GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Onu - page 3

Libia: governo Tobruk colpisce petroliera a largo di Sirte

L’esecutivo riconosciuto a livello internazionale si è reso protagonista di una azione militare simile a quella contro il mercantile turco l’11 maggio scorso. I servizi segreti britannici, intanto, rivelano che la Francia e l’Italia sono diventate le corsie preferenziali dei foreign fighters che si arruolano tra le fila dell’Isis in Libia. Sullo sfondo, a sorpresa, si prospetta un intervento di ispezione e sequestro per i barconi partenti dalle coste libiche, sotto l’egida delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea.

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Ancora un bombardamento, stavolta contro una petroliera vicino a Sirte. Dopo l’attacco contro un mercantile turco l’11 maggio scorso, alcuni caccia del governo di Tobruk hanno colpito la nave che, secondo l’esecutivo riconosciuto a livello internazionale, stava trasportando il greggio per un centrale elettrica in mano ad un gruppo terrorista vicino al governo di Tripoli. In più, c’era il sospetto che l’imbarcazione trasportasse con sé armamenti per i ribelli. Due componenti dell’equipaggio sono rimasti feriti.

Intanto, i foreign fighters, secondo il rapporto pubblicato dall’intelligence britannica, hanno sviluppato una nuova strategia per arruolarsi nello Stato Islamico in Libia. Per evitare i rigidi controlli aeroportuali, questi aspiranti jihadisti giungono in Francia via mare e, una volta in Italia, partono alla volta di Tunisi via traghetto. Da qui, poi, raggiungono Sirte e Derna, le città controllate dall’Isis.

Oltre alla partita dei combattenti di origine occidentale reclutati dal Califfato, l’altro fronte caldo è quello relativo all’immigrazione. Mercoledì 20 maggio, il governo di Tobruk ha spedito una lettera alle Nazioni Unite in cui apre ad un’azione comune assieme all’Unione Europea “al fine di sviluppare un piano d’azione per affrontare la crisi degli immigrati nel Mediterraneo”.

Una sostanziale ammissione di “incapacità della Libia di ridurre le migrazioni illegali”. Ma anche parole importanti, che vanno ad assecondare quello che la risoluzione Onu in materia dovrebbe dire: no al bombardamento e sì all’ispezione dei barconi prima che partano dalla Libia.

Una missione che, secondo fonti diplomatiche, dovrebbe avere il consenso di tutte le
parti in causa libiche e, quindi, anche del governo di Tripoli. In questo senso, la missione del mediatore Bernardino Leon di ricucire lo strappo istituzionale libico diventa cruciale.

Il futuro della Libia e la questione migratoria appaiono dunque correlati. “Il punto principale è decidere le operazioni europee in mare per smantellare le reti criminali e il traffico di esseri umani nel Mediterraneo. L’accordo tra i due governi è essenziale”, ha affermato l’alto rappresentante Ue Federica Mogherini, in missione a New York per sollecitare la comunità internazionale a prendere una decisione rapida sulla politica da attuare nel Mediterraneo.

La partita interna al Consiglio di Sicurezza sarà decisiva nei prossimi giorni. Anche se, forse, già segnata. Tra i membri permanenti, la Russia è quella che si è opposta ad un intervento militare. Ma il Cremlino, così come Usa, Gran Bretagna, Francia e Cina, hanno dato il benestare ad un’operazione di polizia internazionale la quale, con solide basi legali, dia la “possibilità di ispezionare, sequestrare e neutralizzare le barche che sono sospettate di essere utilizzate per il traffico di migranti”, come recita il capitolo 7 della Carta Onu.
Giacomo Pratali

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Ferma condanna dell'ONU per gli attacchi in Siria

BreakingNews di

“La decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è un risultato importante frutto dell’azione del governo italiano.”

