GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Medioriente – il Nuovo Mondo del terzo millennio

Recentemente, nell’ambito di una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU nella quale dovevano essere discussi i termini per l’invio di ulteriori aiuti umanitari a favore delle aree colpite dal terremoto, che ha devastato la zona di confine tra Turchia e Siria, la Russia ha esercitato il diritto di veto bloccando, di fatto, l’approvazione della risoluzione. La scelta, da parte del rappresentante russo, di opporsi all’adozione di una misura tendente ad alleviare lo stato di crisi che caratterizza la regione conferma il supporto di Mosca alla linea politica siriana, la quale ritiene che la distribuzione, imparziale e non soggetta a controlli degli aiuti, possa favorire le fazioni politiche che contrastano il regime di Assad nella regione settentrionale del Paese.

L’eccezionalità del fatto in argomento non risiede nell’esercizio del diritto di veto da parte russa, ma nella reiterazione, in sede ONU per la diciassettesima volta nell’arco di pochi anni, di un comportamento a favore e a sostegno del regime siriano effettuata dalla Russia.

La chiave di lettura per comprendere le azioni di Mosca risiede nella impostazione della visione geostrategica russa che prevede l’espansione e il consolidamento dell’influenza del paese secondo una visione globale non eurocentrica, mirata a proporre e supportare il ruolo della Russia di grande potenza.

Nell’area particolare del Medio Oriente la Russia segue ormai da tempo una linea strategica che propone Mosca come partner politico privilegiato in grado di offrire supporto e collaborazione nell’ambito di un sistema di scambi non vincolato a una condivisione pregiudiziale di vincoli culturali o etici. Inoltre, si è dimostrata pronta a inserirsi in tutte quelle aree dove la presenza USA è meno forte o dove l’interesse americano sembra essersi affievolito.

La scelta che Russia e Cina hanno fatto di investire politicamente nell’area mediorientale e, nella sua visione più ampia nei Paesi del MENA, valutando questo come il teatro critico nel quale svolgere un ruolo determinante a livello geopolitico per il consolidamento del ruolo di potenza globale, deriva dal profondo mutamento che è in corso nell’area.

Arabia Saudita, Emirati, Qatar, Oman, Kuwait, Bahrain, Siria, Iran, Iraq, Turchia, Israele, Libano, Giordania, Yemen non c’è Stato che recentemente non sia impegnato in un processo di revisione delle strategie per il conseguimento dei propri interessi nazionali che ha sconvolto lo statu quo che aveva caratterizzato l’area per decenni.

Le caratteristiche dello scenario strategico che stanno mutando non riguardano solamente la necessità di riconvertire, in un futuro più o meno imminente, economie basate sul petrolio, ma investono, soprattutto, la collocazione geopolitica che questi Paesi avranno nel contesto globale.

Il Medio Oriente, infatti, rappresenta la fascia avanzata di quel Global Sud che si vuole affacciare allo scenario internazionale da protagonista, ne ha le potenzialità, i mezzi e la volontà.

Gli eventi politici che hanno radicalmente mutato lo scenario sono stati caratterizzati da due fattori fondamentali.

Il primo riguarda l’ingresso della Cina e della Russia (per quest’ultima si può parlare di ritorno in alcuni casi) nel contesto geostrategico mediorientale come sostenitori di un nuovo ordine di rapporti, svincolato dalla ossessiva ricerca della condivisione/imposizione di concetti e di valori culturali ma basato sia sul conseguimento di benefici comuni e sul soddisfacimento di reciproci interessi locali, sia sulla ricerca di rapporti diretti bilaterali che escludono la creazione di coalizioni o alleanze limitative e con rapporto di subordinazione. L’azione di Pechino e Mosca è stata facilitata dalla generale perdita di fiducia nelle capacità degli USA di svolgere il ruolo di garante della sicurezza e di potenza equilibratrice dovuto alla ondivagante e ambigua politica estera che dall’amministrazione Obama in poi ha contraddistinto l’azione di Washington.

Il secondo fattore, invece, è rappresentato dalla progressiva transizione verso una multipolarità dello scenario internazionale, caratterizzata non solo dalla presenza di attori con prerogative globali (in essere o in divenire) che hanno affiancato protagonisti del vecchio ordine USA e Russia, come Cina, India, Brasile Sud Africa, Giappone, ma anche dalla nascita di una serie di medie potenze a carattere regionale in grado di svolgere un ruolo importante e decisivo per il mantenimento di un equilibrio non solo locale, ma complessivo.

In quest’ottica deve essere esaminato il processo di sviluppo geopolitico in atto nell’area in argomento. Gli esempi sono molteplici e riguardano tutta la regione. Come riferimento basti osservare casi emblematici di questa evoluzione geostrategica.

La Turchia, membro della NATO ma ostracizzata per l’ingresso nell’Unione Europea, persegue una politica in bilico tra Est e Ovest le cui attività vanno da una forte e consolidata presenza nel Mediterraneo alla più diretta azione nelle crisi siriana, libica e caucasica, al fine di conseguire lo status di potenza regionale.

