GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Tobruk

Libia: in attesa del via libera dell’ONU

Medio oriente – Africa/Varie di

Come annunciato a seguito della Conferenza Internazionale di Roma, le diverse fazioni libiche, Tripoli e Tobruk su tutti, hanno raggiunto a Skhirat (Marocco) l’accordo per il governo di unità nazionale. Il Consiglio di Presidenza, presieduto da Sarraj Fayez, dai tre vicepremier in rappresentanza di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, più altri rappresentanti hanno il compito, entro 40 giorni, di trovare i ministri e formare il nuovo governo. C’è attesa, intanto, per la risoluzione ONU, che dovrà definire i termini dell’intervento militare per mettere in sicurezza Tripoli e addestrare le forze di sicurezza locali: l’Italia è pronta ad assumere il ruolo di guida della coalizione internazionale, mentre la Gran Bretagna invierà circa mille uomini.

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Nella giornata di giovedì 17 dicembre, con un giorno di ritardo rispetto alla tabella di marcia, i 90 rappresentanti dell’Assemblea di Tobruk e i 27 del GNC di Tripoli hanno firmato l’accordo, frutto di un’estenuante trattativa durata un anno. Il Consiglio di Presidenza neoeletto, oltre a scegliere i rappresentanti del nuovo esecutivo, dovrà convincere i presidenti dei rispettivi parlamenti ad accettare l’accordo. Tra i nodi da sciogliere, anche la modalità dell’intervento della coalizione internazionale: le diverse fazioni, infatti, caldeggiano l’addestramento delle forze di polizia libiche, piuttosto che un intervento militare straniero classico.

Se le reazioni positive da parte delle più cariche istituzionali globali si sprecano, sul campo iniziano già a vedersi i primi effetti dell’accordo sotto l’egida dell’ONU. La presenza di un esecutivo unico a Tripoli consentirà, dopo la Siria, di aprire in Libia l’altro fronte per la lotta allo Stato Islamico, radicalizzatosi a Sirte e presente in maniera forte in centri importanti come Bengasi.

Un piccolo nucleo di truppe statunitensi è già presente in loco, come riportato da molti media internazionali. Così come Francia e Gran Bretagna sarebbero già arrivati in Libia attraverso i confini meridionali.

E l’Italia? Come trapelato da ambienti vicino alla Difesa, il non interventismo in Siria, l’apporto alla missione NATO in Iraq di 450 soldati a difesa dei lavori presso la strategica diga di Mosul, mostrano chiaramente la linea di Roma: riservare il massimo sforzo, in termini umani e logistici, alla più vicina, e per questo più cruciale, Libia.

La missione militare internazionale in Libia, dunque, è già alle porte.
Giacomo Pratali

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Libia: dubbi sull’accordo preliminare

Medio oriente – Africa di

A quasi un mese dalla fine del mandato di Bernardino Leon, il GNC di Tripoli ha annunciato di avere trovato un accordo preliminare con Tobruk per la formazione di un governo di unità nazionale, al di fuori però della precedente bozza ONU. Essa prevede la creazione di un comitato di dieci rappresentati, divisi equamente tra i due esecutivi in carica, i quali eleggeranno il nuovo premier e i due vicepresidenti.

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Un accordo che, seppure fuori dalla bozza Onu dell’ottobre scorso, è stato salutato in maniera positiva dallo stesso Kobler e dall’Italia. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, pur frenando su un intervento militare in Libia nel breve termine, ha affermato che il proprio Paese “è pronto a fare la propria parte”.

A partire dalla prima conferenza internazionale sulla Libia, in programma il prossimo 13 dicembre a Roma. Un po’ come accaduto con il vertice di Vienna sulla Siria dopo gli attentati di Parigi e la reazione francese sul suolo siriano, l’Italia cerca di guadagnarsi un ruolo di primo piano in quest’altro contesto geopolitico caldo, avendo al suo fianco gli Stati Uniti, ma anche la Russia, la quale, attraverso il proprio ministro degli Esteri Lavrov, ha dichiarato che Mosca “è pronta ad aiutare l’Italia sulla Libia”.

