvede alle loro cure mediche e li tiene costantemente monitorati”.

 

Quanto sono determinanti le competenze professionali acquisite durante le operazioni di salvataggio umanitario in mare aperto?

“Cercare di salvare le persone in un contesto così difficile è molto impegnativo. Servono capacità, conoscenze e attitudine al rischio. Ovviamente, serve passione per un lavoro del genere, ma ancora più importante è l’essere capaci di lavorare professionalmente perché in gioco ci sono le vite delle persone”.

 

Quali risultati avete conseguito?

“3000 persone sono state salvate nei 60 giorni di operazioni svoltesi nel 2014. Nel 2015, dopo essere partiti il 2 maggio, abbiamo salvato 1441 persone da imbarcazioni alla deriva nel Mediterraneo: di questi, 106 bambini, 211 donne e 1124 uomini”.

 

Con quali istituzioni ed enti collaborate?

“Prima di tutto con il Rome’s Maritime Rescue Coordination Centre e con il centro omologo maltese. Essi hanno il compito di coordinare le missioni di salvataggio e noi, a nostra volta, siamo ben lieti di collaborare con loro. Essi sono molto soddisfatti delle nostre capacità e del fatto che non utilizziamo solamente imbarcazioni per il mare aperto, bensì anche droni e cliniche mediche a bordo. Infatti, come tutte le altre navi, anche noi abbiamo l’obbligo per legge di prestare soccorso ad imbarcazioni alla deriva. Ma, la differenza tra noi e le navi mercantili, è che il salvataggio delle vite umane è la nostra missione”.

 

Dopo che il Consiglio Europeo ha deciso di triplicare i fondi per “Triton”, l’immigrazione è davvero divenuto un tema europeo?

“Io ritengo che questa sia una questione internazionale che richiede una soluzione globale. Noi volgiamo dire che l’Europa deve dimostrarsi più attiva in questa vicenda. Vorremmo intravedere una prospettiva di largo respiro. Penso che tutti dovrebbero essere consapevoli che, la maggior parte dei salvataggi, viene condotta in acque internazionali. Per questo motivo, perché l’Italia dovrebbe prendersi da sola tutta la responsabilità? Queste operazioni dovrebbero essere coordinate da qualcun altro. E credo anche che non solo gli stati, ma anche aziende private ed enti dovrebbe interessarsi alla questione. Come Moas, assieme a Msf, vogliamo portare sul tavolo un nuovo modus operandi”.

 

Giacomo Pratali

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Ue, immigrazione: più fondi ma è spaccatura su rifugiati

Difesa/EUROPA/POLITICA di

Triplicate le risorse destinate alle operazioni Triton e Poseidon. Rimane la divisione sull’accoglienza dei richiedenti asilo.

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120 milioni di euro stanziati a Frontex per l’operazione Triton (quasi quanto quelli destinati a Mare Nostrum), aumento dell’area operativa e supporto logistico-navale all’Italia da parte dei Paesi del Nord Europa per agevolare il respingimento dei barconi provenienti dalla Libia. Nessun aiuto ad Italia, Grecia e Malta in materia di accoglienza dei rifugiati politici. No temporaneo ad un’azione militare diretta contro il porto di Tripoli. Questi i punti più rilevanti messi nero su bianco dal Consiglio Europeo straordinario, seguito prima da un vertice a quattro i leader di Italia, Gran Bretagna, Germania e Francia, andato in scena giovedì 23 aprile a Bruxelles.

Le premesse di una vera politica unitaria a livello continentale in materia di contrasto all’immigrazione e al terrorismo erano state anticipate nei giorni scorsi prima dal meeting dei ministri degli Interni e degli Esteri dell’Ue, poi dall’annuncio della riunione del Consiglio Europeo dato dal presidente Donald Tusk a seguito della strage di domenica scorsa in cui sono deceduti almeno 800 naufraghi.

Ma la realtà è ben diversa. Gli interessi e i punti di vista diversi hanno fatto sì che tra l’Italia e Paesi come Gran Bretagna e Svezia non si arrivasse ad una vera politica unica. Proprio David Cameron, offertosi di inviare la nave Hms Bulwark nell’abito delle operazioni di pattugliamento nel Mediterraneo, ha precisato di non volere accogliere nessun migrante. Mentre la cancelliera Angela Merkel ha aperto alle richieste di Roma, precisando tuttavia che «Svezia, Germania e Francia da sole accolgono il 75% dei rifugiati nell’Ue».