L’Arabia Saudita, alleato storico degli USA sta riconsiderando i termini di questa partnership, mentre sta costruendo il futuro del post petrolio sconvolgendo il proprio sistema sociale e culturale.

Recentemente ha intessuto una serie di rapporti diplomatici con i nemici di sempre (Iran e Yemen) a vantaggio di interessi specifici e con l’intento di proporre il Paese come elemento di equilibrio geopolitico nell’area.

Israele che, nonostante le mutazioni del sistema sociale interno stiano scuotendo le fondamenta della sua democrazia, dimostra una proattività diplomatica volta al difficile processo del suo definito riconoscimento e alla costruzione di una cornice di sicurezza anti-iraniana adottando una politica di concessioni e accordi anche senza l’egida USA.

L’Iran, che nonostante abbia avviato un processo di normalizzazione diplomatica con l’Arabia Saudita, continua a supportare le organizzazioni estremistiche della regione (Libano, Yemen, Siria) e a estendere la sua influenza sull’Iraq. Se, internamente, la necessità di reprimere le proteste popolari ha favorito la scalata a posizioni di potere dell’ala militare del regime che sta perseguendo un processo di miglioramento ed espansione dello strumento militare, di cui il nucleare sembra essere il punto di arrivo, dal punto di vista delle relazioni estere il progressivo avvicinamento all’orbita russo-cinese evidenzia il distacco da una politica di equidistanza e la volontà di essere supportata nella sua crociata anti USA.

L’Oman che si è ritagliato un ruolo particolare dal punto di vista diplomatico identificandosi come la risorsa ideale per mediare situazioni apparentemente inconciliabili e pervenire alla stipulazione di accordi politici di fondamentale portata. Gli accordi tra gli USA e i Talebani e il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita sono solo due dei successi che la diplomazia omanita ha reso possibile.

Non solo, in tutti i Paesi del Medioriente sono in via di sviluppo politiche e strategie tendenti a cambiare l’assetto della regione e a conferire maggior peso specifico all’area. Anche la rivitalizzazione della Lega Araba che ha ultimamente posto le condizioni per riammettere la Siria nell’ambito dell’organizzazione dimostra la volontà di cambiare la situazione.

Un ultimo indicatore è rappresentato dalla volontà di trasformare la regione da un’area di sfruttamento delle risorse naturali a un polo di attrazione di investimenti e di capitali verso un settore terziario che ha conosciuto un’esplosione senza limiti nell’ultimo decennio: creazione delle premesse per il turismo di massa e organizzazione di eventi culturali e sportivi a livello mondiale costituiscono solo la punta di un iceberg che non rimane circoscritto all’area locale ma prevede l’espansione verso una sorta di conquista del monopolio occidentale in questi settori (su tutti si deve considerare la scalata al mondo del calcio e la conquista del circuito golfistico americano).

Cina e Russia (e India recentemente) sono visti come partner, magari non del tutto affidabili e anche pericolosi, ma necessari per conseguire gli obiettivi nazionali dai Paesi dell’area, in quanto non essendo il loro approccio basato sulla richiesta di adesione a valori sociali e morali, consentono lo stabilirsi di rapporti esclusivamente di interesse finanziario e commerciale, che non necessariamente sfociano in alleanze.

Ritornando al veto della Russia in sede di Consiglio di Sicurezza, appare, quindi, palese che Mosca sia pure in difficoltà per gli sviluppi della crisi ucraina ragiona e opera in termini di grande potenza. La proattività di Mosca, diretta o indiretta, in Asia e in Africa, continua a contraddistinguere la sua azione diplomatico politica aprendo nuove finestre di opportunità per la sua affermazione quale protagonista critico nella trasformazione in atto nello scenario mondiale.

Nonostante la nostra cieca e ipocrita narrative di una Russia impegnata nel resuscitare la Guerra Fredda la realtà e ben diversa. Mosca ha una visione globale che ha noi Occidente manca del tutto.

La volontà di rivalsa dei paesi dell’Europa dell’Est e del Baltico nei confronti della Russia sta legando l’Europa a un passato che ormai è remoto, impedendogli di dedicare le risorse e le capacità di cui è in possesso per affrontare con successo il cambiamento che è in atto nel sistema delle relazioni mondiali.

La sfida che dobbiamo affrontare viene dal Sud del mondo e non da un anacronistico conflitto EST -OVEST!

Dobbiamo renderci conto che la Guerra Fredda e l’esotismo delle gesta di Lawrence d’Arabia appartengono al passato, sono mondi che non possiamo resuscitare e che non ci appartengono più. Il futuro dell’Occidente non è assicurato dall’espansione globale della NATO (il cui Segretario Generale ha perso il senso della misura invocando interessi asiatici dell’Alleanza!) e neppure dalla crociate in difesa di concetti e valori di cui ci riempiano la bocca ma che spesso calpestiamo per gli interessi personali!