Un modo, dunque, per rimettersi in gioco dopo l’attendismo dimostrato a seguito dei fatti di Parigi. In più, la notizia riportata da un’agenzia stampa iraniana, ancora non confermata, della presenza del califfo al Baghdadi a Sirte, roccaforte dell’Isis in Libia, pone il problema della presenza dell’organizzazione jihadista a 300 chilometri dalle coste italiane. Una risposta comune dall’Europa è ora quanto mai necessaria.
Giacomo Pratali

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Libia: “Impossibile soluzione politica rapida”

Medio oriente – Africa di

La profanazione del cimitero italiano a Tripoli e il presunto confinamento di alcune imbarcazioni italiane nelle acque territoriali libiche. In questo scorcio di novembre, i rapporti diplomatici tra Italia e Libia hanno subito un brusco raffreddamento. Per trattare questi temi, European Affairs ha intervistato la dottoressa Giovanna Ortu, Presidente dell’Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia, espulsa da Gheddafi, assieme ad altri 20mila connazionali, nel 1970.

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Dopo la devastazione del cimitero italiano in Libia, qual è stata la posizione assunta dal governo italiano? Avete ricevuto sostegno?

“Sono andata dal sottosegretario agli Esteri Mario Giro, con il quale avevo in programma un appuntamento già prima che accadesse questo episodio: ho trovato molta disponibilità ma anche preoccupazione circa il contesto creatosi in quel Paese. Nel frattempo, c’è stato anche il fallimento del mediatore ONU Bernardino Leon. La situazione tra le diverse fazioni si è ormai troppo incartata. Secondo me, il prolungarsi di questa dualità tra Tripoli e Tobruk ha aumentato le frizioni: se l’accordo, invece, fosse stato raggiunto prima, non ci sarebbe stato il tempo per i gheddafiani di riprendersi e per le altre organizzazioni di radicarsi sul territorio”.

 

Non è la prima volta che il cimitero italiano in Libia è stato vittima di azioni simili. L’ultimo caso risale al gennaio 2014. Crede che questi episodi siano mossi da un sentimento antitaliano o siano gesti politici premeditati?

“A mio parere, non sono fatti mossi da sentimento antitaliano. I fatti criminosi accaduti fino agli anni 2000, che poi ci indussero a restaurarlo nel 2004, sono collegabili alla microcriminalità. Anche l’episodio del gennaio 2014 o altri più recenti sono dello stesso tenore. Tuttavia, non posso giudicare se l’ultimo fatto sia di stampo politico. Quello che è certo è che già da diverso tempo la nostra associazione temeva che le devastazioni e i furti presso il sacrario italiano in Libia potessero divenire oggetto di strumentalizzazione politica”.

 

Il recente incidente diplomatico tra Italia e Libia è una chiara strategia internazionale atta a volere escludere il nostro Paese dal ruolo guida di un’eventuale azione militare sotto l’egida dell’Onu?

“In questo momento, noto una grande dicotomia tra il sentimento del popolo libico e chi intende speculare sulle divisioni interne per mettere in crisi i rapporti tra Italia e Libia che, in fondo, si erano rimessi sulla giusta strada nella fase finale della dittatura di Gheddafi. Mi chiedo: quanto tempo ci vorrà per ritornare a quella identità di sentimenti e vedute che ha caratterizzato gli ultimi 100 anni dei rapporti tra italiani e libici?
Tornando all’incidente diplomatico di qualche giorno fa, ritengo che, mentre tutti lodano Berlusconi per il trattato firmato con Gheddafi nel 2008 che sembrava così a favore dell’Italia, gli altri partner europei si siano ingelositi di quel rapporto tra Italia e Libia, dato che questo Paese è ricco dal punto di vista energetico e fonte di enormi commesse per il settore delle grandi opere. Quel trattato aveva tolto una fetta troppo grossa agli altri Stati europei. Comunque, non avrei mai creduto che i Paesi occidentali si lanciassero in una guerra, come accaduto nel 2011, senza avere un piano istituzionale ed economico postbellico”.

 

Lei che conosce il contesto sociale libico, crede che vi siano margini per la creazione di un governo di unità nazionale? Ormai la presenza dello Stato Islamico è radicalizzata: davvero questa organizzazione rispecchia la cultura religiosa del popolo libico?