Così il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Paolo Gentiloni ed il Ministro dei Beni ed Attività culturali e turismo Dario Franceschini hanno espresso il proprio plauso per l’iniziativa assunta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che, su impulso dell’Italia, ha rilasciato un Press Statement che condanna con fermezza i barbarici attacchi terroristici in atto in Siria da parte dell’ISIL, inclusa la violenta occupazione della città di Palmira.

“La salvaguardia del patrimonio mondiale dell’umanità deve costituire un elemento centrale nelle iniziative internazionali di pace e l’Italia sta lavorando in sede Unesco per difendere i valori identitari delle nazioni colpite dalla distruzione indiscriminata del proprio patrimonio culturale”, hanno sottolineato Gentiloni e Franceschini.

ONU, uniti per una maggiore sicurezza

BreakingNews di

Si è conclusa nel pomeriggio di ieri, presso il Ministero degli Affari Esteri italiano una conferenza internazionale, che aveva quale tema i “Percorsi per un Consiglio di Sicurezza più inclusivo e responsabile” ed è stata incentrata sulla riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e promossa dal dall’Italia quale focal point del gruppo “Uniting for Consensus”.

Durante le due giornate di lavoro i rappresentanti dei singoli Stati hanno disquisito e si sono confrontati sulla riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in itinere, ed imperniata principalmente sulle modifiche al diritto di veto, sulle categorie dei seggi – permanenti e non permanenti – sulla rappresentanza regionale e sulle dimensioni del futuro del Consiglio stesso.

Si è trattato di nodale momento di approfondimento delle diverse situazioni negoziali in atto , utile ad individuare punti di incontro e di attrito tra i diversi Stati, che – stanti gli scenari in mutamento specie in Russia e nell’Este Europa – sono sempre più interessati alle questioni ONU, ed al consenso ad esse necessario.

Moas, Xuereb: “L’immigrazione nel Mediterraneo è una questione internazionale che richiede una soluzione globale”

EUROPA di

L’Unione Europea e le Nazioni Unite stanno trattando questa emergenza nell’intento di non lasciare sole Italia e Malta. Riguardo a queste questioni, European Affairs ha intervistato Martin Xuereb, Direttore Migrants Offshore Aid Station (Moas), l’organizzazione non governativa impegnata nel salvataggio dei migranti in arrivo dall’Africa.

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Quando e perché è stato fondato Moas?

“Moas è stato fondato nel 2014. l’idea è venuta a Regina e Christopher Catambrone dopo il naufragio di 400 migranti avvenuto vicino alle coste di Lampedusa durante l’estate del 2013. Dopo la visita del Papa, sempre nel 2013, quando egli chiese fortemente di aiutare queste persone in qualsiasi modo, Regina e Christopher hanno avuto la scintilla. Essi hanno iniziato a pensare ad un’organizzazione che salvasse la vite a rischio nel Mediterraneo. Io sono stato coinvolto nel febbraio 2015, quando mi è stato chiesto aiutare, prestare soccorsi e salvare i migranti. Noi siamo un ente privato e dipendiamo dalle donazioni fatte dalle persone. Speriamo che il nostro messaggio, che la vita è preziosa e non importa a chi appartiene, sia fonte d’ispirazione per gli altri affinché donino”.

 

In cosa consiste la vostra attività?

“Noi abbiamo iniziato a lavorare lo scorso anno. Dopo 16 giorni di operazioni in mare aperto, avevamo già salvato 3000 persone. Poi, siamo tornati a settembre e a fine ottobre abbiamo iniziato a pensare alla missione del 2015. Adesso, a differenza dello scorso anno, collaboriamo con Msf. Essi hanno il compito di provvedere all’assistenza e al salvataggio delle persone. Moas, invece, possiede una nave di 40 metri (Phoenix), due Remote Piloted Aircraft e due Rhibs: questi ultimi hanno la possibilità di spostarsi e volare se abbiamo necessità di avere informazioni urgenti. Tutti questi mezzi vengono diretti dal Rescue Coordination Center. In più, abbiamo due gommoni che possono servono quando un’imbarcazione in alto mare necessita di assistenza. La scelta di fare salire a bordo i migranti viene fatta sempre assieme al Rescue Coordination Center. Quando le persone sono a bordo, Msf, con i loro dottori, infermieri e mezzi logistici, provvede alle loro cure mediche e li tiene costantemente monitorati”.