Il processo di sviluppo che sta avendo luogo nel Medioriente, (e di riflesso nell’Africa), rappresenta la chiave di volta del mondo che verrà. Questo la Russia lo ha capito bene e ha indirizzato le sue scelte geopolitiche coerentemente, l’Occidente invece si ostina a vivere nel passato prigioniero di vestigia imperiali oramai defunte e di rancori atavici nordeuropei verso l’Orso Russo.

Ben vengano, quindi le iniziative del nostro Paese verso questo Nuovo Mondo, che sembra aver ritrovato la via per perseguire interessi strategici nazionali orientando la nostra diplomazia al di là del Mediterraneo.

L’Occidente è vittima di se stesso

EST EUROPA/Europe di

 

L’evoluzione della crisi ucraina, iniziata nel 2014, sta procedendo a seguito del recente riconoscimento da parte di Mosca delle Repubbliche separatiste del Donbass, Donetsk e Lugansk, con l’attuazione di una operazione militare condotta da forze russe che, originariamente iniziata con lo scopo di sostenere i separatisti filorussi di queste due aree, si è evoluta portando le truppe russe nei sobborghi della capitale dell’Ucraina.

Questo sviluppo della crisi non può essere considerato come un avvenimento a sé stante, ma deve essere inserito, quale passo intermedio, nel contesto generale del perseguimento di una visione strategica, sviluppata dalla Russia alla fine degli anni Novanta, volta a riottenere il ruolo e il riconoscimento di grande potenza.

Il fine strategico di Mosca non appare, quindi, quello preconizzato e sostenuto dai media occidentali di invadere l’Ucraina e annettersi il paese, quasi si trattasse di una partita a Risiko, con obiettivo dichiarato di ricostituire la Russia degli Zar.

La decisione russa di puntare su Kiev è motivata, presumibilmente, dalla necessità di provocare uno scossone politico capace di screditare la dirigenza ucraina, provocando un possibile cambio di regime, delegittimando il presidente in carica al fine di creare le premesse per un governo più filorusso.

Che questo possibile scenario possa concretizzarsi resta da dimostrare e al momento appare quantomeno, improbabile che tale disegno strategico possa essere coronato da successo.

Ciò che è importante realizzare, invece, è il reale obiettivo che ha spinto la Russia a intraprendere questa operazione militare.

Il fine di Mosca è quello di impegnare l’Occidente, vincolandolo a impiegare le sue risorse e le sue energie nell’ambito di uno scacchiere di secondaria importanza geopolitica, impedendo che USA ed Europa, uniti, possano ricoprire il ruolo del terzo protagonista nella gestione del nuovo scenario internazionale, costituito dagli scacchieri africano e indo – pacifico uniti dalla cerniera del Medio Oriente, che vede Cina e Russia protagonisti a tutto campo in una competizione velata di un falso fair play.

L’attrito tra la Russia e l’Ucraina, creato ad arte da un regime, quello ucraino (che vale la pena di ricordare di democratico ha molto poco, ma che ha saputo usare argomenti come democrazia, libertà individuali e diritti universali tanto cari al campo progressista occidentale), per cercare di ottenere il massimo appoggiandosi al miglior offerente, è stato usato da Mosca per coinvolgere USA ed Europa in uno scenario ideale per mettere sotto pressione sia la tenuta dei rapporti tra i partner occidentali, sia per consolidare il riconoscimento di un nuovo ruolo da protagonista sul piano internazionale, che il nazionalismo russo reclama e insegue.

L’ironia della situazione è rappresentata dal fatto che nel perseguire questo obiettivo la Russia non ha fatto altro che utilizzare gli strumenti diplomatici che l’Occidente ritiene essere una sua prerogativa e sui quali si basa come cardine della sua politica estera, facendoli propri e rigirandoli contro di noi.

Se per un attimo alziamo lo sguardo e ci asteniamo da valutazioni superficiali e utopistico progressiste sul presunto riconoscimento universale dei nostri valori culturali, possiamo vedere quali siano le modalità usate da Mosca nella creazione e nella gestione dell’attuale crisi.

Il concetto fondamentale sostenuto dalla Russia è stato quello che l’ipotesi dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO metta in discussione le garanzie di sicurezza dei propri confini, aumentando la sensazione di minaccia provocata dall’ulteriore presenza di un paese confinante a lei ostile.

Tale visione riprende, esattamente invertendolo, il concetto strategico sviluppato dalla NATO stessa, che sulla base della ricerca della sua sicurezza, tende, sostanzialmente a privilegiare, ancora, il suo fianco Est, in un ridicolo revival della guerra fredda, stimolato sia dalla paura dell’Orso (e dalla necessità di investimenti per le proprie economie traballanti) proprio dei membri dell’area baltico – orientale, sia dalla particolare ritrosia che i membri nordeuropei hanno nel considerare, per l’Alleanza, scenari lontani dal cortile di casa loro, fattori che vengono ampiamente sfruttati per vincolare le scelte strategiche della NATO.

Inevitabilmente, per il fianco Est della NATO la Russia rimane il nemico da cui proteggersi e da contrastare!

