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Guerra Fredda

Convegno “Europa e Russia: quali rapporti?”. On.Maullu: “Basta sanzioni”

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“Le sanzioni devono essere abolite. Non ci sono più, sempre che ci siano mai state, ragioni politiche reali per proseguire su questa strada, tanto dannosa politicamente quanto disastrosa economicamente”. Con questa dichiarazione, l’on.Stefano Maullu, organizzatore del convegno “Europa e Russia: quali rapporti?”, tenutosi a Milano sabato 21 maggio, ha sintetizzato il tenore degli interventi dei relatori intervenuti per l’occasione. Un evento in cui è stata sottolineata la necessità di una politica estera autonoma rispetto a Bruxelles e di un piano di investimenti delle PMI, con particolare riferimento al tessuto imprenditoriale lombardo, sul territorio russo.
“Io ho seguito la prima parte di Expo anche dal punto di vista dell’internazionalizzazione delle imprese – ha affermato il relatore Fabrizio Sala, Consigliere Regionale della Lombardia -. Noi lombardi e noi italiani ci siamo giocati un ruolo importante sullo scacchiere
internazionale. Vi voglio raccontare due aneddoti relativi a questo evento. Proprio prima dell’Esposizione Universale, presi dalla foga di invitare stranieri, abbiamo girato il mondo portando le eccellenze della Lombardia, soprattutto quelle imprenditoriali, con un po’ di timore perché magari conosciuti poco dalle comunità straniere. Sono stato alla NIAF, fondazione degli italoamericani negli USA, una lobby estremamente importante per la politica americana, e ho rivolto loro una domanda: ‘Perchè la maggior parte delle vostre multinazionali sceglie Milano e la Lombardia come sede europea?’. La risposta è stata: “Perchè voi possedete il miglior capitale umano in Europa”. Nello stesso viaggio vado a Montreal, in Quebec, dove persone da tutto il Canada vanno a visitare i loro resti più antichi risalenti al ‘600. Sono tornato da questi viaggi con due sentimenti: la rabbia perché non riusciamo a presentarci per quello che veramente siamo quando andiamo all’estero; entusiasmo, perché c’è un sacco di lavoro da fare visto che la maggior parte del mondo si sta sviluppando mentre noi siamo ancora in recessione”.

Su Mosca: “Siamo andati anche nella Federazione Russa e in varie regioni. Nella regione di Mosca ci siamo accorti che, dopo un anno e mezzo, la percentuale di successo delle PMI è 92%. Data l’esistenza delle sanzioni, abbiamo scritto alcuni accordi individuando alcuni settori, quelli in cui la Lombardia è più forte, e ora possiamo operare in quel contesto”.

E ancora: “In Russia, c’è tanta voglia di spirito imprenditoriale italiano e lombardo. Perchè noi siamo interessati a questo? Perché noi abbiamo questa visione: in un momento in cui l’economia interna è stagnante mentre nel resto del mondo c’è uno sviluppo in atto, accade una cosa particolare: il crollo del valore delle materie prime ha imposto, per esempio, a Mosca di tagliare il suo bilancio del 48% e ha imposto a tutti gli Stati produttori di materie prime di stimolare la produzione interna. Anche quella delle piccole e medie aziende perché consente di avere flessibilità economica anche in caso di crisi e, al contempo, è possibile aumentare il loro valore: questo genera ricchezza e permette alle nostre PMI di essere presente specialmente in quegli Stati che si stanno sviluppando. Noi abbiamo necessità di avere alleanze con Paesi come la Federazione Russia poiché questa è la porta di entrata versi tanti mondi dove noi possiamo correre come eccellenza. Se andiamo all’estero, avvertiamo subito la consapevolezza che abbiamo una materia prima eccezionale che possiamo ancora spendere per la nostra economia perché questa è l’unica strada per uscire dalla nostra crisi”.

Ubaldo Livolsi, Presidente Livolsi&Partners S.p.a, si è soffermato sulle modalità di ripresa dei rapporti tra Italia e Federazione Russa: “Stiamo vedendo com’è difficile risollevarci da un periodo di non crescita e disoccupazione. Quindi, un partner così importante come la Russia è indubbiamente importante per lo sviluppo futuro della nostra economia”.

Infatti, con le sanzioni e con il crollo del prezzo dell’energia, i russi hanno deciso di impostare una nuova strategia: la sostituzione delle importazioni. Pertanto, noi ci troviamo di fronte una nazione che sta portando avanti una politica economica basata sull’industria locale. Lo stanno facendo attraverso una politica estremamente intelligente: ‘Benissimo, se voi volete vendere i vostri prodotti, non potete più solamente esportarli e portarceli qui; dovete sviluppare delle aziende autonome o delle joint venture con delle capacità proprie di insediamento o con società a responsabilità limitata’. Questa è la politica che il governo russo sta cercando di portare avanti. Quindi, hanno stabilito un contratto di speciale di investimento, che è una formula nuova ed estremamente importante definita negli ultimi mesi”.

