GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Daesh - page 2

Daesh: da Parigi a Maiduguri

EUROPA/Medio oriente – Africa di

L’attacco terroristico a Parigi del 13 novembre ha reso evidente come lo Stato Islamico sia un pericolo anche dentro i confini occidentali. Aldilà di Siria e Iraq, dove ha sede il Califfato, è l’Africa il luogo più colpito dal terrorismo islamico. I fatti degli ultimi quindici giorni ne sono l’ulteriore riprova.

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Sono oltre 83 gli attentati in tutto il mondo dal giugno 2014 ad oggi, riporta il quotidiano francese Le Monde. Oltre 1600 le vittime. Raqqa (Siria) e Maiduguri (Nigeria) le città più colpite. Dal marzo 2015, data dell’affiliazione del gruppo nigeriano Boko Haram al Califfato, le azioni terroristiche nel continente africano sono aumentate a dismisura. Così come le varie sigle che, dal Mali all’Egitto, colpiscono in nome dell’Isis.

Dopo i 129 morti di Parigi, altri se ne sono aggiunti da novembre ad oggi:

Mali: Oltre 20 le persone uccise a seguito di un raid compiuto da un commando jihadista lo scorso 20 novembre all’hotel Radisson di Bamako. Un blitz delle forze speciali francesi e statunitensi ha permesso la liberazione dei circa 150 ostaggi sopravvissuti. Dopo l’arresto di due sospettati, la risposta delle cellule terroristiche locali non si è fatta attendere con l’attacco alla base ONU di Kidal nel nord del Paese, in cui sono morte 3 persone.

Egitto: Due azioni terroristiche. La prima, il 24 novembre, quando un doppio attacco kamikaze, compiuto in un hotel del Sinai del Nord che ospitava alcuni presidenti di seggio, ha portato all’uccisione di 4 persone. La seconda, il 28 novembre, a Giza, quando alcuni terroristi hanno sparato contro un checkpoint, uccidendo 4 poliziotti.

Nigeria: Prima una stazione dei camion, poi una processione sciita. Sono questi i due obiettivi presi di mira dai miliziani di Boko Haram nello Stato di Borno, vicino alla capitale Maiduguri. Rispettivamente oltre 35 e 32 i morti.

Camerun: Quattro differenti azioni kamikaze da parte di altrettante ragazze hanno portato all’uccisione di almeno 5 persone a Fotokol lo scorso 21 novembre.

Tunisia: 13 morti a seguito di un attacco bomba contro l’autobus della guardia presidenziale avvenuto lo scorso 24 novembre a Tunisi. Così come nelle azioni al Museo del Bardo e nella spiaggia di Sousse dello scorso giugno, lo Stato Islamico ha rivendicato l’attentato.

 

Giacomo Pratali

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Francia attacca IS. USA-Russia cooperano?

Varie di

L’aviazione francese ha intensificato i bombardamenti su Raqqa all’indomani dell’attacco terroristico a Parigi. Nel G20 in Turchia, il bilaterale tra Obama e Putin lascia intravedere degli spiragli su una comune strategia in Siria.

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Lo stato di guerra proclamato dal presidente francese Francoise Hollande ha già avuto un seguito. Non solo entro i confini nazionali. L’aviazione d’oltralpe, infatti, ha intensificato, nella notte del 15 novembre, i bombardamenti sulle postazioni strategiche in Siria. Il Ministero della Difesa ha dichiarato che sono 12 gli aerei totali impiegati, i quali hanno intensificato i raid presso Raqqa, capitale dello Stato Islamico, e preso di mira un centro di comando e un campo di addestramento.

Gli attacchi di Parigi hanno quindi portato ad una immediata reazione da parte dell’Eliseo. E, soprattutto, il governo non è spaventato dal fatto che, proprio i raid delle settimane scorse in Siria, sono stati una delle cause di quanto successo il 13 novembre. Gli attacchi aerei di queste ore sono, inoltre, il frutto della collaborazione tra Francia e Stati Uniti, già presenti sia sul territorio siriano sia su quello iracheni, che hanno fornito un supporto logistico e di intelligence.