Questo insieme di fattori è stato abilmente sfruttato dalla Russia con la richiesta inviata agli USA di bloccare l’ipotesi dell’accesso della Ucraina nella NATO e di procedere a una smilitarizzazione dei Paesi ex URSS entrati nella NATO, ben sapendo che sarebbe stata rigettata, come offensiva, sulla base dell’applicazione del solito concetto della libera e democratica adesione a un’organizzazione blasonata e indispensabile come la NATO.

Il mancato riconoscimento, da parte occidentale, della necessità russa di ottenere sufficienti garanzie sulla sicurezza dei propri confini, ha suscitato la provocazione di Mosca, che ha provveduto a schierare un robusto (ma non certo idoneo a una invasione in piena regola) dispositivo militare ai confini dell’Ucraina e in Bielorussia (che, per inciso, è stata costretta obtorto collo a partecipare mediante una serie di ricatti economici, neanche tanto velati, che però non hanno scatenato alcun tipo di reazione scandalizzata in Occidente!) per dimostrare la propria volontà di influenzare la politica ucraina verso una posizione meno antirussa, agitando contemporaneamente lo spauracchio di una guerra che avrebbe coinvolto un’Europa disunita e poco vogliosa di impegnarsi, se non a parole.

La reazione da parte occidentale, che si è sviluppata secondo un copione prevedibile e abbastanza scontato, ha consentito alla Russia di trovare delle ulteriori giustificazioni nel sostenere la sua posizione.

Dichiarazioni roboanti, ma prive di sostanza, da parte del Segretario generale della NATO, che hanno evidenziato la mancanza di coordinamento effettivo tra i membri della NATO.

Alzata di scudi delle Repubbliche Baltiche e della Polonia alla perenne ricerca di una vendetta contro l’arcinemico storico russo.

Pletora di iniziative diplomatiche, senza collegamento e prive di coordinamento, dove l’infantile ego nazionalista di Francia e Germania ha ritenuto come indispensabile il loro coinvolgimento quali mediatori di una supposta querelle tra Russia e USA, con processione di attori minori e deuteragonisti senza spessore alla corte di Putin nell’illusione di ottenere un qualsiasi riconoscimento di un possibile ruolo nelle trattative diplomatiche in corso.

Invio di sparuti contingenti militari nazionali (della decantata NRF, Nato Response Force, neppure l’ombra!), di armamenti e di materiali tecnici in Ucraina e Paesi limitrofi per rafforzare la credibilità di una volontà mancante di impegnarsi a contrastare con la forza una eventuale invasione.

Il tutto sostenuto da una campagna mediatica occidentale che preconizzava situazioni catastrofiche, con sedicenti esperti che stabilivano addirittura il giorno dell’invasione, i cui toni apocalittici hanno sfiorato il ridicolo, a completo vantaggio dell’azione russa.

Nel contesto generale la diplomazia di Mosca ha conseguito altri due risultati di spicco.

Il primo, la dichiarazione congiunta con la Cina che attribuisce agli USA il ruolo di nuovo Impero del Male.

Il secondo è stato quello di insinuarsi ulteriormente nelle crepe del blocco dei Paesi dell’Unione, aumentando il sospetto reciproco, proponendo e stringendo accordi commerciali con alcuni di loro, per forniture energetiche, facendo leva sulle necessità di esigenze nazionali specifiche.

Allo stato attuale delle cose, gli sviluppi e la gestione della crisi ucraina fanno sì che Mosca possa considerare il bilancio assolutamente positivo per i suoi fini strategici.

A questo punto è necessario esaminare quale sia, invece, il bilancio che noi, USA ed Europa, possiamo trarre sulla base dei risultati sino a ora conseguiti.

Dall’analisi dei risultati ottenuti, i seguenti fattori appaiono evidenti nella loro sconcertante realtà.

Il primo: gli Stati Uniti non hanno ancora riconfigurato la loro politica con una visione globale degna di una grande potenza e sono alla disperata ricerca di una leadership interna che non sia accecata da una impostazione Politically Correct progressista, universalista e sognatrice priva di qualsiasi strategia in grado di essere vincente.

Il secondo fattore riguarda la NATO, che ormai non è più quell’organismo costruito per produrre una politica di difesa e di deterrenza, ma sembra sempre più una specie di club al quale si deve appartenere per ricevere sicurezza e aiuti ma senza impegnarsi più di tanto, delegando il peso sul membro più grande e più facoltoso, ma discutendone ogni sua azione e astenendosi dal partecipare attivamente accampando prioritari interessi nazionali.

Forse la NATO sarebbe dovuta rimanere quella che era alla fine della guerra fredda limitandosi nella smania di ammettere nuovi membri al club, che ne hanno snaturato caratteristiche e processi procedurali.

Il terzo fattore riguarda inevitabilmente l’Unione Europea, che ancora una volta ha dimostrato il totale fallimento del suo principio costitutivo, rivelandosi non più di una unione economica (e parzialmente monetaria), aperta a tutti senza nessuna considerazione di ruoli ed efficacia, priva di una qualsiasi struttura politica in grado di prendere decisioni, senza una parvenza di strategia di politica estera, incapace di poter esprimere un ruolo politico nell’ambito di uno scenario internazionale complesso, difficile e multiforme come quello attuale.