Insomma, l’accoglienza delle migliaia di migranti, che potrebbero attestarsi oltre le 20000 unità entro la fine del 2015, rimane su base volontaria. Renzi ha espresso soddisfazione per la volontà di collaborazione dei partner europei. Mentre, al momento, sembra essere rientrata la questione di un’azione militare contro il porto di Tripoli e con l’ausilio di droni: Merkel e lo stesso Primo Ministro italiano hanno ritenuto necessario, infatti, un pronunciamento delle Nazioni Unite su questa questione.

Ma la verità è che le differenze rimangono. Differenze che riguardano il giudizio degli Stati nordeuropei sull’operazione “Mare Nostrum” condotta dalla Marina Militare italiana e bollata come controproducente nella lotta all’immigrazione. E che influisce in maniera negativa sulla credibilità delle attuali Triton e Poseidon. Ma anche differenze per il futuro. Migranti, richiedenti asilo politico e terroristi provenienti non solo dalla Libia, ma dal resto dell’Africa e da parte dell’Asia sono di fatto le patate bollenti lasciate nelle mani della politica italiana.

Giacomo Pratali

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Europa e migranti all’ultima spiaggia

EUROPA di

“Senza speranza non è la realtà, ma il sapere che, nel simbolo fantastico o matematico, si appropria della realtà e così la perpetua” – da “Dialettica dell’Illuminismo”, T. Adorno-M. Horkheimer.

Di Chi parliamo quando parliamo di questi morti? Di Cosa parliamo quando parliamo di frontiere? Che fare? Come farlo?

Un mare di morti e di domande nei quali affoghiamo parole, sensi di colpa, fascismi latenti, xenofobie, xenofilie, valori laici o cristiani, realpolitik, analisi e cattedre che si scornano negli editoriali, emoticon con lacrimuccia nei commenti social, etc.

CHI? – Piu di 1000 morti in una settimana nel nostro Mediterraneo, il numero rimane impreciso. Impreciso perché, oggi, quelle persone sono un “dato tragico”. Sono circa vent’anni di sbarchi e più di 20mila morti nel tentativo di raggiungere le frontiere europee. Questo non basterà mai a fermare chi non ha nulla da perdere. “Dalle coste libiche sono pronti a partire circa 1milione di migranti”, sostiene oggi l’ONU, “ prevalentemente profughi siriani, i quali dovranno essere accolti in Europa nei prossimi 5 anni”. A fronte anche degli esibizionisti che giocano con certi istinti primari di sopravvivenza delle masse, modello Katie Hopkins nel Regno Unito, viene da riprendere le parole del Presidente della Croce Rossa Italiana: “Dove sono finiti gli appelli tipo Bring Back Our Girls?”, ha detto durante la conferenza stampa tenutasi ieri, a Catania, dove si accoglievano i 28 superstiti della strage del Canale di Sicilia. “Che senso hanno oggi gli appelli quando tocca salvare persone che fuggono da situazioni insostenibili come quelle?!”.

Frontiere – Si continua a parlare di “emergenza” sbarchi da anni, il che va a costituire un ossimoro data la costanza del fenomeno. Non si tratta più di emergenza, ma di flussi migratori stimati ogni anno. Un continente di persone che si muove in continuazione. Nel Mediterraneo si è cercato di far fronte a queste situazioni prima con Mare Nostrum e in seguito con Triton. Ma quali sono le differenze tra le due missioni che oggi si mettono a confronto?

Mare Nostrum era l’operazione italiana avviata il 18 ottobre 2013 all’indomani della strage di Lampedusa del 3 ottobre nella quale naufragarono 366 persone. La missione italiana vedeva impegnati Marina Militare, Guardia Costiera, Aeronautica, Guardia di Finanza. In particolare, la Marina partecipava con una nave anfibia (dotata di capacità ospedaliere e grandi spazi per accogliere i naufraghi), 2 corvette, 2 pattugliatori, due elicotteri, 3 aerei. Le navi d’altura si potevano spingere fino a ridosso delle coste libiche per soccorrere. Mare Nostrum si è conclusa il 31 ottobre 2014, accompagnando Triton fino alla fine dell’anno.

I numeri: 160mila persone soccorse; 366 scafisti consegnati alla giustizia; costo: 9,5milioni di euro al mese;

Triton è ufficialmente partita il 1 novembre 2014 ed è una missione europea, non più italiana. Dispiegata da Frontex, l’Agenzia Europea delle Frontiere, il suo mandato non è più soccorrere, ma operare il controllo delle frontiere, che è la mission istituzionale dell’Agenzia. Anche se, in caso di necessità, si operano interventi di ricerca e soccorso (Sar), per rispondere al suo mandato, le navi di Frontex si mantengono in un’area entro 30 miglia dalle coste italiane, senza spingersi a Sud verso le coste libiche, come accadeva con i pattugliamenti di Mare Nostrum. Il budget mensile è di 2,9 milioni di euro, molto inferiore a Mare Nostrum, ma i mezzi impiegati sono due aerei, un elicottero, tre navi d’altura, quattro motovedette. A oggi, Triton ha salvato 6000 migranti.