 

Quanto sono determinanti le competenze professionali acquisite durante le operazioni di salvataggio umanitario in mare aperto?

“Cercare di salvare le persone in un contesto così difficile è molto impegnativo. Servono capacità, conoscenze e attitudine al rischio. Ovviamente, serve passione per un lavoro del genere, ma ancora più importante è l’essere capaci di lavorare professionalmente perché in gioco ci sono le vite delle persone”.

 

Quali risultati avete conseguito?

“3000 persone sono state salvate nei 60 giorni di operazioni svoltesi nel 2014. Nel 2015, dopo essere partiti il 2 maggio, abbiamo salvato 1441 persone da imbarcazioni alla deriva nel Mediterraneo: di questi, 106 bambini, 211 donne e 1124 uomini”.

 

Con quali istituzioni ed enti collaborate?

“Prima di tutto con il Rome’s Maritime Rescue Coordination Centre e con il centro omologo maltese. Essi hanno il compito di coordinare le missioni di salvataggio e noi, a nostra volta, siamo ben lieti di collaborare con loro. Essi sono molto soddisfatti delle nostre capacità e del fatto che non utilizziamo solamente imbarcazioni per il mare aperto, bensì anche droni e cliniche mediche a bordo. Infatti, come tutte le altre navi, anche noi abbiamo l’obbligo per legge di prestare soccorso ad imbarcazioni alla deriva. Ma, la differenza tra noi e le navi mercantili, è che il salvataggio delle vite umane è la nostra missione”.

 

Dopo che il Consiglio Europeo ha deciso di triplicare i fondi per “Triton”, l’immigrazione è davvero divenuto un tema europeo?

“Io ritengo che questa sia una questione internazionale che richiede una soluzione globale. Noi volgiamo dire che l’Europa deve dimostrarsi più attiva in questa vicenda. Vorremmo intravedere una prospettiva di largo respiro. Penso che tutti dovrebbero essere consapevoli che, la maggior parte dei salvataggi, viene condotta in acque internazionali. Per questo motivo, perché l’Italia dovrebbe prendersi da sola tutta la responsabilità? Queste operazioni dovrebbero essere coordinate da qualcun altro. E credo anche che non solo gli stati, ma anche aziende private ed enti dovrebbe interessarsi alla questione. Come Moas, assieme a Msf, vogliamo portare sul tavolo un nuovo modus operandi”.

 

Giacomo Pratali

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Libia, Gentiloni: “Nessun intervento militare”

EUROPA/Medio oriente – Africa di

Il titolare della Farnesina respinge l’ipotesi di una risoluzione Onu a favore di un’eventuale operazione armata. Intanto, il tentativo di riconciliazione nazionale portato avanti da Leon rischia di saltare a causa dell’ostilità di Haftar.

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“Nessun intervento militare è stato deciso né dall’Unione Europea né dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu”. Con queste parole, pronunciate venerdì 15 maggio durante la trasmissione Agorà su Rai3, il ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni smentisce l’ipotesi di un’operazione armata da condurre presso le coste libiche, nell’ambito del contrasto alla crescente immigrazione proveniente dal continente africano. Ipotesi trapelata attraverso la stampa italiana ed internazionale.

Il Capo della Farnesina ha comunque precisato che, un’eventuale risoluzione positiva delle Nazioni Unite lunedì 18 maggio, “autorizzerebbe solo la confisca e il sequestro di barconi in mare e l’individuazione attraverso meccanismi di intelligence in acque territoriali prima che vengano imbarcati i migranti”. Questo perchè “bisogna organizzare combattere la criminalità rendere più sopportabili le condizioni nei Paesi di origine”. Un’azione possibile solo se viene suddividiso “il peso della situazione tra i Paesi europei: in questo senso è stato fatto qualche passo avanti”, ha precisato Gentiloni.

