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Il futuro della Libia passa per la mediazione con Haftar

AFRICA di
La recente visita del Generale Haftar a Roma è solo l’ultimo passo di una lunga catena diplomatica e politica che vede l’Italia ritornare protagonista dei rapporti con la Libia e della proiezione nel Mediterraneo. Cio’ che la stampa ha trascurato è che questa azione diplomatica viene affiancata da una nuova fase di bombardamenti americani sulle postazioni dell’Isis in Libia. A dimostrazione di come quel fronte sia oggi il più problematico in prospettiva ora che lo Stato islamico ha perso le sue principali roccaforti in Siria e Iraq.
L’azione italiana è complessa e ambiziosa. Passa dal dialogo formale con il capo del governo riconosciuto, al Serraj, ma anche con l’imprescindibile generale Haftar, a capo di un esercito parallelo in Cirenaica e forte del sostegno di Egitto e Emirati Arabi.
L’Italia punta a rafforzare la legittimità del primo e includere il secondo in un dialogo di riconciliazione nazionale, al contempo stabilendo rapporti diretti con i capi tribù tuareg del sud della Libia, i padroni dei crocevia dei traffici di esseri umani. È la strategia giusta, che sta portando risultati evidenti sotto il profilo del contrasto al traffico di migranti.
Ma senza un accordo con le potenze regionali, il dialogo tra Tripoli e la Cirenaica rimarrà fragile. Sarà necessario convincere tutti gli interlocutori che una nuova guerra civile in Libia, accoppiata alla penetrazione di santuari dell’Isis, rischia di condurre al fallimento di quello Stato e ad un problema ben più grosso per la comunità internazionale.
Un passo necessario sembra essere un maggior impegno per rafforzare la legittimità e il controllo del territorio da parte di al-Serraj. L’italia, pur non sostituendosi all’iniziativa del negoziatore ONU, non può attendere i passi della lenta diplomazia onusiana. Per questo l’attivismo bilaterale – o meglio sarebbe dire, trilaterale- ha un suo senso profondo in questa fase. Non si potrà però scaricare tutto il peso della responsabilità sull’Italia.
E qui entra in gioco il ruolo troppo debole e defilato dell’Europa. È vero che la Francia percepisce un proprio impegno solo in termini di interesse nazionale, e dunque in potenziale contrasto con la paziente tessitura italiana. La Gran Bretagna è totalmente assorbita da questioni interne mentre la Germania mantiene la propria posizione di vigile neutralità. Non resta che l’Italia e il suo preminente interesse in Libia. Un interesse che viene riconosciuto e delegato al nostro Paese anche dagli Stati Uniti. Ma da soli non si potrà arrivare lontano. Le istituzioni europee devono continuare a fare la loro parte, come ha appena iniziato a fare la Commissione, garantendo fondi ai Paesi del Sahel per fermare i traffici di esseri umani.
L’Italia dovrà però multilatelarizzare la propria azione, allargandola a Egitto, Tunisia, paesi del Golfo. La ricerca condivisa di un progetto di medio termine che porti a conciliare gli interessi in campo è una necessità. Un nuovo fallimento sarebbe forse l’ultima spiaggia prima del baratro. Dell’implosione cioè di un Paese strategico per gli equilibri geopolitici e per la lotta al terrorismo integralista. Ne va del nostro interesse e della nostra sicurezza nazionale.
di Gianluca Ansalone
Gianluca Ansalone
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