GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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COVID 19, #infermieripercovid Infermieri e sistema sanitario in prima Linea

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European Affairs ha raggiunto la Presidente della Federazione Nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche per una testimonianza di come si stanno svolgendo le attività in prima linea nei tanti ospedali e presidi medici. Iniziativa importante è la partecipazione alla all’iniziativa #infermieriperilcovid alla quale in sole 24 ore hanno dato disponibilità in 9.000 volontari.

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COVID-19 come vivono la quarantena nel mondo? EA lo sta chiedendo agli Italiani che vivono all’estero

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Londra, New York, Brisbarne, Indonesia, Argentina e ancora Spagna, Francia e Albania, la pandemia sta contaminando moltissimi paesi, e l’unico rimedio sembra essere la quarantena, l’isolamento, quello che ormai viene definito il modello Italia. Attraverso la video conferenza chiacchieriamo con altri reclusi in casa durante queste settimane di quarantena, per noi avanzata per altri appena iniziata.

Nel primo video arriviamo a Londra per poi ripartire per New York, Australia, Singapore, Spagna e Belgio buona visione

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Kosovo Monastero di Visoki Decani, intervista a Padre Sava Janjic

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Il Monastero di Visoki Dečani è uno dei monumenti storico religiosi più importanti del Kosovo. Dal 1999 è sotto la protezione della Kosovo Force che è responsabile della sua sicurezza.
Nonostante un equilibrio sia stato trovato in questa regione il monastero e i suoi monaci rappresentano un obiettivo privilegiato per gli oltranzisti albanesi.
Padre Sava Janjic è l’abate di questo splendido esempio di architettura romanica e lo incontriamo all’interno della chiesa per parlare con lui della situazione generale del Kosovo.

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KFOR, I compiti del Multi National Battle Group West

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Il Multinational Battle Group West (MNBG WEST) nell’ambito della missione NATo della Kosovo Force ha il compito di assicurare protezione e sicurezza nel quadrante West del Kosovo. Oggi il comando di questa unità è affidato al Colonnello Stefano Imperia e la componente italiana è su base 32° Carri, con lui parliamo dei compiti operativi dell’Unità.

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Il Multinational Battle Group opera dalla base denominata “Villaggio Italia” che ospita da ormai diciotto anni le unità delle varie nazioni che partecipano alla missione.

La responsabilità principale nell’ambito della loro operatività è la protezione dello storico monastero ortodosso di Decane che rappresenta un simbolo per i serbi della zona e quindi un obiettivo sensibile ogni qualvolta la situazione dell’area diventa critica.

Questo settore del Kosovo è stato in passato uno dei più caldi e la presenza delle forze NATO ha permesso di ristabilire la pace e la sicurezza in tanti villaggi che sono stati teatro di atti di violenza durante il periodo di guerra e immediatamente successivo.

Oggi tutta l’area gode di una generale tranquillità assicurata dalla presenza della missione NATO che ha visto l’Italia tra i suoi più importanti contributori e la cui efficacia è testimoniata dalla buona accoglienza che le unità italiane ricevono sia dai Serbi che dagli albanesi Kosovari.

 

Croce Rossa Militare, un anno dopo il riordino il personale in piazza a Montecitorio

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È passato un anno da quando è stato messo in atto il riordino della Croce Rossa Militare che ha trasformato l’ente di diritto pubblico in associazione privata cosi come la Croce Rossa Italiana.

Il personale in forza all’ente ormai disciolto oggi è in parte confluito in forza a vari ministeri e trova la sua rappresentanza sindacale nel Co.S.P. che il prossimo 27 aprile ha organizzato una manifestazione a Montecitorio.