Se il governo di Tripoli sembra accogliere in senso positivo la discussione dell’Europa e della comunità internazionale, altrettanto non si può dire per l’esecutivo di Tobruk. Khalifa Haftar, Capo delle Forze Armate, si è dichiarato preoccupato da una possibile “azione militare contro le nostre coste”. Non solo. Passando dalle parole ai fatti, lunedì 11 maggio ha dato il via libera per il bombardamento di una nave mercantile turca, rea di “non aver rispettato l’ordine di non avvicinarsi alla città di Derna”, ha affermato ancora l’ex agente della Cia. L’azione ha causato l’uccisione di un membro dell’equipaggio, mentre Ankara ha fatto sapere che ricorrerà in sede giudiziaria a livello internazionale.

Un tira e molla continuo che di fatto non favorisce le estenuanti trattative condotte da oltre due mesi dal delegato Onu Bernardino Leon. Il suo ottimismo circa un accordo tra i governi e le fazioni contrapposte a beneficio dell’unità nazionale libica sembra scontrarsi con la realtà.

Una realtà che parla di guerra civile. Una realtà che coinvolge anche i bambini. Dopo i 3 morti di qualche giorno fa, altri 7 innocenti sono stati uccisi poche ore fa da un colpo di mortaio nella città di Bengasi. Secondo Associated Press, il fatto sarebbe attribuibile allo Stato Islamico e Ansar al Sharia e riguarderebbe in tutto 8 vittime, tutte appartenenti alla stessa famiglia.

 

Giacomo Pratali

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Immigrazione: attesa per la riunione Onu del 18 maggio

Per l’Ue sarà decisivo il parere del Consiglio di Sicurezza sulle misure militari da adottare per arginare il fenomeno migratorio. Prodi bolla questa possibilità come “inappropriata e dannosa”. Intanto, si continuano a contare i morti nel Canale di Sicilia.

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I 1500 migranti morti dall’inizio del 2015 e i continui sbarchi sulle coste italiane e maltesi delle ultime ore hanno portato le Nazioni Unite a convocare un Consiglio di Sicurezza straordinario previsto per lunedì 18 maggio. Dopo il Consiglio Europeo del 23 aprile, in cui sono stati triplicati i fondi per “Triton”, l’Unione Europea attende questa riunione per mettere sul tavolo nuove misure militari per combattere alla radice questa ondata migratoria direttamente collegata al caos politico, istituzionale e sociale della Libia. Il vertice sarà aperto da Federica Mogherini, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Ue.

A confermare la necessità di una incombente discussione a livello internazionale sulla questione migratoria, ci sono i fatti. Nelle ultime 24 ore, Malta e Messina hanno accolto 98 e 300 migranti a testa dopo essere stati soccorsi dalle marine militari. Non solo. La Procura di Catania sta indagando sulla presunta strage, raccontata dai sopravvissuti e denunciata da Save The Children, di circa 40 persone annegate a largo delle coste siciliane nella notte tra il 4 e il 5 maggio, poco tempo prima che le autorità italiane prestassero i soccorsi.

A rigettare, però, la soluzione militare nei confronti della Libia per arginare il flusso migratorio previsto per i prossimi mesi, è l’ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea Romano Prodi: “L’azione bellica – ha affermato nel corso dell’audizione presso la Commissione Esteri del Senato nella giornata di martedì – è inappropriata e dannosa, oltre che irrealistica. Adesso, la vera priorità è ripristinare la statualità in Libia”.

Intanto, l’Italia si sta muovendo in primis per cercare di arginare la situazione. Nell’incontro tra Antonello Cracolici, Presidente della Commissione Affari Istituzionali, ed Ezzedine al Awani, Ambasciatore libico in rappresentanza del governo di Tobruk, è stata prospettata una collaborazione tra il Paese nordafricano e la Sicilia in materia di sviluppo economico, immigrazione e protezione delle marinerie.