L’Unione Europea è come un meccanismo perfetto i cui ingranaggi hanno perso la consapevolezza di appartenere a un organismo unico e lavorano in proprio, dove l’intraprendenza di Francia e Germania, e la loro convinzione di essere legittimati a proiettare un’immagine nazionale al di fuori del contesto europeo, vanificano il conseguimento di un qualsiasi fronte comune nelle scelte del sistema, relegando le imponenti Istituzioni Europee a ruolo di comparse senza valore in campo internazionale, come si sono rivelati la Commissione Europea o il Rappresentante delle Politiche di Sicurezza e Difesa (è naturale che poi la Commissione si impegni nel redigere il vademecum per definire la formula politically correct per gli auguri di Natale!!!!!!)

L’Europa dell’Unione è costituita da Paesi prigionieri delle loro stesse conquiste nel campo dei diritti e delle istituzioni libere e democratiche da loro create nella loro storia.

La presunzione che i nostri valori siano universali e che le nostre istituzioni siano le migliori ci porta a non considerare gli altri sistemi per quello che sono, impedendoci di affrontare le sfide geopolitiche che un mondo uscito cambiato dalla fine del secondo millennio ci propone e ci chiama a sostenere.

L’errore che Europa e NATO stanno commettendo adesso è quello di ripercorre una strada già percorsa, che è arrivata al suo capolinea.

La riproposizione di una nuova guerra fredda, dove abbiamo riprodotto un nemico chiaro e identificabile in una Russia, erede di una entità politica morta e sepolta, che noi vogliamo a tutti costi resuscitare, è sicuramente piacevole e ci offre una comfort zone sicura, conosciuta e rassicurante dalla quale non vogliamo uscire perché non siamo in grado di accettare il confronto con un altro ben agguerrito e pericoloso avversario del quale stentiamo a comprenderne sia la filosofia, sia la storia sia i caratteri e i valori che definiscono la struttura della sua società, ma che accettiamo come partner commerciale perché finanzia tutto.

L’attuale esperienza della crisi ucraina dovrebbe essere usata per dare l’avvio a un momento particolare di riflessione da parte dell’Occidente, che dovrebbe avere il coraggio di interrogarsi per rivedere se i valori che ne hanno definito la sua storia siano realmente quelli che la nostra società realmente mette in atto.

La riflessione deve accertare se questi valori sono ancora i cardini della nostra società occidentale; se sono ancora attuali e validi, allora, se vogliano sostenerli e proporli, dobbiamo cambiare completamente il nostro approccio alle dinamiche internazionali, adottando una visione geopolitica unitaria e condivisa, che faccia a meno di individualismi da prime donne, e che veda l’impegno di tutti i Paesi senza che nessuno si nasconda, godendo dei frutti coltivati agli altri.

Se questa riflessione non sarà fatta allora il nostro mondo sarà sempre più marginale e il nostro sistema di valori perderà quell’appeal che ne ha condizionato la storia.

Mentre da noi si discuterà se il Principe Azzurro può baciare la Bella Addormentata senza essere considerato un sessista, nel resto del mondo si scriveranno le regole per un nuovo ordine mondiale che ci verranno imposte da seguire.

Libia-UE: Malta si ritira dall’Operazione Irini

AFRICA di

Il Governo di Malta ha comunicato alla Commissione Europea la propria volontà di ritirarsi dalla nuova missione europea nel Mediterraneo nota come Operazione Irini, dal nome della dea greca della Pace.

La decisione, annunciata venerdì 8 maggio, giunge come atto di protesta da parte di La Valletta nei confronti del fallimento dell’Unione nella gestione dei flussi migratori provenienti dalla Libia, soprattutto a seguito dell’inasprimento del conflitto nel Paese nordafricano.

Nel comunicato inviato alla Commissione UE, Malta dichiara la sofferenza del Paese per l’assenza di un quadro di ricollocazione dei migranti “che condivida la responsabilità delle persone soccorse in mare tra tutti gli Stati membri dell’UE”. Il Governo maltese, citando un aumento del 428% degli sbarchi, accusa l’Unione di aver lasciato sole l’Italia e Malta nell’affrontare e gestire gli sbarchi di migliaia di migranti.

L’avvio della missione UE in questione era stato approvato all’unanimità il 17 febbraio scorso, in occasione del Consiglio dei ministri degli Esteri dell’UE, con il mandato di garantire il rispetto dell’embargo di armi imposto dalle Nazioni Unite in Libia, da anni ormai teatro di una guerra civile.

L’Operazione aveva avviato i primi pattugliamenti in mare solo il 7 maggio scorso, a seguito dell’invio di una nave militare francese e di un velivolo da pattugliamento aereo da parte del Lussemburgo.

In questo contesto, quindi, la decisione di Malta rappresenta un duro imprevisto per l’Operazione Irini e, di conseguenza, per la garanzia di un effettivo rispetto dell’embargo.