Abbiamo chiesto al delegato Nazionale del comparto Ministeri Tonino Martini le ragioni che hanno spinto il sindacato a manifestare e quali sono i problemi che devono essere affrontati quanto prima, “Quale Delegato Nazionale del Comparto Ministeri ed Enti” ci racconta Tonino Martini “mi sono occupato particolarmente del personale civile e militare già appartenente alla Croce Rossa Italiana immesso nei ruoli di Ministeri ed Enti a seguito di mobilità obbligatoria con tutti i problemi che ne conseguono”

Quali sono queste problematiche ce lo spiega dettagliatamente mettendo in rilievo alcuni punti fondamentali del riordino che toccano in primis le professionalità del personale “ la presenza nell’ambito della Croce Rossa Italiana di un Corpo Militare, ausiliario delle Forze Armate dello Stato, finalizzato all’assolvimento dei compiti di emergenza del tempo di pace, di guerra e di grave crisi che portava le stellette a cinque punte come segno dello stato giuridico militare” e quindi sottoposto alle norme del regolamento di disciplina militare e dei codici penali militari aggiungiamo” ha reso particolarmente complesso il trasferimento in mobilità obbligatoria nei Ministeri ed Enti con difficoltà di inquadramento giuridico, economico, previdenziale e lavorativo ancora in essere e proprio in questa direzione il Co.S.P. si sta adoperando in tutte le sedi per la loto risoluzione !”

 Anzianità, corrispondenza dei livelli contrattuali e certezza dell’avvanenuto accantonamento dei TFS e dei TFR sono tra i principali temi che la manifestazione del 27 aprile vuole far mergere nel dibattito politico ma non solo anche perché ad oggi l’Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana, subentrato per la residua gestione pubblica, alla Croce Rossa Italiana – E.P.N.E., pare non abbia ancora fornito una chiara quantificazione delle somme accantonate a tale scopo nonché assicurazione circa il dovuto trasferimento degli importi agli Enti Previdenziali di competenza.

Tra le problematiche da risolvere” continua Tonino Martini “ anche quella della Cassa Previdenziale visto che gli ex. Militari di Croce Rossa e gran parte del personale civile della C.R.I. risultava iscritto all’I.N.P.S. oppure alla ex C.P.E.D.E.L. transitata in I.N.P.D.A.P. Enti Pubblici con le relative problematiche di ricongiungimento”.

Cosa sta succedendo al personale in mobilità e quali sono le vostre richieste alle istituzioni?

2017-04-24-PHOTO-00000023“Premesso che la normativa vigente consente” ci risponde Tonino Martini “al personale in mobilità obbligatoria – la scelta della Cassa Previdenziale ritenuta più idonea, vogliamo chiarezza su vantaggi e svantaggi di ciascuna forma previdenziale al fine di garantire una serena vecchiaia a chi ha operato a favore dei più vulnerabili per gran parte della propria vita lavorativa (in tale ambito hanno finora svolta attività lavorativa tutti gli Operatori della Croce Rossa Italiana).”

 Quali azioni avete intentato per tutelare i vostri iscritti? “ Con una lettera formale il Co.S.P. ha richiesto ciò agli Enti Previdenziali chiedendo, altresì, la sospensione di qualsiasi termine di prescrizione per il passaggio da una Cassa Previdenziale all’altra.” ci risponde il delegato che continua dicendo che “ Tra i punti oggetto delle nostre richieste assume particolare rilievo quello della formazione del personale. I Dipendenti della C.R.I. sono stati catapultati in una realtà lavorativa spesso completamente diversa da quella svolta. Forse un tavolo di lavoro preventivo con la Funzione Pubblica avrebbe evitato talune criticità ancora fortemente evidenti. I Dipendenti civili e militari della C.R.I. hanno una competenza tecnico- amministrativa che se coniugata con una adeguata formazione può dare luogo a espressioni lavorative straordinarie.”

L’azione sindacale de Co.S.P. vuole muoversi rispettando i principi che sono stati per 150 anni il  riferimento per tutto il personale della CRI-MIL sia effettivi che volontari, Umanità, Imparzialità, indipendenza , volontarietà e universalità della mutua assistenza tra le associazioni umanitarie.

