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Libia: qual è il vero ruolo dell’Italia?

Defence/POLITICA/Politics di

Nella 3^ conferenza internazionale sullo Stato Islamico di Roma, la Siria è stata al centro del dibattito tra i 23 ministri degli Esteri presenti. Nonostante le dichiarazioni concilianti di Kerry nei confronti dell’Italia, i recenti movimenti degli alleati occidentali nei pressi di Tobruk e lo stallo nella formazione del governo di unità nazionale rischiano di relegare Roma ad un ruolo di secondo piano in Libia. Il rischio maggiore è di ripetere gli errori del 2011.

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Si è parlato più di Siria che di Libia alla terza conferenza internazionale sullo Stato Islamico, tenutasi a Roma martedì 2 febbraio. Presieduto dal segretario di Stato Usa John Kerry e dal ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni, al vertice erano presenti 23 ministri degli Esteri, compresa la rappresentante dell’Ue Federica Mogherini.

Dalle dichiarazioni nella conferenza stampa post summit, si evince come la battaglia contro il Daesh sia su scala globale e che Siria, Iraq e, a questo punto, Libia compongono un unico teatro di guerra, che sarà”lunga, più delle altre tra uno Stato e l’altro”, ha affermato Kerry, che ha escluso un intervento di terra delle forza armate statunitensi, ma ha invece garantito un lavoro di supporto logistico e addestramento quando il governo libico darà il via libera per un intervento militare internazionale. Un’operazione che, come ricordato dallo stesso Segretario di Stato, vedrà in prima fila l’Italia, “tra i Paesi più attivi nella lotta all’Isis”.

Dunque, sulla scia della conferenza di Ginevra, è la Siria la parte portante dell’incontro di Roma. Da più parti è stato ricordata l’emergenza umanitaria in continua crescita. Ma la Libia?

Lo stallo politico nella formazione del governo di unità nazionale a Tripoli non solo sta favorendo ancora una volta la radicalizzazione del Daesh, ma sta provocando reazioni su piani paralleli. In questo senso, il rischio è uno solo: ricadere nell’errore del 2011 e non concordare con le istituzioni locali né il piano di intervento militare né la ricostituzione di un’istituzione statale stabile.

Come rivelato dal Sunday Times, militari e servizi di intelligence di Regno Unito, Stati Uniti e Francia sarebbero attivi in una base nei pressi di Tobruk, dove già si starebbero pianificando gli interventi sul campo e l’introduzione di un campo permanente.

Il tanto paventato intervento militare sotto l’egida dell’Onu in cosa consiste davvero? In mero lavoro di addestramento e supporto alle forze locali? In un’azione aerea? O addirittura in un intervento di terra?

In una lettera del segretario alla Difesa degli Stati Uniti Ashton Carter alla sua omologa italiana Roberta Pinotti dello scorso dicembre, e ripresa da alcune testate negli ultimi giorni, l’invito rivolto a Roma è palese: “Spero che in futuro l’Italia considererà di contribuire ai raid nella contro l’Isis”. Parole che stonano con le recenti dichiarazioni di Kerry e dello stesso Gentiloni.

In definitiva, la conferenza di Roma, non smuove nulla per quanto concerne la questione libica. Le dichiarazioni di Kerry restano dichiarazioni. Il movimento sotto traccia degli alleati occidentali, infatti, potrebbe relegare di nuovo l’Italia in una posizione di secondo piano in un Paese, la Libia, che, sotto il profilo energetico, fa gola a molti.
Giacomo Pratali

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Libia: nuovo governo e intervento ONU

Al termine della conferenza internazionale sulla Libia di Roma, il sottosegretario di Stato USA Kerry annuncia la formazione di un governo di unità nazionale entro “40 giorni”. I Paesi e le organizzazioni internazionali presenti varano un documento d’intenti, in attesa della risoluzione ONU del 17 dicembre su un intervento militare.