“Sono molto pessimista per una soluzione positiva nel breve termine. Infatti, anche le analisi moderatamente ottimistiche fatte da esperti di geopolitica sono state smentite dai fatti. La Libia che conosco è quella di molti decenni fa. Tuttavia, nelle tre volte che ho avuto occasioni di tornare a Tripoli, i giovani incontrati erano pieni di sentimenti ma poco alfabetizzati e a contatto con il mondo esterno attraverso la televisione italiana. Quello che mi aveva colpito era stato il trovare donne che lavoravano nelle istituzioni e nei ministeri a volto scoperto. Però, non è possibile uscire da 40 anni di dittatura indenne. La popolazione, vulnerabile, è stata vittima di organizzazioni come il Daesh, insediatesi nel tessuto sociale libico”.
Giacomo Pratali

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Libia: sì al governo di unità nazionale

Il governo di unità nazionale libico si farà. L’accordo, raggiunto nella tarda serata di giovedì 8 ottobre, è stato firmato da tutte le fazioni in gioco, compreso l’esecutivo di Tripoli, il quale, dopo molte reticenze, ha detto sì alla bozza del 21 settembre scorso avallata dalle altre parti in gioco. Il ruolo di Primo Ministro, secondo quanto annunciato dal delegato Onu Bernardino Leon, dovrebbe spettare a Fayez Serray, ex Ministro della Casa in uno degli esecutivi del dopo Gheddafi.

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“Esprimiamo la nostra gioia perché c’è almeno una chance – ha affermato Leon -. Secondo le agenzie Onu, 2,4 milioni di persone sono in una grave condizione umanitaria. A tutti loro vanno le nostre scuse per non essere stati capaci di proporre prima questo governo”.

Dopo circa un anno di trattative pronte a naufragare da un momento all’altro, Leon, a fine incarico in Libia, è riuscito a portare a termine l’accordo tanto atteso. Pur con i distinguo da parte delle ali estreme dei due esecutivi, i governi di Tobruk e Tripoli si sono impegnati a scegliere il futuro Consiglio dei Ministri. Mentre le Nazioni Unite hanno già nominato i tre vicepresidenti che comporranno, assieme al premier, il Consiglio di Presidenza.

Moussa Kony, indipendente e proveniente da Fezzan. Ahmed Maemq, membro del Congresso Generale Nazionale di Tripoli. Fatj Majbari, proveniente dalla Cirenaica ma non fedele al generale Khalifa Haftar.

La comunità internazionale ha accolto con soddisfazione l’accordo. Adesso, si apre la fase della formazione del governo e del possibile intervento militare, sotto l’egida delle Nazioni Unite e a possibile guida italiana, contro lo Stato Islamico: “Ora i partiti libici sostengano l’intesa che va incontro alle aspettative del popolo libico, nel cammino verso la pace e la prosperità. L’Ue -ha annunciato- è pronta a offrire un immediato e concreto sostegno finanziario di 100 milioni di euro al nuovo governo”, ha annunciato l’alto rappresentante Ue Federica Mogherini.

Mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon auspica che “non venga sprecata questa opportunità per mettere il Paese sulla strada della costruzione di uno stato che rifletta lo spirito e le ambizioni della rivoluzione 2011″.

Sulla stessa lunghezza d’onda, il ministro degli Affari Esteri italiano Paolo Gentiloni, il quale ha espresso “soddisfazione per il risultato conseguito  nella notte dalle delegazioni delle formazioni libiche. Si tratta di un’importante tappa del percorso verso l’auspicabile creazione di un governo di unità nazionale. Ora è fondamentale che  tutte le parti approvino l’intesa raggiunta questa notte e procedano alla firma dell’accordo”.  – ha detto  il Ministro –  “L’Italia, nel riconoscere l’incessante sforzo compiuto dall’inviato delle Nazioni Unite, Bernardino Leon –  ha concluso Gentiloni –  continuerà a dare il suo sostegno alle prossime tappe verso la pace e la stabilità della Libia”.