La ricollocazione del personale ha provocato un altro problema soprattutto per quelle professionalità che sono state incorporate nel Ministero dell’Istruzione la cui equiparazione di livello contrattuale li ha posti nella fascia degli ATA assistenti tecnici ausiliari con una forte dispersione della loro professionalità, come sottolinea il delegato Nazionale “Senza nulla togliere agli A.T.A. Assistenti Tecnici Ausiliari nel cui ambito sono inseriti anche i cuochi, gli infermieri ed i guardarobieri, ecc.. gli Operatori ex. C.R.I. inseriti in tali Quadri hanno nella maggior parte dei casi elevata competenza e professionalità e a differenza dei loro colleghi in mobilità in altri Ministeri ed Enti non beneficiano di una collocazione lavorativa stabile e definita. Per questi motivi chiediamo dunque eguale trattamento, formazione ed adeguata collocazione del personale tenendo conto dei “curricula” individuali !”

Attesa quindi per l’appuntamento del 27 aprile per verificare le risposte che verranno date dalle istituzioni in quell’occasione e successivamente e comprendere al meglio come la riorganizzazione della pubblica amministrazione debba essere fatta senza disperdere il valore fondamentale che è il capitale umano.

Brexit, quale Europa ci Attende dopo l’uscita della Gran Bretagna

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Ne parliamo nella terza puntata di “Area di Crisi” con l’avvocato Alessandro Forlani.

Durante la campagna elettorale del 2015 l’ex premier David Cameron ha inserito nel suo programma la possibilità di indire un referendum con cui gli inglesi potessero esprimersi sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea.

Al referendum il  51,9 per cento dei britannici, ha detto sì all’uscita dall’Unione Europea e si è dato avvio alle pratiche.

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Con il  voto di 8 giudici su 3, la Corte Suprema ha deciso il  necessario  voto della camera dei Comuni e della camera dei Lord che ha approvato a larghissima maggioranza  il testo di legge presentato dal neo governo conservatore di Theresa May.

Ma Prima di dare avvio ufficialmente al divorzio,  il Parlamento dovrà ratificare l’esito del referendum, solo dopo potranno iniziare i negoziati a Bruxelles ma già da ora molti si interrogano su quali potrebbero essere gli esiti di questo divorzio.

“Area di crisi” è un settimanale di approfondimento di
EUROPEAN AFFAIRS MAGAZINE
www.europeanaffairs.it

Conduce Alessandro Conte

Redazione
Aurora Venia
Giovanna Ferrara
Giorgia Corbucci

Produzione
Regia : Tino Franco
Post Produzione : Daniele Cerquetti
Riprese: Nel Blu Studios

Autore: Alessandro Conte

La comunicazione on line del terrorismo islamico

Video di

In questa puntata di Area di crisi parliamo con Antonio Albanese del modello di comunicazione del terrorismo Islamico in rete.

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Non solo sul campo di battaglia, la jihad si combatte anche in Rete. Dal web ai messaggi, così lo Stato Islamico trova e organizza gli adepti in giro per l’Europa. È finita l’epoca in cui si puntava tutto su messaggi di propaganda, ora la tecnica è molto più raffinata: si pesca in rete tra chi cerca parole come jihad l’intento di trasformare i lupi solitari in branco in modo da poterli muovere in maniera silenziosa e sinergica. Già da qualche tempo l’Isis ha centralizzato la comunicazione, organizzandola in una struttura burocratica centrale che stabilisce le campagne, detta l’agenda e supervisiona ogni attività, investendo anche molto denaro. La forza del call center della jihad è quello del reclutamento che avviene in due maniere: quella tradizionale, per esempio con i foreign fighters rientrati in Europa che non hanno perso i contatti con la Siria; oppure con raffinati sistemi informatici. La forza sono i social network: utilizzando un algoritmo simile a quello che viene usato per il marketing, individuano in rete i soggetti sensibili. Inoltre dopo ogni attentato una struttura di account ha il compito di postare e moltiplicare i video di rivendicazione e affiliazione che vengono messi in rete al momento giusto.