Proprio il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha intrattenuto un proficuo colloquio con il suo omologo russo Vladimir Putin nel corso del G20 di Antalya (Turchia). Negli oltre 30 minuti di faccia a faccia, alla luce degli attentati di Parigi, si sono riavvicinati, tanto che la Casa Bianca ha definito la discussione come costruttiva.

Al netto della questione ucraina e dei confini NATO in Europa, quanto avvenuto a Parigi potrebbe aprire lo scenario di una cooperazione militare in Siria, al fine di “risolvere il conflitto nel Paese”, si legge nella nota diffusa dopo il vertice. Pur con la questione del sostegno ad Assad ancora in ballo, la strategia del terrore dello Stato Islamico potrebbe avere un effetto contrario e ricompattare Occidente e Russia in nome della lotta al Califfato.
Giacomo Pratali

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Contrasto all’Isis, ancora tanto lavoro da fare

Medio oriente – Africa di

Un anno è trascorso da quando la Coalizione Globale per il Contrasto a Daesh ha deciso di muovere i primi passi per fermare la pericolosa avanzata dell’Isis, o Daesh, suo acronimo arabo. Nei 12 mesi trascorsi, le azioni messe in campo hanno permesso di riconquistare in Iraq circa il 30% dei territori inizialmente controllati dal califfato, liberare Tikrit e consentire ad oltre 100.000 civili di tornare nelle proprie case e nei territori circostanti. Idem in Siria, dove il controllo di Daesh continua “su appena 100 degli 822 chilometri del confine turco-siriano. Un anno fa – dichiarano gli stati membri della Coalizione – la situazione era tragica: ISIS stava avanzando in Iraq e minacciando Erbil, Kirkuk e Baghdad. Inoltre, parevano imminenti ulteriori attacchi contro la minoranza Yazidi. Da allora, nonostante non siano mancate inevitabili battute d’arresto, la Coalizione ha perseguito una strategia onnicomprensiva, dimostrando di saper arginare la capacità di movimento di Daesh in Iraq e Siria”. I meriti vengono condivisi con le forze di sicurezza irachene, i peshmerga curdi, l’opposizione siriana ed in generale il popolo di entrambi i paesi. La Coalizione continua ad attaccare Isis su più fronti, controllando canali bancari e finanziari attraverso l’attività della Financial Actione Task Force, cercando di interrompere il reclutamento dei foreign fighters con l’aiuto del Global Counterterrorism Forum, diffondendo un’altra realtà comunicativa densa di speranze opposte alla violenza e all’odio proposti dai terroristi del califfato e sostenendo il governo iracheno, oltre a quello regionale curdo, nella stabilizzazione dei territori liberati. In Siria, il pieno appoggio è garantito alla popolazione nell’ambito di quello che viene diplomaticamente definito la via verso la definizione di “un governo di transizione basato sui principi del Comunicato di Ginevra, al fine di addivenire a un Governo democratico, inclusivo e pluralistico che sia rappresentativo del volere del popolo siriano”. Il monitoraggio della diffusione di Isis in altre realtà che non siano quella irachena e siriana prosegue da parte della Coalizione il cui impegno si rivolge anche alle popolazioni rifugiate. “Il lavoro da fare insieme è ancora molto – concludono gli stati membri. “Daesh continua a reclutare e radicalizzare nuove persone, specialmente attraverso i social media. Sta perpetrando crimini inauditi contro ogni gruppo etnico e religioso e contro minoranze particolarmente vulnerabili; sta distruggendo il patrimonio culturale dell’umanità; e cerca di esportare il proprio modello in altri Paesi, incoraggiando a compiere atti terroristici. Partendo da queste considerazioni, siamo consapevoli che la sconfitta finale di Daesh richiede un impegno di lunga durata e un approccio multidimensionale. Il mondo è unito nella ferma condanna di Daesh e della sua ideologia distorta. La nostra Coalizione ribadisce la sua incrollabile determinazione nel lavorare insieme per ottenere la definitiva sconfitta di Daesh”.