Giacomo Pratali

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Libia: pronto il piano d’intervento

Appello dei governi di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Stati Uniti dopo le stragi di Sirte per mano dei miliziani. In attesa dell’auspicata adesione di Tripoli al governo di unità nazionale, emergono alcuni dettagli sul piano d’azione a guida italiana in Libia: costruzione e protezione delle infrastrutture, missione di peace-keeping dei caschi blu, addestramento delle truppe regolari.

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Oltre 200 morti e almeno 500 feriti a seguito degli scontri avvenuti nell’ultima settimana a Sirte. Il susseguirsi delle stragi per mano dei miliziani affiliati all’Isis ha lasciato dietro di sé una scia di sangue e orrore. Crimini, come la crocifissione di 12 miliziani salafiti o i 22 pazienti di un ospedale morti a seguito di un incendio appiccato dai jihadisti, che hanno fatto gridare al “genocidio” il governo di Tobruk.

“Siamo profondamente preoccupati dalle notizie che parlano di bombardamenti indiscriminati su quartieri della città densamente popolati e atti di violenza commessi al fine di terrorizzare gli abitanti – afferma il comunicato congiunto dei governi di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Stati Uniti -. Facciamo appello a tutte le fazioni libiche che desiderano un Paese unificato e in pace affinché uniscano le proprie forze per combattere la minaccia posta da gruppi terroristici transnazionali che sfruttano la Libia per i loro scopi”, conclude la nota.

La necessità del governo di unità nazionale, auspicata dalla comunità internazionale, è quanto mai di attualità. Le Nazioni Unite attendono con ansia la decisione di Tripoli, dopo l’accordo tra le restanti fazioni del Paese. C’è un piano da attuare per frenare l’avanzata dell’Isis in Libia.

Già da mesi, si mormora di un intervento militare a guida italiana e sotto l’egida dell’Onu. Un piano d’azione già redatto dalla Farnesina e su cui sta lavorando alacremente lo stesso Bernardino Leon, ancora più indispensabile dopo la conquista di Sirte, le stragi a ripetizione e l’emergenza migratoria.

Come emerso nelle ultime ore, questo piano d’azione riguarda la fase successiva alla costituzione del governo di unità nazionale. In primis, tale esecutivo dovrebbe fare richiesta ufficiale di aiuti internazionale. Così, potrebbe scaturire il sostegno finanziario, ma soprattutto militare, indispensabile per stabilizzare la Libia e contrastare lo Stato Islamico.

Oltre che ai sussidi per la costruzione di infrastrutture come strade e aeroporti, oltre alla protezione degli impianti petroliferi e gasiferi, il clou di questo piano sarebbe l’intervento sul campo dei caschi blu Onu come forza di peace-keeping e l’addestramento delle truppe dell’esercito regolare libico.

L’abbattimento dei flussi migratori verso Italia e Grecia e la sconfitta dell’Isis passano, perciò, attraverso una stabilizzazione istituzionale, politica ed economica della Libia, come spiegato dal ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni: “L’accordo per un governo nazionale in Libia resta la sola possibilità affinché con il supporto della comunità internazionale si possa far fronte alla violenza estremista e al peggioramento quotidiano della situazione umanitaria ed economica del Paese”. Tripoli, dunque, deve sbrigarsi. Il tempo, oramai, stringe.

Giacomo Pratali

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Libia: tra il possibile accordo e l’emergenza migratoria senza fine

EUROPA/Medio oriente – Africa di

Come concordato in Svizzera, le parti cercheranno una soluzione politica di unità nazionale entro settembre. Giallo sulle dimissione del premier al Thinni. Continua l’emergenza migratoria: per Oim, il Canale di Sicilia è la rotta migratoria più pericolosa nel Mediterraneo.

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Riavvicinamento a Ginevra tra le diverse fazioni libiche, compreso il governo di Tripoli. Nella due giorni presieduta dal delegato Onu Bernardino Leon, le parti in causa si sono dette concordi nel trovare una soluzione politica di unità nazionale tra la fine di agosto e gli inizi di settembre. Manca ancora l’accordo ufficiale, dunque. Ma, dopo l’accordo di luglio raggiunto in Algeria, adesso anche il Congresso Nazionale Libico potrebbe fare la sua parte. Anche se lo scoglio più grande sarà trovare un punto d’incontro tra le milizie di Misurata e le truppe del generale Haftar.