 

ANTONIO ALBANESE

Direttore dell’agenzia AGC Comunication esperto di analisi geopolitica e assetti Geostrategici è Laureato in Scienze politiche nel 1992 presso l’Università degli Studi di Roma, La Sapienza con tesi sull’organizzazione del partito di Francesco Crsipi nella Capitale

È Ufficiale riservista della Guardia di Finanza, in questa veste ha ricoperto numerosi incarichi di prestigio nella CIOR (Confederazione Alleata degli Ufficiali della Riserva, struttura NATO che riunisce gli ufficiali riservisti dell’Alleanza Atlantica). Nella CIOR ha prima ricoperto incarichi nelle varie Commissioni di studio e quindi nominato Assistente Segretario Generale per l’Italia della Confederazione; successivamente durante la Presidenza Italiana della CIOR (2002-2004) ha ricoperto l’incarico di Deputy Secretary General for Media and Communication. Ha inoltre ricoperto vari incarichi nell’ambito della Delegazione italiana ed è stato Vice Presidente della CIOR per l’Italia 2012/2013.

“Area di crisi” è un settimanale di approfondimento di
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Regia : Tino Franco
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Autore: Alessandro Conte

Nel 60° anniversario l’ Europa riparte da Roma

EUROPA di

Il 25 marzo del 1957 sei paesi appena usciti da una guerra sanguinosa si sono impegnati a costruire una unità europea tesa allo sviluppo economico e sociale di un continente.

Dopo sessanta anni nella stessa sala degli Orazi e Curiazi del Campidoglio di Roma si sono riuniti i 27 leader europei per firmare una nuova dichiarazione di intenti, un documento programmatico per i prossimi dieci anni.

20130319_9186“È stato un viaggio di conquiste. Un viaggio di speranze realizzate e di speranze ancora da esaudire”, ha esordito il presidente del Consiglio Italiano Gentiloni “Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Europa era ridotta a un cumulo di macerie. Milioni di europei morti. Milioni di europei rifugiati o senza casa. Un continente che poteva contare su almeno 2500 anni di storia, ritornato di colpo all’anno zero”, ha detto. “Prima ancora che la guerra finisse, reclusi in una piccola isola del Mediterraneo, due uomini, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, assieme ad altri, sognavano un futuro diverso. Un futuro senza guerre. Un futuro prospero. Un futuro di pace”.

Quella che si legge tra le righe della dichiarazione presentata e firmata è una Europa dei cittadini, che devono diventare centrali nella politica unitaria.

Sono cinque i punti fondamentali della dichiarazione, aree di cooperazione che devono essere sviluppate e coltivate necessariamente e prioritariamente.

DIFESA COMUNE

Nei trattati di Roma emerge fortemente la volontà di realizzare un programma di difesa comune, il mutato quadro geopolitico internazionale lo impone, sia per le molte sfide internazionali sia per la difesa dei confini europei.

Il programma di difesa comune comprende la realizzazione di un fondo comune per investimenti e acquisto di armamenti oltre a un modello di comando integrato delle forze armate nazionali dedicate alla difesa europea.

Questo modello non sarà sostitutivo alla NATO ma complementare a quanto già in campo per l’alleanza atlantica, una risposta alle sollecitazioni del presidente Trump rispetto alla richiesta di un impegno economico maggiore al suo sostegno.

BILANCIO

Anche il modello di bilancio della comunità ha necessità di una revisione, nella struttura ma anche per poter coprire le mancate entrate causata dalla Brexit a partire dal 2020.

DIRITTI SOCIALI

Il nuovo trattato di Roma vuole mettere al centro i cittadini e i temi dei diritti sociali con l’obiettivo di realizzare nuovi modelli di welfare sostenibile a livello europeo che comprenda nuovi ammortizzatori sociali e interventi di reddito di cittadinanza.

GLOBALIZZAZIONE

Il quinto documento della dichiarazione è dedicato alla globalizzazione che deve essere affrontata con nuove regole di governance, nuove norme per il commercio internazionale che possano dare risposte concrete alle spinte protezionistiche dei vari paesi membri.

Un documento di programma che include delle linee chiare e condivise con obiettivi decennali che permettano di affrontare le numero se sfide come il terrorismo, i conflitti regionali, le crisi migratorie, il protezionismo e le diseguaglianze economiche e sociali.