 

Monia Savioli

Libia: accordo in bilico

Medio oriente – Africa/Varie di

Tobruk boccia il Consiglio di Presidenza, ma non si esprime sulla proposta del 9 ottobre. C’è attesa per la risposta di Tripoli. La formazione del governo di unità nazionale rischia di saltare. Tuttavia, il mandato di Leon in scadenza e la radicalizzazione del Daesh in alcuni centri nevralgici del Paese richiedono un cambio di rotta in tempi rapidi.

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L’ottimismo mostrato dal delegato Onu in Libia Bernardino Leon al termine delle positive trattative dello scorso 9 ottobre, in cui era stata stilata la bozza dell’accordo e i nomi del nuovo governo di unità nazionale, cozzano con la bocciatura del 19 ottobre del Parlamento di Tobruk dei nomi del Consiglio di Presidenza presentati dalle Nazioni Unite.

Non un voto formale contro l’accordo, dunque. Ma i 153 deputati dell’Assemblea hanno comunque lanciato un messaggio forte alle Nazioni Unite e a Tripoli. Un malcontento che conterebbe una settantina di rappresentanti, pronti, secondo quanto riportato dal Libyan Herald, a defilarsi rispetto alle posizioni del governo di Tobruk.

Adesso, c’è attesa per la risposta di Tripoli, anche se le premesse del 16 ottobre scorso, data della bocciatura dell’accordo di Skhirat da parte del Presidente del Congresso Nuri Abu Sahimin, l quale ha condanato “l’essere stato invitato a New York alla presenza del Ministro degli Esteri di Tobruk, sostenuto da un parlamento illegale poiché sciolto dalla Corte Costituzionale, di un delegato libico presso l’Onu rimosso dal Congresso e dei ministri degli Esteri di Egitto ed Emirati”.

Tuttavia, se uno spiraglio è ancora aperto, il mandato del Parlamento di Tobruk è ufficialmente scaduto proprio lunedì 19 ottobre (anche se poi è stato prorogato). Così come per Leon, a cui succederà il tedesco Martin Kobler e vicino al fallimento della sua missione libica. E il piano militare, economico e sociale a sostegno di un eventuale governo di unità nazionale e dei libici dell’Unione Europea, annunciato dall’alto rappresentante Federica Mogherini lo scorso 20 ottobre, appare utopistico se Tobruk e Tripoli non diranno sì alla bozza delle Nazioni Unite.

Oltre alla dichiarazione congiunta di molti Paesi Onu dei giorni scorsi, le reazioni delle ultime ore tendono a minimizzare quanto è accaduto a Tobruk: “Non ha né approvato né bocciato. È stato solo deciso di non sottoporre la proposta al voto della Camera dei Rappresentanti, ha affermato il ministro degli Affari Esteri italiano Paolo Gentiloni. Mentre Leon ha ribadito che “la minoranza non terrà in ostaggio il processo negoziale. La soluzione politica è l’unica possibile”.

Al netto delle dichiarazioni, tuttavia, le prossime ore appaiono decisive. Le varie scadenze istituzionali ma, soprattutto, la radicalizzazione del Daesh in una città strategica come Bengasi pongono come urgente una soluzione politica univoca per la Libia.

Giacomo Pratali

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Libia: sì al governo di unità nazionale

Il governo di unità nazionale libico si farà. L’accordo, raggiunto nella tarda serata di giovedì 8 ottobre, è stato firmato da tutte le fazioni in gioco, compreso l’esecutivo di Tripoli, il quale, dopo molte reticenze, ha detto sì alla bozza del 21 settembre scorso avallata dalle altre parti in gioco. Il ruolo di Primo Ministro, secondo quanto annunciato dal delegato Onu Bernardino Leon, dovrebbe spettare a Fayez Serray, ex Ministro della Casa in uno degli esecutivi del dopo Gheddafi.