Intanto, è giallo a Tobruk. Appena due giorni fa, infatti, il premier Abdullah al Thinni aveva annunciato le proprie dimissioni ad una tv libica. Ma, poche ore dopo, un portavoce dell’esecutivo ha smentito la notizia.

Non c’è, però, più tempo da perdere nelle trattative. Oltre alla lotta interna contro il Daesh, la rotta migratoria verso le coste italiane è rovente. Oltre 2000 sono stati gli arrivi tra Sicilia e Calabria negli ultimi tre giorni. Il 10 agosto scorso, la nave Fiorillo della Guardia Costiera è riuscita a salvare almeno 400 persone. Così come oltre 150 dalla nave Fenice della Marina Militare. O i 450 migranti giunti ad Augusta. E così come molti sono stati gli arresti di scafisti da parte delle autorità italiane. Le condizioni disumane e le morti in mare sono ormai una costante.

Numero dei morti che, appunto, si aggiorna rispetto agli oltre 2000 di inizio agosto, certificati dall’Oim. Rispetto alla rotta greca, “la maggior parte dei migranti ha perso la vita nel Canale di Sicilia, lungo la rotta centrale del Mediterraneo che collega la Libia all’Italia: è proprio in questo tratto di mare che le imbarcazioni usate dai trafficanti, in pessime condizioni già al momento di partire, rischiano di naufragare”, racconta l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

La rotta del Canale di Sicilia è “sproporzionatamente più pericolosa delle altre. Nonostante l’Italia e la Grecia siano entrambe interessate da flussi migratori molto significativi (rispettivamente circa 97.000 e 90.500), i tassi di mortalità sono molto diversi: sono stati circa 1.930 i migranti morti nel tentativo di arrivare in Italia, mentre sono stati circa 60 i migranti morti sulla rotta verso la Grecia”.

“Nonostante queste tragedie, l’OIM riconosce gli sforzi straordinari delle forze navali presenti nel Mediterraneo, che continuano a salvare vite umane ogni giorno. Il numero di decessi è diminuito in maniera significativa negli ultimi mesi e ciò è dovuto in gran parte al potenziamento dell’operazione Triton: il Mediterraneo è ora pattugliato da un maggior numero di imbarcazioni che si possono spingere fino a dove partono le richieste di soccorso”.
“Sono quasi 188.000 i migranti salvati nel Mediterraneo fino ad ora e l’OIM sostiene con forza il proseguimento di tali attività. L’Organizzazione ritiene che il numero di migranti in arrivo aumenterà nei prossimi mesi e che la soglia dei 200.000 sarà raggiunta molto presto”, conclude il comunicato di Oim.
Giacomo Pratali

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Libia: la comunità internazionale aspetta Tripoli

Settimana decisiva per la composizione del governo di unità nazionale. Il ministro degli Esteri Gentiloni e il mediatore Onu Leon sono in pressing sul premier Abusahmin. All’orizzonte si profila un possibile intervento militare sotto l’egida delle Nazioni Unite. L’Isis però diffonde un video in cui minaccia l’esecutivo di Tobruk.

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“Questo è un avvertimento ad Haftar e ai suoi compagni, gli atei che si riuniscono nel Parlamento, noi non saremo tolleranti, avremo piacere a sgozzarvi”. Queste le parole pronunciate dal jihadista Abu Yahya Al-Tunsi in un video diffuso in rete dall’Isis libico e dal titolo “Messaggio di Sirte”. Le minacce dirette al governo di Tobruk arrivano nella settimana decisiva per la formazione del governo di unità nazionale, sul quale deve sciogliere le riserve l’esecutivo di Tripoli.

Proprio non più tardi del 1° agosto, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e il mediatore Onu Bernardino Leon hanno incontrato il premier di Tripoli Nuri Abusahmin. Nell’incontro, avvenuto in Algeria, si è cercato di dare un seguito all’accordo di Shikat di due settimane fa in cui tutte le fazioni, a parte il governo sostenuto dai Fratelli Musulmani, hanno messo nero su bianco la firma per l’istituzione di un governo di unità nazionale. Nonostante le molte difficoltà nei negoziati in questi ultimi mesi, il fatto che Tripoli abbia continuato a negoziare, può far presagire che l’accordo non sia poi così distante.

