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Ue, immigrazione: quale piano comune?

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Terminato il muro sul confine con la Serbia, in Ungheria è scattata la legge sull’immigrazione clandestina. Gli Stati Ue bocciano il piano Juncker sulla redistribuzione dei migranti, ferma a 40mila. Il fatto che la Germania sia al primo posto delle richieste d’asilo nel 2015, rende indispensabile il corretto funzionamento dei centri d’identificazione lungo le frontiere europee.

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Arresto e detenzione fino a tre anni per chiunque entri in Ungheria non munito della domanda di asilo. Dalla mezzanotte del 15 settembre 2015 scatta la nuova legge sull’immigrazione clandestina varata dal governo Orban. Chiuso anche l’ultimo tratto di muro confinante con la Serbia. D’ora in poi si potrà passare solo dai due varchi ufficiali. Nella giornata di lunedì si era registrato il record di ingressi: 9380 migranti, poi bloccati dalla polizia ungherese. Arrestate già 16 persone, siriani e afghani, transitati dopo le 24.

Nel vertice a Bruxelles di lunedì 14 settembre, intanto, è stato momentaneamente bocciato l’aumento fino a 120mila migranti da ricollocare tra i Paesi Ue, che resta fermo a 40mila. I ministri degli Interni presenti, infatti, hanno detto sì al piano scritto ad inizio estate, ovvero 24mila dall’Italia e 16mila dalla Grecia (Ungheria esclusa). Mentre c’è stato consenso unanime sull’avvio della seconda fase della missione EuNavfor Med: le navi europee transitanti per il Mediterraneo hanno la possibilità di fermare i barconi, con la possibilità di sequestro e distruzione del mezzo stesso, avendo come priorità la salvaguardia della vita umana.

A fare blocco contro la proposta di innalzamento della quota di migranti da redistribuire, portata avanti dal presidente della Commissione Ue Juncker, sono stati i Paesi dell’Est, con Polonia, Slovacchia e Ungheria in testa. Pure gli Stati favorevoli all’accoglienza dei profughi, hanno deciso di intensificare i controlli alla frontiera: l’Austria manda l’esercito al confine con l’Ungheria; Francia e Germania ripristinano i controlli alle frontiere: “I controlli temporanei non significano chiudere la frontiera – ha precisato la cancelliera Merkel -. Continueremo ad accogliere i rifugiati in Germania, purché ci sia un processo ordinato”. Parole che, però, sono suonate come un mezzo passo indietro, dopo le critiche interne al suo Paese a seguito dei 60mila rifugiati arrivati in Baviera negli ultimi giorni.

Ma sono parole in realtà destinate a Italia, Grecia e Ungheria perchè è sulla sistematizzazione del controllo dei migranti in arrivo che si gioca la partita. L’apertura ai richiedenti asilo del governo tedesco ad inizio settembre passa dalla creazione dei centri hot spot sulle frontiere europee. L’identificazione delle persone arrivate è cruciale. Ma i rifugiati arrivati sinora non hanno avuto interesse, se non in misura minoritaria, alla richiesta d’asilo nei Paesi d’arrivo: il loro obiettivo è registrarsi direttamente in Germania, Svezia e Norvegia perché, secondo il Trattato di Dublino, si può rimanere solo nello Stato in cui tale richiesta è stata fatta. È per questo motivo che una deroga al tale accordo, trapelato da Bruxelles, può sbloccare la situazione.

I numeri, in questo senso, parlano chiaro. Gli arrivi registrati finora ammontano a più di 180000 per la Grecia, a circa 170000 per l’Ungheria e a 110000 per l’Italia. Ma la classifica di richieste d’asilo totale nel primo trimestre 2015 recita Germania, 73120; Ungheria, 32810; Italia (15250); Grecia (in fondo alla lista) 2615. Se si guarda, invece, ai siriani, il dato è ancora più in controtendenza, eccezion fatta per l’Ungheria, rispetto agli arrivi. Dal 1° gennaio al 31 agosto 2015, le statistiche Ue recitano Germania, 30120; Ungheria; 10855; Svezia 7250; Grecia (penultima), 1275; Italia, 155.

Dunque è chiara la rotta seguita dai migranti. Ed è chiaro quanto le politiche anti immigrazione del governo Orban siano autolesioniste e stiano sovraccaricando la stessa Ungheria, al primo posto nella classifica pro-capite con un migrante ogni 302 abitanti.

La necessità dell’identificazione sulle frontiere marittime e terrestri dell’Unione Europea appare quanto mai necessaria. Se è vero che, attraverso la promessa di posti di lavoro, la Germania strizza l’occhio ai rifugiati siriani, composti da laureati, professionisti e operai qualificati, è altrettanto vero che Italia e Grecia devono andare in contro alla tanto agognata presa di posizione europea sull’accoglienza e la ripartizione. Ma, nonostante l’emergenza profughi, stenta a decollare un piano sull’immigrazione a tinte europee.
Giacomo Pratali

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