Nel comunicato inviato alla Commissione UE, inoltre, La Valletta comunica al Comitato speciale Athena la propria volontà di apporre un veto sulle decisioni relative ad Irini che riguardino le procedure di spesa per lo sbarco dei migranti, le deviazioni dei porti e l’ammissibilità dei droni.

Il portavoce della Commissione Peter Stano ha rifiutato di commentare direttamente la decisione di Malta, affermando che la missione “è un esempio concreto di come l’UE voglia contribuire ad una soluzione pacifica del conflitto in Libia”.

Ad oggi, tuttavia, dopo il dietrofront di Malta e la recente bocciatura dell’operazione da parte dello stesso Premier libico al-Serraj, il futuro della missione post-Sophia appare ancora più incerto.

UE – Vietnam, approvato l’accordo di libero scambio

EUROPA di

Il parlamento europeo ha approvato l’accordo di libero scambio UE-Vietnam: questo eliminerà quasi tutti i dazi doganali, include norme vincolanti su clima, lavoro e diritti umani ed è un vero e proprio passo avanti verso il commercio interregionale con il Sud-Est asiatico.

L’approvazione in Parlamento

“L’accordo più moderno e ambizioso mai concluso tra l’UE e un paese in via di sviluppo” ha ottenuto l’approvazione del Parlamento mercoledì 13 febbraio 2020. Con 401 voti a favore, 192 contrari e 40 astensioni, è stato adottato l’accordo con il Vietnam, accompagnato da una seconda risoluzione – di accompagnamento – anch’essa adottata con 416 voti favorevoli, 187 contrari e 44 astensioni. L’obiettivo è di contribuire a fissare gli standard commerciali nella regione ASEAN e di portare ad un probabile futuro accordo multilaterale di commercio e investimenti. Il Parlamento europeo considera l’accordo “un forte messaggio a favore di un commercio libero, equo e reciproco, in un periodo segnato da crescenti tendenze protezionistiche e da importanti sfide per il commercio multilaterale basato su norme”.

Anche la Commissione europea si ritiene soddisfatta per questi accordi: “L’accordo UE-Vietnam ha un enorme potenziale economico di cui beneficeranno i consumatori, i lavoratori, gli agricoltori e le imprese e non si tratta di meri vantaggi economici. Dimostra che la politica commerciale può fungere da catalizzatore di progresso”, ha osservato Hogan, il Commissario per il Commercio.

Il contesto

L’Unione europea e il Vietnam hanno firmato un accordo commerciale e un accordo sulla protezione degli investimenti il 30 giugno 2019. Gli accordi sono stati presentati dalla parte vietnamita all’Assemblea nazionale per la ratifica, e dalla parte dell’UE al Parlamento europeo per il suo consenso, nonché ai rispettivi parlamenti nazionali degli Stati membri dell’UE nel caso dell’accordo sulla protezione degli investimenti. Il Vietnam è il sedicesimo partner commerciale dell’UE per le merci e il secondo partner commerciale dell’UE nell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN). Le principali esportazioni dell’UE verso il Vietnam sono prodotti ad alta tecnologia, compresi macchinari e attrezzature elettrici, aeromobili, veicoli e prodotti farmaceutici. Le principali esportazioni del Vietnam verso l’UE sono apparecchi telefonici, prodotti elettronici, calzature, tessuti e abbigliamento, caffè, riso, frutti di mare e mobili. Con uno stock totale di investimenti esteri diretti pari a 6,1 miliardi di euro (2017), l’UE è uno dei maggiori investitori stranieri in Vietnam. Il più grande settore di investimento da parte dell’UE è la lavorazione e la produzione industriale.

L’accordo

I negoziati commerciali e di investimento bilaterali con il Vietnam sono stati avviati nel 2012 e completati nel 2018. Gli accordi con il Vietnam sono i secondi (a seguito di quelli con Singapore) conclusi tra l’UE e un paese del sud-est asiatico e rappresentano un punto d’inizio per un maggiore impegno tra l’UE e la regione. Gli accordi commerciali e di investimento sviluppano la dimensione commerciale delle relazioni bilaterali tra l’UE e il Vietnam che trovano le loro basi e sono regolate dall’accordo quadro UE-Vietnam su partenariato e cooperazione (APC) entrato in vigore nell’ottobre 2016. L’accordo approvato dal Parlamento europeo eliminerà quasi la totalità dei dazi doganali tra le parti nei prossimi dieci anni, tempo che il Vietnam ha a disposizione, anche per ciò che riguarda i prodotti europei di esportazione verso il Paese. I servizi quali banche, trasporto marittimo e le poste sono compresi nell’estensione dell’accordo, e inoltre le imprese europee potranno partecipare a gare di appalto pubbliche del governo vietnamita.