Non solo: “Il Ministero dell’Industria, a fronte di progetti ben precisi, sviluppa tutta una serie di autorizzazioni e agevolazioni che hanno una durata temporale definitiva in sei mesi – afferma Livolsi -. Dopodichè, l’imprenditore italiano, che deve presentare un programma preciso di come voglia insediarsi nell’economia russa, deve sviluppare, nelle zone speciali individuate, tutte forme di accordo con la regione russa dove è posta l’impresa. Questa è una forma che dà la possibilità di avere vantaggi finanziari, fiscali ed economici incredibili: quindi, dobbiamo assolutamente cercare di sviluppare questa nuova opportunità proprio per andare a catturare, in questo momento specifico, una volontà del governo russo di avere imprenditori, possibilmente italiani, che possano sviluppare attività nella Federazione Russa. Hanno individuato zone specifiche dove esistono già insediamenti di carattere internazionale. Quello che si vuole fare è cercare di portare la filiera: per questo, le PMI potrebbero essere ideali per lo sviluppo di questo tipo di economia”.

“Vorrei terminare con un messaggio: le PMI sono pronte a passare da un discorso di esportazione ad uno di insediamento di carattere industriale? Ci sono le capacità tecniche, manageriali, personali per potere fare questo salto di qualità? Abbiamo noi la capacità di aggregare nelle varie forme elencate sopra la possibilità di sviluppare quella rete che molto spesso manca a noi italiani per portare avanti e a termine queste imprese? La risposta è che se non lo facciamo è che, inevitabilmente, lo spazio verrà occupato da altri e perderemo un’opportunità più unica che rara di insediarsi, in un momento così favorevole, nel tessuto produttivo russo?”, conclude Livolsi.

Ettore Prandini, Presidente Federazione Coldiretti Lombardia, sottolineando le cospicue perdite del Made in Italy rilancia l’idea di una ”valorizzazione dei nostri prodotti che parta da una collaborazione a 360 gradi anche con il mercato italiano”.

Mentre Tommaso Cancellara, Direttore Generale Assocalzaturifici, analizza i dati relativi al suo settore: “Il settore calzaturiero italiano è uno dei pilastri del sistema moda italiano. Due parole sul contesto. L’Italia è di gran lungo il maggior produttore al mondo di medio-alto livello. In risposta al dottor Livolsi sull’organizzarsi strutturalmente, managerialmente e artigianalmente per sfruttare effettivamente l’opportunità del mercato russo di sostituzione dell’import con la produzione locale, io direi di no perché questo tipo di Made in Italy lo si può fare solo in Italia, non lo si può esportare. Noi non possiamo prendere degli artigiani e spostarli letteralmente in Russia: non sono dei processi o dei macchinari, ma persone che con il martello creano le migliori calzature al mondo”.

I dati della crisi dell’export con la Russia: “Un paio di numeri. Il 34% delle perdite citate dall’on.Maullu sono purtroppo solo i dati dell’ultimo anno. In realtà, in due anni, abbiamo perso il 44,3%: da 10,5 milioni di paia, oggi ne esportiamo 5,9. Un crollo verticale, un dramma sulla pelle delle nostre aziende. In un anno e mezzo hanno chiuso, nel solo settore calzaturiero, almeno 100 aziende direttamente legate al fattore Russia. Stiamo parlando di 1500 dipendenti rimasti a casa per un regime di sanzioni allucinante e assurdo che noi combattiamo. Siamo felici che il deputato Maullu stia portando avanti questo tipo di iniziativa e speriamo che tutto il Parlamento Europeo si accorga che le difficoltà dei Paesi produttori, come Italia, Spagna e Portogallo stanno affrontando in primis”, conclude.

Ucraina: il fallimento di Minsk 2 è dietro l’angolo

EUROPA di

Gli scontri tra esercito e separatisti sono tornati ai livelli precedenti a febbraio. Sul fronte interno, l’accordo appare lontano. Sul fronte internazionale, Nato e Russia continuano a mostrare i muscoli.

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Complici le miti temperature estive, il conflitto nell’Ucraina orientale è tornato ad essere cruento. L’avvicinarsi dell’inverno, con la questione delle forniture di gas che tornerà centrale nell’agenda di tutti i Paesi europei, acuisce i sintomi di un’ulteriore intensificazione delle violenze. Il 3 agosto scorso, tre soldati dell’esercito di Kiev sono morti a seguito degli scontri con i separatisti. In contemporanea, si è materializzato il fallimento dei negoziati per la costituzione di una zona cuscinetto tra i gruppi di contatto degli accordi di Minsk 2.

I sintomi di una escalation di violenze, appunto. Di natura interna, tra gli ucraini, che chiedono la deposizione delle armi ai filorussi in cambio di concessioni autonomiste nella carta costituzionale, e i separatisti, intenzionati a non cedere e a volere partecipare al processo legislativo.