Il messaggio più forte lanciato in questa giornata di rinnovo dei trattati è sicuramente la richiesta di unità, a maggior ragione dopo l’uscita della Gran Bretagna che ha provocato un terremoto identitario per la comunità europea e stimolato spinte sovraniste e populiste in ogni paese.

Pur non parlando mai di una Europa a due velocità è stata descritta una nuova Comunità Europea che indica una strada unica per tutti che però potrà essere percorsa con differente intensità.

Photo Credit: Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT da MAE

Molenbeek, il cuore islamico del Belgio

EUROPA di

“Sono mussulmano ma non condivido ciò che fa Daesh. La gente, soprattutto nella periferia di Bruxelles, non conosce bene l’Islam. E spesso è indotta a credere a tutte le bugie dei media riguardo la mia religione”. A dirlo è Muhammad, giovane venditore ambulante di Molenbeek, comune della regione di Bruxelles ad altissima densità islamica. La barba nera gli copre il mento, non avrà più di vent’anni. Passa la sua giornata vendendo dolci per le strade del quartiere, qui conosce quasi tutti. Gli diciamo che siamo della stampa, e lui sorride beffardo. Ma è uno dei pochi residenti che accetta di parlarci. I giornalisti non sono ben visti dalla pocasa abdeslam 2polazione di Molenbeek. A maggior ragione dopo gli attentati del Bataclan, il 13 novembre 2015, e quelli di Bruxelles, nel marzo 2016, che hanno puntato per settimane i riflettori mediatici su quello che è ritenuto il focolaio del fondamentalismo islamico in Europa. Perché proprio a Molenbeek, tra i palazzoni grigi di edilizia popolare degli anni ’80 che si alternano a costruzioni più eleganti di metà Novecento, sono nati e cresciuti Abdelhamid Abaaoud e i fratelli Abdeslam, parte del commando del Bataclan.

Al mercato multiculturale di Place Communale

E’ venerdì. La Place Communale, sede del municipio, straborda di bancarelle: è il giorno del mercato dove, settimanalmente, si riunisce la cittadinanza. Davanti ai nostri occhi si presenta uno scenario visto e rivisto, tante volte, ma mai in Europa. Non sembra di essere in Belgio, ma di viaggiare in un suk mediorientale. I colori, gli odori, persino le parole ti confondono, all’interno di un turbinio di gente che si muove, quasi all’unisono. Farsi largo tra venditori, clienti, furgoni e banconi risulta difficile. Un intero tratto di Rue de Fiandre, la strada che porta dalla piazza del municipio sino alla chiesa di Sint-Jans, è bloccata dai banconi ricolmi di frutta e verdura. Il mercato è frequentato principalmente da donne, tutte o quasi hanno il capo coperto dall’ hijab. Alla vista della telecamera girano il volto, stizzite. Si vedono pochissimi agenti di polizia in giro. Tra i banchi s’alzano ripetitivi i richiami dei venditori a volte in francese, altre in arabo, che si mescolano alla musica orientaleggiante. “Sono canti di pace”, ironizza un commerciante. Molti venditori, anche se non mussulmani o di origine magrebina, col tempo si sono dovuti adattare alle richieste della maggior parte dei clienti: cibo halal e abiti tradizionalmente in uso tra nordafricani è la merce più venduta. Oltre agli immancabili vestiti “all’occidentale”, che vanno così di moda tra i rappers provetti della periferia. Le statistiche confermano ciò che scriviamo: su undici milioni di abitanti in Belgio, il 7/8% sono di religione islamica (circa 700mila individui), molti dei quali di origine magrebina e di seconda generazione, e quindi con doppia cittadinanza. Tutti loro sono distribuiti in maniera difforme sul territorio, infatti il 23% della popolazione mussulmana si trova a Bruxelles e si divide principalmente tra Molenbeek e Schaerbeek, due dei diciannove municipi che circondano la capitale belga. A Molenbeek, ad esempio, su 80mila abitanti, più di 6 mila sono di origine marocchina.