Il conto non è matematicamente ostico da fare e sono comprensibili le polemiche sorte già da qualche mese e prevedibile la proposta del Primo Ministro Renzi di “ raddoppiare Triton”.

Che fare? Come farlo? – Lunedì, 20 aprile, la Commissione dell’UE si è accordata con i Ministri degli Esteri e degli Interni dell’Unione su dieci punti d’azione per far fronte al traffico di migranti via mare. Un azione prettamente di contrasto articolata come segue:

 1. L’Unione europea rafforzerà le operazioni di pattugliamento marittimo nel Mediterraneo, chiamateTritonPoseidon, con un aumento dei fondi e delle risorse. L’Ue estenderà inoltre il proprio raggio d’azione per pattugliare una più ampia area del Mediterraneo;  L’Ue farà “uno sforzo sistematico per confiscare e distruggere le imbarcazioni usate dai trafficanti”, utilizzando come modello l’operazione dell’Unione europea Atalanta contro la pirateria, in corso al largo delle coste della Somalia. 3. Le agenzie dell’Unione europea l’Ufficio europeo di polizia (Europol), l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri (Frontex), l’Unità europea che si occupa della cooperazione tra autorità nazionali nella lotta contro la criminalità (Eurojust) e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) si incontreranno regolarmente per raccogliere informazioni sul modus operandi dei trafficanti, tracciare i loro fondi e agevolare le indagini sulle loro attività; 4. L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) dispiegherà squadre operative in Italia e in Grecia per l’elaborazione congiunta delle procedure per la concessione d’asilo; 5. I governi degli stati membri prenderanno le impronte digitali di tutti i migranti; 6. L’Unione europea considererà opzioni per “un meccanismo di ricollocazione d’emergenza per migranti; 7. La Commissione europea lancerà un progetto volontario pilota sul reinsediamento dei rifugiati nell’Unione europea; 8. L’Unione europea istituirà un nuovo programma per il rapido rimpatrio dei migranti “irregolari”, coordinato dall’agenzia dell’Ue Frontex; 9. L’Unione europea si impegnerà con i Paesi confinanti e la Libia attraverso uno sforzo congiunto della Commissione e del Servizio europeo per l’azione esterna; 10. L’Unione europea dispiegherà funzionari di collegamento dell’immigrazione all’estero per raccogliere informazioni di intelligence sui flussi migratori e per rafforzare il ruolo delle delegazioni dell’Unione.

Il piano accordato ha suscitato considerazioni delle più disparate nel mondo politico e mediatico: dal Ministro dell’Interno italiano, Alfano che sostiene l’eventualità  di “ bombardare i barconi” e ancora “se l’ONU ce lo dice, andremo in guerra in Libia” alle proteste infuocate dei sindaci che chiedono “piu risorse per la ricollocazione dei profughi in arrivo”. Matteo Renzi, ha chiesto a Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo una sessione straordinaria per discutere le misure da intraprendere e che oggi dovrà esporre la posizione dell’Italia, la più unitaria possibile.

In conclusione, c’’è chi da giorni sproloquia su eventuali “blocchi navali”, ignorandone il funzionamento pratico molto particolare.  Cosa si rischia nell’attuarlo in caso di navi stracolmi di migranti lo si potrebbe spiegare con un esempio facile-facile: il 28 marzo 1997, quando migravano gli albanesi, una motovedetta stracarica di uomini,donne e bambini fu speronata da una corvetta della Marina Militare, la Sibilla, in un tentativo di harassment (misure cinematiche di disturbo). Risultato: 81 morti e 27 i dispersi a tutt’oggi nel Canale d’Otranto.

Non solo, ma Santanchè e Salvini, i più “attivi” in questi giorni, dimenticano (?) che per i fatti avvenuti tra il 2008 e i 2011, quando governavano i rispettivi partiti e quando con Gheddaffi ci si accordava, l’Italia è stata condannata da Strasburgo per respingimenti illegittimi verso la Libia.

Più ripasso del Diritto Internazionale Marittimo, della Carta dei Diritti dell’Uomo e meno partite a Risiko per chi alza il tiro della polemica sterile

Sabiena Stefanaj
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