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“Esprimiamo la nostra gioia perché c’è almeno una chance – ha affermato Leon -. Secondo le agenzie Onu, 2,4 milioni di persone sono in una grave condizione umanitaria. A tutti loro vanno le nostre scuse per non essere stati capaci di proporre prima questo governo”.

Dopo circa un anno di trattative pronte a naufragare da un momento all’altro, Leon, a fine incarico in Libia, è riuscito a portare a termine l’accordo tanto atteso. Pur con i distinguo da parte delle ali estreme dei due esecutivi, i governi di Tobruk e Tripoli si sono impegnati a scegliere il futuro Consiglio dei Ministri. Mentre le Nazioni Unite hanno già nominato i tre vicepresidenti che comporranno, assieme al premier, il Consiglio di Presidenza.

Moussa Kony, indipendente e proveniente da Fezzan. Ahmed Maemq, membro del Congresso Generale Nazionale di Tripoli. Fatj Majbari, proveniente dalla Cirenaica ma non fedele al generale Khalifa Haftar.

La comunità internazionale ha accolto con soddisfazione l’accordo. Adesso, si apre la fase della formazione del governo e del possibile intervento militare, sotto l’egida delle Nazioni Unite e a possibile guida italiana, contro lo Stato Islamico: “Ora i partiti libici sostengano l’intesa che va incontro alle aspettative del popolo libico, nel cammino verso la pace e la prosperità. L’Ue -ha annunciato- è pronta a offrire un immediato e concreto sostegno finanziario di 100 milioni di euro al nuovo governo”, ha annunciato l’alto rappresentante Ue Federica Mogherini.

Mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon auspica che “non venga sprecata questa opportunità per mettere il Paese sulla strada della costruzione di uno stato che rifletta lo spirito e le ambizioni della rivoluzione 2011″.

Sulla stessa lunghezza d’onda, il ministro degli Affari Esteri italiano Paolo Gentiloni, il quale ha espresso “soddisfazione per il risultato conseguito  nella notte dalle delegazioni delle formazioni libiche. Si tratta di un’importante tappa del percorso verso l’auspicabile creazione di un governo di unità nazionale. Ora è fondamentale che  tutte le parti approvino l’intesa raggiunta questa notte e procedano alla firma dell’accordo”.  – ha detto  il Ministro –  “L’Italia, nel riconoscere l’incessante sforzo compiuto dall’inviato delle Nazioni Unite, Bernardino Leon –  ha concluso Gentiloni –  continuerà a dare il suo sostegno alle prossime tappe verso la pace e la stabilità della Libia”.

Giacomo Pratali

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Nigeria-Libia: viaggio di sola andata

Medio oriente – Africa di

La Multi National Joint Task Force ha annunciato il dispiegamento di quasi 9000 unità contro Boko Haram, dopo le 200 vittime nelle ultime due settimane. Lo stesso Boko Haram è pronto a supportare i miliziani del Daesh a Sirte.

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8700 soldati dispiegati contro Boko Haram. È quanto annunciato lo scorso 26 agosto dalla coalizione africana Multi National Joint Task Force, composta Nigeria, Camerun, Ciad, Niger e Benin. Soprattutto i primi tre Paesi, sono sempre più il bersaglio dell’organizzazione islamista affiliata all’Isis.

Un provvedimento che potrebbe essere tardivo. Nello Stato di Borno, tornato ad essere l’epicentro degli scontri tra milizie regolari e truppe islamiste, sono state oltre 200 le vittime civili nelle ultime due settimane. Una risposta alle altrettante persone liberate dall’esercito nigeriano nello stesso arco di tempo.

Ma c’è un altro fronte. Oltre ai profughi in fuga da questi continui massacri e diretti verso la Libia, c’è un’altra rotta che porta allo Stato nordafricano: quella dei combattenti di Boko Haram, arrivati a Sirte per dare manforte ai miliziani del Daesh. Come riportato da molti media internazionali, le fonti libiche hanno stimato che “200 combattenti nigeriani sarebbero pronti ad unirsi alle truppe dell’Isis”.