La falle nel sistema di sicurezza statale: il caso Belgio

mercato 5Le strade strette del mercato sono transennate per impedire il passaggio alle macchine non autorizzate. O almeno così dovrebbe essere, secondo quanto ci dicono dei passanti. Eppure la polizia locale, che controlla l’accesso alle strade, non sembra fare molta distinzione tra veicoli che possono e non possono varcare le barriere. Qualche chiacchera con l’autista e poi lo lasciano passare indisturbato. Così una, due, tre volte, davanti ai nostri occhi. “Molti di loro, soprattutto i venditori, li conosciamo da parecchio, ma è difficile gestire situazioni con così tante persone come il mercato rionale”, ci dicono gli agenti, invitandoci a non riprenderli. La polizia a Molenbeek non è ben vista dalla popolazione. Le falle nella sicurezza belga, a detta degli analisti, hanno garantito vita facile alla proliferazione del terrorismo. Sfociata, poi, negli attentati di Parigi e Bruxelles. Tra polizia locale e federale, ad esempio, non esiste una gerarchia. Infatti, le autorità di polizia locale non sono subordinate a quella federale, sono solo tenute ad inviare regolarmente, e in periodi prestabiliti, a quest’ultima un dossier sulle proprie attività. Tutto ciò crea un problema di coordinamento tra le forze di sicurezza in campo, oltre ad evidenti problemi di comunicazione all’interno degli apparati di sicurezza dello Stato. Tra il 1998 e il 2001, attraverso una riforma, il governo belga ha provato a migliorare i rapporti tra le varie forze di polizia. Così la polizia municipale, la gendarmeria e la polizia giudiziaria sono confluite in una struttura bipartita, composta da polizia locale e federale. Entrambe con competenze differenti. La prima gestita a livello locale dal sindaco, con funzioni di primo intervento. La seconda, a coordinamento statale, con compiti di sicurezza nazionale e prevenzione di reati gravi, tra cui il terrorismo. E questa struttura è ancora oggi in vigore. Appianatosi apparentemente il conflitto tra valloni e fiamminghi, oggi le forze di polizia belga devono fare i conti con forti tensioni sociali che esplodono quotidianamente nei quartieri e municipi multietnici di Bruxelles. Complici, naturalmente, la disoccupazione e l’alto tasso di criminalità. A confermarlo è Annalisa Gadaleta, barese, assessore all’Immigrazione del Comune di Molenbeek “ Ci sono stati casi, in questa zona di Bruxelles, di relazioni tese tra polizia e popolazione – ci dice, accogliendoci nell’elegante atrio del municipio – dovute anche ad un particolare modo di agire della polizia locale che, se deve fare dei controlli ad un magrebino o ad un belga, preferisce perquisire il primo. Su questo versante, il lavoro del comune è importante per far capire alla popolazione che la polizia è presente per garantire la loro sicurezza. Allo stesso tempo, dato che il comune coordina la polizia locale, dobbiamo fare in modo che essa sia autocritica sui propri atteggiamenti errati”

Queste tensioni si respirano da decenni alle porte della capitale belga. Molenbeek su tutte. Il comune è uno dei più colpiti dalla disoccupazione e dalla mancanza di investimenti negli ultimi quarant’anni. Il colpo di grazia è arrivato poi con l’amministrazione del socialista Philippe Moureaux, durata vent’anni dal 1992 al 2012. Il mandato di Moureaux è stato segnato dal primato della multiculturalità nella vita politica comunale: da lui sono stati nominati i primi assessori di origine nordafricana. Durante le legislature sono state promosse politiche di lottizzazione e assistenzialismo, oltre che l’assegnazione di case popolari a famiglie di origine straniera. Questo modello sociale e politico si è rivelato, però, instabile “e la generosità delle casse comunali non ha contribuito a risolvere i problemi sociali e di degrado dell’ex quartiere di Bruxelles”, come ammesso da Hans Vandecandelaere nel saggio In Molenbeek (Berchem, 2014).