Giacomo Pratali

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Migranti: vertice Renzi-Ban Ki Moon

Difesa/EUROPA/POLITICA di

Il premier italiano in pressing sul Segretario Generale Onu per un’operazione di polizia internazionale contro i barconi provenienti dalla Libia.

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“Fermare i trafficanti di esseri umani per evitare una catastrofe umanitaria è un’assoluta priorità su cui contiamo di avere il sostegno delle Nazioni Unite”. Si è espresso così il premier italiano Matteo Renzi nel vertice a tre con il segretario Onu Ban Ki Moon e l’alto rappresentante dell’Ue Federica Mogherini, insignita del mandato esplorativo per constatare se ci siano le condizioni o meno per un intervento militare contro i barconi. L’incontro, avvenuto a bordo della nave S. Giusto nel Canale di Sicilia, si è svolto dopo il Consiglio Europeo straordinario di giovedì 23 aprile.

La strage di migranti e i molti sbarchi previsti nei prossimi mesi (già 25mila persone sono arrivate in Italia dall’inizio del 2015) hanno reso questo incontro necessario. Soprattutto, dopo l’aumento dei fondi destinati all’operazione Triton, Renzi ha cercato di spingere, con il sostegno di partner come Francia, Gran Bretagna e Spagna, sulla questione dei respingimenti, in una sorta di “operazione di polizia internazionale” che vada a distruggere i barconi e catturi gli scafisti.

Sul luogo dell’incontro, scelto dal Primo Ministro italiano per fare “vedere fisicamente e plasticamente a Ban Ki Moon che cosa sta facendo l’Italia”, il Segretario Generale ha affermato che “la concentrazione di tutti sia su salvare le vite, inclusa l’area libica delle operazioni di ricerca e soccorso”, ma “la sfida” è “anche assicurare il diritto all’asilo del crescente numero di persone che in tutto il mondo scappano dalla guerra e cercano rifugio”.

Mentre sulla Libia, ha ribadito che”non ci sono alternative al dialogo. Il mio Rappresentante speciale, Bernardino Leon, e la sua squadra continuano a lavorare in maniera instancabile con le parti libiche coinvolte, per aiutarle ad arrivare insieme ad uno spirito di compromesso”, conclude Ban Ki Moon.

Giacomo Pratali

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Kuwait City, Italia: piano d’aiuti di 18 mln di euro per Siria

Medio oriente – Africa di

Nel vertice organizzato dalle Nazioni Unite, 80 Paesi hanno promesso 3,8 miliardi di dollari in interventi a favore della popolazione siriana

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Martedì 31 marzo, presso Kuwait City, si è tenuta la “Conferenza Internazionale dei donatori per la crisi umanitaria in Siria”. All’evento, organizzato dall’Onu, hanno aderito 80 Paesi, i quali hanno deciso di donare 3,8 miliardi di dollari, di cui almeno un miliardo di euro da parte dell’Ue. Il piano di aiuti sarà diretto da Organizzazione delle Nazioni Unite e dalla Croce Rossa Internazionale.

18 milioni di euro è la cifra che verrà versata dall’Italia a favore dei settori alimentare, sanitario e dell’istruzione. Il piano di interventi, oltre alla Siria, riguarda anche Libano, Giordania, Turchia e Iraq e vede coinvolte anche alcune Ong italiane e partner locali. Questa cifra si va ad aggiungere ai circa 65 milioni di euro già stanziati dall’inizio del conflitto siriano.

Giacomo Pratali

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2014, la devastazione dei diritti umani.