C’è tuttavia urgenza da parte delle istituzioni internazionali. Un’istituzione governativa stabile, infatti, darebbe il via libera ad una possibile missione militare, ormai chiesta a gran voce dalla comunità internazionale, sotto l’egida Onu. I Paesi in campo sarebbero l’Italia, la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, la Spagna e gli Stati Uniti che, secondo il quotidiano La Repubblica, fornirebbero solo l’appoggio logistico all’operazione.

Intanto, il 3 agosto un altro video è stato diffuso in rete. Il filmato documenta le torture subite da Saadi Gheddafi, secondogenito del Rais, nel carcere di Tripoli. Immagini quanto mai eloquenti e quanto mai dure che porteranno all’apertura di un’inchiesta da parte della Procura Generale di Tripoli.
Giacomo Pratali

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Libia: l’accordo è monco

Primo passo nelle trattative per la costituzione di un esecutivo di unità nazionale, dirette dal mediatore Onu Leon. Il governo di Tobruk e i rappresentanti delle altre fazioni hanno ufficializzato il proprio consenso dopo mesi di trattative. Ma manca ancora l’adesione indispensabile di Tripoli.

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Domenica 12 luglio, è stato messo nero su bianco l’accordo per il governo di unità nazionale libico. A Skhirat (Marocco) il governo di Tobruk e i rappresentanti di Zintan, Misurata e di altre fazioni hanno sottoscritto il patto già nell’aria dal 3 luglio scorso. Un passo in avanti, visto il lungo lavoro del mediatore Onu Bernardino Leon. Ma un’intesa monca, visto che manca il consenso dell’esecutivo di Tripoli.

Le reazioni, tuttavia, sono state positive. Per Leon e e per i rappresentanti di Tobruk si tratta di “un primo ed importante passo verso la pace”. Mentre il governo italiano, attraverso il ministro degli Affari Esteri Gentiloni, saluta l’accordo come “un motivo di speranza e ci incoraggia a proseguire nell’impegno negoziale. Tocca adesso a Tripoli compiere un gesto importante e responsabile, aderendo all’accordo proposto dal Rappresentante Speciale ONU Bernardino Leon, con il pieno sostegno anche dell’Italia”, conclude il titolare della Farnesina.

Intanto, sul fronte interno, Derna, città portuale della Cirenaica, è ormai stata “persa dallo Stato Islamico”, come ha ammesso un miliziano dal volto coperto in un video diffuso sul web. Mentre gli Stati Uniti stessi, consapevoli dell’impasse politico-istituzionale del Paese, hanno deciso di rompere gli indugi e, in accordo con altri Stati africani, sarebbero pronti ad impiegare droni contro le roccaforti del Daesh in Libia. Sia il presidente Obama sia il premier della Gran Bretagna Cameron hanno evidenziato, nelle uscite pubbliche di questi giorni, che l’Isis si può sconfiggere. Ma, al tempo stesso, hanno entrambi escluso l’impiego di forze militari tradizionali a vantaggio di tecnologie che non implichino l’utilizzo diretto di truppe.
Giacomo Pratali

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Libia: ad un passo dal governo di unità nazionale

Tobruk e gli altri gruppi del Paese firmano l’intesa. Adesso, c’è attesa presso le Nazioni Unite per decisione di Tripoli, attesa lunedì 6 luglio.

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Alle prime luci dell’alba di venerdì 3 luglio, Tobruk, Zintan, Misurata e i rappresentanti di altre fazioni hanno firmato l’accordo politico per “la creazione di un governo di unità nazionale libico”, riportano le Nazioni Unite. Dopo mesi di trattative, minacce di sanzioni da parte della comunità internazionale e l’incombere dello Stato Islamico e di una bancarotta finanziaria ormai annunciata, il delegato Onu Bernardino Leon raccoglie i primi frutti di questi colloqui di pace grazie alla quarta bozza messo sul tavolo delle trattative. Ora, l’attesa è tutta rivolta verso il Congresso Nazionale di Tripoli, il quale, lunedì 6 luglio, deciderà o meno di prendere parte a questo esecutivo di emergenza.