Elementi innovativi e positivi dell’accordo sono la tutela ambientale, agendo per la conservazione e gestione sostenibile della fauna selvatica, della biodiversità, della silvicoltura e della pesca; il sostegno del progresso sociale in Vietnam e la tutela dei diritti dei lavoratori. L’accordo prevede inoltre il rispetto e l’applicazione dell’accordo di Parigi e l’approvazione dei progetti di legge sull’abolizione del lavoro forzato e sulla libertà di associazione, entro il 2020 e 2023, con la ratifica delle otto convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro, per rispettare, promuovere ed attuare in modo efficace i principi dell’ILO in materia di diritti fondamentali. Fondamentale è anche la clausola di sospensione dell’accordo in caso di violazione dei diritti umani.

Il testo dell’accordo commerciale entrerà in vigore una volta che il Consiglio concluderà l’accordo commerciale e le parti chiuderanno le procedure, mentre per l’accordo sulla protezione degli investimenti si dovrà aspettare la ratifica di parlamenti degli Stati membri dell’UE: Una volta ratificato, andrà a sostituire gli accordi bilaterali in materia di investimenti attualmente in vigore tra 21 Stati membri dell’UE e il Vietnam.

Patto di Stabilità, al via la revisione in Commissione europea

EUROPA di

La Commissione europea ha dato il via alla revisione del Patto di Stabilità e Crescita attraverso un riesame della governance economica, presentando un documento per aprire il dibattito con gli Stati membri: “Rivedere le regole UE che fissano i vincoli per i conti pubblici dei Paesi dell’Eurozona” è uno degli obiettivi principali, mantenendo un equilibrio tra stabilità e investimenti.

L’analisi della Commissione

A seguito delle misure adottate dall’Unione Europea per far fronte alla crisi 2007-2008, si è resa necessaria la periodica revisione e la sorveglianza del bilancio nell’ambito del patto di stabilità e crescita. Il Six-pack e il Two-pack prevedono che la Commissione riveda e riferisca sull’applicazione della legislazione ogni cinque anni. Da quando sono state introdotte le regole principali dell’economia europea il mondo è cambiato, così come il contesto economico: c’è dunque bisogno di una semplificazione per Bruxelles, anche in vista della comprensione dei cittadini; allo stesso tempo, anche l’inizio di un nuovo ciclo politico a livello europeo è un momento opportuno per valutare l’efficacia delle norme attuali.

Il 5 febbraio 2020 La Commissione ha presentato una comunicazione che esamina il quadro di governance economica dell’UE, basandosi su tre obiettivi: “garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche e della crescita economica evitando squilibri macroeconomici; consentire un maggiore coordinamento delle politiche economiche e promuovere la convergenza dei risultati economici degli Stati membri”. La comunicazione stabilisce inoltre come la Commissione intende consultare le parti interessate per ricevere le loro opinioni sul funzionamento del quadro economico finora e sui possibili modi per migliorarne l’efficacia. In realtà, la commissione europea non dà indicazioni sul futuro ma si limita ad analizzare gli ultimi anni: ciò che è emerso è che alcuni Paesi hanno un debito elevato e vi sono bassi livelli di investimenti. Allo stesso tempo, vi è stata una convergenza duratura dei risultati economici degli Stati membri e un coordinamento più stretto delle politiche di bilancio nella zona euro.

Senz’altro, si può affermare che il quadro di bilancio è diventato eccessivamente complesso a causa della necessità di tener conto di un’ampia gamma di circostanze in continua evoluzione; questa complessità ha reso il quadro meno trasparente e prevedibile.

Il dibattito

Un momento fondamentale è stato senz’altro il riconoscimento dell’importanza del dibattito inclusivo tra gli attori coinvolti, poiché per la Commissione europea “è fondamentale che tra tutti i principali portatori d’interessi vi sia un grado di consenso e di fiducia ampio, perché la sorveglianza economica nell’UE sia efficace”. Tutti i portatori di interesse – le altre istituzioni europee, le autorità nazionali, le parti sociali e il mondo accademico – sono stati invitati a partecipare ad un dibattito per esprimere il loro parere sul quadro di governance economica, se questo abbia funzionato o meno e su come rafforzarne l’efficacia.

Data la molteplicità degli attori, il dibattito si articolerà in diverse forme, quali riunioni dedicate, seminari, una piattaforma di consultazione online. Entro la fine del 2020, la Commissione concluderà il processo considerando i pareri di ogni gruppo interessato, e basandosi sulle conclusioni di ognuno di questi.

Argomento delicato sarà l’obiettivo di Ursula von der Leyen, il piano decennale da 1,000 miliardi di euro per raggiungere la neutralità climatica: questo si dovrà conciliare con la promozione degli investimenti e con il sostegno all’economia. Il dibattito servirà anche a comprendere come far quadrare tutti questi aspetti fondamentali da portare avanti.

Le dichiarazioni

Valdis Dombrovskis, Vicepresidente esecutivo per Un’economia al servizio delle persone, ha dichiarato: “Le nostre regole di bilancio condivise sono fondamentali per la stabilità delle nostre economie e della zona euro. Garantire la stabilità finanziaria è un requisito essenziale per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro.” Tuttavia, riconoscendo la complessità delle regole e la difficoltà nel comunicarle, Dombrovskis aggiunge che “auspichiamo una discussione aperta su ciò che ha funzionato e ciò che non ha funzionato, e sul modo di creare consenso per razionalizzare le regole e renderle ancora più efficaci”.