Medio oriente – Africa di

Un anno da dimenticare, il 2014. Almeno per quanto riguarda Amnesty International che ha divulgato il rapporto annuale in occasione dell’anniversario della scomparsa del suo fondatore, Peter Benenson, avvenuta il 25 febbraio di dieci anni fa. Un anno “devastante per coloro che cercavano di difendere i diritti umani e per quanti si sono trovati intrappolati nella sofferenza delle zone di guerra”. A sottolinearlo, Salil Shetty, segretario generale dell’associazione.

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Le 415 pagine che riassumono il racconto delle violenze consumate in 160 paesi del mondo non fa sconti sul giudizio espresso a proposito dell’atteggiamento adottato dai vari Governi. “Da Washington a Damasco, da Abuja a Colombo, i leader di governo hanno giustificato orrende violazioni dei diritti umani – evidenzia Shetty – sostenendo che era necessario commetterle in nome della sicurezza. In realtà, è semmai vero il contrario. Questo tipo di violazioni sono uno dei motivi principali per i quali oggi viviamo in un mondo tanto pericoloso. Non può esserci sicurezza senza rispetto dei diritti umani”. I dati sono allarmanti.

Negli ultimi quattro anni in Siria – continua – sono morte 200.000 persone, la stragrande maggioranza civili, principalmente in attacchi compiuti dalle forze governative. Circa quattro milioni di persone in fuga dalla Siria hanno trovato rifugio in altri paesi. Più di 7,6 milioni sono sfollate in territorio siriano”. Poi l’Iraq dove l’Isis impazza. “Il gruppo armato che si autodefinisce Stato islamico (Islamic State – Is, noto in precedenza come Isis), che in Siria si è reso responsabile di crimini di guerra, nel nord dell’Iraq ha compiuto rapimenti, uccisioni sommarie assimilabili a esecuzione e una pulizia etnica di proporzioni enormi. Parallelamente, le milizie sciite irachene hanno rapito e ucciso decine di civili sunniti, con il tacito sostegno del governo iracheno”.

Il rapporto prosegue citando le 2000 vittime palestinesi causate dall’assalto condotto nel luglio scorso dagli Israeliani a Gaza, i crimini di guerra compiuti da Hamas “sparando indiscriminatamente razzi verso Israele e causando sei morti”, i risultati del conflitto fra forze governative ed il gruppo armato Boko Haram in Nigeria esplicitati nel rapimento di 276 studentesse nella città di Chibok e gli orrori commessi dalle forze di sicurezza nigeriane che hanno ucciso e sepolto corpi in fosse comuni. Infine la Repubblica Centrafricana dove 5.000 sono le vittime della violenza settaria ed il Sud Sudan dove “decine di migliaia di civili sono stati uccisi e due milioni sono fuggiti dalle loro case, nel contesto del conflitto armato tra le forze governative e quelle dell’opposizione. Entrambe le parti hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità”.

Amnesty rileva l’immobilità del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di fronte alle crisi siriana, iraquena, palestinese, israeliana e ucraina “neanche quando sono stati commessi crimini orrendi contro la popolazione civile da parte degli stati o dei gruppi armati, per proprio tornaconto o interessi politici”. Pertanto per riuscire a smuovere le acque “ora chiede ai cinque stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza di rinunciare al loro diritto di veto nei casi di genocidio o di altre atrocità di massa”. Dalle Nazioni Unite intanto arrivano i numeri del nuovo rapporto dedicato anch’esso alle violazioni dei diritti umani commessi da Isis in Iraq fra settembre e dicembre 2014. Il rapporto, realizzato dalla Missione delle Nazioni Unite di assistenza all’Iraq (UNAMI) e dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, parla di almeno 165 esecuzioni che hanno interessato i membri di varie “comunità etniche e religiose dell’Iraq, tra cui turkmeni, Shabak, cristiani, yezidi, Sabei, Kaka’e, Faili curdi, sciiti arabi, e altri”. Negli scontri fra i tagliagole e forze di sicurezza tante anche le vittime fra la popolazione civile nella quale si contano almeno 11.602 uccisioni e 21.766 ferimenti.

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Monia Savioli

Monia Savioli
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