“La Libia ha bisogno di una larga intesa per avviare la ricostruzione nella sicurezza”. ha affermato il ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni. “Sottrarsi a questa responsabilità sarebbe grave. Nelle prossime ore l’Italia moltiplicherà gli sforzi per giungere rapidamente ad un approdo unitario sul testo dell’accordo politico presentato dalle Nazioni Unite”, ha concluso il rappresentante del governo italiano.

 

Giacomo Pratali

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Libia: buona la quarta?

Tripoli dice sì con riserva alla bozza proposta da Leon. Daesh, questione migratoria e crisi finanziaria rendono sempre più necessario un accordo tra i due governi. La stampa internazionale, tuttavia, sottolinea l’incapacità del mediatore Onu e dei Paesi occidentali di individuare quale dei due esecutivi sia quello più adatto ad arginare l’avanzata dello Stato Islamico e arrestare l’imponente flusso di persone dirette verso l’Europa.

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Un timido passo in avanti. L’accordo tra le due parti in causa sembra essere più vicino. Questo ci dice la risposta affermativa, seppure con la “necessità di apportare alcune modifiche”, fatta pervenire al mediatore Onu il 17 giugno dal governo di Tripoli. Un’apertura ad un “Governo di Accordo Nazionale” assieme ai rappresentanti di Tobruk, come recita il documento contenente 69 articoli, che è già una notizia visti i continui contrasti tra i due esecutivi.

La paura dell’avanzata dello Stato Islamico, le pressioni dell’Unione Europea sulla questione migratoria, la ormai più che probabile bancarotta finanziaria della Libia, pongono i due governi ad una sola scelta possibile: l’accordo.

La quarta bozza, presentata ad Algeri da Leon ad inizio giugno, parte dalla precedente, ma cerca di dare più spazio alle istanze del governo filomusulmano di Tripoli. Permane la formazione di un’unica assemblea legislativa a Tobruk, ma si fa spazio una Presidenza del Consiglio tripartita, composta da un presidente e da due vice: un check and balance a favore della giusta rappresentanza delle due parti in causa.

Se comunque i due governi continuano a tirare la giacca a Leon per arrivare ad una soluzione favorevole per uno piuttosto che per l’altro, il nodo da sciogliere gira attorno alla figura del generale Haftar. Vero leader della fazione riconosciuta a livello internazionale e sostenuto dal presidente egiziano Al Sisi, viste le accuse di crimini contro i civili a suo carico, suscita non poco imbarazzo in Occidente.

E se è vero che è necessario trovare un interlocutore unico in Libia per arginare l’avanzata dello Stato Islamico e per regolamentare i flussi migratori diretti in Europa, il vero dubbio è se non solo su Haftar, ma sul governo stesso di Tobruk, sulla sua reale capacità di incidere sulla popolazione (è stato votato dal solo 25% degli aventi diritto).

Come rilanciato di recente dal Financial Times, finora Leon, nel corso di questi quasi infruttuosi negoziati, Unione Europea e Paesi occidentali non hanno capito che il vero epicentro della crisi della Libia ruota attorno a Tripoli e alla Tripolitania, la regione dove si concentrano la maggior parte degli scontri tra le milizie del Daesh e le truppe filoislamiche legate ai Fratelli Musulmani, sostenitori del governo della capitale.

In questa ottica, i governi di Tripoli e Tobruk dovrebbero avere pari riconoscimento presso il consesso internazionale. Questo perché se Tobruk viene considerato legittimo, Tripoli, da parte sua, ha in mano quello che è il reale polso del Paese. È quindi in questo direzione che la quarta bozza proposta da Leon deve andare.

In questo scenario, è assordante il silenzio dell’Unione Europea. Incapace di portare avanti una reale politica dell’accoglienza dei rifugiati e della regolamentazione dei migranti in arrivo da Africa e Medio Oriente, stenta a fare sentire la propria voce nel contesto libico. E riesce a porsi come arbitro della necessaria pace nel Paese che, alla fine dei conti, altro non è che un accordo tra Stati: Arabia Saudita, Egitto e Russia (pro Tobruk) e Turchia e Qatar (pro Tripoli).
Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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