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Perché Shinzo Abe renderà omaggio alle vittime di Pearl Harbour

AMERICHE/Asia di

L’alleanza tra Usa e Giappone sembra destinata a rafforzarsi ulteriormente nel prossimo futuro. Il primo segnale era stato l’incontro “franco e cordiale” tra il presidente eletto Trump ed il premier nipponico Shinzo Abe dello scorso 17 novembre, primo meeting informale per l’amministrazione entrante con un capo di governo straniero. Il secondo passo, ben più significativo sul piano simbolico e politico, è l’annuncio della visita di Abe a Pearl Harbour, in concomitanza con le celebrazioni in memoria dell’attacco aereo giapponese sul porto statunitense delle Hawaii, che causò 2400 vittime e spinse gli Usa ad entrare in guerra 75 anni fa, il 7 dicembre del 1941.

La visita, programmata per la fine di Dicembre, si preannuncia come un gesto di portata storica che punta a rafforzare il legame tra i due paesi e ad inaugurare un nuova fase nelle relazioni bilaterali tra le sponde del pacifico. Gli aspetti più concreti e terreni riguardano la necessità giapponese di ridurre le incertezze riguardanti la futura politica statunitense nei confronti del Sol Levante, alimentate dalla sregolata campagna presidenziale di Trump che, tra le altre cose, aveva esortato Tokio a contribuire maggiormente alle spese per le basi militari americane sul suolo giapponese.

La visita culminerà con un incontro al vertice tra il premier nipponico ed il presidente uscente Obama, i prossimi 26 e 27 dicembre, recapitando un chiaro messaggio alla nuova amministrazione: l’alleanza funziona così com’è e non deve essere messa in discussione. Obama e Abe hanno infatti contribuito in modo convinto, in diverse occasioni, a cementare la cooperazione strategica tra i rispettivi paesi. Nel 2015 le linee guida di difesa comune sono state aggiornate e le Forze di Auto-Difesa giapponesi sono state autorizzate ad intervenire a fianco dell’esercito americano nell’ambito di un limitato numero di scenari.

Trump, invece, non è stato tenero con il Giappone durante la recente campagna presidenziale. Dopo aver chiesto più soldi per continuare a garantire la presenza delle basi militari americane nell’arcipelago, il candidato Trump aveva criticato Obama per aver fatto visita ad Hiroshima, nel ruolo di primo presidente americano a rendere omaggio alle vittime del bombardamento nucleare che pose fine alla guerra mondiale nel Pacifico. Secondo Trump, in quell’occasione Obama avrebbe dovuto ricordare anche le vittime dell’attacco giapponese a Pearl Harbour dove “migliaia di vite americane sono andate perdute”.

La prossima visita di Abe servirebbe dunque a compensare il gesto di apertura di Obama e a offrire alla nuova amministrazione l’immagine di un Giappone disposto a guardare al passato con occhi diversi. Secondo l’analista Kent Calder della John Hopkins University, la visita di Abe renderà l’alleanza col Giappone più digeribile per i sostenitori di Trump, facilitando le relazioni future.

Sul fronte nipponico, Abe è sempre sembrato disposto a mettere in discussione quella pagina della storia nazionale, riconoscendo almeno in parte le responsabilità del suo paese. Durante una sessione congiunta del Congresso, lo scorso anno, il primo ministro del Sol Levante ha fatto espresso riferimento, per la prima volta, all’attacco di Pearl Harbour, pur senza offrire scuse ufficiali. Anche in previsione della visita di fine dicembre, la questione delle scuse rimarrà sospesa. Abe intende portare “conforto” alle vittime dell’attacco giapponese di 75 anni fa e rendere omaggio alla loro memoria, ma non è lecito attendersi l’uso di un linguaggio diretto che possa essere letto in patria come la formulazione di scuse pubbliche nei confronti del nemico di allora.

Sul fronte americano, la visita di Abe potrebbe urtare i sentimenti dei reduci e dei parenti delle vittime, una preoccupazione cui l’amministrazione entrante è certamente molto sensibile. Anche Josh Earnest, l’attuale Press Secretary della Casa Bianca, non esclude che la visita giapponese possa amareggiare le vittime dell’attacco, anche a distanza di così tanto tempo. Earnest si dice però fiducioso che in molti metteranno da parte la propria dose di amarezza, riconoscendo la portata storica dell’evento.

La visita si prospetta dunque come un successo per Obama, che cerca di consolidare la propria legacy con una vittoria simbolica e diplomatica nel momento in cui le sue principali conquiste sul fronte internazionale, l’accordo sul nucleare iraniano e il riavvicinamento tra Washington e La Havana, rischiano di essere travolti dall’onda della nuova amministrazione Trump.

A raccoglierne i frutti migliori sarà però Shinzo Abe. La visita servirà al primo ministro per scrollarsi di dosso l’etichetta del revisionista storico, che lo accompagna dal momento della sua elezione e che ne offusca l’immagine in patria e sopratutto all’estero. Fumiaky Kubo, uno storico interpellato dal Japan Time, sostiene che Abe, nonostante la cattiva fama, abbia fatto “più progressi nel percorso di riconciliazione bellica di qualunque altro primo ministro. Questo potrebbe essere un modello di riconciliazione su cui entrambe le parti potrebbero basare i propri sforzi”.

Nel momento in cui il TPP (Partenariato Trans Pacifico) sembra destinato al fallimento e la disputa territoriale sulle isole tra Kamcatka e Hokkaido che contrappone il Giappone alla Russia è ferma su un binario morto, un rafforzamento della partnership con gli USA potrebbe essere quello di cui Abe ha bisogno per rilanciare la sua azione di governo sul teatro internazionale. Anche a costo di annacquare la verve nazionalistica che lo ha sempre caratterizzato.

Luca Marchesini
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