Di natura internazionale. Come rigurgiti di una Guerra Fredda tornata di attualità, la guerra civile ucraina non è altro che il terreno di una resa dei conti a livello internazionale. Con la Nato, intenzionata ad intensificare sempre di più l’apporto di unità speciali nei Paesi dell’Est Europa. Con Stati Uniti e Unione Europea, decisi a non cedere sulle sanzioni nei confronti di Mosca. Con la Russia, infine, determinata ad uscire dal progressivo isolamento rispetto ai partner occidentali.

La guerra a colpi di sanzioni economiche potrebbe spingere il Cremlino a non retrocedere. L’aumento del numero di addestramento dei separatisti del Donbass ne è un chiaro indicatore. Infine, i rapporti privilegiati con Siria e Iran, i nuovi canali economici e commerciali istituiti con Cina e India, potrebbero indurre Washington ad ammorbidirsi. La degenerazione del conflitto ucraino e la conseguente caduta nel caos del Paese sono dietro l’angolo.
Giacomo Pratali

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Ucraina: soldati russi catturati “erano armati, ma non avevano ordine di sparare”

EUROPA di

L’Osce rende noti i dettagli della missione dei militari di Mosca, sorpresi a combattere con i ribelli del Donbass. Nonostante la quotidiana inosservanza del cessate il fuoco, la guerra civile appare in una fase di stallo. Mentre la Casa Bianca e il Cremlino fanno prove di disgelo, il prossimo inverno appare decisivo per le sorti del conflitto.

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“Erano armati, ma non avevano l’ordine di sparare. Uno di loro ha detto di avere ricevuto ordini dalla sua unità militare di andare in Ucraina”. È quanto comunicato dall’Osce dopo che, lunedì 18 maggio, due soldati russi erano stati catturati sul suolo ucraino mentre combattevano a fianco delle milizie filorusse. Dopo l’arrivo dei convogli militari lo scorso inverno, intercettati dai satelliti Usa, questa è la conferma definitiva di un’ingerenza esterna nella guerra civile nel Donbass. Un’ingerenza che fa seguito al video, risalente al gennaio 2015, in cui un soldato americano è stato filmato tra le fila dell’esercito di Kiev.

Ma la crisi in Ucraina, tuttavia, sembra essere ancora in fase di stallo. Malgrado i continui scontri, soprattutto nei pressi dell’aeroporto di Donetsk e attorno alla città portuale di Mariupol, confermino la fallacia del cessate il fuoco decretato dagli accordi di Minsk di febbraio. La vera resa dei conti sembra essere rinviata al prossimo inverno, quando tornerà in gioco la questione delle forniture di gas da parte di Mosca.

La guerra fredda che ne consegue ha intanto dato i primi, timidi segnali di disgelo. Gli incontri di metà maggio tra il segretario di Stato Usa Kerry e il presidente Putin, la prima visita ufficiale sul suolo russo dall’inizio della crisi ucraina, mostrano la volontà di dialogo tra le due parti.

Oltre ad avere parlato del caso Siria, della possibile vendita dei missili russi S-300 all’Iran e del conflitto in corso in Yemen, il futuro dell’Ucraina è stato al centro del dialogo intercorso tra le due amministrazioni. Gli Stati Uniti vogliono entrare a tutti gli effetti nel tavolo delle trattative composto da Russia, Ucraina, Francia e Germania, che ha portato al Protocollo di Minsk di febbraio.

Nell’incontro con il ministro degli Affari Esteri Lavrov, Kerry si è dimostrato concorde nell’evidenziare che, il rispetto di tali accordi, dovrebbe portare alla fine del conflitto civile nel Donbass. Ma altrettanto evidente è stato l’imbarazzo sulla volontà di Kiev di riprendersi manu militari Donetsk, nonché sulle sanzioni economiche imposte a Mosca.

La presenza, in questo caso ufficiale, delle truppe militari statunitense nella base Nato di Javorov (vicina al confine con la Polonia) è motivo di frizioni con la Russia. Qui, da aprile, sono in corso l’addestramento di quasi 1000 milizie dell’esercito ucraino. Ed è proprio questo punto a frenare una vera e totale distensione tra Washington e Mosca.

Se a questo, aggiungiamo le continue dichiarazioni antirusse del presidente ucraino Poroshenko e del premier Yatseniuk, vediamo che la definizione di questa crisi geopolitica appare distante. Da una parte, Kiev accusa il Cremlino di avere mire antioccidentali e chiede aiuti economici e militari a Stati Uniti ed Unione Europea. Dall’altra parte, Mosca non intende rinunciare alle regioni russofone in territorio ucraino (Donetsk, Lugansk e la Crimea), che considera la risposta allo schieramento di forze e armamenti militari Nato negli Stati un tempo facenti parte del Patto di Varsavia.
Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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