Dallo Stato di Borno, passando per il Lago Ciad e il sud del Camerun, fino ad arrivare a Sirte. La rete del Califfato si sta allargando a macchia d’olio e non appare più sporadica sulle carte geografiche. E la modalità del terrore, già testimoniata nei villaggi nigeriani, ciadiani e camerunensi, è la medesima a Sirte. Solo pochi giorni fa, il leader spirituale dello Stato Islamico Hassan al Karami aveva fatto il seguente annuncio choc nel corso di un sermone nella moschea di Rabat: “Decapiteremo i ribelli dell’opposizione dopo la preghiera del venerdì, gli abitanti di Sirte consegnino le loro figlie ai combattenti che le sposeranno”.

Parole dure. Parole che sono la testimonianza di quanto l’organizzazione di al Baghdadi si sia radicata nella città di Sirte da giugno ad oggi. Moschee, istituzioni e media sono nelle loro mani. E le vittime, esponenti di Fajr Libia, delle Brigate di Misurata e di altri gruppi libici, testimoniano quanto la mancanza di unione nazionale alla Libia faccia il giorno dello Stato Islamico.
Giacomo Pratali

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Libia: pronto il piano d’intervento

Appello dei governi di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Stati Uniti dopo le stragi di Sirte per mano dei miliziani. In attesa dell’auspicata adesione di Tripoli al governo di unità nazionale, emergono alcuni dettagli sul piano d’azione a guida italiana in Libia: costruzione e protezione delle infrastrutture, missione di peace-keeping dei caschi blu, addestramento delle truppe regolari.

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Oltre 200 morti e almeno 500 feriti a seguito degli scontri avvenuti nell’ultima settimana a Sirte. Il susseguirsi delle stragi per mano dei miliziani affiliati all’Isis ha lasciato dietro di sé una scia di sangue e orrore. Crimini, come la crocifissione di 12 miliziani salafiti o i 22 pazienti di un ospedale morti a seguito di un incendio appiccato dai jihadisti, che hanno fatto gridare al “genocidio” il governo di Tobruk.

“Siamo profondamente preoccupati dalle notizie che parlano di bombardamenti indiscriminati su quartieri della città densamente popolati e atti di violenza commessi al fine di terrorizzare gli abitanti – afferma il comunicato congiunto dei governi di Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Stati Uniti -. Facciamo appello a tutte le fazioni libiche che desiderano un Paese unificato e in pace affinché uniscano le proprie forze per combattere la minaccia posta da gruppi terroristici transnazionali che sfruttano la Libia per i loro scopi”, conclude la nota.

La necessità del governo di unità nazionale, auspicata dalla comunità internazionale, è quanto mai di attualità. Le Nazioni Unite attendono con ansia la decisione di Tripoli, dopo l’accordo tra le restanti fazioni del Paese. C’è un piano da attuare per frenare l’avanzata dell’Isis in Libia.

Già da mesi, si mormora di un intervento militare a guida italiana e sotto l’egida dell’Onu. Un piano d’azione già redatto dalla Farnesina e su cui sta lavorando alacremente lo stesso Bernardino Leon, ancora più indispensabile dopo la conquista di Sirte, le stragi a ripetizione e l’emergenza migratoria.

Come emerso nelle ultime ore, questo piano d’azione riguarda la fase successiva alla costituzione del governo di unità nazionale. In primis, tale esecutivo dovrebbe fare richiesta ufficiale di aiuti internazionale. Così, potrebbe scaturire il sostegno finanziario, ma soprattutto militare, indispensabile per stabilizzare la Libia e contrastare lo Stato Islamico.

Oltre che ai sussidi per la costruzione di infrastrutture come strade e aeroporti, oltre alla protezione degli impianti petroliferi e gasiferi, il clou di questo piano sarebbe l’intervento sul campo dei caschi blu Onu come forza di peace-keeping e l’addestramento delle truppe dell’esercito regolare libico.