Verso il nascondiglio di Salah

mercato 11Superato il mercato ci inoltriamo nelle viuzze del quartiere. E’ mezzogiorno, il sole picchia forte. Alto, si riflette nelle pozzanghere: ha smesso da poco di piovere. Il caldo torna a farsi sentire, ricordandoci che l’estate è da poco iniziata. 650 metri separano il municipio da Rue des Quatre-vents, dove al numero 79 si è nascosto per quattro mesi Salah Abdeslam, il super ricercato attentatore del Bataclan. Facciamo qualche domanda ai vicini, ai negozianti della zona. Nessuno vuole risponderci. Nessuno ha mai visto Salah. “Ora basta. Noi qui vogliamo vivere tranquilli, non ne vogliamo più sapere di questa storia”, sbotta una signora di origine centroafricana, titolare di una farmacia all’angolo del nascondiglio di Salah. Per mesi, forse anni, a Molembeek si è sviluppata una cellula terroristica con a capo Abdelhamid Abaaoud, la mente degli attentatori di Pargi, morto il 18 novembre a Saint-Denis durante uno scontro a fuoco con la polizia francese. “Le persone arrestate a Molenbeek dipendevano tutte da Abaaoud – ci spiega ancora Annalisa Gadaleta – che è nato e cresciuto a Molenbeek, per partire poi in Siria. In seguito è tornato in Belgio per rapire suo fratello di 13 anni, portando anche lui in Medioriente. In quell’occasione mi chiedo come sia stato possibile per le forze di sicurezza non accorgersi di nulla, di un pregiudicato che fa avanti e dietro dal Medioriente. L’intero gruppo di Molenbeek era composto da ex criminali già conosciuti dalla polizia, gente chi qui ha fatto la scuola. Gli stessi Abaaoud e Salah Abdeslam erano stati insieme in prigione nel 2010 per rapina. Tutto ciò è strettamente connesso al tema della radicalizzazione. E devo ammettere che da Molenbeek continuano tutt’ora a partire diverse persone per la Siria”.

“Il 18 marzo, giorno dell’arresto di Salah – continua l’assessore – ci trovavamo tutti nella scuola elementare del quartiere, nei pressi dell’abitazione del terrorista, che era stata scelta dalle forze speciali polizia 5come base per l’irruzione. In quell’occasione c’erano a scuola ancora una sessantina di bambini. Erano, credetemi, momenti drammatici perché ci trovavamo confinati nella scuola, con i bimbi sotto sorveglianza dei militari. C’erano le forze anti-sommossa tutte intorno. Ad un certo punto abbiamo sentito gli spari, i bambini si sono spaventati. Ecco, sembrava di essere in guerra”. Una guerra, quella che combattuta a Molenbeek, non ancora terminata.

Il ruolo delle moschee a Molenbeek

Riguardo la proliferazione del fondamentalismo, soprattutto di matrice wahhabita, è emblematico il ruolo che le moschee giocano sul territorio comunale. “L’influenza delle moschee sui giovani è limitata- dichiara l’assessore Gadaleta – posso affermare che nessun caso di radicalizzazione è avvenuto all’interno di moschee di Molembeek. Il comune ha un dialogo interessante con le istituzioni islamiche e le moschee, li incontriamo regolarmente, e lo scorso maggio, abbiamo promosso l’iniziativa “Moschee a porte aperte” per far vedere alla gente come funzionano questi luoghi di culto e soprattutto quanto sono importanti per il municipio. Eppure, continuano ad esserci moschee che è difficile raggiungere perché ci sono imam che non parlano né francese né fiammingo, quindi il dialogo con le istituzioni diventa difficilissimo”.

di Fabrizio Ciannamea

 

La svolta a destra dell’Argentina

AMERICHE di

I primi sei mesi di presidenza Macri hanno segnato una svolta nella storia dell’Argentina. Dopo 12 anni di governo dei coniugi Kirchner di ispirazione peronista, l’Argentina ha effettuato una netta inversione di rotta sia sotto il profilo della politica interna, che della sua posizione a livello internazionale. Dopo aver vinto le elezioni il 22 novembre 2015, Mauricio Macri ha intrapreso una serie di riforme in netto contrasto con le politiche adottate dai suoi predecessori.

