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Cina: sì a base navale nel Corno d’Africa

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Non solo infrastrutture civili per la Cina in Africa. Secondo quanto riportato il 25 febbraio scorso dalla Reuter, il gigante asiatico ha iniziato la costruzione di una base navale sulle coste del Gibuti la cui funzione, ufficialmente, sarà quella di supportare le missioni umanitarie, di peacekeeping, e di protezione nell’area del’Africa Orientale. Con questa operazione, la Cina diventerebbe il terzo paese, con Francia e Stati Uniti, ad avere una base militare navale a Gibuti, nella regione del Corno d’Africa, in posizione strategica sia dal punto di vista militare che da quello del controllo delle rotte commerciali. Ma al di là dell’ingranaggio, è il meccanismo complessivo quello che conta. La Cina vuole allargare progressivamente la propria sfera di influenza sullo scacchiere internazionale, mettendo in piedi un network di infrastrutture civili e militari che possano supportare operazioni su un piano che possa ben presto definirsi globale.

 

La nuova base, che dovrebbe nascere a Obock, sulle coste settentrionali di Gibuti, si troverà a 7700 chilometri da Pechino e sarà la prima installazione navale al di fuori dei confini nazionali. L’iniziativa dimostra come la Cina stia progressivamente calzando le scarpe della grande potenza e come la sua visione strategica si stia evolvendo, proiettandosi verso un futuro nel quale dovrà esercitare la sua leadership a livello mondiale.

 

La Cina già da diversi anni mantiene una presenza costante nell’area dell’Oceano Indiano e del Golfo di Aden e fa parte della missione ONU contro la pirateria, avviata nel 2008. Da allora le navi da guerra cinesi hanno attraccato nei porti di Gibuti oltre 50 volte e la nuova installazione risponderebbe, in prima istanza, all’obiettivo di garantire un punto di attracco e rifornimento maggiormente organizzato. Ma gli interessi cinesi vanno ben al di là delle operazioni anti-pirateria. Oggi, la nuova base potrebbe servire da snodo della catena logistica di supporto alle operazioni di peacekeeping sotto bandiera ONU in Africa. Domani, potrebbe diventare la testa di ponte per ogni intervento cinese nel continente, in difesa dei propri interessi strategici nazionali. Intanto, rafforzerebbe l’influenza cinese sull’Oceano Indiano, permettendo di organizzare missioni con velivoli di pattugliamento marittimo direttamente dalle coste africane.

 

Nel corso degli ultimi anni, l’attivismo cinese all’estero ha prevalentemente riguardato la creazione di infrastrutture civili e commerciali, sulla base di accordi bilaterali di collaborazione e sviluppo. La componente militare è sempre esistita, ma è rimasta a lungo sotto traccia. Oggi questo approccio sta cambiando e Pechino è sempre più intenzionata a pubblicizzare il dispiegamento della propria flotta al di là del mare domestico, dimostrando minori reticenze ad assumere apertamente un ruolo internazionale, anche a livello militare.

 

La base navale di Gibuti non sarà un semplice approdo di rifornimento, ma offrirà alla marina cinese ampie capacità logistiche. Con essa aumenterà la presenza cinese a terra, sarà possibile operare, presumibilmente, una manutenzione completa delle navi, saranno incrementate le capacità di trasporto e stoccaggio di munizioni e pezzi di ricambio, al suo interno saranno costruite strutture per gli equipaggi ed infrastrutture per l’aeronautica.

 

L’espansione cinese nell’area dell’Oceano Indiano non dipende, ovviamente, solo dal futuro di Gibuti. Le navi cinesi approdano regolarmente  in molti porti disseminati tra Sri Lanka, Pakistan, Oman, Yemen e Seychelles e, per il futuro prossimo, Pechino sta valutando la possibilità di stringere nuovi accordi con Kenya, Tanzania e Namibia per rafforzare e differenziare ulteriormente le proprie opzioni logistiche. Creare hub logistici integrati per la marina, in questi paesi, non sarà semplice però, per ragioni, di volta in volta, politiche, di sicurezza o di eccessiva concorrenza.

 

Al di là del Corno d’Africa e dell’Oceano indiano, la marina di Pechino ha allungato negli ultimi anni la gittata delle sue incursioni, visitando gli Stati uniti e diversi paesi europei, africani e dell’America Latina. I vascelli cinesi hanno attraversato il Canale di Suez, quello di Panama ed hanno doppiato capo Horn e Capo di Buona Speranza, per spingersi poi nelle acque del Mar Nero, del Mare del Nord e di Bering. Mentre le missioni navali si protraggono fino ai limiti delle acque navigabili del globo, aumenta la necessità di nuovi approdi affidabili, per il rifornimento e la logistica. Un esigenza destinata a diventare sempre più importante nei prossimi anni.

 

Per ora, la marina cinese continua a fare ampio affidamento sulle navi di supporto, per operare rifornimenti in alto mare quando necessario o per reintegrare le scorte di armi e materiali. In questo campo, gli investimenti cinesi sono aumentati in modo massiccio e quest’anno la marina ha varato due nuovi vascelli per il rifornimento in navigazione Type 903A. E’ stata inoltre avviata la costruzione del nuovo Type 901nei cantieri di Guangzhou. La nave, una volta ultimata, sarà capace di trasportare 45 mila tonnellate, un valore di carico mai raggiunto prima.

 

Se paragonata agli Stati Uniti, la Cina sta ancora compiendo i primi passi sulla via della realizzazione di un network logistico globale per la sua marina. La supremazia americana non si basa solo sul numero di navi ma anche sulla vasta disponibilità di porti amici in cui attraccare per fare rifornimento ed operare interventi di manutenzione. La Cina, per continuare a crescere sui mari e cementare il suo status di nuova potenza globale, dovrà concentrare i suoi sforzi nel rafforzamento delle capacità di rifornimento in mare e nella realizzazione progressiva di una propria rete di attracchi sicuri.

 

Il mare, per Pechino, è ancora troppo grande.

 

Foto: Wikipedia Commons

Luca Marchesini
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