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Il referendum in Catalogna, un precedente che preoccupa l’Europa

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Il referendum sull’indipendenza della Catalogna potrebbe costituire un efficace incentivo al rilancio di aneliti autonomisti presenti, in misura più o meno accentuata, in diverse parti d’Europa. Ragioni storiche, conflittualità e incomprensioni antiche,

specificità etniche e culturali e, talvolta, anche ingiustizie e persecuzioni, hanno determinato in alcune aree del Vecchio Continente – come, peraltro, nel resto del mondo – un forte sentimento identitario che, a volte, viene percepito quale segno di contraddizione, rispetto alla condizione di appartenenza nazionale, secondo gli assetti statuali predefiniti.   Anziché costituire una risorsa aggiuntiva della cittadinanza di uno Stato, diventa fattore di contrasto con quella stessa appartenenza.   Nella stessa Spagna fenomeni di questo tipo li troviamo anche in altre comunità regionali (baschi, galiziani), così come in Scozia, nelle Fiandre, in alcuni fermenti del nostro nord est italiano, dove, a breve, verrà celebrato un referendum per ottenere maggiore autonomia dallo Stato centrale.

Tensioni e sentimenti antichi, legati spesso a ferite profonde e dolorose, ma che devono essere ricomposti dalla politica, possibilmente quella di largo respiro, o, come si dice, con la “P” maiuscola.   E’ la politica che deve evitare il caos derivante dalla disgregazione degli Stati e dalla proliferazione dei particolarismi e conciliare la stabilità con le istanze autonomistiche.   In alcuni casi questo equilibrio è stato raggiunto con saggezza illuminata, come in quello dell’Alto Adige (ma anche delle altre regioni italiane a statuto speciale), del federalismo dei Lander, in Germania, della convivenza della comunità fiamminga e di quella vallone nel Regno del Belgio.

La composizione delle differenze etniche, linguistiche, culturali avrebbe poi dovuto trovare la sua massima realizzazione nel disegno di integrazione europea che, tuttavia, negli ultimi anni, ha mostrato qualche esitazione nella definizione della natura dell’Unione, incerta tra la fisionomia di una sorta di super stato sovraordinato ad altri stati, sia pure dotati di propria sovranità, o una federazione di stati.   In tal modo è stata sempre più percepita, anziché come ulteriore strumento di tutela e valorizzazione delle autonomie locali, in virtù del principio di sussidiarietà (a lungo si è vagheggiata l’Europa delle regioni, anche da parte dei leghisti di casa nostra), come sovrastruttura burocratica e opprimente, insensibile alle istanze legate alle peculiarità locali.

Questa sensazione ha alimentato i movimenti sovranisti, autonomisti e anti euro che tanta preoccupazione hanno suscitato negli ultimi mesi a Bruxelles e nelle cancellerie europee.     Ma ha anche attenuato la fiducia nella capacità dell’integrazione europea di favorire il superamento di alcuni momenti di più sensibile criticità tra governi nazionali e autonomie locali.   E il caso emblematico è proprio quello della Catalogna: come possono, le autorità comunitarie di Bruxelles, assistere inerti a quanto sta accadendo ?   E’ necessaria una moral suasion assai più forte ed efficace per sedare il conflitto, a fronte di due parti in causa che hanno preferito, alla fine, un muro contro muro che ha provocato ulteriori tensioni e violenze e che appare, al momento, privo di sbocchi costruttivi e rassicuranti.   Come uscire dalla crisi ? La secessione di una regione da uno Stato nazionale, in forma pacifica, può verificarsi solo in base ad un accordo, con il consenso di entrambe le parti, o grazie alla passiva desistenza dello Stato nazionale che subisce la dissociazione.   Quella tra cechi e slovacchi si rivelò certamente indolore, ma ogni caso ha una sua storia peculiare.

In quello della Catalogna l’esempio ceco appare difficilmente applicabile, le autorità di Madrid sembrano irriducibili a rassegnarsi alla perdita della regione più ricca del Paese.   Rischiando poi nuovi fermenti secessionistici, in una nazione che ancora serba in sé le ferite causate da una sanguinosa guerra civile e da una pesante dittatura che hanno lasciato inevitabilmente una lunga scia di diffidenze e conflittualità. Occorre, tuttavia, rilevare come questi quarant’anni di democrazia abbiano determinato processi di integrazione, di collaborazione e di solidarietà, uniti a momenti di crescita e di successi economici e prodotto un sistema più avanzato di decentramento e di autonomia regionale che hanno certamente contribuito ad una intensificazione dello spirito di unità nazionale.

Per questo, nel pieno rispetto degli orientamenti espressi con il referendum, trovo difficile sottrarmi alla sensazione di una certa esasperazione del dissenso degli indipendentisti, così come appare eccessiva la reazione repressiva del governo centrale.   Deve peraltro rilevarsi che se il 92% dei votanti si è espresso a favore dell’indipendenza, più della metà degli elettori catalani non ha partecipato alla consultazione.   E anche questo dato ha un suo valore e un suo significato.     L’unica via d’uscita è quindi rappresentata dall’abbandono del muro contro muro e degli atteggiamenti muscolari e dal ritorno alla “Politica”, al negoziato, con il supporto, finalmente, delle autorità dell’Unione Europea, per arrivare ad una forma più avanzata di statuto autonomo della Generalitat e ad una ripartizione dei poteri più aderente alle specifiche esigenze di una popolazione che, per ragioni storiche, si sente nazione.

 

di Alessandro Forlani

Alessandro Forlani
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