In primo luogo, il governo Macri ha adottato una serie di misure volte ad alleggerire le spese sostenute dallo Stato in campo sociale. Le misure in questione, tra cui l’eliminazione dei sussidi sul prezzo dei trasporti pubblici, sull’energia e la benzina ed il licenziamento di parte dei dipendenti pubblici, hanno sollevato malcontento in buona parte della popolazione. D’altro canto, va sottolineato come il governo abbia ridotto le imposte per le imprese, incentivando le esportazioni dei principali prodotti del Paese: grano, mais, carne, prodotti minerari. Una delle ultime proposte di legge avanzate dal governo riguarda la modifica del sistema elettorale, che andrebbe ad includere la sostituzione del voto cartaceo con quello elettronico. L’intento dichiarato del Presidente è quello di promuovere la modernizzazione e la ripresa economica del Paese. Un’altra misura di importanza storica per il Paese è stato il raggiungimento di un accordo con i creditori esteri per il pagamento dei debiti contratti ed in cambio ottenere nuovamente fiducia sul mercato internazionale in modo da poter ricominciare a finanziarsi emettendo titoli di Stato. A ciò si aggiunge una politica di forte attrazione degli investimenti esteri.

Non vi è dubbio che le misure di riconciliazione con i creditori esteri abbiano avuto un immediato impatto sulle relazioni del Paese sudamericano con Stati Uniti ed Europa. Si è infatti verificato un significativo riavvicinamento con questi Paesi, coronato da una visita ufficiale del Presidente Obama dopo 20 anni di allontanamento tra i due Paesi, ma anche del presidente del consiglio Matteo Renzi, e François Hollande. La nuova collocazione dell’Argentina sul piano internazionale ha incluso un allontanamento dai suoi precedenti alleati: il Venezuela e la Russia. Una delle sfide che si propone di realizzare Macri dal punto di vista della politica estera è quella di rilanciare il Mercosur ed il libero scambio in America Latina, nonché aprire nuove opportunità commerciali verso l’area del Pacifico.

Occorre, tuttavia, menzionare il rapporto di freddezza che si è sviluppato tra il nuovo governo argentino ed il Vaticano, anche se non si tratta di una completa novità rispetto ai precedenti rapporti che Bergoglio intratteneva con i Kirchner. Il 9 giugno l’associazione Scholas Ocurrentes, una fondazione pontificia che ha aperto scuole in Argentina e nel Mondo, ha rifiutato su ordine del Papa di ricevere la donazione di 16 milioni di pesos fatta dal presidente Macri. Il Papa ha motivato il suo rifiuto dicendo che l’associazione deve stare attenta a non cadere nella corruzione. Il gesto compiuto dal Presidente è stato, infatti, interpretato dal Papa come un escamotage per migliorare le relazioni con la Santa Sede. La risposta pubblica di Bergoglio è stata che “Il governo argentino deve far fronte a tante necessità del popolo, così che i dirigenti della fondazione non sono in diritto di chiedergli nemmeno un centesimo”. La Casa Rosada è rimasta stupita visto che la cifra era stata richiesta dalla stessa fondazione per far fronte a delle spese amministrative. Macri ha inoltre evidenziato come il sostegno a Scholas Ocurrentes sia stata una linea comune al precedente governo di Cristina Fernández de Kirchner. Il Papa sembra piuttosto aver voluto lanciare un messaggio al Presidente sul fatto che le loro relazioni potranno migliorare se questi adotterà un altro tipo di approccio fondato sul dialogo e sull’attenzione alle necessità delle classi più deboli del Paese.

La svolta dell’Argentina si inserisce in un più ampio contesto latinoamericano che sembra preannunciare la fine della stagione dei governi socialisti che hanno avuto largo sostegno dall’inizio degli anni 2000. Il governo argentino non potrà in ogni caso rinnegare totalmente il lascito del Kirchnerismo e la volontà del popolo di non rinunciare alle importanti conquiste sociali ottenute nell’ultimo decennio.

 

di Elena Saroni

Redazione
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