L’abbattimento dei flussi migratori verso Italia e Grecia e la sconfitta dell’Isis passano, perciò, attraverso una stabilizzazione istituzionale, politica ed economica della Libia, come spiegato dal ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni: “L’accordo per un governo nazionale in Libia resta la sola possibilità affinché con il supporto della comunità internazionale si possa far fronte alla violenza estremista e al peggioramento quotidiano della situazione umanitaria ed economica del Paese”. Tripoli, dunque, deve sbrigarsi. Il tempo, oramai, stringe.

Giacomo Pratali

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Libia: l’accordo è monco

Primo passo nelle trattative per la costituzione di un esecutivo di unità nazionale, dirette dal mediatore Onu Leon. Il governo di Tobruk e i rappresentanti delle altre fazioni hanno ufficializzato il proprio consenso dopo mesi di trattative. Ma manca ancora l’adesione indispensabile di Tripoli.

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Domenica 12 luglio, è stato messo nero su bianco l’accordo per il governo di unità nazionale libico. A Skhirat (Marocco) il governo di Tobruk e i rappresentanti di Zintan, Misurata e di altre fazioni hanno sottoscritto il patto già nell’aria dal 3 luglio scorso. Un passo in avanti, visto il lungo lavoro del mediatore Onu Bernardino Leon. Ma un’intesa monca, visto che manca il consenso dell’esecutivo di Tripoli.

Le reazioni, tuttavia, sono state positive. Per Leon e e per i rappresentanti di Tobruk si tratta di “un primo ed importante passo verso la pace”. Mentre il governo italiano, attraverso il ministro degli Affari Esteri Gentiloni, saluta l’accordo come “un motivo di speranza e ci incoraggia a proseguire nell’impegno negoziale. Tocca adesso a Tripoli compiere un gesto importante e responsabile, aderendo all’accordo proposto dal Rappresentante Speciale ONU Bernardino Leon, con il pieno sostegno anche dell’Italia”, conclude il titolare della Farnesina.

Intanto, sul fronte interno, Derna, città portuale della Cirenaica, è ormai stata “persa dallo Stato Islamico”, come ha ammesso un miliziano dal volto coperto in un video diffuso sul web. Mentre gli Stati Uniti stessi, consapevoli dell’impasse politico-istituzionale del Paese, hanno deciso di rompere gli indugi e, in accordo con altri Stati africani, sarebbero pronti ad impiegare droni contro le roccaforti del Daesh in Libia. Sia il presidente Obama sia il premier della Gran Bretagna Cameron hanno evidenziato, nelle uscite pubbliche di questi giorni, che l’Isis si può sconfiggere. Ma, al tempo stesso, hanno entrambi escluso l’impiego di forze militari tradizionali a vantaggio di tecnologie che non implichino l’utilizzo diretto di truppe.
Giacomo Pratali

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Francia, Valls: “Impariamo a convivere col terrorismo”

BreakingNews/EUROPA di

Un intero Paese sotto choc. Il presidente Hollande conferma che il responsabile dell’attentato alla fabbrica vicino a Lione è stato arrestato. Si tratta di Yassin Salhi, uomo di origine marocchina. Il colpevole si è scattato una foto assieme al cadavere dell’imprenditore decapitato.

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“Non abbiamo dubbi che volessero far saltare l’intero complesso industriale ma non dobbiamo cedere alla paura”. Queste le parole del presidente francese Hollande all’indomani dell’attentato presso una fabbrica a pochi chilometri da Lione, in cui l’imprenditore è stato decapitato. “Dobbiamo imparare a convivere con il terrorismo”, ha invece denunciato il primo ministro Valls.

Intanto, il responsabile dell’azione terroristica, Yassin Salhi, è stato arrestato e ha confessato di avere ucciso il proprio capo, Hervè Cornara. Mentre sul cellulare dell’uomo di origine marocchina è stata ritrovata una foto scattata assieme al cadavere decapitato e le insegne del Daesh accanto. In stato di fermo anche la moglie dell’uomo. Ancora caccia, invece, all’altro presunto responsabile, forse di nazionalità siriana.