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“Affermiamo il nostro pieno appoggio al popolo libico per il mantenimento dell’unità della Libia e delle sue istituzioni che operano per il bene dell’intero paese. E’ necessario con urgenza un Governo di Concordia Nazionale con sede nella capitale Tripoli al fine di fornire alla Libia i mezzi per mantenere la governance, promuovere la stabilità e lo sviluppo economico. Siamo a fianco di tutti i libici che hanno richiesto la rapida formazione di un Governo di Concordia Nazionale basato sull’Accordo di Skhirat, ivi compresi i rappresentanti della maggioranza dei membri della Camera dei Rappresentanti e del Congresso Nazionale Generale, degli indipendenti, delle Municipalità, dei partiti politici e della società civile riunitisi a Tunisi il 10-11 dicembre. Accogliamo con favore l’annuncio che i membri del dialogo politico firmeranno l’accordo politico a Skhirat il 16 dicembre. Incoraggiamo tutti gli attori politici a firmare questo accordo finale il 16 dicembre e rivolgiamo a tutti i libici un appello affinché si uniscano nel sostegno dell’Accordo Politico per la Libia e il Governo di Concordia Nazionale”.

Questo il passo più importante del comunicato congiunto emesso al termine della conferenza internazionale sulla Libia, tenutasi a Roma il 13 dicembre e promossa dalla Farnesina. Il documento è stato firmato da UE, ONU, LAS, UA e dai 17 Paesi partecipanti: Algeria, Arabia Saudita, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Giordania, Italia, Marocco, Qatar, Regno Unito, Russia, Spagna, Stati Uniti, Tunisia, Turchia. Adesso, c’è attesa per la firma dell’accordo di mercoledì 16 e per la risoluzione ONU di giovedì 17, data in cui i membri permanenti si sono impegnati a firmare un accordo per “un intervento umanitario, di sicurezza e di stabilizzazione della Libia”.

L’avanzata del Daesh, l’ascesa di Sirte come epicentro del Califfato e un complesso istituzionale alla deriva hanno imposto, forse fuori tempo massimo, l’intervento delle principali potenze mondiali e persino di quegli attori internazionali che in Libia si combattono per conto terzi: su tutti, Arabia Saudita e Egitto, Qatar e Turchia. E gli stessi rappresentanti delle fazioni libiche, compresi i leader del GNC e dell’Assemblea di Tobruk.

Roma, sulla scia di quanto avvenuto al summit di Vienna sulla Siria, ha seguito lo stesso metodo. Europa, Stati Uniti, Russia e Cina si sono mosse all’unisono in direzione di un piano d’azione che possa portare ad un processo di stabilizzazione istituzionale della Libia, indispensabile per combattere il Daesh.

Mentre la pressione per un immediato intervento militare da parte di Francia e Gran Bretagna, già alleate sul fronte siriano, non ha avuto un seguito, visti gli errori commessi nel 2011.

“Tra 40 ci sarà un governo di unità nazionale”. Anche se “ci vorrà tempo per superare il retaggio di quattro decenni di dittatura. Ma ora i libici devono governare insieme”, ha detto il sottosegretario di Stato USA John Kerry. Mentre il ministro degli Affari Esteri italiano Paolo Gentiloni ha affermato che “contro il terrorismo serve un Paese stabile”. Mentre, l’Italia avrà “un ruolo fondamentale nelle prossime settimane e mesi nel quadro delle decisioni ONU e sulla base delle richieste del nuovo governo libico”.

L’Italia, dunque, torna, seppure timidamente, protagonista nella scena internazionale, dopo che sul fronte siriano aveva adottato una linea attendista. Dopo oltre un anno di negoziati in Libia, il delegato ONU Martin Kobler, che ha ereditato da Bernardino Leon, si aspetta di strappare oltre 200 consensi dai rappresentanti dell’Assemblea di Tobruk, restii, a partire dal Presidente, a trattare sulla costituzione di un governo unico assieme agli attuali rappresentanti di Tripoli.

Rimane ancora da chiarire, tuttavia, la natura dell’intervento ONU in Libia dopo la costituzione del nuovo governo a Tripoli che, al netto dei no comment, sarà di natura prettamente militare e non una missione di peacekeeping, vista la radicalizzazione del Daesh sul territorio: “Ribadiamo il nostro pieno appoggio all’applicazione della Risoluzione 2213 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e delle altre Risoluzioni in materia per affrontare le minacce alla pace, sicurezza e stabilità della Libia. I responsabili della violenza e coloro che impediscono e minacciano la transizione democratica della Libia devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni. Siamo pronti a sostenere l’attuazione dell’accordo politico e ribadiamo il nostro deciso impegno ad assicurare al Governo di Concordia Nazionale pieno appoggio politico e l’assistenza richiesta in campo tecnico, economico, di sicurezza e anti-terrorismo ”, recita ancora il comunicato.
Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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