Paolo Gentiloni, Commissario per l’Economia, ha aggiunto che “le politiche economiche in Europa devono affrontare le sfide odierne, che sono palesemente diverse da quelle di un decennio fa. La stabilità resta un obiettivo essenziale, ma vi è l’altrettanto urgente necessità di sostenere la crescita e in particolare di mobilitare gli enormi investimenti che servono per affrontare i cambiamenti climatici. Dobbiamo inoltre elaborare politiche di bilancio più anticicliche, tenuto conto dei vincoli crescenti con cui deve confrontarsi la BCE”.

NATO and EU mustn’t allow Balkans to be Europe’s “soft underbelly”

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DPS leader Milo Djukanovic said in an interview with the Austrian national television ORF That Montenegro’s entry into NATO and the admissions procedures in the European Union are steps to be done with fairness and prudence, accompanying these important changes by introducing new reforms. With respect to NATO, he said he was happy that there could be place in the world for the promotion of European values; In the matter of European Union, he believes that EU membership can contribute to and strengthen stability in the Balkans. He also said that the European Union supports the governments in the Balkans that are in favor of the EU itself. This can give legitimacy to these governments and avoid the emergence of centrifugal forces.

Vucic responded to Thaci's "provocation"

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After the Kosovo president addressed the gathering and said, among other things, that Serbia is “not ready for the EU because it does not recognize Kosovo”. Thaci also repeated a statement he made in during an interview last week – namely, that he “cannot imaging the EU accepting Serbia as a member before Kosovo.” But “You got your independence after NATO’s aggression, without a referendum, and not everyone has recognized you”, Vucic told Thaci according to the report, and continued: “Five EU countries have still not recognized you. You are not an independent state to us. And you are not listening what Serbia is saying, and say that we don’t have a European approach because we won’t recognize Kosovo. Unlike you who are making that person a candidate for prime minister… I said it in the assembly that Serbia must give up on its myths, for the sake of the future of not only Serbs, but also Albanians in Kosovo and Metohija”. “Your problem is that you don’t even know how to accept an extended hand. I see a coordinated campaign of people from the US Congress and your extremists. If you had 30 percent of Albanians, one stone upon another would not be left in Montenegro, while we never asked anything from them. Find me someone in the region who wills talk to Haradinaj without a lump in their throat. So much for democracy”, concluded Vucic.

EU Urges Azerbaijan To Release Detained Opposition Figures

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The European Union has urged Azerbaijan to release detained opposition figures, in an apparent reference to the alleged abduction and arrest of a journalist critical of Baku and the detention of an opposition politician. The statement on June 4 did not mention names but came after journalist Afqan Muxtarli was kidnapped in the Georgian capital, Tbilisi, on May 29 and the arrest of opposition politician Gozal Bayramli. The EU statement said “a review by Azerbaijan of any and all cases of incarceration related to the exercise of fundamental rights, including the freedom of expression, and immediate release [of] all of those concerned is urgent. “We expect that the due process of law is respected, as well as the civil and political rights of citizens and those residing legally in states other than their own”, it added. The EU also said it welcomed the Georgian government’s announcement that it would investigate the alleged kidnapping. Tbilisi denies it was involved in the case

"I can't even imagine Serbia joining EU before Kosovo"

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Kosovo President Hashim Thaci says he cannot even imagine the EU accepting Serbia as its member before Kosovo. Thaci said that  the biggest concern in southeastern Europe was caused by “the fact that the EU is too slow in bringing countries of the region closer, which opens the door to all kinds of radicalisms, as well as strengthening of the Russian influence”. He thinks that the EU should therefore make decisions faster, and adds that he cannot imagine Serbia in the EU before Kosovo. “I cannot imagine something like this happening. I am confident that this will not be the case because Serbia would then certainly block Kosovo, and for an indefinite period of time. The EU knows very well what the attitude and behavior of Serbia is towards Kosovo. But, Serbia too cannot continue on the path of European while not behaving in a European way toward Kosovo”, stressed Thaci. According to him, Greater Albania is “a concept talked about by Belgrade to cover their ambition of creating a ‘Greater Serbia’”. Thaci claims that “the Kosovo army” will be established by the end of this year, after this has been suspended under international pressure.

EU's emergency relocation and resettlement schemes and on progress made towards an effective and genuine Security Union

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Meeting in Strasbourg, today the College of Commissioners will adopt two reports on the EU’s emergency relocation and resettlement schemes and on progress made towards an effective and genuine Security Union. The first report will take stock of actions taken by Member States over the last month to fulfil their commitments under the relocation and resettlement schemes. On the European Agenda on Security, today’s report will provide an update on the state-of-play with regards to the important work being carried out to improve security in the EU, and at its borders through better data management and the interoperability of information systems.

 

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