Salhi è stato poi trasferito nella sede dell’antiterrorismo a Parigi. Pur senza precedenti penali, l’attentatore era comunque stato schedato nel 2006 perché sospettato di essere vicino ad un movimento di matrice salafita.

Giacomo Pratali

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Libia: buona la quarta?

Tripoli dice sì con riserva alla bozza proposta da Leon. Daesh, questione migratoria e crisi finanziaria rendono sempre più necessario un accordo tra i due governi. La stampa internazionale, tuttavia, sottolinea l’incapacità del mediatore Onu e dei Paesi occidentali di individuare quale dei due esecutivi sia quello più adatto ad arginare l’avanzata dello Stato Islamico e arrestare l’imponente flusso di persone dirette verso l’Europa.

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Un timido passo in avanti. L’accordo tra le due parti in causa sembra essere più vicino. Questo ci dice la risposta affermativa, seppure con la “necessità di apportare alcune modifiche”, fatta pervenire al mediatore Onu il 17 giugno dal governo di Tripoli. Un’apertura ad un “Governo di Accordo Nazionale” assieme ai rappresentanti di Tobruk, come recita il documento contenente 69 articoli, che è già una notizia visti i continui contrasti tra i due esecutivi.

La paura dell’avanzata dello Stato Islamico, le pressioni dell’Unione Europea sulla questione migratoria, la ormai più che probabile bancarotta finanziaria della Libia, pongono i due governi ad una sola scelta possibile: l’accordo.

La quarta bozza, presentata ad Algeri da Leon ad inizio giugno, parte dalla precedente, ma cerca di dare più spazio alle istanze del governo filomusulmano di Tripoli. Permane la formazione di un’unica assemblea legislativa a Tobruk, ma si fa spazio una Presidenza del Consiglio tripartita, composta da un presidente e da due vice: un check and balance a favore della giusta rappresentanza delle due parti in causa.

Se comunque i due governi continuano a tirare la giacca a Leon per arrivare ad una soluzione favorevole per uno piuttosto che per l’altro, il nodo da sciogliere gira attorno alla figura del generale Haftar. Vero leader della fazione riconosciuta a livello internazionale e sostenuto dal presidente egiziano Al Sisi, viste le accuse di crimini contro i civili a suo carico, suscita non poco imbarazzo in Occidente.

E se è vero che è necessario trovare un interlocutore unico in Libia per arginare l’avanzata dello Stato Islamico e per regolamentare i flussi migratori diretti in Europa, il vero dubbio è se non solo su Haftar, ma sul governo stesso di Tobruk, sulla sua reale capacità di incidere sulla popolazione (è stato votato dal solo 25% degli aventi diritto).

Come rilanciato di recente dal Financial Times, finora Leon, nel corso di questi quasi infruttuosi negoziati, Unione Europea e Paesi occidentali non hanno capito che il vero epicentro della crisi della Libia ruota attorno a Tripoli e alla Tripolitania, la regione dove si concentrano la maggior parte degli scontri tra le milizie del Daesh e le truppe filoislamiche legate ai Fratelli Musulmani, sostenitori del governo della capitale.

In questa ottica, i governi di Tripoli e Tobruk dovrebbero avere pari riconoscimento presso il consesso internazionale. Questo perché se Tobruk viene considerato legittimo, Tripoli, da parte sua, ha in mano quello che è il reale polso del Paese. È quindi in questo direzione che la quarta bozza proposta da Leon deve andare.

In questo scenario, è assordante il silenzio dell’Unione Europea. Incapace di portare avanti una reale politica dell’accoglienza dei rifugiati e della regolamentazione dei migranti in arrivo da Africa e Medio Oriente, stenta a fare sentire la propria voce nel contesto libico. E riesce a porsi come arbitro della necessaria pace nel Paese che, alla fine dei conti, altro non è che un accordo tra Stati: Arabia Saudita, Egitto e Russia (pro Tobruk) e Turchia e Qatar (pro Tripoli).
Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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